cropped-Renzi-scuola-siracusa-640.jpgdi Mauro Piras

Sarà ben difficile, il futuro prossimo della scuola. La riforma appena votata ha scavato profonde divisioni e generato grandi incertezze. Anche questa, come le altre riforme qualificanti di questo governo, è stata votata con una prova di forza, con la fiducia. All’inizio, nonostante i contrasti, non sembrava che dovesse finire così. Durante la discussione alla Camera, le contrapposizioni non hanno attraversato il Pd secondo la faglia ormai scontata “maggioranza” contro “minoranza dem”. Molte osservazioni critiche sono state recepite, il testo è stato migliorato. L’opposizione frontale, senza mediazioni, proveniva piuttosto dall’esterno: da una parte consistente del corpo docente, dai sindacati, dai movimenti auto-organizzati ecc. Ma, al di là dei numeri di cui dispone la maggioranza alla Camera, la discussione al suo interno non procedeva secondo il solito gioco delle parti. Solo verso la fine Fassina, Civati e D’Attorre hanno iniziato a spostare la discussione in tal senso, cavalcando lo sciopero del 5 maggio, e improvvisandosi in un giorno esperti di scuola.

Al Senato, invece, la minoranza dem ha deciso di regolare i suoi conti con il governo, dopo le sconfitte sulla legge elettorale e sulla riforma costituzionale. E così il dibattito ha cambiato natura. Dall’oggi al domani, dentro la maggioranza stessa, non si è trattato più di migliorare il testo e di recepire delle critiche dialogando con gli oppositori, ma di abbandonare totalmente la riforma, richiedendo però di fare tutte le assunzioni, anzi di più. Il governo ha presentato ancora degli emendamenti, confluiti nel maxiemendamento approvato con la fiducia giovedì scorso; ma le richieste della minoranza si sono schiacciate sull’opposizione più netta. E così si è arrivati alla prova di forza.

Questa approvazione non fa bene alla scuola, né alla riforma. Il clima ormai è avvelenato. Inoltre, i cambiamenti introdotti dal maxiemendamento hanno reso il tutto più complicato da gestire, più esposto a controversie ed eventuali ricorsi. Le responsabilità del governo in questa storia sono chiare, sono state gridate ampiamente nelle piazze, nei media, in qualsiasi discussione pubblica contro la riforma: l’improvvisazione, i tempi stretti, la mancanza di un vero confronto con il mondo della scuola, il rifiuto del dialogo con i sindacati, gli appelli a un’opinione pubblica “altra” usata a volte come clava contro i docenti, e, alla fine, il voto di fiducia. Gravissimo errore politico, quest’ultimo, perché lascia aperto un conflitto senza fine, toglie legittimità politica alla riforma, avvelena i rapporti nelle scuole.

È venuto il momento, però, di ragionare anche sulle responsabilità delle opposizioni.

La prima è di avere spostato troppo in alto il livello dello scontro. Certo, nella politica democratica, se si vuole contrastare un disegno di legge, è normale alzare i toni, per mobilitare le forze. Ma è irresponsabile dipingere ogni tentativo di riforma come anticostituzionale. Soprattutto in questo caso. La libertà di insegnamento, sancita dalla Costituzione, non viene violata in nessun modo, dal momento che nessuno può imporre arbitrariamente ai docenti di insegnare questa o quella cosa. Del resto, questa stessa libertà ha dei limiti ben chiari, nel caso della scuola pubblica, che si trovano nelle indicazioni nazionali (cioè i programmi) e negli obbiettivi di apprendimento obbligatori per tutti, e soprattutto nel successo formativo degli studenti. Se si intende per libertà di insegnamento che nessuno può mai controllare e valutare il lavoro dei docenti, allora siamo completamente fuori strada. Ma non è questo che intende chi si oppone alla riforma. La libertà di insegnamento sarebbe invece minacciata dal potere dato ai dirigenti scolastici di attribuire gli incarichi triennali e di valutare i docenti per l’attribuzione del bonus. Ora, spostare la critica a questo livello significa innalzare ingiustificatamente il livello dello scontro. Si può contestare il ruolo dei presidi nel DdL, si possono contestare i modelli di valutazione proposti, ma affermare che sono anticostituzionali serve solo a trasformare la lotta contro la riforma in una crociata per difendere ciò che è più sacro.

Sempre in questo senso, è eccessivo parlare di “morte della scuola pubblica” (o meglio statale). La scuola pubblica non muore perché si concede qualche sgravio fiscale a chi la finanzia o a chi manda i suoi figli nelle paritarie, data la limitata entità di questi interventi. La scuola pubblica muore se non si affrontano i suoi problemi. Certo, il livello degli investimenti pubblici è uno di questi. Ma se si decide di investire una quantità ingente di risorse pubbliche per cercare di assorbire il precariato, è una esagerazione destinata solo ad accentuare lo scontro dire che la scuola pubblica muore con questa riforma. Né una simile affermazione è giustificata dal rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro, già prevista dagli ordinamenti. Pensare che nella secondaria di secondo grado gli unici modelli di riferimento siano il liceo e l’apprendimento in aula, escludendo il rapporto con il mondo del lavoro, è una vecchia chiusura umanistica, tutta italiana. Non ci sono solo i licei, e la scuola non deve formare solo la persona e il cittadino consapevole. Deve anche assumersi la responsabilità di integrare meglio formazione e lavoro. A meno di sottrarsi al dovere di garantire migliori opportunità per tutti, che non è un imperativo di mercato, ma democratico.

Ancora. Ha contribuito solo a esasperare i toni denunciare la riforma come un progetto meritocratico e neoliberista teso a trasformare la scuola in un’azienda. Intanto, se il progetto fosse stato davvero meritocratico e aziendalista, non avrebbe previsto l’assunzione dei precari. Si sarebbe limitato a promuovere concorsi, molto selettivi, e con numeri più ristretti. Per fare entrare nella scuola solo chi serve, e con competenze verificate. Con buona pace dei precari e dei sindacati. Tra parentesi, la scuola italiana avrebbe bisogno di una cura di questo genere, lo ha mostrato bene Andrea Gavosto, in più occasioni. La scelta per l’assunzione dei precari va in direzione del tutto opposta. Ma, soprattutto, trasformare la critica legittima a una riforma che rafforza i poteri dei dirigenti scolastici in modo a volte improvvisato, in una crociata contro il neoliberismo che sta penetrando ogni aspetto della vita sociale, in un’opera di critica dell’ideologia per cui ogni riforma cade inevitabilmente sotto il sospetto di rafforzare i rapporti di dominio socio-economico: bene, questo tipo di operazione ha reso impossibile il confronto. Chi propone dei miglioramenti viene rimandato al sistema sociale. Ci siamo tutti dentro, è capitalistico, si fonda sul dominio, quindi cosa vuoi migliorare. Infine, questo tipo di critica ha cancellato dalla discussione il problema: la questione del merito va posta. È vero che il merito non è un principio di giustizia difendibile in generale. Ma è anche vero che è un criterio pertinente quando si tratta di selezionare persone che devono garantire un servizio, tanto più quando questo servizio è un compito così delicato come l’educazione. I docenti devono essere all’altezza di questo compito, e chiedere che rispondano individualmente di questo a qualcuno non vuol dire negare la collegialità del lavoro docente (del resto oggi molto malridotta, se guardiamo la realtà), né adottare un punto di vista “aziendalista”. Vuol dire solo chiedere che ognuno si assuma le sue responsabilità, con il suo nome e cognome. La responsabilità si imputa individualmente.

È stato quindi un grave errore, a causa di tutti questi atteggiamenti, dipingere i dirigenti scolastici come dei potenziali tiranni fuori controllo. La naturale e radicata diffidenza dei docenti nei loro confronti è stata esasperata, e d’ora in poi i rapporti tra le due parti saranno molto difficili. Ovviamente, la responsabilità è anche del governo, per le ragioni ricordate sopra. Ma una volta detto ciò, tutti devono assumersi le proprie responsabilità. Il livello inaudito di scontro generato dalle opposizioni è anch’esso una parte del problema. E non si può giustificare con motivazioni politiche, perché la posta in gioco non è così grave come viene dipinta. Soprattutto, è inaccettabile, da parte di chi fa appello al senso critico e alla libertà di insegnamento, l’atteggiamento di ostracismo, di vero e proprio ostilità e violenza verbale, spinta fino a deteriorare i rapporti di lavoro e personali, nei confronti di chi ha espresso opinioni a favore della riforma. Non è il mio caso, riconosco a tutti i miei amici e colleghi un notevole fair play, ma purtroppo mi giungono notizie, da molte parti, di situazioni ben diverse.

Bene, è arrivato il momento di fermare il gioco. Se vogliamo davvero salvare la scuola italiana, dobbiamo fare tutti un passo indietro. I sindacati e i docenti ostili alla riforma intraprenderanno delle azioni per opporsi ancora, è naturale e legittimo. Ma che evitino di trasformare queste iniziative in una guerra interna alla scuola, contro i dirigenti e contro gli altri colleghi. È ovvio che questo vale, reciprocamente, per questi ultimi. Ma da questo lato, la responsabilità più grande è dei dirigenti scolastici e dell’amministrazione, centrale e periferica. Si tratta di applicare la riforma gradualmente, senza forzature, cercando di “auscultare” le reazioni e le esigenze del corpo docente. Il governo ormai ha fatto il passo decisivo, ma può ancora fare molto se si impegna a promuovere questo atteggiamento. Del resto, le ultime modifiche inserite nel maxiemendamento, e quindi approvate al Senato e destinate a essere votate tali e quali alla Camera, permettono di aprire questo “terreno intermedio”, di dialogo e di prova.

L’assunzione dei precari, infatti, è stata scaglionata con una procedura molto macchinosa, che permette però di assumere il primo contingente con le regole attualmente in vigore, concedendo loro così la titolarità di sede, e non sugli ambiti territoriali. Questi saranno operativi solo dal 2016-17, quindi c’è tempo per definirli meglio. Allo stesso modo, i dirigenti scolastici potranno proporre gli incarichi ai docenti degli ambiti territoriali solo dal 2016-17. Gli incarichi triennali stessi sono stati resi meno precari, dal momento che il rinnovo, vincolato al Pof, è stato reso quasi automatico. Dal Comitato di valutazione sono stati esclusi i genitori e gli studenti quando esso deve valutare i docenti in prova. E così via. Le modifiche hanno prodotto forse una riforma più confusa, perché frutto di un frettoloso sforzo di mediazione. Perciò anche più difficile da applicare. Ma certamente più ricca di contrappesi al temuto potere dei presidi. Partendo da questo, tutte le parti potrebbero lavorare per applicarla in modo condiviso. Collegiale, come si dice appunto.

Se invece prevale la logica della vittoria e della sconfitta, la dialettica amico-nemico che piace tanto agli italiani, perché serve a coprire la loro incapacità di pensare la cosa pubblica, allora sarà un disastro non solo per la riforma, ma per la scuola intera. E chi sceglierà questa via, che sia al governo o all’opposizione, dovrà renderne conto.

(Torino, 28 giugno 2015)

[Immagine: Matteo Renzi visita una scuola]

32 thoughts on “La Buona scuola. Una sconfitta per tutti

  1. Ancora un buon articolo su questo tema che anche a me sta tanto a cuore, che non risparmia critiche né al governo proponente alla riforma, né agli oppositori.

    Una curiosità, Mauro, tu dici:

    “Pensare che nella secondaria di secondo grado gli unici modelli di riferimento siano il liceo e l’apprendimento in aula, escludendo il rapporto con il mondo del lavoro, è una vecchia chiusura umanistica, tutta italiana. Non ci sono solo i licei, e la scuola non deve formare solo la persona e il cittadino consapevole.”

    secondo te, da dove nasce in certa sinistra questa concezione piramidale della cultura, che mette al primo posto un sapere umanistico teorico per formare un cittadino consapevole e in secondo piano i saperi più “pratici” e che soprattutto nega ogni valore formativo al mondo del lavoro?

    A me sembra che sia una specie di incrocio tra la concezione aristocratica gentiliana (che negava che a futuri operai specializzati, impiegati, artigiani o lavoratori manuali avesse senso dare spazio sufficiente a studi “disinteressati” per una formazione da cittadino libero e consapevole) e una visione “di sinistra” risalente a una certa tradizione comunista che afferma che nel mondo del lavoro ogni suo aspetto è inevitabilmente asservito alle logiche del mercato, al consumo immediato e all’alienazione e dominio dell’uomo sull’uomo, con un sistema economico e di produzione che impedisce ogni progetto positivo di formazione dell’uomo in quell’ambiente e perciò più i ragazzi stanno lontani dall’accedere a quel mondo lavorativo meglio è.

    È totalmente assente invece in queste due visioni viste prima una concezione del lavoro come attività altamente formativa in cui non si smette di imparare nuovi valori per essere un “cittadino consapevole” e dove soprattutto il lavoro è applicazione di questi valori in opere concrete allo scopo di cambiare il mondo e migliorarlo. Secondo te possono essere queste le origini di tale atteggiamento che anche a me pare essere inadatto al contesto attuale? Non pensi anche tu che il mondo del lavoro abbia in realtà molti aspetti da valorizzare per la formazione della persona come cittadino libero e consapevole in quanto tale formazione oltre che in momenti teorici di studio si realizza anche e necessariamente attraverso opere pratiche?

  2. E’ tutto detto nell’immagine:

    qui c’è la foto di una delle poche volte in cui Renzi ha visitato una scuola (aveva promesso che avrebbe dedicato alla scuola ogni mercoledì, tutte le settimane): una immagine rassicurante, di dialogo, vicinanza.

    E’ proprio questo quello che è successo? E’ proprio questo che rappresenta lo status quaestionis?

  3. Un articolo ben ponderato Mauro! Concordo sul fatto che, una volta divenuta legge, la riforma, debba arrestarsi l’opposizione. Altrimenti questa diverrebbe guerriglia insensata. Il maxiemendento ha corretto qualcosa, lasciando qualche minimo spazio per ulteriori limature. Insomma un certo punto di incontro perfettibile, grazie alle proteste e in alcun modo al governo Alfano-renzino, lo si e’ raggiunto. Partiamo da qui, rasserenandoci un pochino tutti…

  4. Nell’aver creato questa situazione è molto più grande la responsabilità di chi si è opposto alla riforma; per i modi in cui si è opposto e per i danni che ha prodotto e produrrà sul piano politico. C’è stata una mediazione parlamentare efficace che ha cambiato molte cose (forse perfino troppe) rispetto all’impianto iniziale. La fretta del governo è giustificata almeno in parte dall’urgenza della situazione politica e gli errori commessi non avrebbero dovuto pesare in questo modo: li ha ingigantiti e resi drammatici la deliberata radicalità della protesta, con – per esempio – il segretario del sindacato CGIL che ha suggerito di votare scheda bianca alle amministrative. L’opinione pubblica è estremamente “liquida” e, a torto o a ragione, vuole provvedimenti rapidi. Mettersi di traverso con tutti i mezzi rispetto a una riforma che aveva evidentemente molti più aspetti positivi che negativi è stato un gioco al massacro di cui pagheremo tutti le conseguenze. Anche chi, come me, ha continuato e continuerà a cercare di ragionare civilmente nella politica e nella scuola. La forza di queste ondate dell’opinione pubblica è enorme e la responsabilità di chi le scatena e le cavalca è determinante. potremmo arrivare alle prossime elezioni politiche con un quadro drammatico. Se vincerà un centrodestra anche civile, anche non targato Salvini, cercherà mettere in atto la strategia che Piras attribuisce a Gavosto, considerandola ragionevole (e io sono d’accordo). Sono d’accordo sul fatto che se ci fosse stato al governo un centrodestra anche civile non avrebbe assunto tutti i precari, avrebbe assunto il minimo possibile di insegnanti lasciando totalmente perdere i precari e i loro drammi e pensando alla tenuta del sistema scolastico. Io lavoro per evitare questo scenario, ma se domani si presenterà non scenderò in piazza per cercare di scongiurarlo a tutti i costi, lascerò che chi deve governare faccia delle scelte ponendo obiezioni di merito nelle sedi opportune, come avrebbe dovuto fare chi oggi ha gridato vergogna e ha evocato la catastrofe.

  5. “una visione “di sinistra” risalente a una certa tradizione comunista che afferma che nel mondo del lavoro ogni suo aspetto è inevitabilmente asservito alle logiche del mercato, al consumo immediato e all’alienazione e dominio dell’uomo sull’uomo, con un sistema economico e di produzione che impedisce ogni progetto positivo di formazione dell’uomo in quell’ambiente e perciò più i ragazzi stanno lontani dall’accedere a quel mondo lavorativo meglio è. ” (Michele Dr)

    Oh, sì, oltre a mangiare i bambini, furono i comunisti a educare i ragazzi a stare lontani dal mondo del lavoro e perciò s’è creata tanta disoccupazione giovanile, che scomparirà con la “buona scuola” renziana!

    “una concezione del lavoro come attività altamente formativa in cui non si smette di imparare nuovi valori per essere un “cittadino consapevole” ” (Michele Dr)

    Eh già, Arbeit macht frei…

  6. “lascerò che chi deve governare faccia delle scelte ponendo obiezioni di merito nelle sedi opportune”

    Quindi la possibilità dell’opposizione non esiste più.

    La lotta anche radicale non si deve più fare.

    A una legge sbagliata ci si deve rassegnare.

    Il manovratore non deve essere disturbato.

    L’opposizione deve fare solo ciò che vorrebbe chi governa.

    Il tramonto dell’Occidente?

  7. Si tratta della peggiore riforma della storia repubblicana. Sarebbe necessario fare un lungo discorso, ma mi limito a dire che con la “buona scuola” si creerà una conflittualità permanente tra il dirigente e i docenti, i quali saranno privati di qualsiasi potere decisionale e giudicati in maniera scriteriata, peraltro senza un adeguato riconoscimento economico. Mi auguro che in autunno alla lotta degli insegnanti e degli studenti della scuola pubblica si unisca anche il mondo dell’università che fino a questo momento è rimasto a guardare.

  8. La lotta radicale si fa quando il pericolo è veramente grande. La democrazia è un modo per stabilire chi governa.
    Questa legge è giusta nei suoi aspetti fondamentali e introduce degli elementi di responsabilità in un sistema scuola che finge di essere egualitario e invece è gravemente incapace di svolgere la sua funzione, salvo poche esemplari eccezioni che però non fanno sistema. Chi pensa che Renzi sia il nemico, continui. Io di nemici ne ho pochi e stanno collocati in posizioni davvero estreme. Contro chi ha in mente un’idea di società diversa da me, che vorrei un mondo meno competitivo e più solidale, farò opposizione in modo civile. E con questo chiudo.

  9. Il disegno di legge “La buona scuola” è stato scritto tenendo conto dei criteri dettati dal potere industriale e seguendo una visione aziendalistica dell’istituzione scolastica, a danno della scuola pubblica e a tutto vantaggio di quella privata. Renzi ha approvato la riforma nel pieno disprezzo delle regole della democrazia rappresentativa, senza confrontarsi con la categoria dei docenti e attaccando un giorno sì e l’altro pure le rappresentanza sindacali e la componente di sinistra del PD, che ha dimostrato poca forza e scarsa compattezza. L’ex sindaco di Firenze sta costruendo un regime in piena regola, sulla base di una visione autoritaria e verticistica del governo del paese. Per usare il termine che lo ha portato alla gloria della politica nazionale: VA ROTTAMATO!

  10. “Quindi la possibilità dell’opposizione non esiste più.
    La lotta anche radicale non si deve più fare.
    A una legge sbagliata ci si deve rassegnare.
    Il manovratore non deve essere disturbato.
    L’opposizione deve fare solo ciò che vorrebbe chi governa.
    Il tramonto dell’Occidente?”

    Si può fare opposizione, nelle sedi opportune, o scegliere altre vie, assumendosene la responsabilità. Cos’è la lotta radicale? Chi decide che una legge è sbagliata? Il manovratore può essere disturbato. L’opposizione può fare opposizione, nei modi opportuni, oppure scegliendo altre vie, assumendosene la responsabilità. Il pisolino dell’Occidente

  11. “L’opposizione può fare opposizione, nei modi opportuni, oppure scegliendo altre vie, assumendosene la responsabilità” ( FF vs PPP)

    … Renzi invece governa “nei modi opportuni”?

  12. 1) Ah, sarebbe ora di selezionare i docenti in base al merito? Sono anni che chi vuole fare questo mestiere deve passare per alcuni dei percorsi più impietosamente selettivi mai visti, dalle SSIS ai Tirocini. Il personale, motivato e (almeno secondo i criteri ministeriali) preparato c’è già. Piras non se n’era accorto?

    2) Ah, non esiste solo la formazione di tipo liceale, ma bisogna anche saper integrare il mondo della scuola e quello del lavoro? E allora gli istituti tecnici?

    3) Ah, la libertà d’insegnamento non è a rischio? Con progetti didattici e assunzioni che possono dipendere dall’arbitrio, i primi dell’imprenditoria locale, e le seconde dei presidi? Chi avrà il coraggio, in una città come Gubbio che campa sul cementificio, in una città come Assisi che campa sul turismo religioso, di presentare alla propria classe una lezione sul consumo del territorio o di organizzare un progetto didattico sulla Chiesa e le sue contraddizioni? Il mese scorso sono rimasto stravolto sentendo il preside della mia scuola fare una serie di affermazioni inverosimili sull’imminente islamizzazione della società italiana, causata dai numerosi sbarchi dei migranti. L’ho contrastato ribattendo tutte le sue affermazioni: se la mia assunzione fosse dipesa anche solo parzialmente da lui, avrei potuto permettermi di farlo?

    Piras, lei non ha la più pallida idea di quello che sta per succedere nella sola istituzione pubblica che ancora non sia colata totalmente a picco. Se ne accorgerà.

  13. “Si può fare opposizione, nelle sedi opportune”

    Sono sedi opportune le piazze, le strade, le scuole, le manifestazioni pubbliche, i social, i blog, i tribunali, le cabine elettorali…?

    E allora perché tanti strilli se si fa opposizione?

  14. Ringrazio Mauro Piras per tutti i suoi scritti che, da qualche mese ad oggi, hanno contribuito a rischiarare, con puntualità analitica e notevole senso critico, il bailamme mediatico che ha accompagnato il ddl buona scuola.

  15. Mi è sembrato, in queste settimane, che ho vissuto da insegnante timidamente favorevole alla riforma, che il limite più grave del “movimento” degli insegnanti contrari (e forse la ragione principale della loro, e, sono d’accordo, anche nostra, sconfitta) sia stato proprio il fatto che da esso non è emersa alcuna diagnosi di ciò che oggi nella scuola non funziona e di come si potrebbe farlo funzionare. La riforma di Renzi ha il merito di individuare un problema grave: quello del livello di preparazione e di efficacia degli insegnanti e di provare (per quanto imperfettamente) a porvi rimedio. Perché solo se la scuola pubblica ha insegnanti di buon livello, motivati e motivanti, può davvero contribuire a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico,
    sociale, culturale e di genere, che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e delle cittadine”*. Sennò chi ha i mezzi fa da sé, e gli altri continueranno a rimanere impigliati nei propri ostacoli.

    *Riprendo la ripresa dell’art. 3 della Costituzione presente nell’art. 1 comma 3 della LIP, che mi sono letto senza trovarci niente che mi sembra che possa davvero funzionare, a parte la riduzione a 22 del numero massimo di studenti per classe, che è evidentemente qualcosa che sarebbe molto utile, ma anche molto costoso, e comunque né necessario né sufficiente.

  16. “Ma è irresponsabile dipingere ogni tentativo di riforma come anticostituzionale. Soprattutto in questo caso. La libertà di insegnamento, sancita dalla Costituzione, non viene violata in nessun modo, dal momento che nessuno può imporre arbitrariamente ai docenti di insegnare questa o quella cosa”
    L’affermazione che il sistema di reclutamento e conferma sul posto di lavoro NON ABBIA A CHE VEDERE CON LA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO è semplicemente ridicola: proviamo ad applicarla ad altri campi. Per la magistratura per esempio la prima garanzia dell’autonomia è proprio sempre stata l’inamovibilità, come chiunque dovrebbe sapere. O pensiamo all’università: se fosse nel potere dei rettori scegliere i docenti e revocarne gli incarichi, questo aumenterebbe o ridurrebbe la libertà di docenza? Lì nessuno propone di attribuire questi poteri, al contrario i rettori sono eletti dai docenti.

    Che cosa vuol dire rafforzare il potere personale dei presidi (ogni riforma è sempre essenzialmente una ridistribuzione di discrezionalità)?
    Incoraggiare il servilismo, cioè l’atteggiamento di chi voglia compiacere il capo, dal quale dipende il suo benessere. E come necessari compagni: l’adulazione, il conformismo, la disponibilità ad accedere a richieste anche se contrastano con principi o scrupoli. Nei confronti dei colleghi, la competizione meschina e invidiosa, che comporta il venir meno di ogni spirito di collaborazione e confronto.
    Questi sono prodotti PREVEDIBILISSIMI del mutamento organizzativo proposto. E sono meccanismi automatici che dispiegano i propri effetti nel tempo.

    Come sono prevedibilissimi anche i riflessi sul COSTUME PEDAGOGICO.
    Il senso dell’art. 33 Cost., quando lega la libertà di insegnamento del 1° comma con l’obbligo per lo Stato di istituire scuole di ogni ordine e grado nel 2° comma, è di attuare nella scuola pubblica, cioè di tutti, proprio il pluralismo pedagogico, cioè la formazione dei giovani basata sul confronto e scontro delle idee, e non sull’uniformità del conformismo. Si realizza la “libertà della scuola” diversa dalla “libertà delle scuole” sancita nel comma successivo (la libertà dei privati di istituire scuole di indirizzo).
    Ora, che cosa è la scuola del dirigente?

    Ci sarebbe molto da dire anche su altre due questioni:
    a) Piras non identifica affatto quali siano le carenze specifiche della scuola italiana, che andrebbero almeno calibrate per ordine e grado. Le carenze del primo ciclo probabilmente non sono le stesse che nella secondaria; i problemi degli istituti tecnici sono del tutto diversi da quelli dei licei…
    Se si trattasse di un problema organizzativo (scarso potere dei dirigenti) non si capisce perché con sistemi di direzione e di reclutamento identici vi siano enormi differenze territoriali negli esisti scolastici – e le regioni del Nord nei test comparativi di solito non stanno affatto al di sotto della media Ocse.
    La scorciatoia logica è quella delle “riformite”, malattia del pensiero su cui Crozier aveva scritto un saggio ancora attualissimo. Si inventa una causa generale: può essere la motivazione degli insegnanti? può essere la cattiva selezione? o la pessima preparazione? o forse il sessantotto? (tra l’altro, è passato da cinquant’anni) o il pregiudizio idealista? e si afferma di avere una soluzione in tasca, guarda caso assai semplice: diamo più potere al capo. Si va avanti così dalla riforma del pubblico impiego del 1993 e dall’autonomia del 1998…

    b) tutto il discorso sul “merito” richiede la risposta a due domande preliminari: a) che cosa si intende valutare per merito (cioè: quale merito?); b) per quale scopo ci si propone di premiarlo? Le risposte non mi sembrano affatto scontate.

  17. SEGNALAZIONE

    http://www.labottegadelbarbieri.org/interviste-impossibili-intervista-a-un-senatore-del-pd/#comment-15896

    Interviste impossibili – intervista a un senatore del PD
    1 luglio 2015 Francesco Masala

    1

    Intervistatore (di seguito I.) – Buonasera, vorremmo intervistarla sulla buonascuola di Renzi, e, come da accordi, in cambio dell’anonimato, per quanto possibile, dovrà essere sincero.

    Senatore (di seguito S.) – Buonasera, grazie di avermi invitato, e, per quanto possibile, sarò sincero.

    I. Come mai un intervento sulla scuola? Fra scandali all’Expo e Mafia capitale, per tacere del resto, non c’erano urgenze più pressanti?

    S. Ce l’ha chiesto l’Europa, no, scherzo. È che la scuola vuole essere un settore come gli altri, le norme sulle assunzioni per chi lavora 36 mesi consecutivi volevano che valessero anche per la scuola, e allora per scuola varrà la buonascuola, una specie di Jobs Act, tutti i lavoratori saranno uguali.

    [SEGUE]

  18. Cari amici,
    vi chiedo scusa ma in questi giorni ho delle difficoltà a inserire i commenti. Appena risolvo il problema mando le mie risposte.
    mp

  19. Caro Michele,
    una certa sopravvalutazione della cultura umanistica da parte della sinistra deriva effettivamente da una legittima preoccupazione nei confronti dell’economia di mercato, che tende a invadere tutti gli spazi della vita sociale. Ma porre dei limiti a questa tendenza anche in termini culturali non deve contrastare l’esigenza di garantire una formazione tecnico-professionale che permetta di accedere al mondo del lavoro.

    Caro Giorgio (1),
    le immagini di questo sito hanno una semantica raffinata. Ho detto più volte che non c’è stato dialogo tra il governo e i docenti, ma la responsabilità è anche dalla parte dei docenti. Questo è lo stato della questione.

    Caro Giorgio (Kurschinski),
    grazie, sono contento che ci troviamo d’accordo. Partiamo da qui per ricucire e lavorare insieme a ciò che c’è da fare.

  20. Caro Alessandro Battel,
    condivido tutto. Purtroppo però se cade questo esecutivo andrà al governo una destra guidata da Salvini: ne abbiamo segnali evidenti. In molta parte della sinistra il senso della realtà sembra essersi perso del tutto.

    Caro Giorgio (2),
    l’opposizione radicale è del tutto possibile e legittima. Il problema è che deve essere giustificata. In questo caso mi sembra che sia esagerata.

    Caro Giuseppe Muraca,
    questa è la tipica affermazione che impedisce ogni dialogo. Se è la legge peggiore della Repubblica, vuol dire che contro di essa bisogna fare una Crociata. Le Crociate servono solo ad aggravare lo scontro e a non risolvere nessun problema.

  21. “l’opposizione radicale è del tutto possibile e legittima. Il problema è che deve essere giustificata. In questo caso mi sembra che sia esagerata.”

    Questione di punti di vista.

    Osservo soltanto questo, che è molto più fondato del giudizio espresso nell’articolo:

    la maggioranza dei lavoratori della scuola trova questa legge ingiusta, lo provano tanti fatti: il numero dei partecipanti allo sciopero del 5 maggio, la riuscita del blocco degli scrutini, le centinaia di mozioni di collegi docenti contrari alla “riforma” di Renzi.

    L’opposizione pertanto ha il dovere di usare tutte le possibilità a sua disposizione: la disobbedienza civile nei casi in cui è possibile impedire l’applicazione della “riforma”, il referendum abrogativo e il ricorso ai tribunali, l’indicazione di un’alternativa.

    Inoltre una risposta politica: non votare il partito artefice di questa legge, che fra l’altro ha smentito quanto ha promesso si propri durante l’ultima campagna elettorale per le politiche.

  22. Correggo l’ultimo periodo:

    Inoltre una risposta politica: non votare il partito artefice di questa legge, che fra l’altro ha smentito quanto aveva promesso ai propri elettori durante l’ultima campagna elettorale per le politiche.

  23. (Chiedo scusa per questa serie di risposte in ritardo e frammentate, ma riesco a inserirle solo così).

    Caro Jacopo,
    1) le SSIS e i TFA sono stati solo relativamente selettivi e hanno avuto molti problemi. In particolare, i TFA si sono sempre svolti in un grande caos organizzativo e sono troppo cari per i corsisti. I PAS non mi sembrano molto selettivi. Bisogna mettere ordine in tutto questo.
    2) Per sostenere la formazione tecnico-professionale non basta preservare il sistema attuale così com’è, ancora troppo centrato sul primato della cultura liceale.
    3) Queste preoccupazioni mi sembrano esagerate; nel ddl ci sono tutti i contrappesi necessari.

  24. Caro Giorgio (3),
    il problema non sono le sedi, ma i modi. Ogni tanto bisognerebbe accettare di fare autocritica.

    Caro Marco,
    grazie, troppo gentile.

    Caro Angelo,
    concordo del tutto, il problema è quello. Quanto alla LIP, a me sembra un progetto passatista, perché rifiuta del tutto la scuola dell’autonomia; irrigidisce la tripartizione in scuola elementare, media e superiore (insistendo sull’uso di questa terminologia), in cui si trovano molti problemi; vuole il ritorno ai vecchi programmi nazionali; ecc.

    Caro Giorgio (4),
    certo, è una questione di punti di vista, cioè di prospettiva politica. Ognuno ha la sua, non mi pare un problema. E quindi ognuno intraprende le iniziative che ritiene legittime. Mi sembra un po’ eccessivo però scomodare la disobbedienza civile.

  25. Caro Benedetto De Gaspari,
    la magistratura non mi sembra un esempio pertinente, perché lì si tratta di preservare l’autonomia di un potere dello stato rispetto agli altri due, non la libertà di insegnamento. Nell’università, i presidi di facoltà (ora direttori di dipartimento) hanno non poco potere in materia di reclutamento, dal momento che sono le singole università e i singoli dipartimenti a decidere quali posti mettere a concorso o assegnare con chiamata diretta.
    Quanto alla scuola. In Francia, il preside valuta i docenti, anche ai fini dell’avanzamento di carriera. In Finlandia partecipa al reclutamento dei docenti. In Germania può dare istruzioni didattiche ai docenti e li valuta, anche ai fini dell’avanzamento di carriera. In Inghilterra recluta i docenti e li valuta, anche ai fini dell’avanzamento di carriera. Non mi sembra però che in questi paesi ci siano problemi con la libertà di insegnamento.
    Il servilismo, l’adulazione, il conformismo ecc. sono molto diffusi oggi nella scuola italiana, proprio perché la discrezionalità dei presidi si può esercitare solo “sottobanco” e personalisticamente, non secondo regole istituzionalizzate.
    La “scuola del dirigente” limiterebbe il pluralismo solo se esistesse, cioè se davvero nel DdL ci fosse una dirigente così potente da decidere i contenuti della didattica. Ma non c’è niente di tutto questo.
    E’ vero che ci sono problemi diversi per i diversi ordini e gradi di scuola. Ma, come ho scritto in altri interventi, la rigidità delle graduatorie è un problema che riguarda tutta la scuola italiana (anche i conservatori!) e provoca non poche difficoltà. Così come la questione della valutazione dei docenti riguarda tutti. Ciò non vuol dire che affrontare questi problemi risolva tutti i problemi. Vuol dire solo che bisogna affrontarli.
    Certo, la questione del merito è difficile da definire, ma se iniziamo a fare qualcosa ce ne occupiamo, altrimenti la lasciamo lì. E poi, quando noi valutiamo gli studenti, abbiamo dei criteri così saldi? L’ho già detto: se valutare i docenti è così difficile, allora valutare gli studenti è ancora più difficile, quindi propongo una moratoria sui voti fino a quando non si valutano i docenti.

  26. “Quanto alla scuola. In Francia, il preside valuta i docenti, anche ai fini dell’avanzamento di carriera. In Finlandia partecipa al reclutamento dei docenti. In Germania può dare istruzioni didattiche ai docenti e li valuta, anche ai fini dell’avanzamento di carriera. In Inghilterra recluta i docenti e li valuta, anche ai fini dell’avanzamento di carriera. Non mi sembra però che in questi paesi ci siano problemi con la libertà di insegnamento.”
    Non so affatto se sia vero: in ogni caso si tratta di cose DEL TUTTO DIVERSE. In Italia – e per Costituzione – e grazie a Dio – l’assunzione avviene per concorso. SE SEI CONTRARIO A QUESTO PRINCIPIO DILLO!
    E infatti neanche nella riforma il Dirigente “assume” il docente, né lo più licenziare. Però chissà perché gli si dà il potere di allontanarlo dalla sua sede. SE L’INSEGNANTE È INCAPACE DOVREBBE ESSERE ESCLUSO DALL’INSEGNAMENTO (come è possibile da sempre: è solo a causa della politica di spesa che sono scomparsi gli inidonei). MI SPIEGHI CHE VANTAGGIO SISTEMICO CI SAREBBE SE VA A FAR DANNI IN UN’ALTRA SCUOLA?

    “Il servilismo, l’adulazione, il conformismo ecc. sono molto diffusi oggi nella scuola italiana, proprio perché la discrezionalità dei presidi si può esercitare solo “sottobanco” e personalisticamente, non secondo regole istituzionalizzate”
    MA QUESTA RIFORMA AUMENTA O DIMINUISCE LE REGOLE ISTITUZIONALIZZATE? E’ FATTA PER AUMENTARE O PER RIDURRE LA DISCREZIONALITÀ DEI DS? “Discrezionalità” e “regole istituzionalizzate” sono l’opposto: LE REGOLE LIMITANO LA DISCREZIONALITÀ.
    Il problema è – appunto – non il preside buono o cattivo: sono le regole e i loro effetti!
    E’ perfettamente chiaro che:
    1) si preferiscono le persone che dicono sì a quelle che dicono no; quelle che ti danno ragione a quelle che ti danno torto; quelle che ti sono simpatiche a quelle che ti sono antipatiche;
    2) quindi se desidero rimanere in una scuola (perché c’è una buona utenza, perché è vicino a casa, perché mi trovo bene con qualche collega, ecc.) e la mia permanenza dipende dal DS mi conviene dire sì, dare ragione, essere “simpatico”. Le conseguenze sul COSTUME sono del tutto prevedibili.

    “La “scuola del dirigente” limiterebbe il pluralismo solo se esistesse, cioè se davvero nel DdL ci fosse una dirigente così potente da decidere i contenuti della didattica. Ma non c’è niente di tutto questo”
    E chi parla dei contenuti della didattica? Nel ddl non c’è niente a proposito, ma la libertà di insegnamento – avevi giustamente scritto – NON RIGUARDA I CONTENUTI DELLA DIDATTICA (se sono assunto per insegnare diritto non insegnerò mica francese!) ma la libertà di manifestare il proprio pensiero, quella professare tesi o teorie seguendo il metodo didattico che si ritenga più opportuno. Non senza limiti: il limite interno è naturalmente quello della libertà di opinione del discente; un altro limite è quello della necessaria collaborazione / coordinamento con i colleghi, da specificare COLLEGIALMENTE. Caro Mauro, perché non rispondi agli esempi di Jacopo? e ce ne saranno mille di casi analoghi.

    “E’ vero che ci sono problemi diversi per i diversi ordini e gradi di scuola. Ma, come ho scritto in altri interventi, la rigidità delle graduatorie è un problema che riguarda tutta la scuola italiana (anche i conservatori!) e provoca non poche difficoltà”
    Scusa, puoi spiegarmi che cosa vuol dire “rigidità delle graduatorie”? Se per l’assunzione o la scelta del posto o per ottenere un trasferimento ci sono regole, allora ci saranno graduatorie! Se i criteri sono sbagliati, si cambino! OPPURE SEI CONTRARIO ALLE REGOLE E ALLE GRADUATORIE?

    “Così come la questione della valutazione dei docenti riguarda tutti. Ciò non vuol dire che affrontare questi problemi risolva tutti i problemi. Vuol dire solo che bisogna affrontarli”
    Merito / valutazione: scusa ma secondo te questo testo li affronta? Il riferimento alla VALORIZZAZIONE dice: “Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti sulla base:
    a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica;
    b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica;
    c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale”
    Il punto c) evidentemente non fa riferimento all’insegnamento né alla sua qualità, ma ad attività diverse. Naturalmente ci sono già adesso e vengono retribuite col FIS
    Il punto a) è l’unico che parla di qualità dell’insegnamento ma non dice nulla; il “contributo al miglioramento dell’istituzione” è privo di contenuto definito: può significare qualunque cosa
    Il punto b) potrebbe significare qualcosa: almeno c’è dietro una teoria – non esplicitata – il value-added assessment. Purtroppo tale teoria dà luogo a comportamenti negativi: i miglioramenti dei miei allievi valutabili con test mi porteranno: a) a selezionare l’utenza per avere un buon clima di classe; b) al teach-to-test, che è sicuramente efficace; c) a richiedere, per la mia materia, un aumento del tempo di studio, che naturalmente causa una riduzione della performance nelle altre.
    IL PROBLEMA DELLA SCARSA CHIAREZZA DEGLI SCOPI però è quello più grave.
    Si può “valorizzare il merito” (cioè differenziare gli stipendi) per ottenere che cosa? Per giustizia distributiva? Per motivare gli insegnanti (ma solo di quelli che lo ottengono, gli altri al contrario possono esserne demotivati)? Per rafforzare il potere organizzativo di chi attribuisce il merito?
    In tutte le argomentazioni sul tema, mi sembra che quella più diffusa sia quella di Angelo: il problema degli insegnanti “motivati e motivanti”. Non credo affatto che le difficoltà della scuola siano la “motivazione”: è poco più che un modo di dire.
    Grazie per l’attenzione
    Ps: l’inamovibilità dei magistrati non riguarda la separazione dei poteri, ma l’indipendenza del singolo magistrato

  27. “Non credo affatto che le difficoltà della scuola siano la “motivazione”: è poco più che un modo di dire.”
    E quindi, invece, quali sono? E come le si può superare?

  28. propongo una moratoria sulle operazioni chirurgiche fino a quando non verranno operati tutti i chirurghi italiani. almeno una volta all’anno secondo me tutti i chirurghi andrebbero operati chirurgicamente. possibilmente da una commissione composta da un dirigente dell’ASL, un infermiere, un paziente, un collega chirurgo. non mi si dica che è una soluzione sbagliata al problema della sanità italiana: forse lo è, ma è evidente che se non cominciamo a fare qualcosa, non cambierà mai nulla.

  29. Piras, 3 luglio, 21:09: « Nell’università, i presidi di facoltà (ora direttori di dipartimento) hanno non poco potere in materia di reclutamento, dal momento che sono le singole università e i singoli dipartimenti a decidere quali posti mettere a concorso o assegnare con chiamata diretta.».
    Ma dove??!! Le ricordo che il consiglio di dipartimento – idem per quello di facoltà, quando esisteva – è un organo collegiale dove si vota a maggioranza e il voto del direttore vale esattamente come quello di qualsiasi altro. I direttori NON HANNO ALCUN POTERE!

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