cropped-116500-sgsg-630_DE.jpgdi Nadia Urbinati

[Una versione più lunga di questo saggio è uscita su «La società degli individui»].

Il populismo è un concetto difficile da definire e lo si può rendere con: ‘avvicinare la politica alla gente’ e ‘la gente alla politica’[1]. La sua intrinseca vaghezza è accentuata dall’uso quotidiano che se ne fa: il termine indica un giudizio negativo sugli adempimenti della democrazia rappresentativa nonché sui politici e sui governi eletti[2]. In questo articolo presenterò il populismo come un fenomeno che sta in relazione parassitaria (in quanto interno ad essa) con la democrazia rappresentativa che è il suo vero e persistente bersaglio[3]. Tale conflittualità, sostengo, non incrementa necessariamente la politica democratica.

Benché «non esista assolutamente una teoria del populismo»[4] in questo articolo propongo la seguente definizione generale, tratta dall’esperienza storica: un movimento populista che ottiene la maggioranza di una società democratica tende a creare forme istituzionali che alterano e perfino lacerano la democrazia costituzionale; persegue la centralizzazione del potere, il minor controllo costituzionale sul governo, il disprezzo degli avversari politici e la trasformazione dell’elezione del leader in plebiscito. Il populismo ha una visione polarizzata della comunità politica, non in senso classista, ma in quanto evocatrice della tradizione repubblicana classica piuttosto che di quella democratica. Ritengo tale questione imprescindibile, benché trascurata[5] per cogliere sia il significato anti-individualista del ‘richiamo al popolo’ sia il motivo dell’ostilità del populismo verso il pluralismo, il dissenso, le ideologie minoritarie e il decentramento del potere: verso tutte le qualità essenziali che le procedure democratiche suppongono e promuovono[6].

Come Bobbio, colloco il populismo all’interno della democrazia rappresentativa, non della democrazia semplicemente; sostengo inoltre che la sua aggressiva e talvolta drammatica contestazione delle procedure e delle istituzioni della democrazia costituzionale, difficilmente si traduce in un arricchimento di quest’ultima[7]. Similmente al rapporto tra demagogia e democrazia diretta nell’antica polis, sebbene in sé stesso non costituisca una violazione della democrazia, il populismo può, se vincente, provocare l’esodo dalla democrazia. D’accordo con Canovan, considero il populismo un’ideologia del popolo che, per quanto espressione del linguaggio democratico è in contrasto con la «prassi democratica» ovvero con l’attività politica dei cittadini comuni[8]. In sintonia con Arditi, interpreto il populismo come una possibilità permanente intrinseca alla democrazia rappresentativa giacché connota uno stilema ideologico-politico che viene rafforzato da un meccanismo elettorale incline alla lotta per la conquista di voti e di cariche[9].

Movimenti popolari e populismo

Non identifico il populismo con i ‘movimenti popolari’ o con ciò che è ‘popolare’: il populismo è tutt’altro e le caratteristiche che analizzerò lo dimostreranno. Per meglio capire la distinzione tra movimento popolare e populismo uso il caso americano dei due movimenti popolari e populisti più recenti: Occupy Wall Street e il Tea Party.

Possiamo dire che siamo di fronte a una retorica populista, ma non a un regime populista, quando l’istanza di polarizzazione nasce da un movimento sociale che vuole restare esterno al sistema elettorale e che si rifiuta di contestare i politici dal punto di vista delle promesse elettorali. Questo è il caso di un movimento popolare di contestazione e protesta radicale quale Occupy Wall Street. Al contrario, individuiamo una retorica populista e populismo quando un movimento non desidera essere indipendente dal sistema elettorale, ma ambisce piuttosto a occupare le istituzioni rappresentative e a ottenere la maggioranza di consensi al fine di plasmare l’intera società secondo la propria ideologia[10].

Questo è il caso del Tea Party, un movimento che si fonda su una concezione populista del potere.

Ma il populismo non è identificabile né con la retorica populista né con la protesta politica. L’analisi del fenomeno presuppone che si distingua innanzi tutto tra forma del movimento e forma di governo, tra opinione di protesta e opinione di protesta finalizzata alla conquista del potere.

In una società democratica, un movimento popolare di protesta o di contestazione non dovrebbe essere confuso o identificato con una visione populista del potere statale. Il primo riflette la natura diarchica della democrazia rappresentativa (che è sia il potere del voto o suffragio che il potere della voce o potere indiretto dell’opinione di influenzare le decisioni attraverso un’ampia rete di giudizi pubblici); il secondo considera la diarchia stessa un ostacolo perché mantiene l’opinione separata dall’autorità del potere istituzionale. Il populismo aspira a uniformare l’opinione della maggioranza a quella dell’autorità stessa dello stato sovrano; il suo scopo perciò è di indurre i leader e i rappresentanti eletti a ‘usare’ lo stato per favorire, consolidare ed estendere il loro elettorato[11].

Nell’articolo indagherò questo fenomeno specifico di potere populista, non il movimento popolare.

Un concetto ambiguo

Dopo avere chiarito i limiti entro i quali uso il termine vorrei delineare il contesto storico in cui il populismo nacque poiché questo milieu è stato ed è ancora una variabile imprescindibile per la sua valutazione. Lo storico americano Michel Kazin considera il populismo un’espressione democratica della vita politica che è necessaria di volta in volta per riequilibrare la distribuzione del potere a beneficio della maggioranza.

Attraverso la critica populista i cittadini americani «sono riusciti a contestare le disuguaglianze sociali ed economiche senza mettere in dubbio l’intero sistema»[12]. Ralph Waldo Emerson scrisse, con notevole perspicacia, a metà del diciannovesimo secolo: «Procedi senza il popolo e procederai nelle tenebre»[13]. Conformemente a questa massima, gli storici Gordon Wood, Harry S. Stout e Alain Heimert hanno interpretato il Grande Risveglio della metà del diciottesimo secolo come il primo esempio di populismo americano, una «nuova forma di comunicazione di massa» grazie alla quale «la gente fu incoraggiata, perfino sollecitata, a parlare liberamente»[14].

Il populismo nacque come critica della repubblica appena costituita, dei suoi intellettuali e del governo rappresentativo. In tale accusa venne realmente coniato il gergo fondamentale del populismo. Una rilevante conseguenza di quella prima forma di populismo fu che la democrazia (o meglio, ‘il governo popolare’ come chiarirò presto), mantiene un’istintiva vocazione anti-intellettualistica in quanto rigetta le espressioni linguistiche e le condotte estranee a quelle che il popolo condivide e usa nella vita quotidiana.

Il programma del People’s Party del 1892 venne formulato seguendo la logica binaria che oppone il linguaggio semplice dei produttori di grano all’idioma sofisticato dei finanzieri e dei politici[15]. La polarizzazione in quanto ‘semplificazione del pluralismo sociale’ in due larghe fazioni (il popolo e i grandi) fu, sin dall’inizio, il tratto essenziale del populismo, la sua caratteristica romana.

La storia americana sembra dimostrare che il populismo, sia come retorica che come movimento politico, è stato assimilato a un’espressione vi-tale e collettiva del risentimento popolare verso i nemici interni del ‘popolo’.

Margaret Canovan ci invita a leggere il populismo come ‘politica di fede’ che aspira a emendare la politica ordinaria dal suo fatale relativismo e pragmatismo. La stessa concezione viene ribadita da Ernesto Laclau nella sua indagine sui movimenti populisti in America latina: li considera appunto dei processi di ribilanciamento egemonico, interni al potere costituito, a cui si perviene tramite l’incorporazione dell’ideologia popolardemocratica delle masse. Laclau, lo studioso che ha elaborato la teoria del populismo più comprensiva, lo identifica non semplicemente con ‘un’azione politica’ o con espressioni retoriche (cioè, con una forma ideologica del discorso politico), bensì con la democrazia stessa perché si tratterebbe di un agire politico che assegna un ruolo centrale alla classe lavoratrice o alla gente comune. Ciò ha indotto Laclau a definire il populismo una vigorosa espressione dell’immaginario democratico, anzi, una strategia per unire le varie richieste, malumori ed esigenze che i partiti politici invece frammentano e indeboliscono nel momento in cui si preoccupano di concorrere alle cariche istituzionali o di governare[16].

Questa lettura non è a mio parere convincente dal momento che la polarizzazione rende l’ideologia del popolo meno inclusiva di quella garantita dai diritti di cittadinanza democratica e dal diritto di voto. Nell’ideologia populista il concetto di popolo è sociologico, non politico, e viene identificato con una parte del popolo, secondo il modello repubblicano romano classico: i molti o i meno ricchi o il basso ceto. Il populismo quindi rappresenta una politica di esclusione non di inclusione: questo è l’obiettivo della polarizzazione. Non è casuale che il lavoro, egemonia di unione, incoroni il ‘popolo’ invece che il cittadino, che è il referente primo della sovranità democratica. Infatti se ciò che caratterizza la democrazia è l’eguale libertà per tutti, allora il populismo è una restrizione della democrazia (ai molti, alla maggioranza) e non una sua esaltazione. Questa diagnosi severa è confermata dalla storia politica europea dopo il diciottesimo secolo.

L’esperienza politica dell’Europa continentale ci suggerisce due osservazioni: che il populismo nacque una volta riconosciuti il diritto di rappresentanza e i principi costituzionali, e che fu deleterio per la democrazia costituzionale. Analizziamo il caso italiano (non isolato): si vede come dopo la Prima Guerra Mondiale, Benito Mussolini sfruttò il disagio economico della borghesia e la crescente indigenza di chi già era povero, al fine di polarizzare la vita politica in senso non classista ma populista (i molti e i pochi) fino a trasformare il governo liberale in un regime di massa antagonista delle minoranze politiche.

Mussolini non sospese lo Statuto Albertino, tuttavia creò un regime populista basato su iterati appelli al popolo e sull’uso della propaganda finalizzata a unificare le masse col regime e a isolare le opposizioni. Il confronto tra esperienze populiste americane ed europee fa comprendere come il populismo europeo, nelle sue continue resurrezioni, abbia favorito una politica di destra, intollerante e di esclusione, o comunque non interessata a realizzare le promesse della democrazia costituzionale quanto piuttosto a frantumarle.

Una critica radicale della democrazia rappresentativa

Il rapporto tra populismo e democrazia rappresentativa è assimilabile a quello che esisteva tra demagogia e democrazia nella polis antica: interno ad essa e in funzione parassitaria ma proteso verso i confini estremi dell’ordine democratico. L’analogia tra antiche e moderne forme di democrazia è importante per chiarire ulteriormente il fenomeno del populismo. Non si può prescindere dalla concezione aristotelica secondo cui la demagogia interna alla democrazia è: a) una possibilità permanente in quanto si basa, come la democrazia, sulla libertà di parola e di opinione; b) un uso più accentuato e intenso del principio della maggioranza tanto da rendere la maggioranza quasi assoluta o una forma di potere su tutti invece che un mezzo per prendere decisioni (il populismo è l’egemonia della maggioranza e l’adesione alla regola di maggioranza nella conta dei voti); c) un’anticipazione di un potenziale regime tirannico.

L’analisi che abbiamo tracciato evidenzia un’ulteriore caratteristica del populismo: non è un movimento rivoluzionario perché non crea la sovranità popolare ma si sviluppa quando questa è già attuata nell’ordine costituzionale[17]. Il populismo è un richiamo al popolo entro un ordinamento politico in cui il popolo formalmente è già sovrano. Sarebbe improprio quindi identificare il populismo con la rivoluzione democratica: la rivoluzione francese e quella americana non furono populiste anche se nacquero da una mobilitazione popolare. Il populismo, qui, non sta all’origine e non dà origine a un sistema democratico. Il populismo può essere inteso come un movimento che esprime l’ambizione di un nuovo leader, smanioso di conseguire il potere e incapace di adeguarsi alle condizioni temporali che le regole esigono.

Si sviluppa all’interno di una democrazia esistente e contesta il modo in cui questa opera, ma non garantisce che renderà quest’ultimo più democratico. Il milieu storico-politico è una variabile determinante, tuttavia il populismo non è solo un fenomeno contingente in quanto è vincolato all’interpretazione della democrazia stessa. Il carattere e l’attuazione del populismo esprimono una visione di democrazia, e più o meno consciamente ne sono il prodotto, che può ostacolare fortemente la libertà politica nella misura in cui trascura la dialettica politica tra i cittadini e i gruppi, annulla la mediazione delle istituzioni politiche e si fa artefice di un’idea organica della politica che umilia le minoranze, infatti è pronto a sacrificarne i diritti.

L’ideologia populista confonde l’uguaglianza con l’unità pertanto si oppone al pluralismo sociale e politico. La sua estrema conseguenza è trasformare una comunità politica in una sorta di corporazione in cui le differenze di classe e di ideologie vengono superate nel tentativo di realizzare il mito di un’entità globale, comprensiva dello stato e della società. Nonostante il proclamato antagonismo contro l’ordinamento politico esistente e contro l’élite costituita, il populismo quando si insedia al potere finisce per manifestare una vocazione di natura profondamente statista; ricusa ogni confronto dialettico con le opposizioni poiché aspira a un decisionismo illimitato che trova la propria legittimazione nell’ideologia del popolo.

Polarizzazione, cesarismo e il populus

Diciamo dunque che il termine ‘populismo’ indica una modalità politica espressa da un movimento o da un partito caratterizzati da un nucleo di idee facilmente riconoscibili: a) l’esaltazione della sovranità popolare quale fondamento di una politica volta alla sincerità, alla trasparenza, alla purezza, refrattaria ai compromessi di cui si serve la politica; b) l’esigenza, l’affermazione e perfino il dovere che la maggioranza prevalga su qualsiasi minoranza politica o di altro genere (in Europa il populismo alimenta ideologie pervicacemente discriminatorie, negatrici delle minoranze culturali, di genere, religiose e linguistiche a seconda dei paesi; c) la convinzione che la politica implichi delle fazioni antagoniste o la contrapposizione tra un ‘noi’ e ‘loro’; d) la santificazione dell’unità e dell’omogeneità del popolo sociale in antitesi a qualunque parte di esso o al popolo normativo.

Non si può concepire il populismo senza riferirlo a una politica esaltatrice della personalità. Due sono quindi i processi che designano il populismo: uno tende alla polarizzazione dei cittadini in due classi organiche (i molti e i pochi) e l’altro causa una verticalizzazione del sistema politico. Polarizzazione e cesarismo si rafforzano a vicenda ed entrambi costituiscono una sfida radicale alla democrazia rappresentativa.

Il populismo assegna un’importanza maggiore alla polarizzazione che non al pluralismo quindi, perché usa il conflitto politico e le elezioni per ottenere una vittoria conclamata e per divenire uno strumento capace di mobilitare una parte del popolo contro l’altra affinché il vincitore catalizzi i vari gruppi o partiti la cui permanente litigiosità, si crede, indebolisce l’unità sociale.

Il populismo nutre un accanito sospetto verso il pluralismo partitico e contesta la concezione liberale o bellicista della rappresentanza che invece è la primaria istituzione vocata a rendere effettiva una democrazia basata sulle procedure[18]. Illustra e teorizza la democrazia paragonandola a una lotta egemonica il cui fine è che l’interesse e l’opinione del popolo riescano a sopraffare la volontà dei suoi componenti. Sebbene Laclau dichiari che l’occupazione populista degli spazi di potere resta ‘parziale’ o mai completa, sembra che questa parzialità e incompletezza siano un limite che il processo di formazione del consenso non può evitare o annullare, piuttosto che un principio. Il populismo rende ‘pubblica’ l’opinione nel senso che l’attribuisce esclusivamente a un solo e unico pubblico. L’autore che molto lucidamente previde il rischio populista insito nel governo incentrato sull’opinione (cioè la democrazia rappresentativa) fu Claude Lefort che, non per caso, identificò il totalitarismo nello sforzo di concretizzare anche le estreme implicazioni di un progetto che, mentre ostacola il pluralismo, tenta di ipostatizzare la sovranità collettiva in un attore unico e omogeneo. Mentre la politica strutturata per procedure elettorali lascia vuoto lo spazio del potere, il populismo cerca di riempire quello spazio vuoto trasformando la politica nella produzione del vuoto (polarizzazione radicale e conflitto) attraverso la creazione egemonica di un riassetto ideologico delle forze sociali (unificazione e accentramento). L’obiettivo del populismo consiste nello svuotare lo spazio destinato al potere delle procedure per occuparlo a sua volta[19]. Pertanto annulla la sfera simbolica e la sostituisce con la materialità del potere.

Il populismo nega l’autonomia alle istituzioni politiche, soprattutto a quelle legislative, e per tale motivo ha una marcata vocazione antiparlamentare[20]. Qui si ripresenta il cesarismo, una categoria che indagheremo brevemente. Laclau, nel suo esame della democrazia populista, riprende i temi principali di Schmitt.

Il populismo si identifica con la politica e soprattutto con una politica prevalentemente egualitaria. Perciò, inferisce Laclau, la personalizzazione non è la caratteristica essenziale della politica populista; l’identificazione del movimento con un leader è un mezzo che la politica populista finalizza al successo della polarizzazione. Anche se la personalizzazione viene sostituita dalla polarizzazione, il populismo non è tuttavia equiparabile a una politica democratica, come si è detto poc’anzi, nemmeno se rispondesse al concetto di egemonia formulato da Antonio Gramsci. Nell’opera di Gramsci, il cesarismo veniva innescato per deflagrare in una situazione rivoluzionaria («guerra di movimento»), ma non in un contesto che egli definì «guerra di posizione», in cui non il cesarismo bensì la lotta egemonica avrebbe dovuto produrre un graduale mutamento politico. Trasferire la riflessione gramsciana sul cesarismo («guerra di movimento» o rivoluzione) che non richiede il sistema egemonico poiché la situazione è già matura per un cambiamento, in una situazione che esige un mutamento graduale o molecolare («guerra di posizione»), è improprio: laddove trionfa la politica egemonica il cesarismo non ha spazio e viceversa (anche se in momenti di crisi il leader di un partito all’interno di un sistema parlamentare può creare un’ampia coalizione di cui egli è la figura rappresentativa)[21].

Abbiamo detto all’inizio, che in effetti l’orizzonte linguistico del populismo è il repubblicanesimo. Lo stesso Laclau ribadisce che la genealogia del populismo radica nella tradizione romana e sottolinea che ‘il popolo’ come categoria politica evoca il ritorno del populus, in particolare il populus del Foro romano, non quello delle assemblee elettorali[22]. Il populus del foro era costituito da cittadini che si radunavano spontaneamente e agivano al di fuori delle istituzioni e delle procedure (infatti non spettava loro decidere alcunché). Non si trattava del popolo chiamato a esprimere la propria volontà, ma del popolo libero di applaudire o fischiare quelli che ambivano a una carica politica o tentavano di guadagnarsi il favore popolare.

Ora, dal momento che la politica populista disdegna le procedure e considera la massa non come un’assemblea organizzata, bensì come la manifestazione del potere popolare, il metodo di selezione che adotta preferibilmente è l’investitura e non l’elezione.

Il populismo che si fa potere tende a superare la diarchia della democrazia costituzionale e rappresentativa, sostenendo che il volere di chi ha l’autorità e l’opinione informale sono e devono rimanere due diverse espressioni di legittimità che mai devono essere uguagliate e confuse. Anche questo dovrebbe valere a giustificare la perplessità circa la funzione demo-cratica del populismo.

Conclusione

L’impossibilità di considerare il populismo un sistema o un regime politico con caratteristiche proprie ha indotto gli studiosi a concludere che appunto perché la «dimensione populista» è «né democratica né antidemocratica», risulta compatibile con la democrazia nella misura in cui serve per garantire che «i diritti della maggioranza non siano ignorati»[23]. Tuttavia, se il populismo può giocare un ruolo di democratizzazione mobilitando la maggioranza esclusa per criticare le modalità di rappresentanza politica esistenti e per richiedere una maggiore partecipazione e forme di rappresentanza più consone, può avere anche effetti negativi sulla democrazia: la sua ostilità degenera in modelli di partecipazione plebiscitaria e si crea una situazione paradossale in cui il popolo diventa un mero uditorio più che un reale attore politico[24].

Quindi, nonostante l’intenzione democratica di ravvivare la passività dei cittadini ordinari, la mobilitazione populista non assicura ciò che promette. Quando un leader populista dichiara di essere il vero rappresentante della volontà popolare oltre e indipendentemente dal mandato elettorale, si appoggia sul potere negativo del giudizio per giungere a rifiutare, non semplicemente un uso improprio o corrotto delle istituzioni statali, ma la stessa politica elettorale e la natura garantista della Costituzione. In base a queste considerazioni si può pensare che il populismo sia un modo, per le nuove élite, di raggiungere velocemente il potere senza attendere il graduale incremento del favore popolare; nella loro strategia per conseguire il potere riducono il popolo a strumento di rinforzo. La conquista di una forte autorità da parte di una élite pare essere la logica nascosta della retorica delle masse anche se il riferimento populista alla gente comune vorrebbe indurci a credere che questa sia la reale protagonista della vita politica.

(Traduzione di Serena Rinaldi)

[1]    M. Canovan, Taking politics to the people: populism as the ideology of democracy, in Y. Mény, Y. Surel, a cura di, Democracies and the populist challenge, Palgrave, Oxford 2002, p.26.

[2]    Y. Mény, Y. Surel, The constitutive ambiguity of populism, in Id., Democracies and the populist challenge, cit., pp. 1-20.

[3]    Questo articolo è una sintesi del terzo capitolo di un mio libro intitolato, Democracy disfigured: opinion, truth and the people, che sarà pubblicato da Harvard University Press.

[4]    J.W. Mueller, Getting a grip on populism, “Diessentmagazine.org”, Settembre 2011, p. 23.

[5]    Esamino le differenze tra il repubblicanesimo nella tradizione romana e la democrazia in Competing for liberty: the republican critique of democracy, “American political science Review”, 106, 2012, pp. 607-621. Secondo alcuni studiosi il populismo origina dalla dottrina continentale moderna della sovra-nità popolare; ad esempio P. Pettit, Republicanism: a theory of freedom and government, Univ. Press, Oxford 1997, p. 202; siffatta interpretazione merita naturalmente di essere indagata senza dimenticare che l’ambito epistemologico della dottrina della sovranità popolare (come del repubblicanesimo) è il diritto romano.

[6]    In questo scritto riproporrò alcune idee già trattate in Democracy and populism, “Constellation”, 5, 1998, pp. 110-124.

[7]    Di N. Bobbio cfr.: Saggi sulla scienza politica in Italia, Laterza, Bari 1969; J. Keane, a cura di, Democracy and dictatorship: the nature and limits of state power, Polity Press, Cambridge 1989; A. Papuzzi, a cura di, Autobiografia, Laterza, Bari 1997.

[8]    M. Canovan, Taking politics to the people, cit., p. 39; cfr. anche Id., Trust the people! Populism and the two faces of democracy, “Political Studies”, 9, 1999, pp. 2-16.

[9]    B. Arditi, Politics on the edge of liberalism: difference, populism, revolution, agitation, Edinburgh Univ. Press, Edinburgh 2008.

[10]  Il Tea Party elabora delle proposte specifiche (dalla sicurezza sociale alla tassazione) e cerca di rivitalizzare o riconfigurare il Partito Repubblicano, cfr. ibidem, p. 37.

[11]  Vorrei esprimere la mia gratitudine a I. Zuckerman per avermi sollecitato a riflettere su questa distinzione.

[12]  M. Kazin, The populist passion. An American history, Basic Books, New York 1995, p. 2.

[13]  R.W. Emerson, Power, in Id., The complete writings, Wise&Co., New York 1929, p. 541.

[14]  H.S. Stout, The New England soul. Preaching and religious culture in colonial New England, Oxford Univ. Press, New York 1986, pp. 193-194.

[15] R. Hofstadter, North America, in G. Ionescu, E. Gellner, a cura di, Populism: its meaning and national characteristics, Weidenfeld and Nicolson, London 1969, pp. 16-18.

[16]  E. Laclau, On populist reason, Verso, London 2005, pp. 129-156.

[17]  «Sotto un governo autocratico la massa è completamente esclusa dal potere»; M. Canovan, Taking politics to the people, cit., p. 26.

[18]  Una sintesi apprezzabile dei tratti peculiari del complesso fenomeno del populismo è il già citato Democracy and the populist challenge a cura di Y. Mény e Y. Surel.

[19]  C. Lefort, The question of democracy, cit., pp. 13-20; E. Laclau, On populist reason, cit., pp. 164-168.

[20]  P. Worseley, The concept of populism, in G. Ionescu, E. Gellner, a cura di, Populism: its meaning and national characteristics, cit., p. 244.

[21]  A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 1195.

[22]  E. Laclau, On populist reason, cit., p. 81.

[23]  P. Worsley, The concept of populism, cit., p. 247; M. Canovan, Taking politics to the people, cit., pp. 25-44.

[24]  J.E. Green, The Eyes of the People: Democracy in the Age of Spectatorship, Oxford University Press, New York 2010, pp. 109-112; B. Arditi, Politics on the edges of liberalism, cit., pp. 51-52.

6 thoughts on “Il pensiero populista

  1. “un movimento populista che ottiene la maggioranza di una società democratica tende a creare forme istituzionali che alterano e perfino lacerano la democrazia costituzionale; persegue la centralizzazione del potere, il minor controllo costituzionale sul governo, il disprezzo degli avversari politici e la trasformazione dell’elezione del leader in plebiscito.”
    =
    Il PD è la principale forza populista italiana
    (esemplare la categorizzazione politica proposta ieri da Renzi: noi “umani”, loro “bestie”).

  2. che sia una, delle condizione sociali, possono dimostrarlo sia i Fenicotteri o i Bufali.
    Dice Lorenz: atteggiamenti ‘ritualizzati’ di ‘pacificazione’ o di ‘sottomissione’ (come il sorriso, il saluto, la stretta di mano) segnalando le intenzioni pacifiche, svolgono la funzione di rivolgere l’aggressività verso altre direzioni.
    Favole direbbe Esopo con il suo sarcasmo.
    Lo stesso della Satira

  3. Il populismo nega l’autonomia alle istituzioni politiche, soprattutto a quelle legislative, e per tale motivo ha una marcata vocazione antiparlamentare[20].

    Finalmente abbiamo capito che il vero populista è Renzi.

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