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di Laša Bughadze, traduzione dal georgiano di Francesco Peri

[Laša Bughadze (Tbilisi 1977) è uno dei più quotati autori georgiani della giovane generazione. La sua opera di drammaturgo, ironica e irriverente, ha trovato apprezzamento anche all’estero, specialmente in Francia e in Inghilterra. Nel 2013 il Royal Court Theatre di Londra ha allestito la sua pièce P’rezident’ma gvian movida, “Il presidente ha fatto tardi”. Del suo romanzo più noto, Lit’erat’uruli Eksp’resi, “Letteratura Express” (2009), parodia dei seminari e delle residenze per scrittori, esistono una traduzione inglese e una tedesca (in corso di edizione). Il breve monologo La madre di Putin è andato in scena a Mosca e Parigi. (Francesco Peri)].

Quasi una prefazione
Moltissimi, in Georgia, sanno che nel cuore del paese vive un’anziana signora di nome Vera Putina. Siamo in provincia di K’asp’i, a mezza via tra Gori, la città che ha dato i natali a Stalin, e il punto dove la guerra russo-georgiana del 2008 ha fatto spuntare il cosiddetto “stato” dell’Ossezia del Sud, non riconosciuto da alcun paese al mondo, o per l’esattezza riconosciuto dalla sola Russia, ma in compenso occupato da soldati veri. Da lunghi anni la signora Putina va ripetendo la stessa storia: sostiene di essere la madre carnale del presidente russo Vladimir Putin, e narra episodi curiosi ma paradossalmente convincenti sull’infanzia dell’uomo che regge le sorti della Russia.
Se capitate dalle parti di K’asp’i e provate a domandare ai passanti dove abita la madre di Putin, quelli non batteranno ciglio, ma vi indicheranno con la mano la direzione della sua casa: “La madre di Putin? Vive qua sopra, nel villaggio di Met’ekhi”.

Alcuni anni fa ci hanno perfino girato un documentario, eppure nessuno è ancora riuscito a confermare o smentire le sue asserzioni. Più di recente mi è capitato di leggere su un quotidiano nazionale che alcuni esperti georgiani, coadiuvati dagli americani, avrebbero confrontato il DNA della signora Putina con quello prelevato da un capello di Vladimir Putin (a quanto pare gli americani erano riusciti a procurarsene un pezzetto). Quell’esperimento avrebbe dimostrato al di là di ogni dubbio che Putin è figlio della signora.
Non saprei dire quanto abbia di credibile quella notizia, ma sarebbe interessante già solo cercare di appurare come e in quali circostanze sia stato possibile sgraffignare un capello a Putin (per giunta senza che se ne accorgesse). Era caduto per cause naturali? È concepibile che glielo avesse spiccato un collega, cioè un altro presidente?

Lasciamo la questione in sospeso: per verificare occorrerebbe un’indagine a parte, mentre il mio monologo non parla di una specifica madre in carne e ossa, ma piuttosto di un’anziana pensionata che da un lato ha tutte le ragioni per lamentare lo stato di indigenza e insicurezza nel quale si ritrova, però dall’altro (e proprio per le ragioni dette sopra) ripone tutte le sue speranze residue nella persona di Putin, l’uomo che vuole ritornare al passato, restaurare il sistema sovietico, debellare una volta per tutte la causa ultima della sua miseria e delle sue paure: l’antico, potente e invisibile nemico che si annida in Occidente.
Nei giorni della crisi in Ucraina il presidente russo in persona ha dichiarato che i suoi soldati (cito alla lettera) “coprono le spalle delle donne e dei bambini”, e in effetti molti si sono goduti la scena quando davvero si sono visti i mezzi blindati e le truppe di Putin chiudere la marcia di un plotone di vecchiette ingiustamente private dei loro diritti ma temprate dalla rabbia e assetate di vendetta.
Lo zoccolo duro del consenso di cui oggi gode Putin è costituito da pensionati indifesi, abbandonati e inferociti.
La maggioranza silenziosa che da sempre spalleggia i despoti.

L.B.

Non mi interessa far sapere al mondo intero dove sto di casa. Dirò soltanto che la nostra zona è rinomata per i meli e per il fatto che a mezz’ora da qui ha visto la luce il condottiero dell’Unione Sovietica, Iosif Stalin. Altri tempi, quelli. Stalin non ho fatto in tempo a conoscerlo, e neppure la sua mamma. Sono arrivata troppo tardi.
Io non sono originaria di qui, sono venuta al mondo da un’altra parte, in un paese diverso, figlia di un popolo diverso, eppure il destino ha voluto altrimenti, così da decenni vivo quaggiù e parlo la lingua del posto, che per me è una lingua straniera, ma che ormai conosco meglio della mia. Russo o georgiano, capirete che differenza fa per una vacca o per i polli! Con loro ci parlo in una lingua franca che capiscono tutti: i cristiani e le bestie del creato.

Se con la mente ripasso la mia biografia, posso dire in tutta coscienza di non avere mai smarrito un animale affidato alle mie cure, cornuto o pennuto che fosse. È capitato, certo, che gente venuta da un altro villaggio abbia portato via una vacca, ma il mio bestiame lo hanno sempre lasciato stare.
Da queste parti non esiste un animale vivo e sano capace di darmela a bere. La gente del villaggio lo sa: quando un bue o una capra si sono allontanati lungo la superstrada e non si trovano più è me che bisogna far chiamare.
Tanto per dire, sono stata io a riportare al villaggio quel bufalo sparito da due anni, e sono stata ancora io a ritrovare il capretto che era saltato oltre un burrone. I cuccioli di lupo li ho scoperti io; io ho scovato le orme della gazzella, quelle che secondo certi mascalzoni che hanno riso per giorni sarebbero state impronte di orso. Come se uno non sapesse che differenza corre tra un orso e una gazzella!
Perché tutti questi preamboli? Per farti capire che io, nella vita, ho sempre ritrovato tutto e tutti… tranne te.
Neppure ricordo quante volte ho tentato di rintracciarti, quanti posti ho girato, quante persone ho scongiurato di aiutarmi, eppure i miei messaggi non ti arrivavano mai.

Poi, sarà stato una quindicina di anni fa, ti ho visto per la prima volta in televisione che camminavi da un capo all’altro di una lunga lunga sala [1] e ti ho immediatamente riconosciuto… Ecco il mio bambino, ho detto, quello lì è il ragazzo che ho perduto tanti anni fa! Il viso, il modo di fare, quella maniera di venire avanti piegato leggermente a destra… e poi la statura, capirai, perché già allora si vedeva che non saresti più cresciuto in altezza. Mi sei apparso anche in sogno e mi dicevi: “Mamma, sono stato promosso, vengo a casa per le vacanze”.
Cuore di madre non si inganna!
Non sono mai stata molto brava a strologare i sogni, eppure il 16 marzo del 1987 ho avuto come una visione di un certo vitellino smarrito dalle parti di Kareli, e il giorno dopo i miei compaesani lo hanno ritrovato nel punto esatto in cui mi era apparso.
Anche nel caso tuo è andata più o meno così!

Ti ho visto tante volte parlare in pubblico di fronte a folle immense: mi assopivo, mi risvegliavo e tu eri ancora lì sul teleschermo che arringavi la popolazione. Ma tu pensa, mi dicevo, anche in questo ha preso da me: non si ferma mai, ce la mette sempre tutta, quando munge una bestia la spreme fino all’ultima goccia. Qui al villaggio mi chiamano la Sgonfiamucche, e anche tu sei fatto così: ci dai dentro finché non hai svuotato ben bene le mammelle. Si vede da chi hai preso, va là.
Le madri sono fatte così: per quante barriere si mettano di mezzo, per quanti metri di filo spinato tocchi loro valicare, trovano sempre uno spiraglio da cui sgusciare per ricongiungersi a un figlio, per fargli sentire la loro voce, anche a costo della vita.

Al momento la situazione è questa: i tuoi soldati (ma tuoi o miei non fa differenza, no?) hanno posato una recinzione di filo spinato ad alcuni chilometri dal nostro villaggio. Anche in questo preciso istante, mentre cerco di parlare con il mio ragazzone, i militari ci danno dentro con il filo spinato e piantano cartelli che dicono: “Alt! Frontiera di Stato” [2].
In certi casi, dopo che sono passati i militari, può capitare che una casa si venga a trovare di qua dal confine, mentre la ritirata, voglio dire il gabinetto, rimane dall’altra parte. La vacca sta di qua, la stalla di là. Il bestiame da una parte, il pascolo dall’altra.
Un signore si è ritrovato di qua dal confine con la sua vecchia moglie, solo che le tombe dei suoi genitori erano oltre il filo spinato. Allora niente, domanda ai soldati come faranno a seppellirlo quando muore, perché mica si può far passare la bara dai buchi della recinzione, e quelli gli rispondono: bisognerà presentarsi a Mosca per farsi rilasciare il permesso di inumare. Solo che il cimitero – mi segui? – sta sulla collina lì dietro, praticamente a un tiro di schioppo, mentre per andare e venire da Mosca, come minimo, uno ci impiega una settimana. Nel giro di cinque giorni il cadavere si guasta e i parenti in lutto non ce la fanno più. Comunque adesso non metterti in testa che io sia contro le leggi: per conto mio, se valgono qualcosa, dei parenti in lutto il morto se lo possono tenere in casa anche per due o tre settimane, altro che una sola. Per questo io non do retta alle mormorazioni della gente. Da quando in qua una trasferta a Mosca è diventata una cosa di cui lagnarsi, una cosa da schifare? Quando ero giovane io la gente cercava continuamente scuse per andarsene a Mosca, e trovamelo tu un pretesto migliore di un funerale! È vero che ai georgiani non rilasciano più visti per la Russia, ma chi si sognerebbe di ostacolare la sepoltura di un morto? Prendi la foto del defunto, la incolli sul tuo bel passaporto russo [3] e a Mosca si aprono tutte le porte. Non varrà mica la pena di farsi la guerra per uno stupido certificato!

Qui da noi c’è l’abitudine di uscire nel bosco per raccogliere i capperi selvatici [4], e non passa giorno senza che i militari arrestino qualcuno. Forse che non hanno i loro buoni motivi? Ce li hanno sì, dei buoni motivi, mica sono briganti di strada: arrestano la gente che ha violato il confine. Può benissimo darsi che spunti una frontiera dove il giorno prima non c’era nulla, eppure la gente continua a prendere i sentieri di sempre, come se non sapessero, teste di coccio, che di lì a un’ora il bosco dei capperi selvatici potrebbe diventare parte di un altro stato (se pure non è già successo la sera prima). Che ci vuole per capirlo? Se vedi un soldato che ti viene incontro, o magari addirittura una jeep, vorrà dire che hai passato il confine, no? Con un minimo di comprendonio ci si arriva. Una volta sono uscita nel succitato bosco a raccogliere capperi selvatici. L’ho fatto apposta, fidandomi del mio istinto, tanto è vero che non ho sconfinato neppure una volta. Ho raccolto tanti di quei capperi selvatici che non sapevo più come portarli a casa. Al mio ritorno quegli altri dicevano: è che lo sanno, chi è tuo figlio, per quello non ti hanno arrestata. Che cosa c’entra adesso mio figlio? Non ho violato il confine, dico io: per quello non mi hanno arrestata. E tu che ne sapevi, fanno, di dove corre la frontiera? Magari hai sconfinato e neppure te ne sei accorta. Non lo sapevo no dove passa la frontiera, ribatto io, però se lo avessi saputo ci avrei fatto attenzione, e siccome non mi hanno arrestata, vorrà ben dire che non ho sconfinato. Però intanto, in cuor mio, io pensavo: stai a vedere che lo sapevano davvero, chi sono io, che glielo avevi detto tu, e proprio per quello mi hanno lasciata stare? Io lo so che tu sai dove vivo e come campo. Ovunque io vada, sento con il cuore e con l’anima che il tuo sguardo mi segue, che il tuo orecchio mi ascolta, che tu ti prendi cura di me.

C’è un’altra cosa che devi sapere: spesso le persone uscite nel bosco a fare scorta di capperi selvatici o rami secchi vengono rapite per storie di soldi. I militari arrestano la gente con il pretesto della frontiera e poi chiedono il riscatto alla famiglia. La famiglia, però, che cosa possiede? Dei capperi selvatici, possiede. E per giunta sono ancora sulla pianta. Adesso però non andare a pensare che io ce l’abbia con i soldati. Hanno diritto anche loro a procurarsi un tozzo di pane. Qui da noi i capperi selvatici valgono per moneta sonante e loro non dovrebbero farsi pagare in rubli? Mi dispiace soltanto che la gente dia tutta la colpa a te, sono convinti che tu voglia i loro rami secchi e i loro permessi di inumare rilasciati a Mosca. Che puoi saperne tu dei maneggi che si fanno qui? Tu lotti dalla parte dei diseredati, che te ne frega dei loro morti fatti passare per i buchi della recinzione? Tu combatti per la giustizia e l’amore, credi che io non lo sappia? Eppure come faccio, da sola, a spandere le tue lodi per tutti questi ettari? Che cosa può una madre con le sue sole forze? Magari mi avessi dato una nuora: quella mi darebbe manforte, metterebbe becco anche lei per difenderti. Due donne invece di una contro un mondo come il nostro non sono mica la stessa cosa. Eppure una nuora non me l’hai data, e non so neppure con chi sei sposato al momento. Oppure sei rimasto scapolo? Hai divorziato? Sei vedovo? Hai due mogli? Una da tenere in casa e una per fare scena? La gente racconta certe cose [5]… Roba da non credere alle proprie orecchie. Ti pare possibile che una madre non sappia se suo figlio, carne della sua carne, è sposato oppure scapolo? Se una moglie non ce l’hai, chi hai? Figli ne hai? Quanti ne hai? Ti sto chiedendo notizie dei miei nipotini, bada, mica di sconosciuti. Che cos’hai da nascondere? Si è mai visto un figlio che tiene nascosta la moglie a sua madre…? Dico quella che sta in casa ma anche quell’altra, sai, quella per fare scena. Quanti figli hai? Ce l’hanno un nome? Tuo padre si chiamava Platon: hai chiamato Platon uno dei tuoi figli? Te lo ricordi tuo padre? Non me lo ricordo più nemmeno io, come potresti ricordartene tu! Faceva l’agronomo e mi ha piantato in asso al quarto mese. Poi ho conosciuto una persona che lavorava nella nostra città e ci siamo sposati [6]. È per seguire lui che siamo venuti a stare quaggiù: tu avevi sette anni, io… chi si ricorda più, non son cose da parlarne. Avevi dieci anni quando ti ho rimandato in Russia. Non ti ci sei mai trovato con quell’uomo. Quando ci bombardi, la gente del posto dà sempre la colpa al tuo patrigno, che in fin dei conti non era una cattiva persona… O comunque non ti ha mai fatto nulla di così grave da giustificare delle bombe in testa [7]. A volte le sue maniere lasciavano a desiderare e non sempre andavamo d’amore e d’accordo. Capitava che alzasse le mani. Mi ha picchiata sotto i tuoi occhi come ha picchiato te alla mia presenza, e anche a mia insaputa – però non ha mai passato il segno. Per te si preannunciavano tempi difficili: la paura di venire emarginato da persone diverse nel fisico e nell’animo, la gente che ti segnava a dito, le zuffe con i ragazzini di qui. Allora mi sono detta che forse per te era meglio mandarti a vivere da una mia cugina: almeno era sangue del mio sangue. È stato così che ti ho perduto, è stato lì che ho fatto uno sbaglio! Quei due non avevano figli propri e si sono detti “Ahi ahi, come facciamo se poi lo rivuole indietro?”, così sono spariti nel nulla, hanno rispedito le mie lettere al mittente e ci hanno separati per sempre. È la vita: cugina o cugino, una volta che il peccato ha messo radici nel cuore, una persona è capace di tutto. Peggio ancora se non ha figli. Poi è successo che l’URSS ha mandato un uomo in orbita, il paese è andato sottosopra, è arrivata la carestia: dove potevo andare a cercarti? Come potevo sperare di trovarti? Dicevano che i tuoi genitori avevano fatto una brutta fine e che ti avevano messo in orfanotrofio. Quando l’ho saputo sono morta di nuovo. Davvero è successo così? Ma allora perché non sei tornato a casa? Perché non hai attraversato il bosco dei capperi selvatici per venire a gettarti nel grembiule di tua madre? Possibile che avessi paura di un mezzo paralitico? Oppure la colpa è mia? Era di me che avevi paura?

Quando per ordine tuo hanno bombardato la zona, alcuni anni fa, sul mio villaggio non è caduta neppure una bomba. Soltanto noi hai risparmiato. I tuoi carri armati hanno investito una vacca sulla superstrada, ma a parte questo non è successo nulla. La gente del posto è convinta che hai detto tu di non bombardarci, perché qui ci vivo io. Davvero è per questo che ci hai risparmiati, gioia? Sapevi che lì sotto c’era la tua mamma? Se è vero, sappi che ti vorrò dieci volte più bene di prima. A me non fai paura! Dovrei essere matta per avere paura di mio figlio! Come se non sapessi che cuore grande hai. Se tua moglie avesse un briciolo di sale in zucca (dico la seconda, quella per fare scena) ci penserebbe due volte prima di piantarti in asso. Brava la prima, quella per casa, se davvero sta in casa e non esce. Chi ha la fortuna di amarti è felice anche tra quattro pareti. Per questo io dicevo alla gente di qui: se non volete che vi cada una bomba in testa accendete un cero alla Vergine, però in cuor mio sapevo che tu non avresti mai fatto sganciare neppure una bomba sul villaggio dove un tempo eri venuto a stare con la tua mamma.

Eppure ci tenevo lo stesso a che accendessero un cero. Non tanto per una questione di modestia, anche se forse un po’ c’entrava anche quella, ma soprattutto perché è gente che ha dimenticato Dio. A quanto vedo, tu oggi sei l’unico che se ne ricorda! Sei tu che proteggi la vera fede dalla corruttela e dall’estinzione, e proprio per questo gli infedeli ti danno addosso. Che diamine te ne faresti, altrimenti, di queste due spanne di terra? A che pro tutto questo dispiegamento di forze? Per il disgraziato bosco dei capperi selvatici di cui si ragionava poco fa? È che tu hai il cuore puro, neppure un metro di terra sei disposto a cedere alle forze dell’irreligione. Quando parli alla popolazione, vorrei andare anch’io in televisione e proclamare di fronte all’intero paese che non è questione di uno o due ettari: questa è una lotta contro la dannazione delle nostre anime. Quanto può contare la morte di un uomo o due, o anche quella di un gruppo di persone, quando milioni di anime vanno in rovina? Ti piacerebbe sentirmi parlare così? Riconosceresti tua madre? Eppure, io ti dico, non c’è verso di fare intendere ragione alle persone comuni. Siamo creature deboli, noialtri esseri umani, non capiamo i nostri veri interessi. Quando una persona non è abbastanza sveglia è dura convincerla che le conviene morire per la vera fede, piuttosto che vedere i nemici del genere umano impadronirsi della sua terra! Per me la faccenda è questa. Magari lo capisse anche il resto del mondo. Dopo la guerra, da queste parti, ci sono stati alcuni, per esempio il tuo fratellastro e sua moglie (è un grosso dispiacere per me che tu non li abbia mai incontrati di persona), che mi dicevano in faccia cose come: ma se, poniamo, avessi saputo fin dall’inizio che sarebbe venuto su così e che ci avrebbe bombardato, lo avresti messo al mondo lo stesso? Non avresti disturbato la gravidanza? E se di abortire non ti fosse riuscito, non lo avresti strangolato in fasce? Che bei discorsetti! Tanto per cominciare, come fa una madre a sapere in anticipo che uomo diventerà suo figlio? E poi, anche se fosse, dove prenderebbe la forza per sopprimerlo!? Solo una pazza scatenata potrebbe disfare il figlio che hai fatto. Forse che c’è da aver paura dei propri figli? Eppure c’era chi andava dicendo queste cose, avevano preso paura e venivano da me con idee che non stavano né in cielo né in terra: sì, mi fanno, ma poniamo che una chiromante o una monaca in odore di santità ti avesse predetto che quel tuo figlio avrebbe spedito all’altro mondo intere legioni di sconsiderati peccatori, pur sempre poveri mortali, tu che cosa avresti fatto? Non sarebbe stato meglio ammazzarlo da piccolo? Non lo avresti strangolato con le tue mani? Capito che roba? Alcuni si erano convinti che tu fossi il diavolo in persona. Eppure non sono mai riuscita a volergliene, a quelle persone: non lo capiscono proprio che tu quella guerra l’hai iniziata per salvarli [8]. Io l’ho sempre detto senza peli sulla lingua e lo ripeto anche ora senza tanti patemi: altro che diavolo, tu per me sei come Dio in terra. Ma non perché sei carne della mia carne, e per di più un uomo tanto celebre, autorevole, uno a cui non sfugge nulla e che anzi vede nel futuro. Quelli come me, i lavoratori, guardano a te come a un Dio perché tu non permetti a nessuno di metterci i piedi in testa, perché la fai pagare cara a quelli che ci hanno ridotti in questo stato. Siamo gente che ha lavorato per tutta la vita, che ha passato anni in piedi, senza riposare neppure la notte, e adesso che tiriamo gli ultimi è già tanto se prendiamo quattro soldi di pensione! Se poi si fossero degnati di pagarcele, quelle pensioni: abbiamo l’anima scollata dal corpo per la fame. Altro che medicine, non ce li avevo i soldi per le medicine, neppure un dente mi è rimasto in bocca. Toh, guarda!

Tu devi fare vendetta per tutti gli oppressi, tutti i miserabili, tutti gli ammalati. Mica soltanto per i pensionati, sai: anche per quelli che hanno passato ore in coda… noi che abbiamo fatto la fila giorno e notte per un tozzo di pane nero. Per tutti questi poveracci tu sei come Dio, sei il santo patrono. Quelli che per anni hanno messo da parte i loro soldi nelle casse di risparmio finché un bel giorno i postini, i doganieri, i banchieri, i diavoli a quattro, la progenie di Belzebù se li sono pappati, quei serpentacci malefici [9]! Devi fare vendetta per tutti quelli che quattro o cinque volte hanno preso la medaglia di eroe del lavoro e adesso pare che si faccia loro un favore a lasciarli viaggiare sui mezzi pubblici a tariffa scontata. Che poi a me, dei mezzi pubblici, capirai quanto me ne importa! Mica ci vado in tram, a raccogliere i capperi nel bosco. Che poi comunque, anche se sali a bordo, nessuno ti lascia il posto. Ti guardano tutti schifiltosi, come per dire: non sei ancora sottoterra, tu? Castiga e annienta questi cafoni incapaci di sollevare il deretano, fai piovere sangue sui figli e le mogli di quelli che con i soldi dei miei titoli di Stato ci si sono comprati beni immobili e mobili, quelli che hanno rimpinzato il parentado come bestie da concorso in una regione che si è ridotta a un nido di peccatori, e intanto io qui, senza denti, a ottant’anni suonati. Neppure uno me ne resta in bocca, guarda!
Ti sembra possibile che tua madre sia qui senza denti?

Manda la grandine sulla casa di quella carogna di un governatore che ha mandato i suoi scagnozzi a sloggiarci dal mercato alle porte della città, facendoci andare a male la carne e il formaggio negli scantinati, mele, pere, tutta roba invenduta [10]. Rovesciagli in testa un fulmine, con quella sua faccia di porco all’ingrasso, fai conto di sganciare una bomba. Anzi, meglio ancora: dicono che a quel trogolone piaccia bere, e allora ordina a qualcuno dei tuoi di mettergli nel vino dell’esplosivo invisibile per far saltare in mille pezzi le sue trippe immonde, e fai lo stesso con tutte le canaglie che ti mettono i bastoni tra le ruote, in patria e fuori. Ce l’avrai pure un esplosivo così, o un qualche acido, che so, qualcosa che si possa mescolare a un liquido – acqua, vino e tè. Se il tè lo beva non saprei dire, ma quello lì devi scannarlo perché serva di lezione agli altri, per farne un esempio. Fallo saltare per aria, gioiello bello della tua mamma, fai esplodere l’uomo che ci ha umiliati e ha infangato la nostra dignità. Aiutaci a raddrizzare la schiena, a non stare più in ginocchio, coprici le spalle e facci da retroguardia. Mandaci un segno, mostraci come si annientano i peccatori, magari durante una delle tue uscite in pubblico, affinché gli occhi vedano e il cuore creda; dai ordine di lasciarci entrare nel mercato, perché la gente compri i nostri capperi selvatici, il nostro formaggio, le nostre mele e le nostre pere… Ho riportato a casa decine e decine di vacche smarrite: ordina che mi rimettano in bocca i denti, che mi restituiscano la decima parte di quello che negli anni ho messo via per te e per i tuoi sciagurati fratellastri in quella maledetta cassa di risparmio: guarda qui, ecco il mio libretto di banca, c’è tutto scritto per filo e per segno. Castiga tutti quelli che vanno dicendo che sei l’uomo più ricco del pianeta, perché io lo so che sei ricco, ma ricco di saggezza e chiaroveggenza, non di beni terreni. Eppure questi vogliono calunniare te e torturare me: “Hai visto in che uomo riponi le tue speranze?”, “Hai visto che bel tomo hai messo al mondo?” L’uomo migliore di tutti, ecco chi ho generato, peccato che non mi riconosca. Che cosa c’è da avere paura? Giorno e notte mi rivolgo a te nelle mie preghiere, ripeto il tuo nome. Mi basterebbe che una volta sola mi permettessi di baciarti! Dov’è la strada che porta al tuo ufficio? Saranno sessant’anni, saranno, che non metto piede oltre il bosco dei capperi selvatici. Mandami uno dei tuoi angeli, di’ che mi prenda per mano e mi trasporti in volo oltre il Caucaso, anche senza i documenti in regola. Ce l’avrai, no, un aereo attrezzato per queste cose? Una donna di quarantacinque chili, capirai che ingombro… Si dice in giro che chiunque faccia richiesta riceve un passaporto dei tuoi, e che ovunque costui si trovi, ovunque abiti, sui monti o in fondo a una vallata, sarà tuo per sempre, nei secoli dei secoli, e se qualcuno cercherà di umiliarlo o manderà i suoi scagnozzi a rovesciare per terra i suoi prodotti al mercato, il potere benedetto del passaporto lo incenerirà. Quel passaporto è l’apriti sesamo del tuo cuore, e chi lo possiede è in comunione con te. Fai piovere sulle nostre teste queste salvifiche scartoffie, fai librare in cielo i tuoi ragazzi, fai che chiamino i nostri nomi dall’alto, uno per uno [11]. Ci penserò io a presentarti tutti quanti, ti suggerirò io i loro nomi, ho tutto annotato per benino, siamo tutti cosa tua. La prossima volta che parlerai in pubblico io non ci sarò già più, non sopravvivrò all’attesa, eppure non voglio morire prima di averti guardato negli occhi almeno una volta. Dove ce l’ha la testa tua moglie, l’una o l’altra, quella per fare scena o quella che sta in casa: non lo vede come sei palliduccio? Come posso io da sola sconfiggere la schiera di quelli che ti vogliono male? Mi fa orrore vederti così stanco. Dormi a sufficienza la notte? Hai nemici da tutte le parti, devi vegliare con cento occhi e cento orecchi. Chi può sapere da dove partirà il colpo, dove ti balzeranno addosso? E se ti sparassero? Se cercassero di farti saltare per aria? Se ti mettessero una bomba invisibile in un bicchiere d’acqua? Devi smetterla di bere acqua! Non potresti mettermi in contatto con i tuoi segretari? Al tuo fianco ci devo stare io, altrimenti non avrai nessuno che ti farà scudo con il proprio corpo. Nessuno prenderà al posto tuo la pallottola destinata a te. Dovesse capitare una disgrazia, avresti bisogno del mio sangue, che ti regalerà ancora cent’anni di vita. Quel sangue lo devo versare in tuo nome e non lo rimpiangerei, perché il sangue è l’ultima cosa sana che mi resta. Manda quaggiù uno dei tuoi generali, digli di cercarmi e di prendere il mio sangue. Lo terrai da parte per quando ti occorre. Comanda e io obbedirò!
Non voglio morire a casaccio!
Non voglio restare uccisa da una bomba sganciata a vanvera!
Quella bomba dovrà provenire da te, destinata a me personalmente! E per uno scopo salutifero, obbedendo a una necessità.

Non è giusto che io abbia paura di morire a casaccio.

Almeno in questo voglio esserti utile. Non castigarmi.

Sipario

[1] Allusione alla cerimonia di insediamento del 7 maggio 2000, con la quale si apre il primo mandato presidenziale di Putin (già presidente ad interim dal 1999). La “lunga sala” è probabilmente il salone di Sant’Alessandro nel Gran Palazzo del Cremlino, che secondo il protocollo il presidente eletto percorre a piedi [Tutte le note sono del traduttore].

[2] Si tratta del confine dell’Ossezia del Sud, regione separatista oggi de facto indipendente.

[3] Allusione alla strategia della “passaportizzazione” e quindi alla campagna di sistematica russificazione amministrativa promossa dal Cremlino nelle regioni separatiste dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud. Dal 2006 chiunque ne facesse richiesta poteva ottenere un passaporto russo, e per ciò stesso il diritto di venire protetto militarmente da Mosca come “cittadino” della Federazione – pretesto ampiamente sfruttato come casus belli nell’agosto del 2008. Nelle zone cuscinetto istituite dalle forze di interposizione russe dopo il cessate il fuoco, l’emissione sistematica di passaporti è stata estesa con mezzi coercitivi (o comunque vessatori) anche alla popolazione georgiana.

[4] Staphylea colchica, in georgiano jonjoli: arbusto indigeno il cui prodotto, vagamente simile al cappero, trova largo impiego nella cucina regionale.

[5] Allusione alla misteriosa vita coniugale di Putin, oggetto di varie speculazioni. Nel 2014 Putin ha divorziato dalla prima moglie Ljudmila, sposata nel 1984 e sempre vissuta nell’ombra (quasi nulla si sa, per esempio, delle due figlie della coppia). La biografia lacunosa di Putin e la sua relazione adulterina con la ginnasta Alina Kabaeva hanno dato luogo a numerosi pettegolezzi su “mogli segrete” ed ex consorti ritiratesi in convento secondo il costume zarista.

[6] Secondo la ricostruzione di Vera Putina, il padre carnale di Vladimir Putin sarebbe il cittadino russo Platon Privalov, mentre il padre adottivo cui si accenna di seguito è il militare georgiano Giorgi Osepašvili.

[7] Allusione al conflitto russo-georgiano dell’agosto 2008.

[8] Nel prosieguo del monologo la figura di Putin si carica via via di connotazioni messianiche, ma sotto lo scoperto riferimento alla persona di un altro Figlio illustre, che vuole ironizzare sulla recente svolta “ortodossa” della politica di consenso del Cremlino, si celano più velate allusioni alla divinità tutta secolare di Stalin.

[9] Riferimento alla volatilizzazione del risparmio popolare nella Georgia post-indipendenza (primi anni novanta), legata alla drastica svalutazione dei “tagliandi” (k’up’oni) che nel 1993 avevano provvisoriamente sostituito il rublo sovietico, all’inflazione galoppante e agli esperimenti politico-finanziari del nuovo governo nazionale. La situazione valutaria georgiana si è stabilizzata soltanto nel 1995 con l’introduzione del lari.

[10] Allusione alla stretta sul “mercato nero” promossa dal governo Saak’ašvili nel biennio 2004-2005 nel quadro della lotta alla corruzione. L’irreggimentazione delle economie informali dalle quali dipendeva la sussistenza degli agricoltori delle aree periferiche ha rappresentato un duro colpo per i residenti, senza distinzione tra georgiani e osseti.

[11] Vedi sopra, nota 3. L’iperbole ironizza sulle intere casse di documenti in bianco che secondo alcune voci sarebbero giunte in blocco da Mosca in previsione di una russificazione capillare (e in certi casi forzosa) dei residenti delle aree di confine.

[Immagine: Vladimir Putin]

3 thoughts on “La madre di Putin

  1. Capita che pezzi smaccatamente faziosi, falsi, propagandistici, infarciti di inesattezze e menzogne e di scorciatoie sia formali sia sostanziali si facciamo ampiamente perdonare per il loro valore artistico, per una certa godibilità, o se non altro perché si avverte la genuinità, in un certo senso l’urgenza, di un odio tanto implacabile. In questo caso purtroppo non è capitato.

  2. Pingback: dardimandi

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