a cura di Massimo Gezzi
[Francesco Targhetta (Treviso 1980) è il quindicesimo autore della rubrica dedicata ai nuovi poeti nati negli Ottanta e Novanta. Targhetta, studioso e curatore di Govoni, ha pubblicato Fiaschi (ExCogita 2009), il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie (Isbn 2012) e Le cose sono due (Valigie Rosse 2014, Premio Ciampi). Le poesie che seguono, tranne la prima (inedita), sono tratte da quest’ultimo libro].
La ballata dei condomìni inesplosi
Gli ecomostri, al mattino presto,
con la dinamite sui litorali,
mentre collassano tu li invidi,
perché obbediscono, è chiaro,
a un destino
che tenevano dentro da sempre.
Riescono, loro, nel compito arduo
che mai a te sarà dato di adempiere,
tu che sfiori nella sera, da solo,
i condomìni di facce sbiadite
su cui finivano le città,
e vedi che nessuno ormai si cura
di accomodarli o ridare la calce,
a nessuno nemmeno interessa
tirarli giù
ma nelle serrande che al buio
scendono
lo vedi quanto loro
lo vorrebbero.
*
La lingua delle badanti
Dopo tre giorni di Italia, Maria,
dall’Ucraina, di sera, sfiorava
i piatti lanciati da nonna, ribelle
a badanti, furiosa, paonazza.
Una donna dell’est sul nostro
divano fino a trovarle un tetto,
un vecchio, e a pranzo il sabato
le brillò lo sguardo vedendo servite
grosse braciole – che in lingua
di oscure parole strappate a furti
dai telegiornali incerta chiamò
—mucca pazza,
gli occhi che osavano in su.
«Carne, carne!», facemmo, in coro,
insegnando tra risa la giusta parola,
ma tu lo capivi che a dare alle cose
nomi di mali, nomi di morbi,
aveva imparato tutto da sola.
*
Carità
Al semaforo per la prima volta
in mezzo a un novembre di sberle
le gambe sghembe di un barbone slavo
e io che gli lascio due euro, abbassando
e poi rialzando, coi tasti, il finestrino –
l’oscena carità degli egoisti.
Perché l’obolo, non vedi, l’hai dato
a te stesso, se speri adesso
che l’abbia speso per una grappa
o un bicchiere di vino,
caldo, magari, brulé,
se da un po’ hai l’impressione
di poter
aiutare soltanto a dimenticare,
come un auspicio affinché riesca
finalmente anche a te.
*
3.
Un altro giorno di elezioni, freddo,
però, le coppie che vanno a votare
a braccetto, aperto all’angolo il bar,
qua dentro l’eco dei passi e del vento,
...sceglierà il 30 per cento
…solo oggi o persino domani
e intanto tu chiuso rimani in casa
e rifletti in ascolto, secche le mani,
che c’è ancora chi ti chiede di battere
un colpo.
*
5.
Il lavoro distrae, ma il lavoro
non c’è, e resta allora la fame,
spietata e pura, un trentatré giri
che stura il silenzio del mattino,
mentre il giorno è gigante
e mica lo fermi,
sale in sordina su quei treni eterni
lungo la pioggia delle coste adriatiche
finché è sera dentro le stanze
e niente, attorno, si è mosso,
come (ricordi?) belle statuine,
marce, però:
hanno i volti smangiati,
gli occhi venati di rosso.
*
11.
Ricorre tre volte al purtroppo Paola,
o dottoressa Da Ros, com’è scritto
sull’eyeliner rabbioso
e sulle mani che scoperchiano
la fotocopiatrice, mentre mi parla
con riserbo dell’assicurazione:
c’è una clausola sulla vita
che chiamano, dice, denaro
protetto, perché è quanto, dopo tutto,
interessa, e bisogna pensarci
(tranquillità al futuro di chi ami),
tra gli scongiuri bisogna pensarci,
o rassegnarsi, se si è soli – e abbassa
gli occhi – a un’altra giornata storta
finché quando ci congediamo, ormai
chiusa la banca, il suo saluto
è il pulsante che mi apre la porta.
[Immagine: Foto di Gabriele Basilico (particolare) (mg)].
nessuno