di Massimo Fusillo
Nel 2004 due studiose tedesche, Ursula Keller e Irma Ramusa, hanno chiesto a 33 scrittori di 33 nazioni europee (con l’inclusione significativa della Turchia e l’esclusione altrettanto significativa dell’Inghilterra) che cosa significasse essere Europei[1]. Il quadro che ne fuoriesce è fondamentalmente negativo: si va dalle posizioni più radicali, come quella dell’irlandese Toíbín, secondo cui l’Europa non è né un’identità né una cultura, ma un insieme di interessi organizzati intorno all’Unione europea, e quindi una parola aperta a tutte le interpretazioni; alle posizioni, come quelle dell’italiano Mario Fortunato, che sottolineano la perdita di incisività dell’identità europea dovuta alla globalizzazione; l’Europa può quindi essere solo uno spazio mentale (Mirela Ivanova, Bulgaria), un contesto aperto come la stessa scrittura (Ivan Štrpka, Slovacchia), un’unità culturale basata sul tempo (Dževad Karahasan, Bosnia), una civiltà della memoria (Adolf Muschg, Svizzera, secondo cui dovrebbe essere l’Europa a entrare in Svizzera e non viceversa, perché il federalismo è rifiuto di un’identità monocroma). Uno dei poeti più significativi della nostra epoca, il tedesco Durs Grünbein, scrive di essere nato o troppo tardi o troppo presto per l’Europa, che gli appare un mito ben visualizzato dalla facciata inespressiva della burocrazia di Bruxelles, in rovina già alla sua nascita, come la sua patria Dresda (ma racconta anche di aver iniziato a sentirsi europeo di ritorno dagli Stati Uniti, confrontando Venezia e Las Vegas); mentre il belga Jean Philippe Toussaint difende la bellezza di essere un europeo nomadico e pluralista, che si sente a casa sua dappertutto e da nessuna parte.
I motivi di questo quadro così negativo, che viene riproposto anche in altri ambiti, non solo in quello letterario, sono sicuramente molteplici: il primo e il più immediato è la resistenza che tutti gli artisti provano di fronte a ogni tipo di classificazione, che possa sminuire la loro originalità e individualità; capita così che il rappresentante più famoso del minimalismo, Raymond Carver, dichiari di detestare quel termine, così come etichette quali scrittrice femminista, scrittore gay, o appunto scrittore europeo risultano troppo riduttive e schematiche. C’è poi un motivo più profondo, che traspare un po’ dalla posizione di Toussaint: nelle diverse epoche gli scrittori hanno vissuto spesso in modo ambivalente e tormentato la propria appartenenza etnica o la propria nazionalità, contrapponendovi di volta in volta nomadismo, cosmopolitismo, universalismo. È quella che Eduard Said chiama “mondialità” (wordliness) della letteratura[2]: un termine che allude sia alla sua dimensione secolare, terrena, sia alla sua capacità di trascendere il proprio contesto di appartenenza, di cui pure si alimenta di continuo, per creare nuove connessioni, ridiscutere i confini, ridisegnare i territori, rivolgendosi a un pubblico tendenzialmente illimitato.
Non è un caso che questa categoria di mondialità provenga da un intellettuale palestinese nato a Gerusalemme come cittadino americano e vissuto sempre a New York, che si è occupato a lungo di scrittori dall’identità ibrida e multipla come Conrad, e che ha smontato i millenari stereotipi dell’Occidente nei confronti dell’Oriente in un libro celebre, da cui ha preso le mosse la fiorentissima critica postcoloniale[3]. Nella sua ossessione per i temi dell’esilio, Said si è inoltre occupato di una figura storica della critica stilistica e della comparatistica: Erich Auerbach, che ha composto il suo capolavoro, Mimesis, a Istanbul negli anni della seconda guerra mondiale, perché ebreo costretto all’esilio. In un saggio scritto invece dopo la guerra e dedicato al concetto goethiano di Weltliteratur[4], Auerbach auspica che si recuperi, con le dovute differenze storiche, l’idea ben nota al sapere medievale che lo spirito (Geist) sia sovranazionale, e conclude con un bel brano di Ugo di San Vittore, strutturato come un crescendo, in cui chi trova dolce la propria patria è definito «delicato» (delicatus), chi considera ogni suolo la propria patria «forte», ma «perfetto» solo chi considera tutto il mondo come luogo di esilio. Il pensiero di San Vittore è teso, secondo la sua ottica medievale, a liberare il saggio dall’amore per il mondo, ma può essere rovesciato, secondo Auerbach, nel suo opposto: in un mezzo per amare il mondo. Come negli scritti di Said, la letteratura diventa un luogo privilegiato per trasformare un’esperienza tragica come l’esilio in una condizione positiva e creativa: in una lente per leggere meglio la realtà. Esilio, migrazione, diaspora, sono esperienze traumatiche che hanno in mille modi diversi alimentato e quasi individuato metaforicamente la scrittura letteraria. Notiamo subito a questo punto come i tratti negativi possano trasformarsi in elementi propulsivi: la debolezza dell’identità europea può risultare un ottimo antidoto contro l’eccessivo localismo, e può corrispondere meglio a questo senso di non appartenenza universale di cui abbiamo appena trattato, in quanto identità più ampia e flessibile.
Il terzo e più consistente motivo per cui gli scrittori contemporanei hanno difficoltà a sentirsi europei è la dimensione globale, in cui si muove oggi più che mai la letteratura. Da tempo la tradizione europea ha perso il valore di modello canonico: non c’è nulla che accomuni di più fra di loro gli scrittori europei (Marìas, McEwan, Nooteboom, Houellebecq, Siti), rispetto a quello che li accomuna ai loro colleghi americani o giapponesi, come DeLillo o Murakami; e soprattutto, i modelli di base della scrittura contemporanea vengono dal cinema, dai linguaggi visuali, dalle comunicazioni di massa, molto più che dalla tradizione dei classici europei. Da questo punto di vista il postmoderno è una svolta fondamentale: è stato il primo movimento letterario occidentale a non nascere in Europa, e ad avere un’origine più visuale (architettonica) che letteraria; non a caso alcune storie della letteratura europea si chiudono prima del postmoderno, come quella di Backès[5]. Per un romanziere contemporaneo il cinema, i videoclip, la pubblicità possono essere più importanti della tragedia elisabettiana o della poesia barocca: Hitchcock e il cyberpunk più di Racine o dell’avanguardia sovietica. Di fronte a questa situazione non ha nessun senso chiudersi in una difesa della tradizione umanistica, in un’esaltazione della purezza e della preziosità insostituibile della letteratura: sarebbe un atteggiamento sterile e passatista; occorre invece indagarne tutte le ibridazioni, per riuscire a cogliere il ruolo che essa può avere all’interno di un immaginario sempre più polimorfico e metamorfico. Inoltre, la rivoluzione digitale non solo rende sempre più vertiginosa la circolazione dei testi, e quindi sempre più globale la letteratura, ma sta ridisegnando totalmente i concetti stessi di autore, pubblico, testo, lettore, proprietà intellettuale, editore, rendendoli tutti più fluidi: lo si nota facilmente osservando i blog letterari o gli ipertesti, e in genere l’interattività e l’interpassività dei nuovi media.
La globalizzazione della nostra epoca è un fenomeno nuovo per intensità e radicalità, ma non è certo la prima volta in cui la letteratura conosce una diffusione mondiale: basta pensare all’Impero romano o alla tradizione retorica medievale e umanistica che è stata sempre transnazionale. È interessante rievocare il momento, che segna fra l’altro l’inizio della modernità piena, in cui si è iniziato a discutere di letteratura mondiale. È infatti una nozione strettamente intrecciata alla nozione di Europa, ed è frutto di uno dei suoi grandi autori canonici; d’altronde la dialettica Europa / mondo è un filo rosso che porta fino alla crisi attuale di cui stiamo trattando. In più di un’occasione, e con diverse sfumature e accezioni, Goethe è tornato su un concetto che era stato coniato per la prima volta da Wieland a proposito della Roma augustea e da August Schlegel, Weltliteratur, “letteratura mondiale” per l’appunto, e che è diventato sempre più fondamentale per la comparatistica[6]. Non è chiaro cosa si debba intendere con questa formula: se l’insieme dei capolavori che si impongono al pubblico internazionale, o invece le opere che circolano maggiormente su scala planetaria, a prescindere dal loro valore estetico, o addirittura la totalità della produzione letteraria mondiale. La cosa importante da sottolineare innanzitutto è che, in un momento travagliato come le guerre napoleoniche, Goethe esprime insoddisfazione per la categoria di letteratura nazionale: si preoccupa per il ruolo che la letteratura tedesca, da poco affacciatasi sulla scena europea, possa svolgere in futuro, ma nello stesso tempo si apre al confronto con le culture altre e con il mondo orientale (in particolare legge con passione un romanzo cinese). Un confronto che lo porterà a comporre una delle sue opere più affascinanti: il Divano Orientale-Occidentale, costruito come un dialogo con il poeta persiano Hafiz.
Per quanto non sviluppi un pensiero sistematico in proposito, e resti sempre ancorato a una visione classicistica, Goethe coglie con singolare preveggenza alcuni tratti pregnanti: per lui la letteratura mondiale non implica un’unificazione progressiva di un mondo sempre più omogeneo, come auspicavano Marx ed Engels e come paventano oggi molti intellettuali apocalittici, ma scaturisce da una continua tensione fra il locale e l’universale (quella zona ibrida che oggi chiamiamo glocal), fra la singola esperienza individuale e un ampio contesto di sguardi incrociati. In una delle conversazioni con Eckermann, sempre del 1827, Goethe sostiene che Carlyle può capire Schiller meglio di un tedesco, e che un tedesco può capire Shakespeare e Byron meglio di un inglese: l’occhio straniante di un pubblico diverso può dischiudere nuove prospettive e produrre un’inedita vitalità. Tutta la nozione goethiana di Weltliteratur gioca infatti sulla ricezione: sulla circolazione sempre più frenetica delle opere, che entrano a far parte di una rete inesauribile di scambi. È quello che il maggiore studioso oggi di World literature, David Damrosch, chiama «spazio ellittico»: quello spazio prodotto dalla cultura originaria di un testo e dalle culture che lo recepiscono, e circoscrivibile solo da questo amalgama[7]; la letteratura mondiale diventa così non un insieme di capolavori, ma un modo di lettura e di circolazione di opere che guadagnano nella traduzione (elemento chiave di cui ci occuperemo fra poco). In realtà questa doppia appartenenza, questo sguardo bifocale ha caratterizzato anche per secoli la letteratura europea: fatta appunto di opere ben radicate nel proprio contesto nazionale, ma anche capaci di essere recepite in tutta Europa.
Anche se rifiutavano un facile cosmopolitismo ecumenico e miravano a un intreccio con le tradizioni nazionali, le svariate teorie sulla letteratura mondiale scaturite da Goethe tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento potevano considerarsi figlie dell’illuminismo e del suo universalismo; cioè dell’idea che ci sia un fondo comune a tutti gli esseri umani che trova nella letteratura una delle sue espressioni più potenti. Questa visione è entrata profondamente in crisi nella seconda metà del Novecento, quando gli studi culturali e postcoloniali hanno mostrato come l’universalismo sia molto spesso l’assolutizzazione di una singola cultura, che “naturalizza” le proprie caratteristiche, senza accorgersi di quanto siano invece culturali, contingenti, congiunturali. Questo attacco all’imperialismo dell’Occidente, che ha dietro di sé varie esperienze filosofiche (Marx, Nietzsche, Derrida, Foucault), è ormai un dato abbastanza consolidato: la contrapposizione fra universalismo e relativismo è però troppo semplicistica e schematica, come sono spesso le dicotomie nette. In realtà un relativismo puro non può esistere innanzitutto da un punto di vista concettuale, perché tenderebbe ad auto-annullarsi: entrambi i termini hanno bisogno l’uno dell’altro, e come sempre la teoria critica contemporanea è alla ricerca di uno spazio intermedio fra i due poli, una in-betweeness, o un «universalismo strategico», come propone P. Gilroy[8]. Per questo motivo gli studi culturali e postcoloniali non si limitano a contestare o a voler allargare il canone occidentale, come sostengono i difensori della tradizione umanistica, che spesso ignorano totalmente quello di cui parlano: non si tratta, semplicemente, di aggiungere scrittrici e scrittori di aree dimenticate e marginali a un canone che, per ragioni storiche, è espressione di una cultura maschile, eurocentrica, bianca ed eterosessuale. Espandere l’area di studio, quando non diventa una rivendicazione settaria, è comunque un fatto positivo, e corrisponde alla curiositas innata del comparatista. Ma non è questo il punto. Gli studi culturali non contrappongono un’identità alternativa a un’identità dominante, non esaltano acriticamente la differenza, ma incrinano ogni idea statica di identità, propugnando invece una visione ibrida, aperta, processuale: un’identità che è sempre plurale, doppia o multipla che sia; come in fondo non può che essere anche e soprattutto l’identità europea.
Con queste premesse le teorie più recenti sulla letteratura mondiale sono sempre complesse e conflittuali, come il libro assai fortunato di Pascale Casanova, Le Repubblica mondiale delle lettere, ispirato alla storiografia di Braudel e alla sociologia di Bourdieu, e focalizzato sul conflitto continuo fra centro e periferia, e fra le varie nazioni in cerca di legittimazione culturale[9]. Concetto di origine seicentesca, la Repubblica delle lettere non è dunque un luogo di pure forme, ma di violenza sottile e di lotte infinite per guadagnare il prestigio internazionale, sanzionato in genere da uno (per lungo tempo Parigi) o più centri. A parte alcuni difetti (messi in luce da Helena Buescu e Christoph Prendergast)[10], il libro di Casanova ha il merito di proporre un’idea di letteratura mondiale agli antipodi della standardizzazione così spesso lamentata dalle facili critiche alla globalizzazione: l’ingresso nella Repubblica delle lettere e la legittimazione internazionale sono processi complessi, che implicano perdite e guadagni, tensioni e ibridazioni, come dimostra il caso irlandese: nell’Irlanda fra fine Ottocento e inizio Novecento la vera strategia innovatrice non è stato il recupero della lingua e della cultura celtica, propugnato da Yeats, ma la contaminazione della lingua dei colonizzatori; Joyce l’ha ibridata di elementi irlandesi, e poi deformata e quasi violentata. È proprio in personaggi come Joyce e Beckett, che hanno vissuto una complicata triangolazione geografica, linguistica e culturale fra Londra, Dublino e Parigi, fra identità irlandese e dimensione europea e cosmopolita, che si può scorgere anche oggi il modello di una letteratura mondiale dinamica, che sappia trasfigurare il conflitto in potenziale creativo. Molto conflittuale appare anche la visione altrettanto fortunata di Franco Moretti, che in Congetture sulla letteratura mondiale[11] distingue due fasi fondamentali, quasi due diversi fenomeni, individuando la cesura nel 18° secolo. Il primo modello di letteratura mondiale si articola come una progressiva diversificazione e divergenza, ed è un mosaico di letterature locali separate; il secondo invece si basa sulla convergenza e sulla somiglianza, e si articola in una relazione complessa fra centro, semiperiferia e periferia; per comprendere il primo, Moretti utilizza la teoria evoluzionistica di Darwin e i suoi vari sviluppi, mentre per capire il secondo si ispira all’analisi del sistema-mondo di Wallerstein, sociologo ed economista americano a cui si devono le prime riflessioni sull’economia-mondo contemporanea, ben diversa dagli imperi-mondo del passato e senza più un’unica forza egemonica.
Siamo giunti dunque a un punto fondamentale per capire perché la letteratura e in genere l’identità europea sono in crisi: l’eurocentrismo. Per troppo tempo l’Europa si è sentita superiore alle altre civiltà, si è considerata il centro del mondo, con un’aggressività che ha trovato nell’esperienza colonialista il suo tragico punto culminante. Esiste comunque, paradossalmente, un eurocentrismo dentro l’Europa: vi ha dedicato un libro uno studioso italiano attivo in Inghilterra (quindi favorito da un’ottica “straniante”), Roberto Dainotto[12], che ha individuato una visione “orientalista” che divide l’Europa in un Nord libero, dinamico, moderno, fatto di iniziativa e cultura, e un Sud arretrato, vicino allo stato naturale, sottomesso al dispotismo, fondamentalmente Orientale. Snodo decisivo sarebbe il «determinismo climatologico» di Montesquieu: l’idea che sia il clima a determinare le differenze fra Nord e Sud, il che porta a vedere nella Francia il centro del buon gusto, sostenuto da una lingua perfetta, razionale e moderna; interessante leggere in questa chiave le pagine che Montesquieu dedica al suo viaggio a Roma e a Napoli (dove assiste anche al “miracolo” di San Gennaro): lo stato barbarico in cui trova la città eterna è l’effetto di un clima insopportabile. Dainotto recupera così visioni diverse della storia europea, più relativiste e storiciste (sulla linea di Vico e Herder), agli inizi del comparatismo, focalizzandosi su figure meno battute come Juan Andrés, un gesuita spagnolo attivo in Italia che scrive una storia del progresso della letteratura (intesa in senso amplissimo, che comprende la matematica e varie altre scienze) di tutti i tempi, dando spazio ai movimenti dall’Oriente all’Egitto, dalla Sicilia e dalla Spagna al Nord, fino all’America, con particolare riguardo alla presenza araba. O come Michele Amari: un orientalista del Sud che rivaluta la rivoluzione siciliana in opposizione a quella francese (i Vespri), e propone, sulla scia di Aristotele e di Muquaddimah (1377) di Ibn Khaldun, una nuova climatologia che vede nel Mediterraneo l’equilibrio fra natura e civiltà, fra Nord e Sud. I cinque secoli di presenza islamica in Sicilia risultano così un elemento fondante dell’Europa, che per Amari era soprattutto l’Europa sognata da Mazzini.
Per avere senso oggi l’Europa deve essere dunque sempre più plurale, policentrica e politeistica. Quest’ultimo termine può suonare provocatorio, ma rievoca innanzitutto l’apertura tollerante di quel modello religioso, che di per sé non è né superiore né inferiore al monoteismo, come argomenta l’antropologo Marc Augé in Genio del paganesimo[13]; è lo stesso termine usato da Franco Moretti nel capitolo sulla Letteratura europea all’interno della Storia d’Europa pubblicata da Einaudi[14], per rafforzare la propria visione di un’Europa aperta, con una storia fatta più di fratture che di continuità (una lettura invece tutta giocata su unità e continuità viene da Guido Paduano, anche se non è priva di elementi conflittuali ed edipici[15]). Uso il termine politeistico soprattutto in contrapposizione a quella visione monolitica e cristiana dell’Europa che fu sostenuta in epoca Romantica soprattutto da Novalis, e poi in chiave apertamente reazionaria da Drieu de la Rochelle, e che è riemersa con vigore nella polemica sulla necessità di richiamare le radici cristiane nel preambolo della Costituzione europea (richiamo poi non inserito). In realtà la diffusissima metafora delle radici (classiche, cristiane o anche illuministiche) è ingannevole e pericolosa, basata come è sull’autorità e sulla verticalità, e su un determinismo biologico. Ce lo ha spiegato molto bene un antropologo-latinista, Maurizio Bettini, nel suo pamphlet Contro le radici, in cui privilegia metafore orizzontali come il fiume e gli affluenti[16]: l’identità è una possibilità di vita da affiancare e integrare con mille altre parallele. Questo vale particolarmente per l’identità europea, che si affianca a quelle regionali e nazionali, o a un senso più ampio di cosmopolitismo. Non è infatti un’essenza, un’entità definibile in maniera rigida, ma un processo performativo, per prendere a prestito un concetto nato nell’ambito del teatro e delle arti visive, ma che sta ricevendo di recente un’applicazione sempre più ad ampio raggio, incluso il campo dell’identità sessuale (la queer theory). Pensare l’identità in termini performativi significa pensarla infatti come un ruolo che si gioca in parallelo ad altri ruoli. È un insieme complesso fatto di confini, di margini e di egemonie sempre mutevoli e provvisorie: ce lo attestano il rapporto dell’Europa con la Russia, con la Turchia, o i complessi rapporti fra Europa occidentale e orientale. Secondo Dipesh Chakrabarty, bisogna «provincializzare» l’Europa[17]: tradurre le sue categorie di pensiero illuministico, ancora molto utili per una critica sociale della giustizia e dell’ineguaglianza, adattandole a un mondo globalizzato e diversamente configurato, e ripensandole dai suoi stessi margini.
Per dare senso all’Europa bisogna dunque valorizzarne le diversità. Lo si può notare a un primo livello più immediato: la lingua. È stato detto più volte, paradossalmente, che la lingua comune dell’Europa è la traduzione, pur nell’inevitabile egemonia dell’inglese globalizzato e ibridato. Anche questo tratto, che ha i suoi aspetti problematici (basta pensare alla macchinosità dei documenti ufficiali) può trasformarsi in un potenziale fortemente positivo, soprattutto perché la traduzione è la forma primaria di mediazione culturale: una pratica comparatistica che è interessante studiare in quanto tale. Secondo Pascale Casanova i traduttori sono «artigiani dell’universale»[18], perché tendono a unificare la letteratura, spesso smussando le idiosincrasie di un testo per farlo giungere a un pubblico più largo. E non c’è dubbio che la traduzione sia un elemento fondamentale in quella competizione per ottenere prestigio e legittimazione internazionale che costituisce la Repubblica mondiale delle lettere. Personalmente però vorrei andare oltre questa impostazione sociologica, e sottolineare un punto importante per la visione antigerarchica che stiamo delineando. Come hanno sostenuto la teoria della manipolazione e i lavori di Lawrence Venuti[19], una delle gerarchie da smontare è quella fra testo originale e testo tradotto: non bisogna considerare la traduzione una perdita, un’approssimazione, una degradazione, un elemento marginale; al contrario, come gli adattamenti, le traduzioni (soprattutto se opera di artisti) possono arricchire a loro volta l’originale, e in ogni caso gli danno vitalità, lo ibridano, lo rendono plurale, aperto, dinamico, sottoponendolo a una metamorfosi continua: la stessa che si produce attraverso le diverse letture di pubblici diversi, o anche di una stessa persona in diverse fasi della propria vita. Insomma non sono mai prodotti secondari, ma opere autonome e nello stesso tempo parti della vita di un testo nel tempo. Bisogna inoltre anche superare la dicotomia fra lettura in originale e lettura in traduzione: dato che forse solo chi è di lingua madre può cogliere tutte le infinite sfumature di un testo, lo studioso o il lettore colto che abbia una buona competenza della lingua originale può invece mescolare i due approcci, leggere e rileggere in originale e in traduzione, con un continuo cambiamento di punto di vista, con quell’ottica bifocale che è il senso stesso del comparare. È ovvio che se si lavora su questioni di stile, linguaggio, retorica, espressività, bisogna avere una buona conoscenza della lingua in cui è scritta l’opera di cui si parla; così come è altrettanto ovvio che ci siano autori più traducibili ed esportabili, ed autori profondamente idiosincratici; ed è anche giusto accettare la sfida che lancia Gayatri Spivak in un libro dal titolo brutto e banale, Morte di una disciplina (la comparatistica)[20], a imparare nuove lingue meno canoniche e a prendere esempio dagli studi di area e dalla loro concentrazione su universi subalterni. Ma bisogna smettere di considerare la traduzione necessariamente come un impoverimento: capolavori come Le mille e una notte o i romanzi di Tolstoj e Dostoevskij hanno forgiato e continuano a forgiare l’immaginario europeo e mondiale quasi esclusivamente in traduzione. E in fondo non è un caso se il grande classico che ha per primo riflettuto sulla letteratura mondiale, sulla Weltliteratur, Goethe, dichiarasse che preferiva rileggere in traduzione francese il suo capolavoro, la sua opera-mondo, il Faust, perché gli sembrava che acquistasse una nuova freschezza.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedere che senso ha riproporre la letteratura europea se si tratta di un concetto poco sentito dai suoi stessi scrittori, e che ha perso il suo mordente e il suo prestigio, incalzato come è dalla globalizzazione e dalle critiche all’Eurocentrismo. Anche in questo caso, per fortuna, le risposte sono molteplici. La prima e più immediata è l’interesse storico: se è vero che nel presente la letteratura europea non ha una sua fisionomia precisa (il saggio di Franco Moretti citato prima si chiudeva con una battuta cattiva ma efficace: un continente che si innamora di Milan Kundera può fare anche la fine di Atlantide), è anche innegabile che nel passato ha avuto invece un ruolo fondamentale: senza ombra di dubbio e senza cadere nel demone delle gerarchie, si può sostenere che la letteratura è una delle creazioni migliori che l’Europa ha prodotto in secoli di storia sanguinosa e violenta. Perciò è sempre affascinante ripercorrerla, soprattutto perché lo studio delle letterature nazionali, ancora troppo egemonico nelle scuole e nelle Università, risulta certo importante ma del tutto insufficiente e spesso inadeguato. Non si può capire il Romanticismo senza partire dalla Germania e dall’Inghilterra, non si può capire il romanzo senza uno sguardo d’insieme su tutta la scena europea, e via dicendo. Ma il senso della nostra proposta non è solo rivolto all’indietro, non è solo storico. Si lamenta da tempo che l’Europa è ormai solamente un’entità economica e finanziaria: una serie di regole sentite come più o meno necessarie o inevitabili. Rileggere il patrimonio letterario può servire a tentare di uscire da questa impasse, e a ripensare la nozione di Europa in tutta la sua polifonia e la sua problematicità. Sappiamo bene però che non si tratta mai di un’operazione neutra: come si dice oggi con termine tecnico un po’ pesante, ogni lettura è sempre «posizionata», viene cioè da una specifica angolazione geografica e culturale. Nel nostro caso rileggere la letteratura europea da una prospettiva che tenesse conto dei problemi e delle trasformazioni che l’epoca contemporanea ha prodotto e sta producendo, ha significato innanzitutto rinunciare a una visione unitaria, organicistica e storicistica, che vedesse lo sviluppo della letteratura europea come un disegno unico, con una sua logica e una sua teleologia. Abbiamo preferito invece una pluralità di approcci, nessuno dei quali può e vuole essere esaustivo, così come non può e non vuole essere esaustivo l’insieme dei cinque volumi. Si parte da una mappatura delle aree geografiche e dei principali movimenti, che coniugano così storia e poetica, per poi passare a una categoria chiave della storia letteraria, il genere: una serie di codificazioni sempre fluide e sempre pronte ad essere ridiscusse; altrettanto fluida è la nozione di tema al centro del terzo percorso: per evitare la frammentazione di mille motivi spesso troppo circoscritti e troppo referenziali, si è preferito puntare sulla nozione più ampia di campo tematico: insieme di temi paralleli che individuano alcune delle ossessioni chiave che hanno configurato e configurano l’immaginario europeo e non solo europeo. Il quarto percorso è particolarmente delicato: si è voluto mostrare come si possa raccontare la storia della letteratura europea attraverso la lettura di una serie di grandi testi, per non perdere il contatto diretto con le opere (per questo il volume contiene anche un tomo di antologia dei passi principali). Non si vuole però con questo definire un canone della letteratura europea, categoria, come si è detto, particolarmente spinosa e controversa: ogni lettore potrà trovare altri testi importanti da aggiungere, e agli stessi curatori il numero di opere si è pericolosamente accresciuto fra le mani durante la concezione del piano generale. Grandi testi significa opere che hanno circolato in quello spazio ellittico fra contesto nazionale e contesto europeo di cui si parlava prima, e che hanno così costruito un’idea di letteratura europea. Infine, da molto tempo ormai la teoria letteraria ha smesso di credere alla possibilità di definire in modo rigoroso e astratto la letteratura, che è diventata sempre più una nozione fluida, ibrida, dai confini aperti a mille contaminazioni possibili. L’ultimo volume vuole mostrare questo dialogo continuo fra la letteratura, le altre arti, e gli altri campi del sapere. Le frontiere fra le discipline sono necessarie, ma è altrettanto necessario saperle oltrepassare; già nella Grecia antica e in svariati momenti della storia moderna le divisioni fra letteratura e scienza o letteratura e storiografia erano poco nette, ma nella nostra epoca la situazione si è fatta ancora più complessa e quasi paradossale: da un lato la letteratura e gli studi umanistici hanno perso centralità, dall’altro però nozioni molto letterarie come racconto, retorica, empatia sono onnipresenti in tutti i campi del sapere, dalle neuroscienze alla psicanalisi, dalla legge all’economia. Anche in questo caso bisogna rinunciare a una visione gerarchica: non considerare mai la letteratura un linguaggio superiore, più ricco e prezioso, come spesso si fa. Per capire la letteratura europea oggi, bisogna conoscerne anche gli adattamenti teatrali, cinematografici, musicali, vederne le irradiazioni in generi più o meno nuovi come il fumetto, il video, il graphic novel, la fiction. Se l’Europa vuole proiettarsi nel mondo di oggi, deve saperne assecondare tutta la pluralità e la polifonia, rinunciando a chiudersi nella presunta purezza di una tradizione umanistica che o si rinnova, o è destinata a spegnersi del tutto.
Note
[1] U.Keller – I. Rakusa (eds.), Writing Europe. What is European about the Literatures of Europe? Essays from 33 European Countries, Budapest-New York, Central European University Press, 2004.
[2] E. Said, The World, the Text, the Critic, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1983.
[3] E. Said, Orientalism (1978), 25th Anniversary Edition, London, Penguin Classic, 2003; trad. it. Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
[4] E. Auerbach, Philologie der Weltliteratur/Filologia della letteratura mondiale (1952), nuova traduzione con testo a fronte di R. Engelmann, introduzione di E. Salvaneschi e S. Endrighi, Bologna, Book Editore, 2006.
[5] J.-L. Backès, La littérature européenne, Paris, Belin, 1996.
[6] Sugli antecedenti cfr. H-J. Weitz, «Weltliteratur» zuerst bei Wieland, in «Arcadia», 22, 1987, pp. 206-208; J. Pizer, Johann Wolfgang von Goethe: Origins and Relevance of Weltliteratur, in T. D’haen, D. Damrosch, D. Kadir (eds.), The Routledge Companion to World Literature, Abingdon-New York, Routledge, 2012; per la raccolta di tutti i passi in cui Goethe parla del concetto cfr. F. Strich, Goethe und die Weltliteratur, Bern, Francke, 1943; cfr. anche G. Benvenuti, R. Ceserani, La letteratura nell’età globale, Bologna, Il Mulino, 2012.
[7] D. Damrosch, What is World Literature ?, Princeton, Princeton University Press, 2003.
[8] P. Gilroy, Between Camps. Nations, Culture and the Allure of Race, London, Allen Lane, 2000.
[9] P. Casanova, La République mondiale des lettres (1999), Paris, Seuil, 2008.
[10] H. Buescu, Pascale Casanova and the “Republic of Letters”, in T. D’haen, D. Damrosch, D. Kadir (eds.), The Routledge Companion to World Literature, cit.; C. Prendergast (ed.), Debating World Literature, London-New York, Verso, 2004.
[11] F. Moretti, Conjectures on World Literature, «New Left Review» 1, 2000.
[12] R.M. Dainotto, Europe (in Theory), Durham and London, Duke University Press, 2007.
[13] M. Augé, Genie du paganisme, Paris, Gallimard, 1982; trad. it. Genio del paganesimo, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.
[14] F. Moretti, La letteratura europea, in P. Anderson, M. Aymard, Q. Bairoch, W. Barberis, C. Ginzburg (a cura di), Storia d’Europa, vol. I, Torino, Einaudi, 1993.
[15] G. Paduano, Lo studio della letteratura europea, «Asino d’oro» 4, 1993.
[16] M. Bettini, Contro le radici. Tradizioni, identità, memoria, Bologna, il Mulino, 2011.
[17] D. Chakrabarty, Provincilizing Europe. Postcolonial Thought and Historical Difference, Princeton-Oxford, Princeton University Press, 2000; trad. it. Provincializzare l’Europa, Roma, Meltemi, 2004.
[18] P. Casanova, La République mondiale des lettres, cit.
[19] T. Hermans (ed.), The Manipulation of Literature. Studies in Literary Translation, New York, St. Martin’s Press, 1985; L. Venuti, Translator’s Invisibility, London, Routledge, 1995; trad. it. L’invisibilità del traduttore. Una storia della traduzione, Roma, Armando, 1999.
[20] G. C. Spivak, Death of a Discipline, New York, Columbia University Press, 2003; trad. it. Morte di una disciplina, a cura di V. Fortunati e R. Monticelli, Roma, Meltemi, 2003.
LETTERATURA EUROPEA
PIANO DELL’OPERA
Direzione Piero Boitani e Massimo Fusillo
Coordinamento redazionale dei volumi I, II, III, V di Emilia Di Rocco e del volume IV di Caterina Salabé
Al lettore, Fabio Lazzari
Introduzione
Identità e letteratura europea, Piero Boitani
Europa/Mondo: raccontare la letteratura oggi, Massimo Fusillo
1. Aree, tempi, movimenti
La nascita delle letterature volgari nell’Europa occidentale, Bruno Luiselli
Italia: dall’antico al medievale, Michelangelo Picone
L’area tedesca, Chiara Staiti
Il Medioevo in Inghilterra, Piero Boitani
Aspetti della cultura celtica, Bruno Luiselli
Romània, Roberto Rea
Le letterature slave del Medioevo, Sante Graciotti
Scandinavia, Gianna Chiesa Isnardi
La letteratura greca dalle prime manifestazioni letterarie in volgare al 1713:
da Dighenìs a Erotòkritos, Caterina Carpinato
L’apporto del mondo islamico, Alberto Ventura
Letteratura turca di Turchia, Giampiero Bellingeri
La centralità della Francia nella letteratura medievale, Alberto Varvaro
L’Italia delle tre corone: Dante, Petrarca, Boccaccio, Michelangelo Picone
L’Umanesimo: Italia ed Europa, Francisco Rico e Guido Cappelli
Il Rinascimento in Europa, Alessandro Capata
Classicismi e invenzioni, Matteo Residori
Barocco, Marco Maggi
Illuminismo, Isabella Mattazzi
Romanticismo, Monika Schmitz-Emans
Dal Romanticismo al Decadentismo, Pierluigi Pellini
Modernismo, Giovanni Cianci
Postmodernità, postmodernismo, modernità liquida, Remo Ceserani
2. Generi letterari
L’epica, Sergio Zatti
L’eroicomico, Clotilde Bertoni
La novella, Maria Cristina Figorilli
La fiaba, Massimo Scotti
Il racconto, Clotilde Bertoni
Il romanzo cavalleresco, Maria Luisa Meneghetti
Nascita e metamorfosi del romanzo, Federico Bertoni
Il mondo nuovo del romanzo: 1900-25, Richard Ambrosini
La lirica d’amore, Mario Mancini
La poesia dell’estasi, Paolo Canettieri
Lirica antica e lirica moderna, Guido Mazzoni
Il teatro a cicli, Roberta Mullini
La tragedia, Guido Paduano
Il teatro: la commedia, Giulio Ferroni
La tragicommedia, Nadia Fusini
Dramma, Mirella Schino
Il teatro in musica, Fabio Vittorini
La letteratura pastorale, Franco Marenco
La satira, Attilio Brilli
La menippea, Stefano Manferlotti
Dialogo e trattato, Hilary Gatti
Memorialistica, Patrizia Oppici
Il saggio, Remo Ceserani
Utopia e fantascienza, Carlo Pagetti
La letteratura di viaggio, Franco Marenco e Luigi Marfè
La letteratura epistolare, Simonetta Faiola
L’autobiografia, Franco D’Intino
La letteratura mistica, Domenico Pezzini
La sceneggiatura, Vincenzo Maggiti
Fumetti e paraletteratura, Marco Arnaudo
3. Grandi temi
Principi, Piero Boitani
Il delitto, Clotilde Bertoni
Eros, Alessandro Serpieri
Il triangolo, Massimo Scotti
L’avventura, Richard Ambrosini
La guerra, Alberto Casadei
Il ritorno, Emilia Di Rocco
Riconoscimenti, Piero Boitani
Finzione e menzogna, Stefano Jossa
Carnevale, Stefano Manferlotti
Sogno, Marina Polacco
Lo spazio dell’altro mondo, Raffaella Bertazzoli
Follia e allucinazione, Lucia Claudia Fiorella
Paesaggio, Antonio Prete
L’Io, l’altro e lo straniero, Remo Ceserani
Doppio e androgino, Massimo Fusillo
Il corpo scritto, Daniele Giglioli
Oggetti e feticci, Massimo Scotti
Il denaro, Pierluigi Pellini
Gli animali, Francesco De Cristofaro
La tela di Aracne. Metamorfosi nella letteratura europea, Andrea Moudarres
Conclusioni, Annalisa Izzo
4. Capolavori
Genesi, Dario Caimani
Libro di Giobbe, Piero Boitani
Iliade – Omero, Piero Boitani
Odissea – Omero, Franco Ferrucci
Orestea – Eschilo, Stefan Tilg
Edipo, Guido Paduano
Medea – Euripide, Massimo Fusillo
Eneide – Virgilio, Alessandro Barchiesi
Le Metamorfosi – Ovidio, Alessandro Barchiesi
Satyricon – Petronio; Etiopiche – Eliodoro, Massimo Fusillo
I Vangeli, Piero Boitani
Confessioni – Agostino, Franca Ela Consolino
La Consolazione della Filosofia – Boezio, Peter Dronke
Canzone di Rolando, Roberto Rea
Tristano e Isotta, Adele Cipolla
Cantare del Cid, Rafael Ramos
Beowulf, Peter Dronke
Roman de la rose, Mario Mancini
Vulgata Arturiana, Silvia De Laude
Edda, Gianna Chiesa Isnardi
Commedia – Dante, Emilio Pasquini
Canzoniere – Petrarca, Luca Marcozzi
Decameron – Boccaccio, Michelangelo Picone
Racconti di Canterbury – Chaucer, Jill Mann
Orlando furioso – Ariosto, Giuseppe Sangirardi
Il Principe – Machiavelli, Franco Ferrucci
La Celestina, Norbert Von Prellwitz
Gerusalemme liberata – Tasso, Mario Pozzi
Lazarillo de Tormes, Francisco Rico
Gargantua e Pantagruel – Rabelais, Valerio Cordiner
I Lusiadi – Camões, Ettore Finazzi-Agrò
Saggi – Montaigne, Giovanni Bottiroli
Il Cid – Corneille, Anna Jeronimidis
Tartufo – Molière, Francesco Fiorentino
Paradiso perduto – Milton; Il Messia – Klopstock, Emilia Di Rocco
Fedra – Racine, Guido Paduano
Amleto – Shakespeare, Nadia Fusini
Don Chisciotte – Cervantes, Francisco Rico
Fuente Ovejuna – Lope de Vega, Maria Grazia Profeti
La vita è sogno – Calderón de la Barca, Maria Grazia Profeti
Robinson Crusoe – Defoe, Paola Colaiacomo
Pamela – Richardson, Simonetta Faiola
Tristram Shandy – Sterne, Riccardo Capoferro
Nathan il Saggio – Lessing, Francesca Tucci
Le relazioni pericolose – Laclos, Clotilde Bertoni
Ballate liriche – Coleridge e Wordsworth, Elena Spandri
Don Giovanni – Tirso de Molina, Molière, Mozart, Da Ponte, Guido Paduano
Orgoglio e pregiudizio – Austen, Rosa Maria Colombo
Pentesilea – Kleist, Massimo Fusillo
Faust – Goethe, Luca Zenobi
Confessioni – Rousseau, Barbara Carnevali
Don Carlos – Schiller, Luca Zenobi
Le liriche – Hölderlin, Luigi Reitani
Frankenstein – Shelley; Dr Jekyll e Mr Hyde – Stevenson, Elena Spandri
Ivanhoe – Scott, Enrica Villari
Canti – Leopardi, Antonio Prete
I promessi sposi – Manzoni, Francesco de Cristofaro
Il rosso e il nero – Stendhal, Gianfranco Rubino
Eugenio Onegin – Puškin, Maria Candida Ghidini
I Fiori del male – Baudelaire, Antonio Prete
Illusioni perdute – Balzac, Francesco Fiorentino
Le anime morte – Gogol’, Rita Giuliani
Tempi difficili – Dickens, Guido Bulla
Madame Bovary – Flaubert, Sandra Teroni
I Miserabili – Hugo, Clotilde Bertoni
Guerra e pace – Tolstoj, Maria Candida Ghiaini
Middlemarch – Eliot, Guido Bulla
Una stagione all’inferno – Rimbaud, Massimo Scotti
L’assommoir – Zola, Pierluigi Pellini
Woyzeck – Büchner, Luca Zenobi
I Fratelli Karamazov – Dostoevskij, Rita Giuliani
Spettri – Ibsen, Franco Perrelli
Le avventure di Pinocchio – Collodi, Massimo Scotti
A ritroso – Huysmans; Il piacere – D’Annunzio; Il ritratto di Dorian Gray –
Wilde, Maria Teresa Giaveri
Un tiro di dadi – Mallarmé, Maria Teresa Giaveri
Un sogno – Strindberg, Franco Perrelli
Cuore di tenebra – Conrad, Giuseppe Sertoli
Ferdydurke – Gombrowicz, Luigi Marinelli
Alla ricerca del tempo perduto – Proust, Massimo Scotti
Il cimitero marino – Valéry, Maria Teresa Giaveri
Sei personaggi in cerca d’autore – Pirandello, Luigi Sedita
Ulisse – Joyce, Carla Marengo Vaglio
La terra desolata, Quattro quartetti – Eliot, Franco Marenco
La coscienza di Zeno – Svevo, Arrigo Stara
Elegie Duinesi, Sonetti a Orfeo – Rilke, Piero Salabè
Il processo – Kafka, Matteo Colombi
La montagna incantata – Mann, Paolo Chiarini
Al faro – Woolf, Nadia Fusini
Leda e il cigno, Verso Bisanzio -Yeats, Piero Boitani
Poesie – Kavafis, Caterina Carpinato
Poesie – Lorca, Norbert Von Prellwitz
Auto da fé – Canetti, Attilio Scuderi
Viaggio al termine della notte – Céline, Sandra Teroni
Il teatro e il suo doppio – Artaud, Franco Ruffini
La Cognizione del dolore e Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana –
Gadda, Federico Bertoni
Ossi di seppia, Le occasioni – Montale, Gianluigi Simonetti
L’uomo senza qualità – Musil, Giovanna Cermelli
La peste – Camus, Gianfranco Rubino
Se questo e un uomo – Levi, Alberto Cavaglion
1984 – Orwell, Guido Bulla
Poesie – Pessoa, Ettore Finazzi-Agrò
Aspettando Godot – Beckett, Nadia Fusini
Madre Coraggio e i suoi figli – Brecht, Maurizio Pirro
Papavero e memoria – Celan, Anna Castelli
Il maestro e Margherita – Bulgàkov, Rita Giuliani
Estinzione. Uno sfacelo – Bernhard, Luigi Reitani
Le citta invisibili – Calvino; La vita istruzioni per l’uso – Perec, Giulio Iacoli
Cecità – Saramago, Giulia Lanciani
5. LETTERATURA, ARTI, SCIENZE
Letteratura e arti visive, Michele Cometa
Letteratura e musica, Roberto Russi
Letteratura nelle pratiche del teatro, Ferdinando Taviani
Letteratura e moda. Scrivere (e leggere) attraverso i vestiti, Paola Colaiacomo
Letteratura e pubblicità, Francesco Ghelli
Letteratura e fotografia, Carlo Mazza Galanti
Letteratura e cinema, Antonio Costa
Letteratura e televisione, Giovanni Marrone
Letteratura e religioni, Domenico Pezzini
Letteratura e filosofia: alle origini della letteratura europea, Daniele Guastini
Letteratura e scienza, Monika Schmitz-Emans
Letteratura e legge, Emilia, Rocco
Letteratura e storiografia, Remo Ceserani
Letteratura e geografia, Giulio Iacoli
Letteratura e antropologia, Amalia Dragani
Letteratura ed economia, Pierpaolo Antonello
Letteratura e scienze sociali, Attilio Scuderi
Letteratura ed ecologia, Niccolò Scaffai
Letteratura e psicanalisi, Giovanni Bottiroli
Approccio a una letteratura europea delle differenze, Francesco Cattani
Letteratura, media e identità europee, Alberto Abruzzese
[Immagine: Vincenzo Coronelli, Mappa dell’Europa 1690 (gm)].
“ 7 maggio 1984 – Non so se, come scrive Citati, Perec sia « il più grande scrittore di questo secolo », etc. Quasi sicuramente tuttavia è l’ultimo. Con lui, già negli anni Sessanta a-chiare-lettere finiscono i Roquentin, i Mersault e tutti gli altri stranieri possibili. Finisce la letteratura che ha trovato nell’estraneità la sua divisa morale e la sua ragione d’essere come arte. È già da un po’, dunque, che è venuto il tempo di scrivere un libro che spieghi che cosa era la letteratura. Quindi, probabilmente, che cosa era l’Europa. “.
Direi che il saggio del prof. Fusillo, esaustivo ed al tempo stesso sintetico, risponde in pieno alle aspettative di chi si aspetta da queste faccende un uso anche strumentale, per cui ringrazio davvero per averlo postato.