cropped-6a00d83451c45669e2017742cea2a4970d1.pngdi Mauro Piras

[LPLC si prende una pausa estiva; la programmazione ordinaria riprenderà a settembre. Per non lasciare soli i nostri lettori ripubblichiamo alcuni testi usciti nel 2013Questo intervento, pubblicato il 17 novembre 2013, è stato presentato al convegno “Cosa insegnare a scuola”, Candriai (Trento) 17-18 novembre 2012, e in seguito pubblicato, in una versione più lunga, nel volume Cosa insegnare a scuola. Qualche idea sulle discipline umanistiche, a cura di Amedeo Savoia e Claudio Giunta, Editore Provincia Autonoma di Trento IPRASE, Trento 2013. Il volume è disponibile all’indirizzo http://www.iprase.eu/librocosainsegnareascuola].

Propongo qui alcune idee sull’insegnamento della filosofia nei licei. La tesi di fondo è che va abbandonato l’impianto storico della disciplina. Procederò in due passaggi: 1) analizzerò i problemi sollevati dall’insegnamento della “storia” della filosofia; 2) proporrò un nuovo modello di insegnamento non storico, ma non ridotto alla semplice discussione di “problemi”.

1.

Parto da una condizione esterna all’insegnamento della filosofia in senso stretto: l’abbinamento con storia nella maggior parte dei licei (la cattedra di concorso filosofia e storia, A037, per intenderci). Questa è la prima cosa da modificare, con urgenza. La coppia di fatto filosofia e storia non ha nessuna ragione di esistere. Come è noto, gli storici e i filosofi di solito non si amano, et pour cause. Le ricadute negative sulla didattica sono due: la prima è che la storia si insegna male, perché la maggior parte dei docenti della 37 sono laureati in filosofia; la seconda è che l’impostazione storica e storicistica ingloba e impregna l’insegnamento della filosofia.

È questo il problema di fondo, per il nostro argomento. Intanto, chiariamo alcuni termini e alcune situazioni. Noi tutti sappiamo che si insegna la storia della filosofia: si inizia da Talete e si finisce con una qualche terra vaga del Novecento, dove riesce ad arrivare il professore, e secondo le sue preferenze. Il problema però non è solo l’impostazione storica, ma il disegno storicistico che c’è dietro. All’origine, inutile negarlo, c’è la geniale sintesi hegeliana di sistema e storia: la storia del pensiero è sistematica, nel suo sviluppo, perché in essa si manifesta lo spirito. L’architettura di quella teoria permetteva di fare la storia della filosofia come analisi concettuale, con grande rigore argomentativo (dialettico), senza perdersi in dettagli. Il problema, come è ovvio, è che non si può essere così ingenuamente hegeliani. E soprattutto non può esserlo la scuola. Ma in realtà, nel perdurare di questo modello, oltre all’inerzia, ci sono altre ragioni culturali. Intanto, il modello hegeliano ha trovato un erede in quello storicistico diltheyano, e in diverse varianti successive: la storia della filosofia inserita nella storia dello spirito intesa come storia di epoche culturali, di culture ecc. Non importa tanto che, nel dibattito filosofico, questo modello abbia prevalso su quello hegeliano; quello che importa è che è molto più intuitivo e maneggevole. È facile per un docente insegnare le filosofie procedendo per epoche storiche, assumendo che ogni epoca ha la sua teoria. Ed è più facile anche perché non si deve interrogare la tenuta teorica della filosofia che si sta discutendo. Ma così la filosofia in quanto tale viene sempre più svuotata di significato, perché perde valore di conoscenza: la teoria non deve dimostrare che illumina l’esperienza concettualmente, ma diventa testimonianza di un’epoca. Questo ha ricadute disastrose sulle capacità argomentative degli studenti. Intanto, ricordiamo i passaggi successivi.

Ovviamente, non siamo rimasti fermi al modello diltheyano. Nel secondo dopoguerra, si sono affermati altri modelli. In primo luogo quello marxista, concettualmente potente, ma che sminuisce sempre più l’argomentazione rispetto al contesto che la porta, che in questo caso è socio-economico, non culturale (e questo ha rafforzato nelle coscienze l’infausto abbinamento storia-filosofia); a questo modello sono seguite varianti di “sociologia della filosofia” che hanno sempre lo stesso svantaggio di togliere alla filosofia il suo oggetto specifico. Poi, ci sono state tutte le forme di pensiero postmoderno di impianto storico, prima tra tutte la linea Foucault: anche qui, la lettura di ogni epoca in termini di “episteme” (apriori storico) non fa altro che amplificare l’effetto “coscienza storica”, cioè la tendenza a considerare irrilevante il contenuto di verità delle teorie.

Nel complesso, la situazione ora è la seguente. Nessuno difende più di tanto le varianti dello “storicismo”, e molti in fondo affermano soltanto che l’impostazione storica ha un notevole potenziale critico, perché non impone la superiorità di una teoria sulle altre. Quindi la storia della filosofia, dalla maggior parte dei docenti, viene intesa pragmaticamente, per i fini che permette di realizzare: conoscere quello che si è pensato nelle varie epoche; imparare a pensare confrontandosi con questi diversi stili di pensiero; mantenere un certo distacco critico grazie a tali confronti.

Nulla di grave, sembra quindi. Invece ci sono problemi enormi. Anzitutto, il modello storicistico, in qualsiasi variante, tende a prevalere surrettiziamente su qualsiasi interpretazione “solo” storica. Mi spiego: in un modo o nell’altro, il docente e il manuale tendono a sovrapporre una chiave interpretativa generale, che permetta di chiarire perché è giusto passare da un autore all’altro, al di là della pura cronologia. Questa chiave interpretativa può essere lo sviluppo dialettico del concetto, il succedersi delle epoche storiche o delle formazioni economico-sociali, il cambiamento di episteme ecc. In ogni caso si cade in questa roba qui, anche senza volerlo, perché si vuole dare un senso al percorso. Oppure, se davvero non si fa questo, possono succedere solo due cose: o si affonda in una erudizione storico-filosofica pazzesca (oggettivata dalla mole impressionante dei manuali), oppure ci si riduce ad alcuni “medaglioni”, che isolano i grandi pensatori con le loro teorie, piuttosto scollegati tra di loro.

Tutte queste possibilità rendono impossibile l’unico vero fine dello studio della filosofia, cioè apprendere i ferri del mestiere dell’argomentazione e sapere pensare l’esperienza, essendo consapevoli di come l’hanno pensata i classici. Perché lo rendono impossibile? Per varie ragioni. Perché la successione storica delle teorie induce negli studenti un fortissimo effetto “coscienza storica”: ogni teoria è relativa, dipende dall’epoca, non esistono verità in generale ecc. Se si cade nell’erudizione storico-filosofica, cioè se si fa molto programma, è impossibile approfondire il dettaglio tecnico della argomentazioni, e ogni teoria si riduce a formule apprese più o meno a memoria (pensate a cosa vuol dire spiegare Fichte e Schelling in poche ore tra Kant e Hegel: gli studenti possono solo pensare che questi erano dei pazzi). Se ci si riduce ai medaglioni, è possibile entrare meglio nel dettaglio dell’argomentazione; per esempio, puoi passare diverse ore ad analizzare passi chiave delle Meditazioni di Cartesio, mettendo alla prova la teoria. Tuttavia, gli autori restano slegati tra di loro, passando da una teoria all’altra molto spesso si passa da un complesso di problemi a un altro tra loro molto eterogenei, e questo non favorisce una crescita nella disciplina. Questo risultato è molto frequente, negli ultimi tempi, perché i docenti consapevoli evitano sia lo storicismo nelle sue varianti, sia l’erudizione inutile. Ma proprio in questo esito emerge l’assurdità del percorso storico: se in definitiva studio solo alcuni autori e le loro teorie, perché devo farlo in ordine cronologico, ordine che spesso mi costringe a saltare di palo in frasca? E perché devo farlo esponendo di ogni autore più o meno tutti gli aspetti della sua filosofia, trovandomi così a cambiare sempre argomento, in termini teorici?

Per queste ragioni, le capacità argomentative dei ragazzi del liceo sono molto deboli. Se li metti di fronte a un problema filosofico da analizzare e al quale dare una risposta, gli esiti sono questi: o espongono delle banalità deprimenti, che rivelano solo debolmente, nell’uso dei concetti, la formazione filosofica che pure hanno avuto; o ti fanno la carrellata storica delle teorie, che le scalfisce appena dall’alto, senza analizzare il problema né tentare una soluzione. È evidente quindi che è l’impianto storico a non funzionare, e che va buttato via.

2.

Ma che cosa va sostituito all’impianto storico? In primo luogo, sgombriamo il campo da un paio di dibattiti inutili. I dibattiti sono questi: storia della filosofia vs problemi filosofici; continentali (o ermeneutici) vs analitici.

Il primo dibattito suona così: i due modelli tra cui scegliere sono la storia della filosofia o la filosofia fatta per problemi. La filosofia fatta per problemi sarebbe lo studio di alcuni grandi temi in quanto tali: la verità, il tempo, l’azione, il giusto ecc. Non è questa la soluzione, perché in questo caso i “problemi” vengono ipostatizzati e irrigiditi, resi astratti. E in ogni caso, anche questo modello non tiene conto della situazione effettiva della disciplina.

Il secondo dibattito si presenta invece così: o la filosofia appartiene sempre al suo contesto di origine, e allora va interpretata; o la filosofia è una conoscenza razionale, che va fatta sistematicamente, tramite le tecniche dell’analisi filosofica. La prima opzione sarebbe quella ermeneutica, erede di storicismo ecc.; la seconda sarebbe quella della filosofia analitica. Alcune osservazioni sulla irrilevanza di questo secondo dibattito per il nostro tema. Per quanto la separazione tra “non analitici” e “analitici” esista ancora, nei vari ambiti, non è il caso di mantenerla rigidamente. La ricerca progredisce con un dialogo tra le diverse posizioni. Ma quello che mi interessa qui è la didattica. Su questo terreno, non si tratta di prendere posizione per la filosofia analitica, escludendo così molto di quello che dovrebbe essere insegnato. Scegliere una via non storica e non storicistica non vuol dire adottare il modello della filosofia analitica.

Ma allora che cosa bisogna insegnare a scuola, in filosofia? La proposta che faccio è semplice: bisogna insegnare la disciplina così come è costituita. Più precisamente: bisogna insegnare i fondamentali della disciplina, come si possono individuare dal suo stato attuale. Per fisica ed economia, per esempio, a scuola si insegnano i fondamentali della disciplina: i manuali sintetizzano le conoscenza basilari, sulla base dello stato attuale della disciplina. Lo stesso si deve fare con la filosofia. Quindi, il punto di partenza è lo stato attuale della disciplina. Che cosa ci dice quest’ultimo? Ci dice che “La Filosofia”, al singolare, non esiste. Esistono invece delle filosofie: la filosofia della scienza, per esempio; o la filosofia del linguaggio; la filosofia politica; ecc. Chiunque di noi faccia ricerca non dice “studio filosofia” o, peggio, “sono un filosofo”. Dice, per esempio, “studio filosofia politica”; al massimo, se è presuntuoso, dirà “sono un filosofo politico”.

Bene, partiamo da qui, allora. A scuola, sotto la voce generale “filosofia”, si dovrebbero insegnare le seguenti discipline: la logica (dividendola in modo corretto con la matematica); la filosofia della scienza e della conoscenza; l’ontologia e la metafisica; la filosofia della coscienza e della mente; la filosofia morale; la filosofia politica; la filosofia e teoria sociale; estetica; ecc.

Questa lista, ovviamente, è del tutto indicativa. Definire con attenzione quali sono gli ambiti e quanti sono quelli da insegnare a scuola dovrebbe essere un compito della comunità degli studiosi. Questi dovrebbero aprire una discussione per individuare i terreni, se c’è accordo su questo modello, e farne l’elenco completo. Io qui ho messo alcune etichette solo per comodità, per far capire come ci si dovrebbe muovere. E anche perché penso che alcuni di questi campi siano poco contestati.

A questo punto però non abbiamo ancora risolto il nostro problema, cioè insegnare ad argomentare ed evitare le insidie dello storicismo larvato o moribondo. La domanda infatti adesso è: come procedere in ogni ambito? Io penso che la risposta sia la più banale, legata allo stato della disciplina: secondo la natura dell’ambito stesso. Per esempio: in logica è evidente che non si procederà storicamente, ma sistematicamente. Forse anche in filosofia del linguaggio si potrebbe procedere con una parte sistematica, sulla semantica, sugli atti linguistici ecc. In altri ambiti è probabile che si possa procedere anche storicamente, al loro interno. Bisogna vedere.

Qui va chiarito un problema: il rapporto con gli autori classici. Gli autori veramente fondamentali dovrebbero essere trattati, per quanto possibile, durante tutto il triennio, e non solo in un anno, come capita ora a causa del percorso storico. Questo perché, negli ambiti in cui non c’è una struttura codificata e riconosciuta dei concetti fondamentali, i classici sono proprio il deposito di quei concetti fondamentali. Una cosa abbiamo imparato, credo, dallo storicismo e dall’ermeneutica intesi nel modo migliore: nelle discipline umanistiche i saperi fondamentali sono individuati, cioè sono legati a degli autori e a dei testi, non possono esserne separati. Quindi i classici vanno ripresi continuamente, non abbandonati dopo averli fatti una volta. La struttura dell’ambito di riferimento deciderà a che punto va introdotto un autore e in che rapporto sistematico va messo con i problemi teorici.

Mi spiego con un esempio preso dalla filosofia morale, a me più familiare. Due anni fa mi è successo questo: avevo organizzato una discussione pubblica su temi di filosofia politica con un gruppo di studenti del quarto e quinto anno. Per la preparazione, abbiamo fatto un incontro con una nota studiosa di filosofia politica in classe, con gli studenti di entrambe le classi. Eravamo a marzo. A un certo punto, una ragazza molto preparata ha chiesto: “Che cosa significa legge morale?” Era una ragazza del quarto anno; poneva questa domanda perché non aveva ancora studiato Kant; i suoi compagni del quinto anno invece l’avevano già studiato, e conoscevano il concetto di legge morale. Lì ho capito questo: non ha senso fare filosofia morale senza avere studiato, all’inizio del percorso, il concetto kantiano di legge morale. Questo concetto è un punto di riferimento per tutti, e quindi deve essere studiato all’inizio, insieme magari a concetti aristotelici come la distinzione tra agire produttivo e agire pratico, o il sillogismo pratico. Questi, e diversi altri, sono punti di riferimento che servono nella discussione di qualsiasi problema di filosofia pratica e morale. Quindi vanno affrontati fin da subito. Ovviamente, studiandoli prenderò in mano gli autori e i testi che li trattano. Una volta forniti i fondamentali in questa maniera, cioè tutta una serie di concetti di questo genere (es.: anche il concetto di utilità e preferenza, a partire dal pensiero utilitarista), avrò strutturato un campo della disciplina, in cui compaiono le opzioni fondamentali della filosofia morale oggi: il kantismo, l’aristotelismo e l’hegelismo, l’utilitarismo, per citare alcuni esempi. Se ho definito il campo in questa maniera, poi posso andare avanti, con progressive acquisizioni di conoscenza. E forse, allora, va bene anche procedere storicamente. Per esempio, esaminerò i problemi della bioetica o della difesa della natura all’ultimo anno.

Questo era solo un esempio. Mi interessa per fissare alcuni punti: 1) i classici, quelli veramente grandi, vanno studiati sempre, fin dal primo anno, con successive riprese e approfondimenti; 2) la struttura generale deve essere quella degli ambiti, cioè delle “filosofie di…”, definite dalla loro stessa natura; 3) in alcuni ambiti, e in molti passaggi, sarà sempre possibile procedere storicamente, quando serve.

Quali sono i vantaggi per l’apprendimento degli studenti?

Primo, è più facile centrare l’obbiettivo fondamentale dell’insegnamento filosofico, cioè apprendere ad argomentare e a riflettere concettualmente sull’esperienza, avendo consapevolezza del sapere filosofico già esistente. Muovendosi nell’ambito di ogni specifica disciplina filosofica, gli studenti potranno apprendere i concetti fondamentali e analizzare le teorie in funzione del chiarimento dei problemi. Le teorie non si presenteranno solo come “diverse possibilità” tutte sullo stesso piano, ma verranno messe alla prova nella loro capacità di pensare l’esperienza.

Secondo, in ogni ambito gli studenti potranno avere la sensazione di un processo di apprendimento, con progressi di conoscenza, perché non si troveranno confrontati a grandi sistemi, totalizzanti, ma a problemi specifici in ambiti specifici.

Terzo, il loro studio verrà sgravato di una quantità di informazioni di natura storica e contestuale che attualmente appesantiscono inutilmente i corsi e i manuali.

Quarto, temi e problemi della filosofia contemporanea, che attualmente finiscono relegati alla fine del quinto anno, fatti in fretta e approssimativamente, o non fatti per niente, verranno affrontati a tempo debito nell’ambito specifico.

A tutto questo si potrebbe muovere un’obiezione fondamentale: dove va a finire l’unità degli autori? È evidente infatti che se, per esempio, tratto l’eticità di Hegel nell’ambito della filosofia morale e della teoria sociale, e poi la sua dialettica nell’ambito della filosofia della conoscenza, l’unità del pensiero di Hegel rischia di perdersi. Lo stesso si può dire per le parti del pensiero di Platone, Aristotele o Kant. Quest’obiezione è fondata, e si tratta in effetti di un costo da pagare, ma io ritengo che non sia troppo alto. L’idea del carattere unitario della filosofia di un singolo autore forse non è così sana. Se la filosofia ha ancora un valore di conoscenza, è perché riesce a illuminare concettualmente ambiti di esperienza e quindi a fornire un orientamento in essi. La sua ricchezza, oggi, nel confronto con la potenza cognitiva delle scienze, sta nella pluralità delle analisi concettuali, in ogni ambito. La sua pretesa di conoscenza viene invece indebolita, se viene caricata sull’ambizione di trovare i principi generali unificatori della realtà, o anche solo della teoria di un singolo autore. Accentuare questo aspetto unitario significa favorire la percezione delle diverse teorie come sistemi contrapposti, ognuno dei quali non è più vero degli altri, dal momento che non sono falsificabili, perché sono delle totalità. Invece, sui problemi specifici, all’interno di ambiti specifici, è più facile vedere la forza o la debolezza di una soluzione teorica. Una certa perdita dell’unità delle opere dei filosofi non è quindi un problema. Ovviamente, si tratta di fare, in tal senso, una scelta culturale. Ma anche quella di preservare tale unità con l’impostazione storicistica è una scelta culturale, che ha costi molto più alti per lo statuto della filosofia, perché ne mina le pretese di verità.

(Torino, novembre 2012-novembre 2013)

[Immagine:  Simon Raper, Graphing the history of philosophy (gm)

34 thoughts on “Abolire la storia della filosofia

  1. Grazie per il suo articolo, condivido in tutto. Occorre solo decidersi e provare. Putroppo c’era un manuale della B.Mondadori che intendeva procedere come lei indica.Aveva i suoi limiti ma almeno consentiva di provare. Era stato adottato nel mio liceo poi è rimasto senza mercato ed ed è stato ritirato. Se conosce esperienze sul campo la prego di indicaremele. Grazie

  2. Ritornando su questo articolo, che anch’io condivido, mi chiedo una cosa banale: ma alla fine quanta libertà concreta ha un docente di far insegnare la sua materia con un metodo didattico anche molto slegato dalle “indicazioni nazionali”? Per la cronaca mi risulta che per la materia di filosofia le ultime indicazioni siano quelle risalenti al 2010, ovvero queste:

    http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/licei2010///FILOSOFIA_prof.unico.pdf

    Ad esempio, oggi cosa vieta a un docente di compiere nella classe terza e quarta un percorso totalmente diverso da quello prescritto dalle indicazioni (ad esempio, come afferma l’articolo, ogni anno si affrontano alcune divisioni particolari della filosofia come filosofia del linguaggio, logica, metafisica e così via…)? Forse studenti che provengono da altre classi e scuole e che arrivano in quarta di liceo in una classe con quel docente di filosofia potrebbero non avere chiara l’etica di Kant perché non hanno studiato in terza del liceo la concezione metafisica di quello stesso filosofo?

    Poi la cosa paradossale è che in filosofia le stesse indicazioni del 2010 prevedono per l’anno finale del triennio che il docente abbia una molto più grande possibilità di scelta rispetto ai due anni precedenti tra quali filosofi o temi trattare e quali no (la scelta è tra “almeno tre autori o problemi della filosofia del Novecento, indicativi di ambiti concettuali diversi” scelti tra una rosa di dodici possibilità) e si tratta dell’anno degli esami di maturità e dunque in cui il contenuto delle materie nelle varie scuole dovrebbe essere più omogeneo a scala nazionale.

    Ho quindi l’impressione che questa possibilità da parte del docente di avere una libertà di metodo didattico sia già adesso in parte possibile e pare che non abbia conseguenze così negative. Non so se qualche docente può darmi qualche chiarimento al riguardo sulle questioni che ho sollevato.

  3. Proposta molto interessante, Mauro, difficile forse da mettere in pratica, se non individualmente, in quanto temo che la maggior parte degli insegnanti preferisca seguire la scia storicistica che permette di non doversi reinventare tutta la didattica. Nel campo dell’insegnamento della letteratura si sono invece effettivamente esperimentati approcci tra loro molto diversi, abbandonando Croce da lungo tempo. Ma si tratta di materia circondata da un’aura meno sacrale… :-)

  4. @ giorgio kurschinski

    In effetti è vero che nella scuola italiana spesso il nuovo spaventa in quanto nuovo, non sapevo però che si fossero sperimentate strade nuove nella didattica di letteratura delle scuole italiane. Davvero ci sono state di recente didattiche che hanno eliminato lo storicismo (peraltro incentrato quasi solo su autori italiani) con gli autori in “fila indiana” che quindi inizia da Francesco d’Assisi e finisce con Montale o giù di lì? Qualcosa come una didattica divisa per stili del tipo “il terzo anno facciamo poesia, il quarto anno opere teatrali, il quinto anno romanzi e racconti?” Oppure una didattica per temi come “il rapporto tra amore e morte”, “il paese natale”, “il confronto con il diverso” “Il legame genitori-figli”, “Il tempo e la memoria” (qualcosa del genere a volte si fa anche nel biennio). Mi sapresti segnalare qualche dettaglio su innovazioni di questo tipo compiute di recente nella scuola? Mi interesserebbe anche sapere di qualche antologia strutturata in base a queste didattiche.

  5. Caro Mauro, non parlavo tanto di letteratura italiana ma piuttosto di letterature in senso lato. L’approccio per generi (in voga da almeno oltre 20 anni) non è comunque suddiviso per anni ma rispetta anche la successione cronologica, nel senso che, ad es. del Settecento si studia la letteratura della stessa epoca, dividendola per generi: prima il teatro, poi la prosa e infine la lirica (ritenendo che all’interno dei generi ci sia una dialettica tra i vari autori, non considerati singole monadi a sé stanti). Debbo però comunicarti che, attualmente, dopo decenni di rifiuto dello storicismo e concrete derive strutturaliste (da noi recepite, come al solito, con 10, 20 anni in ritardo) si è ora tornati ad un approccio nuovamente e sostanzialmente storicista, seppur dialetticamente cresciuto e quindi più consapevole. Un lato non troppo biasimevole della riforma Gelmini (vera riforma rispetto alla buona scuola, in quanto ha toccato i programmi e non solo i rapporti gerarchici e la progressione di “carriera”) è ad esempio il fatto di aver dato indicazione nei licei, di insegnare non solo la lingua e la letteratura ma la lingua e la cultura in senso lato: compreso quindi il cinema, l’arte, ecc.) . Da insegnante sicuramente più a sinistra del neoliberista Renzi è sicuramente per me un po’ imbarazzante esprimere queste opinioni sulla Gelmini, ma devo ammettere che, dal punto di vista dell’insegnamento delle lingue e culture straniere, la sua riforma non è stata male. Ovvio che l’attuale linguistico (vera conquista sociale, in quanto prima esistevano solo le sperimentazioni e si poteveno fregiare del nome di “liceo linguistico” solo le scuole private), rispetto alla sperimentazione Brocca, offre una formazione complessivamente più debole, avendo soprattutto ridotto le ore di filosofia e di scienze, ma ha potenziato quelle dell’apprendimento delle lingue (tutte e tre apprese per 5 anni!). Del resto si debbono fare delle scelte per evitare un monte ore settimanale di 40 ore! Schwierige Fragen…

  6. “È evidente quindi che è l’impianto storico a non funzionare, e che va buttato via.”
    Credo piuttosto che vada buttato via questo articolo.
    La filosofia non è una scienza, in cui la storia delle scoperte o dei teoremi è ininfluente per la loro validità, ma una disciplina umanistica in cui i periodi storici si sommano ai precedenti e dialogano con essi.

  7. @ gabrielefratini

    sono d’accordo con lei che “La filosofia non è una scienza, in cui la storia delle scoperte o dei teoremi è ininfluente per la loro validità, ma una disciplina umanistica in cui i periodi storici si sommano ai precedenti e dialogano con essi” solo che da questo non si deduce affatto che la prima lezione di filosofia al primo anno di scuole superiori debba iniziare per forza con i presocratici e l’ultima lezione dell’ultimo anno debba finire per forza con filosofi di fine Novecento come Heidegger o Habermas. Infatti se lei legge bene Piras cita più volte nel suo articolo che filosofi di epoche passate come Platone, Aristotele, Kant ed Hegel devono continuare a essere presenti nella didattica.

    In effetti più che buttare l’ “impianto storico” bisognerebbe parlare di buttare l’ “impianto cronologico” che parte dal prima per proseguire con il poi. Solo se si sostiene una qualche forma di storicismo ha senso pretendere che l’ordine logico in cui si insegna la materia di filosofia debba coincidere con l’ordine cronologico in cui si sono succeduti i vari filosofi (tra parentesi faccio notare che perfino in storia come scienza del passato umano tale idea dell’ordinamento cronologico come sola modalità per comprendere ogni aspetto delle civiltà è stata abbandonata da parecchio tempo, cito solo gli studi di Marc Bloch, Ferdinand Braudel e Jared Diamond per rendersi conto di ciò).

    Comunque, certo è bene tener conto del legame di una teoria filosofica con il contesto storico in cui è sorta, ma non fino al punto che tale teoria finisca per essere considerata del tutto priva di valore e utilità allo scopo di affrontare i problemi filosofici del giorno d’oggi. Oggi non si potrà più usare Aristotele per legittimare la schiavitù ma la sua filosofia politica potrà essere ancora utile per riflettere sui problemi di filosofia politica di oggi se bene attualizzata.

  8. Michele non prendiamoci in giro, sono laureato in filosofia, bellissimo, interessantissima, ma assolutamente la laurea più inutile che esista nel mondo del lavoro. Dal punto di vista pratico la filosofia non serve a niente; se togli la storia della stessa rimane veramente poco. Tuttavia è stata la somma scienza per secoli e pertanto va studiata per capire il mondo passato, in cui realmente contava qualcosa. Senza lo studio storico della filosofia non si capisce l’evoluzione delle idee, della letteratura, dell’arte occidentale (già si fatica a comprendere senza lo studio della Bibbia ad es., e delle religioni, se si toglie anche la filosofia gli studi storici saranno monchi per sempre). Un saluto.

  9. @ gabrielefratini

    tralascio il discorso sulla filosofia utile o inutile, dico solo che se lei pensa che l’indagine filosofica non serva nell’affrontare problemi bioetici su inizio e fine vita, oppure sulla legittimità di un intervento armato per prevenire il terrorismo oppure sulla questione se un’opera letteraria o cinematografica è pornografica o blasfema oppure un’opera d’arte allora ho l’impressione che lei toglie alla filosofia un valore che io non reputo affatto così marginale.

    Per il resto vedo che lei ignora il mio commento e continua a confondere storia della filosofia con ordine cronologico (e non mi dilungo su quanto poco scientifico è quell’ordine, basti pensare all’assenza del pensiero orientale mentre la nostra società sempre più multiculturale), ordine, come ho già detto, abbandonato da tempo anche nello studio della storia generale della civiltà umana. Se si è distratto, rilegga il mio commento di prima, altro non ho da aggiungere.

  10. Robetta, l’utilità della filosofia oggi è robetta in confronto al passato. A parte forse la bioetica. Per il resto la filosofia non “sposta”, come invece spostava e determinava in passato.
    La storia è l’ordine cronologico, più o meno.

  11. Ragazzi, il dibattito, forse a causa del clima estivo, sta prendendo una piega piuttosto superficiale e, a causa della stringatezza delle argomentazioni, un carattere decisamente poco filosofico, comunque vagamente in linea con il titolo provocatoriamente semplicista dell’articolo di Mauro!

  12. … in estrema sintesi: si tratta di importare alle superiori l’impostazione universitaria? Al Tasso la mia docente di filosofia lo faceva già negli anni ’80.
    @gabrielefratini
    Robetta? Lei sa chi è Judith Butler?

  13. Cari amici,
    vi chiedo scusa, ma trovo solo ora il tempo per rispondere ai vostri commenti. Però, come si dice “meglio tardi…” :)

    Cara Simonetta Pozzoli,
    grazie per l’apprezzamento. I manuali sono il problema più grosso; ho visto impostati in questo modo solo dei manuali americani, mostratimi da un mio collega. Io ho cercato di sperimentare un metodo simile all’ultimo anno, anche se in modo piuttosto approssimativo; un mio amico a Pisa sta cercando di fare qualcosa di più strutturato. Non so di altre esperienze.

    Caro Michele,
    hai ragione, le Indicazioni nazionali lasciano abbastanza libertà per sperimentare. L’ostacolo più grosso non sono le Indicazioni, ma, come scrivevo sopra, i manuali: gli studenti hanno in mano dei manuali impostati secondo il percorso storico classico (tra l’altro, manuali spesso di notevole pregio), e se li fai saltare qua e là sono disorientati. L’altro problema è l’esame di maturità: se ci sono commissari esterni, possono essere a disagio con il programma impostato in questo modo, e questo genera problemi per gli studenti.

    Caro Giorgio,
    grazie per l’apprezzamento. In effetti, per il momento si può procedere solo per tentativi individuali. Non sarebbe male però se i filosofi, dell’università e della scuola, iniziassero a discutere di un modello alternativo. Quanto alla letteratura, intuisco che si facciano cose diverse molto interessanti, ma forse solo in quelle straniere, non tanto nella letteratura italiana, dove il percorso storico è dominante nel triennio. La tua risposta a Michele (non a me, come hai erroneamente scritto) lo conferma. In ogni caso una critica a un impianto storicista troppo forte secondo me non dovrebbe portare a derive strutturaliste o simili, che sono anche peggio.

    Caro Gabriele Fratini,
    la frase da lei citata, come il titolo del pezzo, è sicuramente esagerata: una provocazione per tenere alta l’attenzione, chiedo venia. Il suo punto di vista, per cui la filosofia è inutile e va studiata come archeologia, ha una perfetta dignità: molti pensano che la filosofia non abbia nulla da dirci; in tal caso, ha senso solo studiarne la storia, per capire il percorso che ci ha portato alle scienze, forme moderne della conoscenza. Io non condivido questo punto di vista: la filosofia ha ancora un suo valore di verità, in diversi ambiti (non in tutti quelli che ha trattato storicamente), e per questa ragione non vorrei ridurne lo studio a pura archeologia. Tuttavia, a commento del dibattito tra lei e Michele dr: il problema non è l'”utilità”, ma il valore di conoscenza, è una cosa diversa. Cioè si tratta di vedere se le teorie filosofiche, in qualche campo, ci aiutano a comprendere meglio la realtà. Io penso di sì. Se si pensa che non ci aiutino in alcun modo, tuttavia, io credo che diventi problematico anche promuoverne lo studio storico: che interesse dovrei avere nello studiare delle teorie del passato che ritengo del tutto incapaci di illuminare l’esperienza? Io non credo che si esca da questa contraddizione. Anche chi propone uno studio storico, in fondo, pensa che le teorie del passato abbiano qualcosa da dirci. Ma allora bisogna evitare di ridurle a semplice testimonianza.

    Caro Mario,
    non è necessariamente l’impostazione universitaria, anche se una maggiore coerenza tra il liceo e l’università non farebbe male. Lei è stato fortunato, al liceo, ma ben pochi lo sono.

    Una considerazione finale, anche in rapporto al vivace dibattito suscitato da questo pezzo alla sua prima pubblicazione (si guardino i commenti a quella data, 17 novembre 2013).
    Per capire quello che propongo qui non bisogna guardare alla filosofia analitica, come molti hanno fatto, pensando che io ne proponga il primato. Bisogna invece meditare con attenzione due libri: “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” di Nietzsche, e “Verità e metodo” di Gadamer.

  14. Bravo Mauro. Due libri da meditare davvero quelli che hai indicato. Non solo per i filosofi. Personalmente trovo che siano letture utilissime anche per gli insegnanti di letteratura.
    Una volta Eco ha osservato, non ricordo più dove, che prima o poi nella vita di ciascun intellettuale arriva il momento in cui si sente che tutta la propria cultura storica non è altro che / rischia di diventare pura archeologia e testimonianza, se non è vivificata dalla “vita” (virgolette non di presa di distanza da un termine generico e imbarazzante, ma citazionali: “storia” e “vita” nel lessico nietzscheiano).

    Potremmo scoprire, alla fine della fiera, che la tanta “storia della” delle nostre secondarie superiori è un pregio italiano da salvaguardare, ma che le domande che dobbiamo fare a quella storia sono molto diverse da quelle fatte fin qui (quali, queste domande? Passons, se no mi vien fuori un post chilometrico).
    Gadamer, poi, e l’ermeneutica, ci aiutano a focalizzare l’attenzione sul rapporto dialettico tra presente e passato, tra lettore e testo (e storia), a rendere quel rapporto più dinamico e vivo. Gadamer, peraltro, secondo il mio modesto parere, è anche un utile contravveleno a certe insofferenze semplicistiche per la “storia della” (o, impropriamente, storicismo), che, per non sopportare la dimensione mediata e complessa della storia, vorrebbero buttare tutto in fichissime neoconfigurazioni didattiche garantite da qualche ritrovato metodologico o in immediatezza e psicologica (perché, ad esser sinceri, se l’immediatezza psicologica è l’unico criterio, mi domando perché dovrei fare Leopardi e non piuttosto far vedere in classe una recente pubblicità di non ricordo che marchio, in cui si racconta con ritmo frenetico e sovreccitato di come la gioia di vivere rinasca nonostante tutto dalle sue stesse ceneri. Che è Leopardi: per quanto la ragione umana possa trovare ragioni di completa disillusione e scoramento, la natura è sempre più grande e il piacere rinasce inaspettatamente, contro ogni evidenza ragionevole. Sfido io a dire che il linguaggio di quella pagina dello Zibaldone sia più immediato ed efficace di quella pubblicità…)

  15. Scusate, è l’ora tarda… ho lasciato monca una citazione. Il ragionamento di Eco si concludeva con la constatazione che quegli intellettuali si ritrovano a dare ragione al Nietzsche dell’Utilità e il danno della storia per la vita…

  16. Gentile Michele Dr,
    non ho bisogno dei suoi suggerimenti, conosco la storiografia dell’ultimo secolo non si preoccupi, ma questo non mi impedisce di credere e sostenere che la storia è più o meno l’ordine cronologico dei fatti.
    Impari a rispettare le idee degli altri se vuole avere un dialogo.

  17. …dei fatti… o delle idee, nel caso della storia della filosofia, ovviamente.

  18. A Gabriele Fratini:

    sinceramente mi sembra che io abbia rispettato le sue idee, non ho usato un linguaggio offensivo o irridente nei suoi confronti. Ho detto solamente che affermare “La storia è l’ordine cronologico, più o meno” in modo apodittico, come se fosse una verità autoevidente e universale, senza aggiungere neppure “dal mio punto di vista” è di fatto ignorare più di un secolo di storiografia, e a un esame universitario di storia della storiografia e di metodo storico uno studente che afferma questa frase da sola secondo me verrebbe cacciato a pedate.

    Poi io peraltro mi chiedo: cosa vuol dire ordine cronologico? ordine cronologico fatto in che modo? Considerando gli eventi del mondo umano o le idee dei pensatori come entità che nel tempo sono puntiformi in un singolo momento (per esempio, il concetto di giustizia nel dialogo “Eutrifone” di Platone, distinto dagli altri dialoghi) o che sono lineari e si distendono in un lungo periodo (il concetto di giustizia in tutto Platone, o in tutti i filosofi antichi…) ? Analogamente se consideriamo un certo momento più o meno lungo della storia, consideriamo solo un soggetto per volta (presocratici, sofisti, Socrate, Platone…) oppure le relazioni in quel periodo tra i vari soggetti fra loro contemporanei (I sofisti dunque affrontati non una alla volta, ma in relazione tra di loro e con il dibattito con Socrate…) ? E poi in base a quale criterio si salta da un filosofo all’altro o da un movimento filosofico all’altro? E con quale criterio si decide cosa mettere dentro e cosa no? Si pensi solo alla praticamente totale assenza nei programmi e nei manuali di almeno un minimo cenno alle tradizioni filosofiche orientali, (dalle Upanishad esaltate da Schopenhauer a Buddha e Laozi) che solo personalità ignoranti o piene di pregiudizi etnocentrici possono negare che si tratti di esperienze autentiche di pensiero. Insomma, dire “ordine cronologico” è dire tutto e niente, specie se si danno come conseguenze ovvie di tale “ordine cronologico” delle scelte di realizzarlo che sono in realtà del tutto arbitrarie e da giustificare. Le chiedo un’ultima domanda: dove ha studiato filosofia? Mi stupisco della sua superficialità nel dare risposte a problematiche come questa.

  19. Gentile Michele Dr
    Ovviamente non sarei (e non ero) così fesso da dire una frase del genere a un esame universitario. Agli esami si dice ciò che i professori vogliono sentirsi dire. La libertà di pensiero si esercita altrove.
    All’altra sua domanda offensiva non rispondo giacché non si esprime in modo rispettoso verso l’interlocutore.
    Buone cose.

  20. Gentile Gabriele Fratini,

    Ma dove lei trova la “offensiva” e “irrispettosa” la mia domanda “dove ha studiato filosofia?” seguita dalla frase “Mi stupisco della sua superficialità nel dare risposte a problematiche come questa” (che è una banale constatazione, dato che finora non ho visto portare da lei nessuna argomentazione alla tesi “la storia è l’ordine cronologico”)?

    Comunque la sua affermazione “Agli esami si dice ciò che i professori vogliono sentirsi dire. La libertà di pensiero si esercita altrove.” penso che sia molto eloquente sulla situazione di almeno una parte dell’università italiana. Altro non ho voglia di dire.

  21. @Piras

    «Mi interessa per fissare alcuni punti: 1) i classici, quelli veramente grandi, vanno studiati sempre, fin dal primo anno, con successive riprese e approfondimenti; 2) la struttura generale deve essere quella degli ambiti, cioè delle “filosofie di…”, definite dalla loro stessa natura; 3) in alcuni ambiti, e in molti passaggi, sarà sempre possibile procedere storicamente, quando serve».

    Problemi gravi:
    1] Chi definisce il concetto di «classico», se non lo storico? La tendenza attuale, accanto alla frammentazione (o «specializzazione») della filosofia, è il tentativo di introdurre interessanti «contro»-storie della filosofia (cfr. Onfray in Francia). Chi avrà il diritto di dire, nelle varie frammentazioni interpretative, che l’etica di Epicuro non sia un classico, a differenza dell’etica di Platone? O che l’ontologia di Parmenide sia un classico (…), a differenza dell’ontologia di Anselmo d’Aosta?
    2] Chi definisce l’«ambito», se non lo storico? Perché non introdurre una filosofia della cucina, o una filosofia della letteratura, o una filosofia dell’ottica, o una filosofia dei mass-media, o una filosofia della sanzione (scendendo ad ambiti progressivamente sempre più specialistici). Perché la «politica» dovrebbe avere maggiore dignità didattica che il «diritto»? Perché la categoria della filosofia del «diritto» dovrebbe avere una dignità maggiore che la categoria della filosofia della «sanzione»? Nelle università si è “risolta” la questione affiancando alla filosofia due accostamenti metodologici: storico (storia della filosofia del «diritto») e teoretico (teoria [generale) del «diritto»). Gli stessi settori specialistici devono avere una loro storia: storia della logica, storia della filosofia del linguaggio, storia dell’etica.
    3] Si dovrà sempre avanzare storicamente, con uno storicismo (metodologico) rinnovato, se non desideriamo creare una disciplina iper-specialistica inutile. Da tenere distintissimi metodologia (storicismo) e accostamento fattivo alla disciplina (“storismo”). Pure se depurato da uno storicismo ingenuo, la storia della filosofia dovrà rimanere «storia» della filosofia. La filosofia della storia influenza la storia della filosofia: la storia della filosofia (non altro).

    Giovanni Vailati, a fine Ottocento, in merito alla tendenza a tenere distinte filosofia e scienza nei Licei, sosteneva che tale distinzione era causa ed effetto di un’unica situazione: filosofi ignoranti di scienza, e scienziati digiuni di filosofia. La storia della filosofia ci sostiene nel ricollocare falsi-dilemmi, questioni datate: storia e filosofia sono vittime di storici ignoranti di filosofia o di filosofi digiuni di storia. La soluzione? Disciplinare lo storico della filosofia, aldilà di metodologie storicistiche ottocentesche, ad essere buon storico e buon filosofo (con im materiali umani che abbiamo, scarsamente motivati e aggiornati, la vedo dura). L’abolizione della storia della filosofia, spauracchio neo-idealista, è un controsenso come lo sarebbe l’abolizione della storia della scienza. Piuttosto aboliamo, cioè mandiamo a casa, i docenti che siano, a causa di disinformazione o scarso aggiornamento, legati a concezioni di metodologia storicistica ottocentesca della storia della filosofia (dibattiti esauriti a fine Ottocento).

    «Per fisica ed economia, per esempio, a scuola si insegnano i fondamentali della disciplina: i manuali sintetizzano le conoscenza basilari, sulla base dello stato attuale della disciplina». Questo nei manuali anacronistici, dove non c’è una contestualizzazione (da sostituire a «storicizzazione») della materia. Se l’«utilità marginale» non è spiegata, a tenaglia, tra Smith e Keynes, rimane nozione vuota, e inutile, dimenticata in tre giorni.

    Distinguerei, infine, pragmatisticamente, tra «storia» e «contesto»: non è necessario, ed errato storicamente, fare iniziare la storia della filosofia con Talete. Però, se si studia Talete, come «oggetto» di storiografia filosofica, dobbiamo conoscere e introdurre Mileto, e la storia dei Persiani («contesto»).

    Già la iper-«specializzazione» universitaria è un danno tremendo, e sforna somari “esperti” di mezzi ambiti. Perché “universitare” anche i Licei? Attenzione al rischio di abbandonare la via di uno storicismo metodologico rinnovato e di incamminarsi verso una metodologia “attualistica” della didattica storico/filosofica.

    @Gabriele
    La storia non è cronologia. La storia evenemenziale è cronologia. La storia evemenenziale è un mero elemento della storia (che, fortunatamente, sulla scia della fisica, ha metabolizzato il cd. effetto feedback, la teoria dei campi, il bagaglio delle scienze sociali). Dove sta scritto, inoltre, che «la storia delle scoperte o dei teoremi è ininfluente per la loro validità»? Direi che, stando nell’anacronistica (sufficit), Feyerabend, Lakatos e Khun, con l’intera new epistemology (non oso citare Morin e Maturana) ci hanno, fortunatamente, dimostrato l’esatto contrario. La teoria dell’errore, in fisica e matematica, è un forte indice del contrario.

  22. @ Ivan Pozzoni:

    prima che rispondi Mauro Piras, mi sembra che tu abbia preso troppo alla lettera il titolo dell’articolo: per “Abolire la storia della filosofia” Piras intendeva appunto solo la “successione cronologica di autori dal prima al poi” (la cui unica possibile motivazione è lo storicismo, ovvero che la successione cronologica delle idee filosofiche ha una logica chiara, storicismo che oggi quasi nessuno sostiene più). D’accordo quindi che “Pure se depurato da uno storicismo ingenuo, la storia della filosofia dovrà rimanere «storia» della filosofia” a patto quindi che la prima lezione non debba per forza parlare di Talete o Parmenide e l’ultima lezione di Heidegger o Wittgenstein.

    D’accordo anche con l’evitare l’iperspecializzazione, anche se secondo me mi sembra che ambiti come filosofia politica, etica, gnoseologia e simili siano in modo pacifico ritenute dalla maggioranza degli studiosi meno “specialistiche” della filosofia dei mass-media e simili. Ricordiamoci comunque che parliamo di filosofia per i licei e dunque ha senso trattare gli aspetti più importanti della disciplina su cui discutono la maggioranza degli studiosi.

  23. @Michele

    No, Michele. Qui sta la fallacia dell’apprezzatissimo discorso di Piras. L’«a patto quindi che la prima lezione non debba per forza parlare di Talete o Parmenide e l’ultima lezione di Heidegger o Wittgenstein» non funziona, perché, ad esempio, la comprensione della rivoluzione industriale presuppone l’acquisizione delle Guerre Persiane (esempio stupido), o la comprensione del Sacro romano impero presuppone la comprensione dell’Impero romano (esempio meno stupido). Gli autori del tardo-antico sono compresi molto meglio (se non imprescindibilmente) alla luce degli autori dell’antichità, e non (o meno giustificatamente), viceversa.

    Questo non ha come condizione l’accettazione di uno storicismo metodologico, cioè una filosofia della storia che dichiari il necessario «progresso» delle conclusioni successive sulle conclusioni antecedenti. Non confondiamo filosofia della storia e storia della filosofia.

    Io manterrei nei Licei una storia della filosofia, non suddivisa in categorizzazioni iper-«specializzate» e arbitrarie, fondata su uno storicismo rinnovato (cioè sul rifiuto assoluto dell’idea di «dialettica», di matrice idealista o neo-idealista, o di «progresso», di matrice positivistica o neo-illuminista), basato sugli esiti delle new epistemology, del neo-pragmatismo e della teoria della complessità. E ci aggiungerei, inoltre, lo studio della storia della scienza. Lascerei le categorie, i settori, le «specializzazioni» all’Università.

    Quindi Talete che, come sa chiunque abbia un minimo di dimestichezza con temi di storiografia filosofica, non è il «primo filosofo», dovrà essere studiato cronologicamente prima di Wittgenstein, perché il contesto delle (pre)Guerre Persiane è condicio sine qua non di comprensione della filosofia greca, perché il contesto della Grande Guerra è condicio sine qua non di comprensione del Wiener Kreis, e perché le Guerre Persiane, alla lontanissima, sono condicio sine qua non di comprensione della Grande Guerra. Motivare il viceversa mi appare molto complesso.

    Dovremmo, tuttavia, avere, docenti italiani di storia della filosofia dotati di solide conoscenze storiche e filosofiche e docenti italiani di matematica/fisica/biologia dotati di solide competenze storiche e scientifiche. Quanti docenti italiani (soprattutto in scienza) hanno queste competenze: il 2%?!

    Aboliamo – come è stato fatto dalle menti illuminate (e non è stato fatto dal 98% dei docenti italiani, che di illuminato non sembrano avere niente)- la metodologia storicista in storia, storia della filosofia, storia delle scienze (storia del diritto italiano, storia della cucina, storia della letteratura, etc…): non aboliamo, dai Licei, la storia della filosofia. Introduciamo, invece, anche la storia delle scienze.

    Più storia, meno storicismo (non darei come sconfitto, come sostiene Lei, nella massa anonima dei docenti italiani, l’impianto storicistico della riforma Gentile: non sono tanti i docenti italiani ad aggiornarsi seriamente, o a saper sostenere un discorso di metodologia storiografica o di filosofia della storia).

    Non è semplicissimo identificare la «maggioranza» degli studiosi, in un momento storico, come il tardo-moderno, che vede la totale frammentazione o fusione (ermeneutica/analitica) delle scuole storiche. A chi il compito? Quis custodiet ipsos custodes?

    Grazie dell’attenzione e della risposta, molto apprezzata.

  24. Ho seguito con attenzione il dibattito sollecitato dall’intervento di Piras e dalla replica di Pozzoni. E penso che le loro posizioni rappresentino abbastanza bene due interessanti polarità didattiche, metodologiche e, ovviamente, teoretiche, tali da implicare, credo, (produttive) divergenze su aspetti fondamentali circa l’ubi consistam ‘fondamentale’ della pratica e disiciplina di pensiero che concordemente continuiamo a chiamare ‘filosofia’.
    Lasciando quindi sullo sfondo questo interessante livello di divergenza, mi limito ad alcune considerazione (relativamente) a latere e molto legate alla pratica dell’insegnamento: alla metodologia didattica che, per essere efficace (i.e. motivante l’apprendimento) , dovrebbe tener conto del suo interlocutore: un adolescente sostanzialmente disabituato al pensiero critico, alla capacità di tenuta attentiva, al gusto dell’interrogare/rsi, in ciò ‘supportato’ non solo da un assetto socio-culturale s-pensierato (privo di pensiero, se non quello povero di una razionalità calcolistisico-utilitaristico-consumeistica); ma anche da una scuola superiore ove gli operatori strategici (docenti) sono in larga misura privi di essenziali conoscenze e competenze comunicativo-relazionali, a causa certo di una strutturale latitanza dello Stato, ma anche da una concezione autoriferita del loro sapere disciplinare – così che la disciplina precede la comunicazione, trasformandosi in trasmissione in-sensata per i riceventi (studenti, allievi).
    Di qui tre considerazioni metodologico-didattiche:
    1. la sensatezza della filosofia come particolare pratica di pensiero critico non può non prevedere una precedenza metodologica di un accostamento analitico-problematico, ovvero di una evidenziazione del carattere eminentemente interrogante : de-banalizzante e complessificante del ragionare filosofico.
    2. ciò implica la capacità di accogliere una transitoria de-contestualizzazione storica della domanda filosofica (ti esti’) in pro’ di una sua intelligente, ben strutturata attualizzaizione: in breve, occorre agire socraticamente nell’oggi, ove l’oggi è l’orizzonte di non-senso in cui opera e vive la mente adolescente.
    3. solo dopo una stabile acquisizione – ottenuta attraverso diverse attualizzazioni di”quaestiones’ – sarà possibile, seguendo non pochi suggerimenti di Pozzoni operare contestualmente – ovvero nella prospettiva imprescindibile della dimensione storica in forza della quale è possibile evitare secche essenzialiste, balbettamenti di una cattiva metafisica, o schiacciamenti su ‘attualità’ o attualismi arbitrari ed estetizzanti.
    Ovviamente, quanto qui detto richiede a sua volta più forti ‘giustificazioni’ – però indicibili nel ‘contesto’ iper-moderno della comunicazione via mail.
    grazie a tutti

  25. @ Ivano

    La ringrazio sinceramente dell’attenzione destinata alle mie risposte e dell’alto livello di interlocuzione mostrato dagli utenti di Le parole e le cose.

    Noto un contro-senso, nella concretezza della sua proposta:
    1] destinatario: «un adolescente sostanzialmente disabituato al pensiero critico, alla capacità di tenuta attentiva, al gusto dell’interrogare/rsi, in ciò ‘supportato’ non solo da un assetto socio-culturale s-pensierato (privo di pensiero, se non quello povero di una razionalità calcolistisico-utilitaristico-consumeistica)» [approvo]
    2] filosofia: «ciò implica la capacità di accogliere una transitoria de-contestualizzazione storica della domanda filosofica (ti esti’) in pro’ di una sua intelligente, ben strutturata attualizzaizione: in breve, occorre agire socraticamente nell’oggi, ove l’oggi è l’orizzonte di non-senso in cui opera e vive la mente adolescente» [approvo].

    Prima di tutto, teoreticamente, 1] se desideriamo avere – ed è un’asserzione correttissima- una de-«contestualizzazione», dobbiamo presupporle una «contestualizzazione». Poi, didatticamente, 2] su ragazzi del Liceo che, nel 2015, hanno competenze pari ai loro colleghi delle elementari di fine Ottocento, trovo indicata una didattica “sostenuta” dalla storia (un raccontare loro «storie»), con una storia che faccia sostegno alla teoretica.

    Didatticamente è dimostrato, sin dalla fine dell’Ottocento, che ogni materia scolastica, se studiata “storicamente”, attrae maggiore curiosità e attenzione, aiuta a «contestualizzare», a creare basi di riferimento. Prima, ai nostri scolaretti del Liceo elementare, diamo una «bussola», e successivamente, nelle Università, abbandoniamoli alla navigazione (come succede in Italia). Adesso i ragazzi delle elementari/Liceo, senza competenze, lontanissimi dall’avere sviluppato un’attitudine alla teoresi, senza «bussola», naufragano beati in Università che si crogiolano nell’approccio settoriale, iper-specialistico, alle varie aree del sapere. Con i risultati disastrosi che tutti riusciamo a vedere (e dei quali, molti di noi, sono stati vittima innocente).

  26. Condivido a pieno la tesi dell’articolo, pur riconoscendo la validità delle problematiche sollevate da Pozzoni, problematiche che, tuttavia, dovrebbero costituire punto di partenza per integrare la proposta di Piras, che in ogni caso si muove in quella che secondo me è, a tutti gli effetti, la giusta direzione. Studio filosofia e il motivo per cui amo la mia materia è la sostanziale (e meravigliosa) scoperta, fatta in sede universitaria, per cui con “filosofia” si intende qualcosa che non ha nulla (ma davvero nulla) a che vedere con l’insensata carrellata di nomi e teorie che mi era stata presentata al liceo.
    Quando leggo commenti come quello di @gabrielefantini mi dispiaccio, perché sono l’emblema del fallimento del metodo storicistico condannato dal presente articolo. Continuiamo con questo sistema e ecco, avremo tanti @gabrielefantini che riterranno del tutto “inutile” (altra archeologia?) la filosofia e che evidentemente non ne coglieranno mai le potenzialità. Pensare è una cosa complessa, e la filosofia insegna a pensare con un metodo finora insuperato.
    Complimenti ancora a Mauro Piras.

  27. @ Ivan Pozzoni,

    solo due appunti, in quanto ha più senso aspettare le risposte di Piras al tuo parere:

    1) ” la comprensione della rivoluzione industriale presuppone l’acquisizione delle Guerre Persiane (esempio stupido), o la comprensione del Sacro romano impero presuppone la comprensione dell’Impero romano (esempio meno stupido)”: questa mi pare una descrizione perfetta dello storicismo nella sua versione più diffusa, ovvero “il prima contiene ciò che fa comprendere il poi” come un seme fa comprendere la pianta che cresce dopo.

    In pratica si presuppone una filosofia della storia con tutto un insieme di presupposti per nulla scontati, del tipo: perché gli eventi umani o le idee filosofiche umane si considerano come puntiformi e non come distesi sul lungo periodo? E in base a quale idea di filosofia si parte da Talete e non da Platone o da tradizioni orientali come le Upanishad? In base a quale criterio si salta da un filosofo all’altro, dato che l’ordine cronologico nulla dice riguardo a come ordinare e dare importanza a filosofi vissuti nella stessa epoca? Gratta gratta mi sembra che la sua proposta sia uno storicismo con scarsi “ritocchi”.

    2) La sua proposta di aggiungere la storia della storia della scienza nelle scuole meriterebbe un lungo discorso a parte, ma non so quanti docenti sarebbero interessati ad aggiungere varie lezioni dedicate alla teoria del flogisto o alla fisica cartesiana, bisognerebbe sentire il parere di qualche docente di scienze, non sono addentro allo stato della didattica attuale.

  28. @Michele

    1] Lo storicismo – anche meno ingenuo- non consiste nel sostenere la tesi: «“il prima contiene ciò che fa comprendere il poi” come un seme fa comprendere la pianta che cresce dopo». Questo è – come dire, con un neologismo – «storismo»: cioè l’affermare che è didatticamente più “economico” (nel senso analitico/pragmatistico del termine) spiegare il governo dei Flavi dopo aver affrontato le varie implicazioni della dinastia Giulio/Claudia, che fare comprendere ad un alunno Claudio dalle azioni di Domiziano.

    Lo storicismo, da correggere, è una filosofia della storia che fonda le sue basi sull’assunto del necessario «progresso» (positivismo) o «dialettica» (idealismo) delle conclusioni successive di un autore sulle conclusioni antecedenti di un altro autore (o di un fatto su un altro fatto). È il modale «necessario», che in tempi di fuzzy logic, non deve avere significato teoretico nella fondazione di una (tardo-moderna) metodologia della storia.

    Quindi, come ho scritto sopra, al fine di mantenere una didattica “economica” (in situazione di difficoltà tremende di insegnamento/apprendimento), terrei l’impalcatura dello storicismo ingenuo, o «storismo», dove non è affermata nessuna idea di necessario «progresso» o «dialettica» dell’antecedente sul successivo, moderandola, per sottrarla da ogni imperativo della necessità, con i vari esiti delle new epistemology, del neo-pragmatismo e della teoria della complessità (cd. effetto feedback, teoria dei campi, bagaglio delle scienze sociali, et similia).

    Per le domande, sintetizzo:
    1] «Perché gli eventi umani o le idee filosofiche umane si considerano come puntiformi e non come distesi sul lungo periodo»? Perché non è ancora stato scoperto un essere umano in grado di agire retroattivamente.
    2] «E in base a quale idea di filosofia si parte da Talete e non da Platone o da tradizioni orientali come le Upanishad?» Infatti, in base al mio storismo riformato, dovremmo addirittura orientarci, ad esempio, al reperimento di una difficilissima, e affascinante, filosofia delle Grotte di Altamira. Nella risposta a Piras ho scritto: «non è necessario, ed errato storicamente, fare iniziare la storia della filosofia con Talete. Però, se si studia Talete, come «oggetto» di storiografia filosofica, dobbiamo conoscere e introdurre Mileto, e la storia dei Persiani («contesto»)».
    3] «In base a quale criterio si salta da un filosofo all’altro, dato che l’ordine cronologico nulla dice riguardo a come ordinare e dare importanza a filosofi vissuti nella stessa epoca»? Che risultati, invece, garantirebbe la spiegazione prima di Spinoza, poi di Heidegger, poi di Parmenide, ad una classe di ragazzini che, con molta fatica, riescono a comprendere (forse) quasi esclusivamente le dinamiche a inquadratura flashback del Grande Fratello 27? Didatticamente, sostituiremmo alla «bussola» della cronologia un montaggio flashback della narrazione filosofica. Ci sta, è affascinante. Però qui stiamo dibattendo di didattica liceale, non di Scuole normali di specializzazione post-universitaria.

    Ciò – non mi faccia troppo ingenuo- non implica che studiando Aristotele non si debba far confronti/raffronti con Port-Royal, Leibniz, von Wright, o che studiando Lévinas non si debbano fare riferimenti alla tradizione talmudica medioevale o a Husserl. Semplicemente nessuno ha il diritto (deontologico) di insegnare che la logica di Leibniz implichi Aristotele; nessuno, d’altro canto, ha il diritto (deontologico) di affermare che la tradizione talmudica medioevale implichi Lévinas. Potrebbero esservi dei rapporti (mai implicativi), oscuri, da segnalare tra autori cronologicamente distanti, in nome dell’assundo (arbitrario) della priorità della disciplina sugli uomini che disciplinarono la disciplina stessa. Io, in una scuola (secondaria superiore) allo sbando (carenze abissali dei docenti e ignoranza spaventosa degli alunni e disorganizzazione totale delle istituzioni), rifletterei bene sull’introduzione di nuovi esperimenti, che, a mia mera opinione, avvicinerebbero i Licei all’Università (hic sunt leones di ogni teoretica).

    Il discorso è molto bello, complessissimo, condotto avanti da interlocutori preparati. Darà i suoi frutti.

  29. @ Michele

    Chiaramente avevo letto il saggio. Non l’ho trovato né definitivo, né aggiornatissimo, fondandosi su un’interpretazione della metodologia della storia di fine secolo scorso, senza riferimenti, ad esempio, alla teoria della complessità, alle sociologie/filosofie del tardo-moderno, e alla new epistemology. Perciò non avevo introdotto commenti: è inutile mettere troppa carne al fuoco.

    La differenza tra uno “storismo” (categoria assolutamente da me inventata) e uno storicismo sta semplicemente nella differenza tra un rapporto necessitante e un rapporto non/necessitante. La considero una differenza fondamentale: lo “storicismo” mette in rapporto di implicazione logica due atti o due fatti; lo “storismo” non mette in rapporto di implicazione logica due atti o due fatti. Direi che è il contrario.

  30. @ Ivan Pozzoni

    “lo “storismo” non mette in rapporto di implicazione logica due atti o due fatti”, scusi, ma allora perché usare l’ordine cronologico se non c’è implicazione logica tra un filosofo e un altro? Lei non ha dato alcuna motivazione dell’ “economia didattica” dell’ordine cronologico (e né mi risulta che la diano la “teoria della complessità” o la “new episthemology”). E anche ammesso che si usi l’ordine cronologico nel modo più “matematico” possibile del tipo “ordiniamo tutti i filosofi per data di nascita” in realtà si arriverebbe a qualcosa di estremamente caotico (del tipo dopo un filosofo romano tardo antico si farebbe un filosofo indiano, poi uno arabo, poi uno cinese, poi di nuovo un filosofo romano tardo antico…). Non se ne esce: i filosofi nel mondo non sono entità puntiformi in fila indiana su una linea e l’ordine cronologico non è la mappa 1:1 di Borges, scegliendo l’ordine cronologico o si presuppone uno storicismo dove la storia della filosofia ha una sua logica (e in base a questa logica decidiamo se Democrito, che è nato dopo Socrate, è da studiare considerandolo un presocratico oppure no e se Schelling, contemporaneo e più giovane di Hegel, è da studiare prima o dopo Hegel) oppure l’ordine cronologico è una scelta totalmente arbitraria. Aspetto argomentazioni prima di aggiungere qualcosa.

  31. @ Michele

    Purtroppo un intervento su un blog è una sorta di puzzle, che costringe a ripetersi costantemente. Non ho nessun desiderio di stendere una nota di metodologia della storiografia, essendo affaccendato in altri studi. Ho, in un mio intervento, introdotto la nozione neo/pragmatista di «contesto» [Distinguerei, infine, pragmatisticamente, tra «storia» e «contesto»], onde evitare l’idea che qualsiasi storia diventi storia evenemenziale, e ciascun autore un trattino da mettere ante o post in una cartografia (infernale). Sono i «contesti» la «bussola» atta a garantirci contro eventuali diseconomie didattiche. La teoria della complessità, ad esempio, ci metterebbe in guardia contro una concezione della storia che, all’interno dei vari «contesti», non riconoscesse l’opportunità di utilizzare il c.d. effetto feedback tra atti e fatti distanti; la new epistemology, con le teorie matematiche dei campi e dell’errore, ci metterebbe in guardia contro una concezione della storia che non riconoscesse l’esistenza di «paradigmi» non evolutivi/involutivi. Sono tre, modularizzazione in «contesti», effetto feedback, teoria dell’errore, esempi idonei a neutralizzare ogni forma di storicismo, del «progresso» o della «dialettica», o di «puntiformizzazione».

    Quindi, non dobbiamo ordinare cronologicamente filosofi (esseri umani, magari mai esistiti): dobbiamo ordinare cronologicamente «contesti» storici e, nei «contesti» storici, senza nessuna implicazione «progressiva» o «dialettica», studiare i filosofi, intesi come atti/fatti. Questa come idea didattica sui LICEI. Per un’efficiente metodologia della storiografia, fuor di didattica, utilizzerei un metodo opposto: la monografia. Qui si sat discutendo del rapporto tra didattica e metodologia della storia.

    […]

  32. La difficoltà tremenda? Se non sono cambiate le cose, la filosofia si studia al Liceo, la storia si inizia al Ginnasio (classico). Quindi si studiano due anni di «contesti» antichi, senza fare riferimento ai filosofi (atti/fatti) inclusi nel contesto. Poi, al Liceo, storicamente si studia il «contesto» del tardo-antico (se non ricordo male, non essendo aggiornato sui programmi scolastici) e si iniziano a studiare i filosofi come esseri puntiformi, sconnessi da un «contesto» studiato due anni prima. Paradossalmente, le Guerre Persiane si studiano in I Ginnasio, e Democrito in I Liceo. Bellissimo esempio di “storia” della “filosofia”. Poi, i docente ritorna uno: e, mentre spiega Kant, in filosofia, in storia discetta di Grande Guerra. Già tale sfasamento, di fatto, ha abolito la storia della filosofia. Sono curioso di capire cosa riescano a comprendere, ragazzi di sedici anni col cervello di un decenne, di tutto questo caos.

    Bisogna accompagnare la storia alla filosofia e alle scienze: dare una «bussola» didattica. Fare vera storia della fiilosofia e storia delle scienze, creando programmi scolastici in grado di dare, al ragazzino beota (non è un mistero che i ragazzi di oggi siano meno preparati in assoluto e abbiano scarse attitudini alla scrittura, alla retorica, al calcolo), riferimenti cronologici che aiutino i meno beoti ad affrontare una metodologia della storia teoretica/monografica all’Università.

    Questa è la mia idea: una reale storia della filosofia, nel Liceo, non esiste da molti decenni.

    Poi basta che vorrei dedicarmi ai miei studi :-)

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