di Paolo Febbraro
[Riceviamo e pubblichiamo questo intervento di Paolo Febbraro. Si inserisce nella discussione aperta da Andrea Cortellessa e proseguita da Alfonso Berardinelli e Gilda Policastro sulla crisi delle collane di poesia. L’argomento del dibattito ci sembra interessante].
In una delle sale della Biblioteca Nazionale di Roma ho trovato la prima edizione di un libro poetico di Nelo Risi, Pensieri elementari, edito da Mondadori nel giugno 1961. La collana era quella dello “Specchio”, di cui ultimamente si parla sui giornali nel timore di una sua chiusura per scarsità – immagino – di vendite e forse di qualità. In calce al volume di Risi, ho visto un repertorio intitolato “I poeti dello Specchio”, ovvero l’elenco completo di autori e titoli pubblicati fino a quel momento. Così ho pensato di controllarli uno per uno, a mo’ di sondaggio estemporaneo, per vedere cosa fosse rimasto di quei nomi e se la percezione editoriale della poesia fosse cinquant’anni fa più precisa di quella di oggi.
Molti gli autori di prima grandezza: quasi tutti i grandi di allora, da Montale, Saba e Ungaretti a Quasimodo, Betocchi, Cardarelli e Gatto. Spuntano già i nomi a loro volta rassicuranti di autori come Zanzotto, Erba, Cattafi, Risi, Leonetti, Spaziani, tutti allora fra i trentacinque e i quarant’anni, punteggiati da qualche personaggio allora nitido e oggi più appannato, come Aleramo, Flora, Pavolini, Villaroel. Presenti alcuni validi “minori” del nostro pieno Novecento, come Pozzi, Govoni, Valeri, Vigolo, De Libero, Carrieri, Sinisgalli, Solmi, Scotellaro, Bigongiari, Piccolo, Turoldo. Purtroppo, due soli stranieri, la Dickinson e Pound, e questo è senz’altro un segno dei tempi: oggi si traduce molto di più. Infine, in quella Mondadori 1961 trovano accoglienza anche prosatori che si provano nella poesia, o che nella poesia depositano tracce inassimilabili all’opera “maggiore”, come Borgese, Arpino, Bassani. Di fatto: una buona collana, anche contando la concorrenza di altri editori allora molto attivi nella poesia, come Garzanti, Einaudi e Guanda.
E tuttavia, trovo anche i nomi per me misteriosi di Marco Visconti, Sebastiano Satta, Mariagloria Sears, Antonio Rinaldi, Sergio Ortolani, Antonio Manfredi, Emilio Jona, Adriana B. Ivancich, Minou Drouet, Francesco Di Pilla, Attilio Antonino. Su 58 autori in elenco questi undici a che titolo vi stanno? Dovremmo chiederne conto ai dirigenti editoriali di allora? Erano, nel senso di un recente intervento sul «Foglio» di Alfonso Berardinelli, autori “pubblicabili”? E chi decide, in un dato presente, coloro che resteranno?
Vorrei fuggire la tentazione del virtuismo, cercando di non lucrare eccessivamente sul senno di poi. Una collana militante non può fare il lavoro di uno storico della letteratura, deve in qualche misura poter prendere dei granchi. Un esercizio onesto, piuttosto, è verificare se Lo Specchio poteva fare di meglio, in quel tempo e in quelle condizioni. Detto che all’epoca Caproni e Luzi pubblicavano da Garzanti, che Fortini si affidava a Einaudi, che Sereni e Giudici dovevano ancora allestire i loro libri maggiori, che Pagliarani era sul versante neoavanguardistico dell’ormai prossimo “Gruppo 63”, mi sento di affermare che Lo Specchio aveva fatto per intero il proprio dovere.
E veniamo all’oggi. Berardinelli afferma che la scarsa quantità di poeti “pubblicabili” rende impossibile tenere in piedi una buona collana di poesia, senza cali di tensione e compromessi. Concordo: un editore non dovrebbe pubblicare collane dedicate a singoli generi letterari, ma semmai rispondenti a tendenze, tematiche, ispirazioni, ambiti. Se hai una collana di sola narrativa devi farla vivere anche se ricevi in lettura dei romanzi mediocri. Idem con saggistica, teatro e poesia. Meglio proporre tutti i libri in cui credi, in prosa o in versi, garantiti dal nome di un curatore, o da una tradizione editoriale. Fanno così Adelphi, ad esempio, o Fazi; così ha fatto lo stesso Berardinelli quando ne ha avuto la possibilità con la collana «Prosa e Poesia» di Scheiwiller.
Detto questo, chiediamoci se “Lo Specchio” degli ultimi vent’anni ha fatto, come il suo antenato di metà Novecento, tutto ciò che poteva per promuovere la poesia del più alto livello. Ad esempio, ha pubblicato autori stranieri come Adonis, Armitage, Bonnefoy, Graham, Heaney, Krüger, Levine, Muldoon, Noël, Strand. Poeti buoni o eccellenti, senz’altro, anche se avrebbe potuto fare molto di più, vista la maggiore apertura di cui godiamo. Da questo punto di vista, un editore medio come Donzelli ha fatto meglio, e persino uno piccolo come Luca Sossella, per non parlare di uno molto piccolo e molto elegante come L’Obliquo di Brescia. E fra gli italiani: siamo certi che Lo Specchio abbia offerto le proprie pagine ai migliori? E chi sono i migliori poeti italiani? Quali sono oggi l’antologia di riferimento, il saggio critico dirimente e ampiamente discusso, la pagina di storia letteraria sufficientemente aggiornata e lungimirante che possano consentire di deciderlo?
Non è che gli editori sono stati lasciati troppo soli? Forse sono stati proprio i critici e gli storici della letteratura (con poche eccezioni, come lo stesso Berardinelli, Matteo Marchesini e Andrea Cortellessa) a non credere più al proprio potere, o addirittura al proprio diritto, di interlocuzione e anche d’interdizione. E gli editori si sono dovuti arrangiare con funzionari editoriali anche onesti, ma privi del necessario background critico-estetico, o con alcuni dei poeti stessi, coinvolti in prima persona nei meccanismi della promozione editoriale.
Ciò che occorre – non per salvare la poesia, ma perché la poesia si salvi da sola e spesso contro sé stessa – è una nuova serie di imprese antologiche e critiche, di un serio confronto sulle radici della nostra poesia, sui motivi del suo discredito, sui vizi storiografici che ci hanno portato a non vederla più anche quando c’è e a non segnalare quando viene pubblicata immeritatamente. Forse stiamo sprecando dei poeti: sicuramente abbiamo sprecato tempo e strumenti. Intellettuali come Giorgio Ficara, Filippo La Porta, Raffaele Manica, Daniela Marcheschi, Massimo Onofri, Silvio Perrella, Massimo Raffaeli e alcuni altri dovrebbero intervenire, oggi, e rifondare in Italia il rapporto fra la poesia, l’editoria e il pubblico.
A cura di Daniela Marcheschi , è in uscita, per Mursia, una antologia di poeti italiani.
io sto cercando di diventare una lettrice di poesia, educandomi da sola … posso condividere?
http://iolapoesia.blogspot.it/
se Berardinelli ha ragione non ci sono antologie che tengano. A meno di immaginare un bell’effetto placebo così una volta messa assieme la task force intellettuale la gente correrà a frotte in libreria…
Tiè, senti ‘ste poete, so’ greche!
Sono d’accordo con Alfonso Berardinelli su tutta la linea.
Quali colombe dal disio chiamate?
No, come gocce d’ignote bufere
alle vetrate della Casa della Poesia
Giancarlo*, premono i molti “scriventi”.
A che mirano? Curarsi di loro o
il brusio di pubblico dal palco reggere
modulandone gli ossequi e le domande?
E chi sono, quanti, perché sì scrivono?
Fratelli, concorrenti, compagni
di strada, pedine per manovre?
Aprirsi benevoli ad essi, reggere
invidia, deliri, valli interiori
mostrare anche l’errore dell’”energia
spostata dal reale”, seguirne lo sciamare
nella notte, e poi, soli, riprendere a scrivere?
(nov. 2006/ lug 2015)
* È Giancarlo Majorino, presidente della Casa della Poesia di Milano (Palazzina Liberty)
P.s.
Sarò un vecchio rimasto ingenuo, ma chiedo: possibile che in queste riflessioni non si valutino tutte le implicazioni della *dimensione di massa* della poesia d’oggi (di sicuro carica di difetti diversi da quelli della tradizionale *dimensione elitaria*); e che i discorsi, ben più dei miei informati, sui meccanismi dell’editoria fatti da Berardinelli e Febbraro si debbano attardare sul numero dei poeti “validi” («una dozzina, magari anche venti, o se proprio si vuole si arriva a trenta»)? O ridursi in fondo – questa mi pare la proposta di Febbraro – a invocare l’intervento provvidenziale dell’Autorità: se non quella di un critico monarca, di un’oligarchia di critici “bravi”.
Ma non vedo chiariti i criteri per distinguere i bravi (poeti e critici).
Ma chi ci dice se i “misteriosi” Marco Visconti, Sebastiano Satta, Mariagloria Sears, ecc. sono stati dimenticati giustamente o ingiustamente? varrebbe la pena di dare una occhiata alle raccolte che questi autori hanno pubblicato su “Lo Specchio” per poter dare un giudizio.
Quanto invece ai poeti in voga ora ho dei forti dubbi su certi nomi che paiono aver acquisito un certo prestigio senza che io riesca a vedere il motivo: Claudio Damiani per esempio.
Dell’ormai Vecchio Poeta mi colpisce l’incostanza – la quasi cedevolezza, direi – e paragonandolo al “Fauno” Massimo Sannelli – Nuovo Poeta nel mio film – mi accorgo in fretta che il tutto deriva dalla sua incapacità di evolvere a nuova specie.