a cura di Simone Carella, Paola Febbraro e Simona Barberini
[“Si può amare la poesia e nello stesso tempo odiarla fino al punto di impedire ai poeti di recitarla?”. Comincia con questa domanda Il romanzo di Castelporziano, pubblicato da Stampa Alternativa a cura di Simone Carella, Paola Febbraro e Simona Barberini. Al primo Festival internazionale dei poeti (Roma, Castelporziano, 28-30 giugno 1979) successe questo – senza servizi d’ordine, senza biglietti, senza sponsor, e con tanto pubblico, soprattutto di giovani, sopra e intorno a un grande palco di tubi e assi di cantiere. I confini fra poeti ufficiali e poeti dilettanti vennero ben presto contestati, dando luogo a un grande evento simbolico, a un paradigma della condizione contemporanea della poesia. Il romanzo di Castelporziano restituisce, come spiega Carella nell’introduzione, le voci del pubblico accorso a applaudire e contestare, a ascoltare e partecipare, com’era nello spirito di quegli anni. “Nella trascrizione siamo stati infedeli ai poeti ma generosi con la folla”, dice Carella, in modo da render conto di quella mescolanza di passioni contrastanti che resero irripetibili quelle giornate].
Ulisse
– Questa poesia è stata fatta da tutta la gente che passava di qua e diceva qualcosa…
“Hanno rubato la lancia ad Achille, è vero, è vero, è vero. Mia mamma ha una gamba grassa. Le pupille, è vero, è vero, hai una sigaretta? Hai cento lire, no grazie, cento lire no, le ho date alla donna dei gelati. Oggi mi hanno dato 500 lire che culo! che cazzo vuoi? perché invece di prendere non dài? Hai da accendere cretino? Toh mettile via, Ulisse, furore di popolo, cioè… Allora scriviamo, tu che ne sai? vai a zappare che ce n’è di terra abbandonata. È passato Asdrubale, e non ve ne siete accorti.
Uno della comune
– Ehi, vaffanculo, basta!
Ulisse
– Hai cento lire, avete del vino. Brava ci ha dato l’acqua minerale San Paolo. Basta con le foto, che cazzo vòi, aripigliate!… E una farfalla volava. Il carrettino è la sorella del carrettone. Hai delle cartine? no. Ma fumiamoci sopra, va’! M’hai pestato un piede. Che male!
Momento che apro il bigliettino un momento è la fine…
Quelli della comune
– Bravo Ulisse, bravo Ulisse, hai fatto un intervento…
Simone Carella
– Adesso vorrei chiamare Amelia Rosselli a leggere le sue poesie… per favore! per favore!… allora questa specie di atmosfera che si sta creando, che è un assalto al palcoscenico, secondo me è ingiustificata, soltanto dal fatto che abbiamo cominciato un po’ più tardi rispetto al previsto. Per questo non si è potuto iniziare con la serie dei poeti che erano venuti qua, cioè di quelli che stanno tra voi… momento! per cui è stato stabilito di dedicare tutto lo spazio del pomeriggio. Non è una cosa preordinata, cioè noi avevamo annunciato che durante i tre giorni della manifestazione, durante tutto il resto della giornata fino a una certa ora, cioè fino alla sera, fino alle nove di sera, i microfoni erano a disposizione di tutti quelli che stanno qua. Ora, se oggi abbiamo iniziato con qualche ora di ritardo… aspetta un attimo non sto dicendo ‘na poesia, hai capito? Allora, tutto non si esaurisce qui in questa serata. Da domani mattina fino a domani sera e dopodomani, il microfono e la piattaforma è a disposizione di tutti, perché questo è nelle nostre intenzioni. Inutile che stiamo qui a dare l’assalto. Questa ingordigia di prendere il microfono, ecco, e di parlare al microfono, mi sembra una stupidaggine. E siccome poi ci sono delle persone che sono state impegnate e delle persone per le quali tra l’altro… per cui siete venuti qua. Ecco, facciamo parlare queste persone. Questo non impedisce agli altri di poter… Appunto io ho chiamato Amelia Rosselli e mi trovo ancora una volta a dovermi litigare il microfono che mi sembra una cosa stupida… dài!… ecco!… si può stare seduti davanti… stai seduto per favore! state seduti! perché si copre la luce… Va bene. Si deve stare seduti anche sul palcoscenico, si deve stare seduti e si deve stare un po’ indietro! Possiamo sederci qua, possiamo sederci! Anche dietro è possibile stare seduti!
Un tale dalla folla
– Comincia a dare l’esempio!
Simone Carella
– Ecco, io mi siedo. Ecco, io mi sono seduto.
Amelia Rosselli
– Le pinze di domani, accendono ingorghi sordi le linfe del tuo crescere: non viandare; non trastullare le tue forze all’inferno di vento e grandine oggi obbliga tua maestà piegarsi! Se tu credi alla grammatica dei poveri, ascolta allora l’invidia nascente dei ricchi – ti farai presto la mano a nascere uno di loro.
Se nella notte sorgeva un dubbio su dell’essenza del mio cristianesimo, esso svaniva con la lacrima della canzonetta del bar vicino. Se dalla notte sorgeva il dubbio dello emisfero cangiante e sproporzionato, allora richiedevo aiuto. Se nell’inferno delle ore notturne richiamavo a me gli angioli e le protettrici che salpavano per sponde molto più dirette delle mie, se dalle lacrime che sgorgavano diramavo missili e pedate inconsce agli amici che mal tenevano le loro parti di soldati amorosi, se dalle finezze del mio spirito nascevano battaglie e contraddizioni – allora moriva in me la noia, scombinava l’allegria il mio malanno insoddisfatto; continuava l’aria fina e le canzoni attorno attorno svolgevano attività febbrili, cantonate disperse, ultime lacrime di cristo che non si muoveva per sì picciol cosa, piccola parte della notte nella mia prigionia.
Solo i fatti, reprimere i sentimenti poi ritrovi una “persona” che s’aggancia fortemente al pavimento, i bricconi le piccole vie pannellate, le testate anche i grandi riverberi della tua immaginazione. Piccoli neri su corona di fil di ferro fatti concordano, espongono, giustificando ed altri (che poi divennero te) quell’obliterare ogni passo della tua vita sentimentale. Furono una corona? La portasti espellendo fiori mescolati all’avena? Rimanendo un logico bastonarsi quel correre dei tempi fu come una grafia utile, desiderabile necessaria. Rivale al cuore alle passioni (molto usate e celebrate) desti filo da torcere a quel nesso giuridico che operava nella tua testa che forzutamente rubando al ventre (ombra delle tue pupille) un rafforzarsi della ragione, salvò quel che poté, nell’ombra ragionando d’amore mentre in via di trapasso celebravi la quinta edizione del tuo errore.
Ragazza Cioè
– Come fai a sentire così? come fai a sentire così le cose? a dirle così? Com’è possibile che si senta così, che uno possa sentire così una persona… una qualunque cosa, come si fa? cioè… io non riesco a vedere come si può classificare, in tanti modi…
Cavallo
– Luigi Fontanella.
Ragazza Cioè
– Sì ma cioè… questa unicamente scrive e non chiede la comunicazione l’espressione la comunicazione la parola la comunicazione di tutto.
Cavallo
– Fai venire un attimo Luigi Fontanella che legge le sue poesie, va bene? Dopo leggerà un altro…
Ragazza Cioè
– Io mi voglio solo esprimere, non voglio che si chiude…
Cavallo
– …dopo leggeranno delle poesie altre persone…
Ragazza Cioè
– …l’espressione mia e basta, capito?
Cavallo
– No. Ci sono moltissime persone che scrivono poesie, tutti, con tantissime poesie, ed è vero, con moltissime poesie, e tutti vogliono leggere va bene?… Però è una lotta disperata, strappare i microfoni… il microfono è il potere… è una lotta, è un po’ spaventoso, forse è giusto, è così, no? Lui è Luigi Fontanella.
Luigi Fontanella
– Vi leggerò solo tre lettere.
Forse lo stai aspettando anche tu se gli occhi non trovano sosta e t’avvolgi, t’avvolgi nella tua sciarpa firmata e tutto il resto preparato a dovere. Sei pronta alle strade che turbinano sessi felici di tutti i colori un ultimo tocco ecco quel tanto che casualizzi l’insieme così a lungo studiato.
“A un padrone novello”. Quanto vuoi per questo giorno-catena? Quanto piovere ancora di monete luccicanti luccicanti sul tuo naso lungo bislungo la tua bocca terrosa esosa e lo sguardo opaco opaco monodirezione coglione.
“Agli amici lontani”. A voi che chiedo solo amore ma già, quante volte il detto e non detto sfuma che bordeggia siamo ciechi a non vederci le esigenze impellenti che ci prendono alla gola ma di tanto parlare infine che importa chi li conosce filo nero attorcigliato sotto il telefono, danza di parole sotterfugi sorrisi di mezza bocca tanto per dire saremo tanti bicchieri sulla tavola da riempire tutti in una volta.
Cavallo
– Come si chiama?… Bruno Bossio.
Bruno Bossio
– I pensieri del poeta non valgono niente se non c’è la benevola comprensione degli ascoltatori. Vedo che avete molta pazienza. Forse è il bel tempo, la bella serata che vi porta a questo. Vi prego di ascoltarmi… ho cercato di dire… la poesia è stata scritta tre anni fa… ho cercato di ripassare tutti i valori, difatti la poesia è intitolata “Nuovi valori”.
Non più insetto maledetto che trasmette la malaria ma distinta farfallina che ronzando in tutte l’ore dà la spinta al primo amore. Quell’amor che bene o male più di ogni altra cosa vale. Quell’amor su cui fa leva la natura tutta intera…
Folla
– Bravo!
[Immagine:Castelporziano, 30 giugno 1979 (gm)]
“ 1 ottobre 1994 – All’8° chilometro di Castelporziano in circa mezz’ora ho contato 57 pizzetti (oltre a 14 cazzi, 72 tette, 23 copie di Repubblica, 8 cani, 1 fregna. Di colore rosso) “.
Io lo vissi come l’imbocco di VIA AMERICANIZZAZIONE. E voi?
***
CASTELPORZIANO DA LONTANO
[“La page ne va pas à la plage” Jacque Roubaud su “il manifesto” 1.7.1979]
C’è l’abisso – te lo dicevo, Concetta, anche per quel tuo cineforum –
fra culturale e sociale, paura di leggere, paura del pubblico
le poesie tradizionali più comunicabili di quelle moderne
(quando i pubblici erano più obbedienti e simili ai poeti).
In pubblico il testo cambia. Diventa un fischio, un borbottio.
Il contenuto (cibo sesso danaro) non è più così importante.
Per chi ce l’ha.
Ginsberg è la poesia recitata.
Organizza spettacoli
a cavalcioni della poesia.
È esaltante sia per chi legge
sia per chi ascolta: è americano.
Bisogna inchinarsi a chi ha l’arte di governare,
di consumare in modo così immediato
anche la poesia.
Sai, Ennio, è un poco stancante questa tua mania di demonizzare ogni, ogni, ogni cosa, che sia venuta, o venga dagli USA.
Anche sul sito di “Poliscritture” si ritrova, a volte, la stessa mania.
E se la “ragazza cioè” di Castelporziano, può apparire delirante, certi interventi, sul sito da te amministrato, fanno sì che qualche studioso – che so, di storia – e non sto parlando di me ché una storica non sono -, dopo un primo intervento, scompaia.
Un poco, poco, poco di “differenza” tra Ginsberg e gli USA in Vietnam, tanto per farne uno, di esempio.
Anche, magari, un poco di “differenza” tra il “Living” – Teatro -, e la via all’Americanizzazione…
Gettiamola tutta, la letteratura angloamericana, ché è tutta una via all’Americanizzazione…
Ginsberg un agente segreto del futuro Bush in Iraq, poco ci manca che diventi.
Senza miti, per favore, sarebbe meglio. Né di Castelporziano né di tale spiaggia e giorni come cavallo di Troia dell’Americanizzazione!!!, né dello scheletro oggi pubblicato da minima&moralia.
Per essere “reticamente” corretta e “reticamente” democratica dovrei dire e scrivere “per me una mania un poco fastidiosa”, dovrei aggiungere il “per me”, o nel “Rete Dem.” aggiungere sempre “io la penso così, non sono d’accordo con te, con lei, con voi, vorrei dissentire, ecco dissento ma è solo un “per me”…, e invece asserisco che “Via Americanizzazione”!!! per Ginsberg e alcuni altri di quel tempo, in spiaggia, e gli ultimi otto versi di “Castelporziano da lontano” sono ulteriore “miteologia”.
Il sesto e settimo verso di “Castelporziano da lontano” aprirebbero altro discorso.
DISCORSI DA VECCHI
@ Cascella
L’americanizzazione non è una mia mania personale, ma un fenomeno abbastanza studiato e storicizzato. E anche se non sei una storica, un’occhiata a qualche scritto sulla questione potresti darla. Ad esempio, http://www.treccani.it/enciclopedia/americanismo-e-antiamericanismo_%28Enciclopedia_Italiana%29/
Quanto a me: so distinguere tra Ginsberg e la politica degli Usa (dal Vietnam all’Irak), ho letto e amato in gioventù Vittorini, Pavese, i grandi narratori da Hemingway a Steinbek a Faulkner a Bellow. Potrei, dunque, se non rientrare nel ritratto descritto dall’articolo a cui ti ho appena rimandato almeno non starne del tutto all’esterno:
« Nella sinistra comunista, invece, al di là della distinzione di natura ideologica fra governo e popolo americani, continuò a sussistere la simpatia per gli aspetti della cultura d’oltreoceano, dalla letteratura al jazz, che avevano nutrito l’antifascismo. Negli anni Sessanta si aggiunse la scoperta di un’America d’opposizione e alternativa, le cui idee, dal femminismo al nazionalismo nero alla controcultura, accompagnarono la crescente attenzione dei comunisti nei confronti dei diritti e dei nuovi bisogni, nonché la fascinazione dei movimenti e di vari gruppi extraparlamentari di sinistra per la tradizione popolare e antiestablishment del radicalismo americano».
Mi resta comunque la sensazione che l’americanizzazione (meglio: il mito americano) sia stato da noi così assorbito che non fa più problema (se non per pochi “irriducibili”). E permette, tra l’altro, di abbuonare facilmente agli americani che guidano le politiche mondiali quasi tutte le numerose malefatte oltre che giustificare la sudditanza dei nostri governanti.
Ma per tornare a Castelporziano: sì, ritengo che anche in quell’occasione e più in generale nel movimento del ‘77 l’americanizzazione, che era stata una delle componenti del ’68 ancora bilanciata e contrastata da forti spinte marxiste, abbia finito per prevalere. Aggiungerei: un attimo prima della tragedia: Moro, BR e quel che poi seguì.
P.s.
1. Te lo ricordi ancora quell’articolo di Franco Fortini intitolato «Filoamericani di sinistra, colonizzati e contenti» (in «Disobbedienze II, p. 177, manifesto libri, Roma 1996) che scorgeva nei testi apparsi su una «Talpa» del «manifesto» curata da Paolo Virno ed altri – oggi si potrebbe forse dire: in modo profetico – «uno degli episodi sintomatici della recente adesione di tutta una larga parte di coloro che furono comunisti italiani alla concezione progressista borghese (neanche capitalistica!) incantata di fronte alle prestazioni militar-capitalistiche Usa»?
2. Te lo ricordi ancora il suo giudizio sugli Usa, che avevano scatenato la Guerra del Golfo? Lo riporto in breve: quello di Saddam era un regime abietto, ma sull’altra sponda gli Usa rappresentavano «da quaranta anni il nemico del genere umano».
“ Sabato 5 aprile 2008 – Torno, dopo tanti anni, a Castelporziano. Mi pare che sia tutto lo stesso. C’è un po’ di ometti col pisello di fuori, ci sono due che si rotolano sulla sabbia – fredda – in una specie di ciak si tromba. Perché è la solita Paramonte che a Roma c’è sempre – cfr. il diario: « 21 febbraio 1994 – “ È la Paramonte “, sentii dire al vecchio mentre le auto sfrecciavano a sirene spiegate. A Roma, una quindicina d’anni fa, appena arrivato. ». “.
Ti ringrazio, Ennio.
Tutto quello che scrivi mi è sconosciuto.
Avendo seguito corsi e seminari triennali, in altri tempi, alla Sapienza di.Roma, di letteratura angloamericana (ed inglese), mi è tutto ignoto.
Ma provvederò, con un rapido corso su link.
Sì, in effetti, un corso di Letteratura italiana moderna e contemporanea prevedeva lo studio di Pavese, ma ero in spiaggia, a Castelporziano…
Sai, anche, il ’68, così, per sentito dire…
Le molte manifestazioni contro la guerra degli USA in Vietnam – migliaia di persone in strada -, la nozione di “multinazionali”, che già nel ’68 era abbastanza chiara, mi erano, fino a poco fa, completamente sconosciute.
No, Franco Fortini mi è sconosciuto, non l’ho mai incontrato…
Anche quando lessi, in una lettura con altri autori – e autrici -, dei suoi versi – da “Sette Canzonette del Golfo” -, ero su Marte…
Che solo ti possa venire in mente di indicarmi un link…, per dare un’occhiata… “a qualche scritto sulla questione”…, fa parte di una “leninizzazione”, su cui, con i ’40 gradi di temperatura in giro per la Penisola, è meglio sorridere.
Be carefull, Ennio, che rischi di far diventare di assopito centro anche chi non lo è…
No, non scrivere “Ma per tornare a Castelporziano: sì, ritengo che anche in quell’occasione, e più in generale nel movimento del ’77, l americanizzazione…”.
Castelporziano fu una spiaggia un poco voluttuosa, dedita al libero amore – ove se ne fosse data l’occasione -, e poi ci fu il crollo del palco, su cui, qualche volta, si dibatte ancora se sia stato casuale, o colpo di teatro… Mi pare che in una di quelle sere ci sia stato anche Soriano. Alcune e alcuni lessero dal palco poesia, altre e altri rinunciarono, un giovane si denudò, svolazzando – ci sono delle riprese di molti momenti di quelle sere e possono esser viste in you tube -; fu la Via della Spettacolarizzazione? mah! Certo non fu la strada alle isole dei famosi, e: Bellezza è morto, Amelia Rosselli si è suicidata, Paola Febbraro, poetessa, se ne è andata già da alcuni anni, Soriano non c’è più, la Spaziani – vissuta più a lungo -, scomparsa qualche anno fa, e altri. La ragazza cosiddetta “cioè”, chi sa dove è e cosa fa.
E, poi, se vuoi scriverlo – oltre che pensarlo -, scrivilo: l’Americanizzazione passò anche per la spiaggia di Castelporziano.
@ Cascella
Sì, *per me* ( e l’ho premesso!), ci passò ed io da tutte quelle belle cose, ora documentatissime su You Tube per la gioia di chi c’era, sentii *da lontano*.
“ 1979, novembre – « Amarezze d’aragosto – Amare in mare non fa mai male / se si dispone di un po’ di sale / e nel Mar Rosso è così vero / che non è vero per il Mar Nero. // È qui che in caso di maremoto / gli innamorati amano a nuoto / e per sentirsi a proprio agio / devono almeno fare naufragio. // Mare maretta mare maremma / un po’ di fretta un po’ di flemma, / mari vicini mari lontani / Olanda dighe Venezia canali. // Nella barchetta alla deriva / nuda nel sole dorme la diva / flusso riflusso ma l’alga cresce / e al mare mangia tutto il suo pesce. // Danza sul mare un velo d’olio / il mare è calmo come petrolio / e intanto il Luno sorge incantato / sia sul Mar Morto che sul Mar Nato. » (Adriano Spatola – ritaglio di giornale) “.
No, non hai scritto “per me”. Hai scritto, Ennio, “Io lo vissi come l’ imbocco di VIA AMERICANIZZAZIONE. E voi?”
E hai scritto, nei tuoi versi “Lontano da Castelporziano”:
“[…]
Ginsberg è la poesia recitata.
Organizza spettacoli
a cavalcioni della poesia.
È esaltante sia per chi legge
sia per chi ascolta: è americano.
Bisogna inchinarsi a chi ha l’arte di governare,
di consumare in modo così immediato
anche la poesia.”
Era solo Ginsberg, lo hanno ascoltato, ma inchinarsi…, una tua esagerazione.
Come è una tua esagerazione scrivere, nel tuo terzo commento, “da tutte quelle belle cose”… “per la gioia di chi c’era”…
Non rispondere a me.
Ma alle più o meno ventimila persone – pare fossero ventimila – che erano lì in quella fine di giugno del 1979, tutte a inchinarsi…
Uno di quei ventimila – si legge in Internet se si digita “Castelporziano Ostia dei poeti” – che ho digitato ieri…, dopo la lettura dei tuoi versi, per documentarmi un poco, e capire meglio…, e tutto – puntualmente… -, nel tuo seguente commento, diventa “tutte quelle belle cose”…, ha scritto “[…] fu l’ultima estate. Poi ci furono gli anni ’80”.
Uno dei ventimila “inchinati” a godersi “per la gioia di chi c’era” il terribile influsso recitante ginsberghiano. “tutte quelle belle cose”…, nel tuo pensiero, nel tuo uso della lingua italiana.
(Non conosco la persona di cui ho citato la frase, non so come sia andata la sua vita, ché sono passati circa trentacinque anni).
@ Cascella
Se scrivo «Io lo vissi come l’ imbocco di VIA AMERICANIZZAZIONE. E voi?», è – mi pare – come se dicessi: «Per me Castelporziano non fu la via italiana al SOCIALISMO ma all’ AMERICANIZZAZIONE». Esprimo il *mio* punto di vista “esagerato” e invito altri («E voi?») a dire il loro.
Rispondo a te, e non ai venti o trentamila che furono a Castelporziano, perché sei l’unica che sta obiettando al mio giudizio. Che era e resta sicuramente irridente e critico verso quella manifestazione e il ruolo in essa svolto da Ginsberg.
Mi pare di aver esposto a sufficienza le *mie* ragioni. Non ti convincono. Bene, invece di insistere a scandalizzartene, faresti meglio a dire ai lettori di LPLC come giudicasti o giudichi tu oggi «il romanzo di Castelporziano».
Ennio, usi un linguaggio, una lingua italiana stupefacente.
“Mi pare di aver esposto a sufficienza le “mie” ragioni. Non ti convincono. Bene. Invece di insistere a scandalizzartene, faresti meglio a dire ai lettori di LPLC come giudicasti o giudichi tu oggi “il romanzo di Castelporziano”.
“[…] Invece di insistere a scandalizzartene, faresti meglio…”.
Non uso l’unica parola che andrebbe usata per otto di quei tuoi versi con cui hai commentato quanto pubblicato da LPLC, con cui hai dato il tuo “giudizio critico” non su “il romanzo di Castelporziano” ma su Ginsberg e su – dal tuo punto di vista e “giudizio critico” – tutte le ragazze e i ragazzi di quella fine del giugno 1979, possibili “inchinati”… a Ginsberg “americano”…
Non ho scritto, nel mio commento, “di quanto e come mi sono scandalizzata”. Non mi sono scandalizzata. Cerca di non tirare a forza quanto altra persona scrive su una tua poesia – che hai reso “tu” on line in LPLC “pubblica”, in tuo commento non sul testo edito in LPLC, ma “in tuo giudizio critico” sull’operato di Ginsberg a Castelporziano .
Ritengo esagerato il tuo giudizio critico che esprimi in quei tuoi otto versi, il mio giudizio critico su quei tuoi otto versi è che li ritengo esagerati. Esagerati, e anche brutti: brutti intellettualmente.
Se per altre persone, quei tuoi otto versi sono e saranno altro, LPLC accoglierà e pubblicherà il loro giudizio critico, il loro essere d’accordo o il loro non esserlo, e se altre persone troveranno esagerato il mio trovare quei tuoi otto versi esagerati, se vorranno esprimere il loro giudizio critico lo faranno, se ne avranno il desiderio.
Il tuo giudizio è critico ed è “irridente” “verso quella manifestazione e il ruolo in essa svolto da Ginsberg”? Come in questi casi si dice e si ripete, “siamo in democrazia”.
E: ti risulta, hai letto dei volantini, dei testi, delle pubblicazioni del giugno del 1979, in cui curatori e organizzatori di quella manifestazione avessero in mente Castelpoziano come “via italiana al SOCIALISMO”? commettendo però l’errore politico che ha distrutto l’Italia, giacché Castelporziano non si rivelò, non fu la via italiana al SOCIALISMO ma all’AMERICANIZZAZIONE?
Se hai del materiale stampato nel giugno del 1979 dai curatori e organizzatori del Festival internazionale dei poeti, in cui curatori e organizzatori abbiano dichiarato che con quel Festival intendevano aprire, in Italia, e per l’Italia, una via italiana al SOCIALISMO rendili pubblici. E potrà aprirsi una discussione su quel loro errore di intendimento.
O se altri hanno del materiale stampato dai curatori e organizzatori di quel Festival, prima delle tre giornate di Castelporziano, con loro dichiarazioni su Castelporziano come via italiana al SOCIALISMO, se lo renderanno noto, il tuo giudizio “irridente” verso quella manifestazione avrà più solide basi.
@ LPLC
Provo ad inviare di nuovo risposta ad Ennio Abate. Ieri, domenica, sia di mattina che di pomeriggio, la risposta – partita -, non è apparsa. Come di solito, e di regola, è, nell’attesa della moratoria. Forse perché domenica, o complicazioni elettroniche.
@ Ennio Abate
Chi lo desidererà ti risponderà. Sul tuo giudizio “irridente” circa il primo Festival internazionale dei poeti del giugno 1979 a Castelporziano. E sulla tua visione critica del ruolo di Ginsberg in quel Festival.
Quanto a me, abbi la cortesia – e l’onestà – intellettuale di non scambiare il mio giudizio critico circa gli ultimi otto versi della poesia che hai reso pubblica in LPLC – come tuo giudizio critico su Ginsberg a Castelporziano -, per “invece di insistere a scandalizzartene, faresti meglio a…”.
Il mio giudizio critico su quei tuoi otto versi è: li trovo “esagerati”. Se altri li troveranno giusti in analisi sul ruolo di Ginsberg a Castelporziano, se lo vorranno, li commenteranno su LPLC.
Se poi a te, o ad altri, sono noti volantini, testi, pubblicazioni che i curatori e gli organizzatori di quel Festival avessero messo in circolazione nel giugno del 1979, sul Festival da loro inteso come via italiana al SOCIALISMO, rendendoli – quei testi del giugno 1979 – pubblici, potrà aprirsi, sul tuo giudizio critico, una discussione.
@ Cascella
I commenti d’estate anche su LPLC battono la fiacca e altri non intervengono sull’argomento. Continuiamo allora, possibilmente con garbo, questo duetto (spero non proprio tra sordi) su cose della nostra gioventù.
Lascio da parte l’opinabile: il mio uso «stupefacente» per te della lingua italiana, l’esagerazione o la bruttezza dei mie versi, il tuo scandalizzarti o no, l’aver io commentato il post o colto solo l’occasione per fare pubblicità a una mia composizione.
A me pare evidente che tu non abbia afferrato l’ironia dell’espressione da me usata: «Per me Castelporziano non fu la via italiana al SOCIALISMO».
Certo che curatori e organizzatori del Festival non hanno mai scritto o pensato che «con quel Festival intendevano aprire, in Italia, e per l’Italia, una via italiana al SOCIALISMO». Sono io che, per sfottere loro e quelli del PCI di allora, tiro in ballo quell’espressione.
Devo chiarire di più il senso della mia amara ironia? Bene. È come se, nel 1978 (i versi li scrissi allora), avessi detto: «Cari compagni del PCI, che dite di stare costruendo la via italiana al Socialismo, vedete che qui, in Italia, l’unica via che si sta costruendo è quella all’Americanizzazione. E, infatti, i giovani vi salutano e vanno a farsi incantare dal pifferaio magico Allen Ginsberg, che è molto più bravo di voi, perché agli occhi di questa gioventù ha il fascino di essere «americano» (anzi dissidente dall’Amerika che fa le guerre) e di conoscere meglio di voi «l’arte di governare,/di consumare in modo così immediato/ anche la poesia».
È più chiaro e meno «stupefacente» così?
Se poi tu collocassi la mia critica “esagerata” nel contesto storico-politico che ho cercato di richiamarti, rinvangando la polemica tra Virno/manifesto e Fortini e il giudizio di Fortini sulla politica Usa, ti accorgeresti che, al di là della loro bruttezza o bellezza, i miei versi non sono «intellettualmente» disonesti, come sembri insinuare.
Fatto questo, si potrebbe poi discutere se i giovani partecipanti al Festival di Castelporziano fossero così «inchinati» alla *American way of life* o su quanto il Ginsberg beat e poi buddista fosse figlio del Sistema americano o suo avversario. E’ quello che auspicherei, ma per ora non accade. Un saluto
Abate, non è solo il caldo, è proprio il tema ad essere lontano anni luce…
Ma a te interessa davvero sapere se quei giovani fossero o meno inchinati, incantati o quel che è? Poi Ginsberg o chi per lui: ma chi è così ingenuo oggi da pensare che fare poesia possa metterti contro il sistema, qualunque esso sia?
Piuttosto vorrei sapere cos’è l’american way of life.
Di memoria si tratta, anche se FF vs PPP chiede, in larga misura giustamente, se il tema non sia lontano anni luce. Lo è, infatti quasi me ne dimenticavo.
Ma visto che la mia vita dura fino ad ora, e c’ero anche allora, mi ricordo che il festival di Castelporziano per me allora era in doppia continuità con: 1) i festival di re nudo; 2) con gli incontri di poesia – concreta, visiva, sonora, e tutto lo sperimentalismo “di massa” degli anni 70.
Quindi non ci sono andata, prevedendo di annoiarmi per il dovere di interiorizzare una specie di obbligo a aderire alle novità espressive e creative… che non mi avevano finora catturata. (E dire che alcuni anni prima ero stata inventora con altri della rivistina Mondo Beat.) Probabilmente però ero snob, legata a tradizioni elevate, letterarie e filosofiche.
Del resto, mi chiedo ora, che fine ha fatto quella linea Ginsberg-Pivano? Certo, erano in contraddizione con l’America dei loro anni… ma che tipo di contraddizione? generazionale e psicologica? allora pensavo di sì, ma anche oggi.
Ecco, Abate, ora hai un interlocutore e c’è una domanda, anzi tre, da parte di FF vs PPP (FF…, sta per “Franco Fortini”? PPP sta per “Pier Paolo Pasolini”?).
Rispondi, Abate, alla domanda, e rispondi con una tua analisi, e non indicando link…
Linkami, o Diva, del Pelide Abate/ l’ira funesta che infiniti addusse/ lutti agli Amerikani, molte anzi tempo all’Allen/ generose travolse alme d’eroi,/
Fuck yeah! Anna
non li conosco :)
Per carità di possibile dialogo… – aggiungo… -, tralascio di rispondere alle perle di sconcezze retoriche ammassate nel tuo commento ultimo, del 21 luglio, ore 11.19…
Ma tu credi davvero che vecchi o giovani che si sia si possa credere alle tue frittate di “sfottere”…, del tuo “non hai capito”…, del tuo “è chiaro che”…
In effetti: ma ti interessa davvero sapere se quei giovani fossero davvero inchinati o incantati o quel che è?
Cristiana, hai avuto occasione di vedere dall’inizio alla fine il film di Andrea Andermann “Castelporziano Ostia dei poeti?” Per vederlo davvero tutto è necessaria un poco di pazienza, è necessario, anche, dare un poco del proprio tempo.
Tu lo hai visto? Altre, altri lo hanno visto? Essendo un film, va da sé che ha un montaggio ma almeno il vederlo sgombrerebbe il campo da molte incognite di un discorso che rischia di dipanarsi senza neanche vedere la gioventù di allora. E quei poeti invitati.
@LPLC
Potreste mettere in visione su LPLC l’intero film di Andermann?
O indicarne il link?
Fa parte, per altro, “di tutte quelle belle cose”… nel linguaggio di Abate, “per la gioia di chi c’era”.
Dunque, per chi neanche era nato nel 1979, forse vedere Ginsberg lì, nell’ultima parte del film, potrebbe servire a intendere meglio e con la propria mente, i propri occhi, le proprie orecchie (per quanto, e va da sé, il film avrà avuto sicuramente un montaggio. Ma anche tutte le polemiche montate hanno un montaggio).
Per FF vs PPP:
da Franco.Fortini, in “Tutte le poesie”, a cura di Luca Lenzini, Oscar Mondadori, 2014
COSÌ NON FU
Così non fu, non fu così, non era…
Che era?
La volta del cielo
piano si contrae, piano. La fiamma soave
illumina a lungo la sera,
le classi inesorabili dei pini,
le filia liquide che marzo
giù tra i sassi divide.
E le erbe bambine, i rospetti perplessi,
le nuvole eccelse rapprese, il mirabile inganno
che sosteniamo tuttavia.
Per PPP, non ho qui i suoi libri (che sono altrove), ma una poesia di Dario Bellezza? Era a uno dei poeti invitati a Castelporziano, nel 1979…
@ Cascella
Basta con questi toni untuosi («Per carità di possibile dialogo…»), da Sapientona che non si spreca («tralascio di rispondere alle perle di sconcezze retoriche ammassate nel tuo commento ultimo», da Maestrina inquisitrice pre-don Milani («Rispondi, Abate, alla domanda»).
Io ho detto.
Tu tenti solo di squalificarmi come interlocutore e giri attorno all’argomento. Né sai replicare alle critiche che ho fatto né ti arrischi a difendere Ginsberg e i cari giovani d’allora.
“Ma anche tutte le polemiche montate hanno un montaggio”, eh? cosa? ma dove siamo?
@Abate
Basta te, Abate.
Modera i toni, e avrai degli interlocutori.
Ma tu li leggi i commenti, e se li leggi, come li leggi?
Fin da subito ho scritto – in virtuale – che quei tuoi otto versi erano esagerati: ma li leggi i commenti? “Né sai replicare alle critiche che ho fatto né ti arrischi a difendere Ginsberg e i cari giovani di allora”. Sono due giorni, o tre, o quattro che mi sono “arrischiata” a difendere Ginsberg – che per altro della mia difesa non ha alcun bisogno – e “quei cari giovani” – che della mia difesa non hanno alcun bisogno. -, e che, se vorranno, “quei cari giovani” – come li chiami -, da qualche parte d’Italia – e magari alcuni sono fuori d’Italia -, interverranno, se lo desidereranno.
Quei giovani, e quelle giovani, così come Ginsberg e altre e altri, puoi vederli in carne e ossa agire, vivere, parlare – per quanto in un film – e vedrai che avevano – in quel lontano giugno del 1979 -, delle facce, dei corpi. E quelle facce, quei corpi, quel vivere, quel loro agire, erano, in quei tre giorni di giugno, a Castelporziano.
Sulla china dei tuoi accrescitivi o diminutivi, non ti seguo. Non mi piace il tuo linguaggio – “tutte quelle belle cose”, “per la gioia di chi c’era”, “Io ho detto”, “quei cari giovani” -, a te non piace il mio. Non c’è nessuna prescrizione che i linguaggi debbano piacersi. Avendomi stancato il tuo linguaggio – e dunque il tuo pensiero – giacché il pensiero si esprime, e soprattutto in virtuale, con il linguaggio – spero che questa mia banalissima osservazione possa essere accolta -, avendo tu un interlocutore ho scritto “Rispondi, Abate, alla doomanda”. Mi avevi completamente stufato: e Ginsberg, e “tutte quelle belle cose”, e i giovani, e Castelporziano, e gli organizzatori, e i curatori, e via via. Nelle riprese di quel film, Ginsberg canta dei versi, e un chitarrista lo accompagna. Scene più sbandate di sedie roteanti, e ragazzi e ragazze che si lavano sotto le docce all’aperto in spiaggia, si baciano, ascoltano, non ascoltano, salgono sul palco, leggono. Altri poeti leggono. Anche oggi, in modo diverso, molte le letture, in Italia, di poesie. Il ruolo del poeta? Nel 2015?
Sesto rigo dal fondo, terza parola: correzione: non “doomanda” ma “domanda”.
@ Cascella
I miei toni sono stati più che moderati finora. Ma chiudiamola qui. Non senza precisare un’ultima cosa che mi preme: in questo scambio di opinioni (purtroppo a due) non è stata in gioco la questione del mi piace/non mi piace il tuo o il mio linguaggio, ma quella del giudizio storico-politico (e anche estetico, certamente) sul Festival di Castelporziano. Io l’ho letto alla luce della sconfitta della Sinistra (tutta, compresa le sue frange “rivoluzionarie”) e del trionfo dell’americanizzazione. Tu sembri coglierne soltanto l’elemento vagamente orgiastico («ragazzi e ragazze che si lavano sotto le docce all’aperto in spiaggia, si baciano, ascoltano, non ascoltano, salgono sul palco, leggono»). Questa è la differenza tra noi.