cropped-124137613_0952de6dbe_b.jpgdi Mauro Piras

Lunedì scorso, 14 settembre, è iniziata la scuola in quasi tutte le regioni italiane. Quindi anche in Piemonte, la mia. Alle sette meno un quarto del mattino ero davanti al computer, alla ricerca di un testo interessante da far leggere agli studenti delle classi nuove (per conquistarli, tecniche di bassa cucina di inizio anno). Su Radio Uno, va da sé, parlano di scuola. Sentiamo chi hanno invitato, mi dico. Già sono mal disposto, perché l’approfondimento è stato introdotto da un piccolo estratto del film La scuola, con Silvio Orlando. Sto pensando le solite cose: “ma perché la scuola deve essere sempre presentata come una macchietta, in queste caricature deformate, o con una melassa appiccicosa di buoni sentimenti, pauperismo, eroismo, spirito di missione ecc.; quando usciremo da questa rappresentazione pietosa di questa istituzione? Certo, siamo responsabili anche noi di questa roba qui, quando ne scriviamo”. E mentre il mio cervello sta già facendo l’esame di coscienza, per vedere se anche io, in passato, ho fatto questo errore, e non segue più gli occhi che guardano disperati file di Anassimandro e di Aristotele senza capire perché, voilà, ecco il colpo basso: hanno invitato il segretario dello Snals. Cioè: inizia l’anno scolastico e chi ti invito? Un sindacalista. E poi non uno dei confederali. No. Lo Snals. Mi infurio. Ma mi illudo che sia finita qui. Invece quello che dice è al di sopra delle mie aspettative. Dice che il sistema delle graduatorie è perfetto, quindi non si capisce perché il governo lo vuole modificare. Perfetto. Mi mette quasi di buonumore. Spengo la radio, opto per Aristotele, e spengo anche il computer. Penso che inizia male, quest’anno scolastico. Metto insieme un po’ di cose.

Per esempio questo: in Toscana la scuola inizia il giorno dopo, il 15. Cioè, inizierebbe. Nella provincia di Firenze si sa da tempo che il primo giorno di scuola è a rischio, perché è stata proclamata un’Assemblea sindacale territoriale, che è quasi come una giornata di sciopero. Molte scuole elementari sono costrette a restare chiuse, perché in questi casi basta una certa adesione del personale all’assemblea, per rendere impossibile garantire la sorveglianza dei bambini. Ora, pensiamo bene a questa cosa qui. Se la devo dire fuori dai denti, è inaccettabile. Intanto, il primo giorno di scuola ha un altissimo valore simbolico per i bambini. Pensate a quelli di sei anni, che iniziano davvero. E comunque per tutti: è un rito collettivo, un reinserimento in un gruppo sociale con cui, durante l’anno, condividono tutto o quasi. E a questo aggiungiamo il danno fatto alle famiglie, ai genitori (alle genitrici, quasi sempre). In un paese in cui le vacanze durano troppo, e i bambini stanno troppo tempo sulle spalle dei genitori, che di solito non hanno tre mesi di ferie, e quindi sono costretti a lasciarli ai nonni, a ingegnarsi in mille modi, dato che non ci sono strutture, tranne centri estivi cari e di difficile accesso, in un quadro di questo genere, già pesante, ecco la mazzata finale: allunghiamo ancora questa pena, questa disorganizzazione della vita familiare, rimandiamo ancora il primo giorno di scuola.

Poi, anche quando la scuola inizia, gran casino su tutti i fronti. Gli orari sono parziali, quindi nella primaria, in tanti casi, il servizio mensa non è ancora disponibile, anche chi dovrebbe fare il tempo pieno deve rientrare a casa per pranzo. Mancano ancora molti docenti sulle cattedre, da qui la provvisorietà degli orari, e il rischio di cambiamenti dei docenti.

Che cosa ci dicono questi problemi? Bisogna riconoscerlo, una cosa ovvia: che le esigenze delle famiglie e degli alunni, nonostante le dichiarazioni di tutti gli addetti ai lavori (ministero, docenti, sindacati) sono le ultime a essere prese seriamente in considerazione. Vediamo un po’ meglio perché.

Questo terremoto, ovvio, è ampiamente provocato dalla legge 107/2015, la cosiddetta “Buona scuola”. La tardiva approvazione della legge e le opposizioni a essa sono alla radice delle disfunzioni e dei disagi.

La legge è stata approvata a luglio, e solo dopo, quindi, si è messa in moto la complicatissima macchina delle assunzioni da essa previste. Per questo, adesso, paradossalmente l’inizio dell’anno vede più cattedre scoperte degli altri anni. Infatti, i docenti assunti in “fase B”, cioè su base nazionale, hanno spesso scelto di “congelare” il posto di ruolo ottenuto e di prendere una supplenza annuale. Questa possibilità è stata data per rendere meno difficile la situazione di quanti sono stati assegnati di ruolo lontano da casa. Nel corso dell’anno, infatti, tramite i trasferimenti, è possibile che queste situazioni si correggano. E in ogni caso, c’è un anno di tempo per organizzarsi, per chi deve cambiare città o regione. Il risultato, però, è che molti posti dei neoassunti adesso devono essere assegnati a dei supplenti. E queste nomine si devono ancora fare, aspettando che si concluda la “fase C” delle assunzioni, cioè quelle sull’organico potenziato. Ciò vuol dire che, nel frattempo, molto probabilmente i presidi nomineranno altri docenti, che poi potrebbero essere sostituiti quando arriva l’“avente diritto”, cioè il docente che deve avere la supplenza annuale. Una cosa diabolica, anche da descrivere. In sintesi: ci sono più supplenze annuali, e ci saranno diverse interruzioni della continuità didattica.

Da questo punto di vista, sono legittime molte critiche mosse al ministero. Ma vanno dette due cose. Il ministero è stato capace di realizzare molto in poco tempo (dimostrando tra l’altro che i ritardi degli anni passati non sono giustificabili). Inoltre, questi meccanismi, che provocano disagi all’organizzazione delle scuole e quindi alle famiglie, servono a tutelare i docenti. Se non si fosse data la possibilità di accettare prima le supplenze, e si fossero obbligati i docenti neoimmessi a raggiungere le nuove sedi, non ci sarebbero questi problemi. Ma, giustamente, si è cercato di attutire il colpo di spostamenti in sedi anche molto distanti.

Insomma, sia l’applicazione della riforma che le opposizioni sindacali stanno generando problemi all’inizio dell’anno scolastico. E questi problemi ricadono sulle famiglie e sugli studenti. La ragione di questo si trova nella “logica rovesciata” che ha guidato il piano di assunzioni fin dall’inizio. Il governo ha deciso di “svuotare le graduatorie a esaurimento”, cioè di assumere tutti quelli che vi si trovano. Una logica normale avrebbe imposto invece di fare prima un censimento completo dei fabbisogni della scuola, e di assumere solo sui posti così individuati (magari per concorso). Tuttavia, scegliere di mettere le esigenze dei docenti prima di quelle della scuola ha delle buone ragioni, dal momento che si tratta di sanare una condizione di precariato inflitta ingiustamente per anni a molte persone. L’eccezionalità di questa situazione giustifica il rovesciamento. E l’eccezionalità del piano di assunzioni, con tutte le sue complicazioni, giustifica la scelta di diminuire i disagi provocati ai docenti. E l’eccezionalità di questo cambiamento giustifica le opposizioni dei sindacati e di molti docenti. Su tutte queste cose siamo d’accordo.

Ora però è arrivato il momento di dire basta. Ritorniamo alla logica normale delle cose. Cerchiamo di pensare che la scuola è per gli studenti, e quindi deve venire incontro alle famiglie, non metterle in difficoltà. Dal lato del governo, questo vuol dire che, una volta chiusa la partita delle assunzioni, si lavori con la stessa solerzia sugli altri contenuti della legge, più rivolti agli interessi degli studenti: il percorso formativo, l’alternanza scuola-lavoro, i laboratori, la formazione iniziale e in servizio dei docenti, la riforma della scuola dell’infanzia ecc. Da parte delle opposizioni, soprattutto sindacali, questo comporta un discorso più delicato.

Come è noto, la “Buona scuola” è stata contrastata tanto dai sindacati, in un fronte compatto, quanto dai movimenti dei docenti, da molte associazioni professionali ecc. Quindi è del tutto normale aspettarsi una ripresa della mobilitazione nelle prossime settimane. Il problema è però la forma di questa mobilitazione. L’episodio dell’assemblea di Firenze non promette bene. Ma c’è dell’altro. I cinque sindacati della scuola (Flc Cgil, Cisl scuola, Uil scuola, Gilda, Snals) hanno firmato un documento unitario dal titolo “Risparmiamo alla scuola gli effetti più deleteri della legge 107/2015”. È un documento molto attento nel richiamo dei riferimenti normativi, dai toni piuttosto moderati. Tuttavia, propone di fatto di andare contro la Legge 107 per quanto riguarda la valutazione dei docenti: propone infatti di riportare alle competenze delle Rsu e della contrattazione di istituto la definizione dei criteri per l’attribuzione del bonus destinato a premiare i docenti “meritevoli”. E nel caso non si trovasse un accordo in sede contrattuale, suggerisce di boicottare l’attività del Comitato di valutazione su questo terreno. Inoltre, come già è successo più volte nel passato, propone di trasformare i Collegi docenti in assemblee politiche di lotta. Tutto questo in nome della Costituzione, che verrebbe palesemente violata dalla nuova legge.

Ora, questa forma di “boicottaggio interno” della legge resta tutta dentro la logica rovesciata di cui abbiamo parlato. È noto che i punti di maggior conflitto sono proprio la valutazione dei docenti da parte del dirigente, ai fini dell’attribuzione del bonus per la valorizzazione del merito; e il potere dato al dirigente di chiamare i docenti dagli ambiti territoriali. Soprattutto sul primo punto molte delle obiezioni sono giuste, a mio parere. Questa “meritocrazia improvvisata” serve a poco ed è molto difficile da gestire. Tuttavia, se si decide di bloccare la legge e trasformare i Collegi docenti in luoghi di lotta, per questioni che riguardano i docenti, e non gli studenti, allora restiamo sempre nella logica rovesciata. I problemi dei docenti diventano i problemi della scuola, e determinano tutto il resto. Ma questo sta diventando “il problema” della scuola italiana.

I docenti sono funzionari dello Stato, e quindi, in quanto tali, sono in primo luogo tenuti al rispetto delle sue leggi. In questo io penso che valga ancora l’imperativo kantiano, che ci impone di separare il terreno della critica pubblica, sempre legittima, da quello dell’applicazione delle leggi. Tanto più nel caso dell’educazione, in cui il lavoro che facciamo si rivolge a persone che dovrebbero anche imparare un po’ di senso civico e rispetto della legalità. Invece molto spesso i docenti pensano che il senso di giustizia che ispira la loro personale battaglia politica autorizzi la disobbedienza alle leggi. Ci si appella alla Costituzione, per legittimare questa disobbedienza. O addirittura ci si appella alla disobbedienza civile o all’obiezione di coscienza, in una confusione categoriale inverosimile. Che si ritenga, personalmente, una legge incostituzionale non legittima la disobbedienza a quella legge; ci si appella alla Corte Costituzionale e si aspetta la sua sentenza, nel frattempo la legge si applica. La disobbedienza civile riguarda solo casi di violazione di principi fondamentali iscritti nella Costituzione stessa; e soprattutto implica l’accettazione della punizione. Se i docenti si appellano alla disobbedienza civile, che si facciano sanzionare dai dirigenti per questo comportamento. L’obiezione di coscienza riguarda questioni di convinzioni religiose o morali in contrasto con un obbligo di legge, e può essere legittimata solo in casi circoscritti. Insomma, ci si abbandona a discorsi totalmente infondati per giustificare il rifiuto della legge. E per mettere, un’altra volta, i docenti davanti a tutto il resto. È giunto il momento di guardare invece la scuola dal punto di vista delle sue vere finalità. Questo significa applicare le leggi, con tutti i loro difetti, facendo in modo di far funzionare al meglio l’istituzione. E promuovere una politica che abbia come obbiettivi primari la lotta alla dispersione, la trasformazione della didattica, l’inclusione, l’integrazione degli immigrati, una maggiore collaborazione tra la scuola e le famiglie, una scuola più aperta alle esigenze del territorio e delle famiglie ecc. Non promuovere una politica che continui ad avere al centro i docenti e le loro lamentazioni, legittimando così, fuori dal mondo della scuola, i discorsi più qualunquisti sui docenti stessi.

(Torino, 16 settembre 2015)

46 thoughts on “Come iniziare male l’anno scolastico

  1. Vagamente populista, radical chic. La scuola italiana non è la scuola élitaria del Liceo Gioberti – e lo sguardo dovrebbe spaziare al di là dello chic di certi contesti in fondo privilegiati, ovattati. Mi sembra che in quest’articolo si parli sì con esperienza della scuola, ma non con l’esperienza dello sfacelo attuale della scuola, delle periferie scolastiche, per così dire.

  2. articolo informato ed equilibrato. dopo aver iniziato a sanare il precariato (con logica capovolta), si torni a un ragionevole impegno riformista. la si smetta col vittimismo esistenziale della categoria. si chiedano aumenti di stipendio e spazi di studio (invece di polemizzare scioccamente contro i presidi sceriffo).

  3. Trasecolo. Dall’articolo sembra che la scuola di questo signore parta con un invito allo snals. Un sindacato che apre l’anno scolastico? No. Una assemblea sindacale il primo giorno. Quindi senza studenti. Quindi chi vuole partecipa. Lungi dal difendere singole sigle sindacali, ma il collega dovrebbe sapere che lo snals è fra i sindacati che unitariamente protestano contro la buona scuola. Boicottaggio della valutazione? Certo. Come ve lo dobbiamo dire che è una pericolosa e ridicola idea che nulla ha a che fare con la valorizzazione sana della didattica di ogni scuola? Insomma, l’articolo è un coacervo di mistificazioni e rancore. Come siamo caduti in basso, sinistra mia…

  4. Concordo con Antonella. Vorrei una sinistra che non fosse feudo supponente di teorici radical chic. Forse chiedo troppo, soprattutto all’intellighenzia italiana di oggi.

  5. Meno male. Personalmente rimpiango in parte – in parte – la Riforma Gentile, prima degli aggiustamenti che l’hanno snaturata. Riforma più a sinistra dell’attuale.

  6. Il Mauro Piras collega dialettico che discute dei pasticci della Legge 107 nei collegi docenti e nelle riunioni sindacali o davanti ad un caffe’ e’ assai meglio del rancoroso editorialista, nei confronti della cui totale mancanza di stima nei confronti dei docenti italiani, incapaci di cogliere la straordinaria innovazione renziana, viene spontaneo auspicare che cambi al piu’ presto mestiere…

  7. Ad inizio anno, con l’attacco sfoderato a sindacati e lavoratori, alla scuola, ai docenti, da tutti i governi, passati presenti futuri, questo articolo in cui si fa appello ai bambini, ai poveri genitori, ai tre (!!) mesi di vacanza ve lo potevate risparmiare. Stanno gettando lacrime e sangue i docenti, vergognatevi, fate silenzio, ora, qui, davanti al cadevere della scuola pubblica.

  8. Concordo pienamente con Zerina. Si vede che chi, qui, invece, elogia l’articolo di Piras non ha mai messo piede in una scuola, magari di periferia. Facile guardare alla scuola dal limbo di una cattedra universitaria.

  9. Grazie zarina e 2005! Stimo l’amico e collega Piras nelle prassi quotidiana ma non certo nell’indistinto, elitario attacco, verso chi, anche in scuole assai meno privilegiate di quella in cui entrambi siamo in aervizio, contrasta lo sfascio ministeriale della legge 107, cercando di continuare a dare dignita’ alla nostra scuola pubblica, senza ergersi a verboso Robespierre pro Giannini…

  10. Anche io stimo Mauro Piras (e Claudio Giunta) quando non si ergono a élitari radical chic. Vorrei che gli uomini di sinistra lo fossero in modo coerente e netto, senza sciccherie e supponenze. Peraltro stimo – sia detto per inciso – il nòvero dei docenti del Gioberti.

  11. Cari amici, risponderò appena possibile alle vostre critiche, appena posso sedermi con calma di fronte a un pc.
    mp

  12. questa ribadita accusa di RADICAL CHIC, rivolta a chi pacatamente dimostra di argomentare, non vorrei segnalasse anti-intellettualismo becero, spontaneisticamente classista, marxisticamente pregiudiziale (insomma i lacerti di quella vecchia ideologia sessantottina, patologicamente rapprésasi in un “rifiuto del lavoro” pansindacalistico, anarchistico e irresponsabile).

  13. No; la rassicuro (e la ringrazio per avermi sollecitato a ripensare me stesso). Attesta praticità da agricoltore, quale io sono.

  14. Non sono critiche personali, si badi bene (la conosco da tempo); sono critiche verso questo articolo – al di là delle affermazioni e delle accuse che mi rivolge Leonardo Ceppa, che peraltro tranquillamente accetto e faccio mie. Quale scuola riflette questo articolo? – questa penso sia la domanda fondamentale, “pur sempre volendole bene” (attingendo a un certo, ormai tardo, Montini).

  15. Caro Ceppa, si trattenga. Prima di usare il lanciafiamme, rifletta. Conti fino a cento e vedra’ che il suo pensiero potra’ esprimersi in un orizzonte di piu’ ampio respiro. Si ricordi che le aggressioni verbali e poi fisiche contro i sindacati non appartengono neppure alla cultura liberale. Come si permette di ritenere chi non e’ visceralmente renziano, un individuo che non ha voglia di lavorare? Lei e’ ancora attivo professionalmente? Perche’ offendere chi non e’ in linea con il governo? Lo reputa un atteggiamento democratico? Le consiglierei di seguire l’esempio tedesco, Paese in cui vige una certa cortesia istituzionale, un Paese che ama ormai da tempo piu’ la riflessione che l’istintualita’ viscerale…

  16. >Anche io stimo Mauro Piras (e Claudio Giunta) quando non si ergono a élitari radical chic. Vorrei che gli uomini di sinistra lo fossero in modo coerente e netto, senza sciccherie e supponenze. Peraltro stimo – sia detto per inciso – il nòvero dei docenti del Gioberti.

    Be’ ma sono elitari, magari non di censo ma sicuramente per formazione. Al netto dell’hubris, sono anche fondamentalmente reazionari, perche’ lavorare nella scuola o nell’universita’ e’ ridotto oggi formalmente ad un servizio ad un’utenza, al limite un servizio sociale, non certo coerente con la loro formazione, che tuttavia non e’ rinnegabile. Sono l’opposto dei millemila io-speriamo-che-me-la-cavo con i quali condividono il luogo di lavoro e l’utenza. Il punto di frizione, interessante, e’ come gli elitari possano infine fare una vita da poveri cristi in mezzo ad altri poveri cristi e come eventualmente si deelitizzino, poverocristizzandosi anche loro ma guadagnando in rappresentativita’ sociale.

  17. una cosa sono i saggi scientifici, una cosa è la rete. senza drastica chiarezza, senza polemica, non si uscirà mai dalla palude in cui vent’anni di antiberlusconismo di sinistra ci hanno fatto affogare (con le famose “dieci domande” al caimano). quanto alla gentile carmela, mi permetto di indicarle una grammatica italiana (participio passato del verbo rapprendersi).

  18. Il mio “Concordo” non si rivolgeva al commento di Leonardo Ceppa bensì a quello di GiuseppeC. Esorto Leonardo a non appellarsi alla grammatica, essendo egli consapevole di essere privo di argomenti – e per questo irritato. Si calmi, Amico mio – si calmi.

  19. “Questo terremoto, ovvio, è ampiamente provocato dalla legge 107/2015, la cosiddetta ‘Buona scuola’”; “La ragione di questo si trova nella ‘logica rovesciata’ che ha guidato il piano di assunzioni fin dall’inizio.”
    Mi permetto queste due autocitazioni per ricordare che il testo addebita in primo luogo al governo la “logica rovesciata” che vuole criticare. Mi sembra che le critiche mosse al mio pezzo nascano da una lettura non molto attenta. Inoltre, devo dire che esse sono poco argomentate. Tuttavia, gli argomenti sono abbozzati o intuibili, quindi cerco di rispondere.
    “Vagamente populista”. Non capisco bene perché. Perché dico che le famiglie risentono di una certa (dis)organizzazione della scuola e di certe iniziative politico-sindacali? O perché critico i sindacati? Ma in entrambi i casi io non faccio osservazioni generiche, cito casi particolari, quindi chiederei di specificare in che senso le mie osservazioni sono populiste, dal momento che i problemi ci sono, evidenti. Per gli studenti, tolti quelli dell’ultimo anno, le vacanze durano tre mesi (la scuola finisce intorno al 10 giugno e ricomincia intorno al 15 settembre), mi sembra impossibile negarlo. E per le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano le ferie non bastano certo a coprire questo periodo. Poi ho criticato l’assemblea territoriale di Firenze il primo giorno di scuola, caso unico su tutto il territorio nazionale. E ho criticato quello che mi sembra un “boicottaggio interno” della legge, proponendo certi argomenti sul perché bisogna rispettare le leggi anche quando le si ritengono ingiuste. Sarei populista se attaccassi i sindacati in quanto tali; o se difendessi le famiglie a prescindere. Mi servirebbe qualche precisazione.
    “Radical chic”. Bah, qui non capisco proprio. Per me un radical chic è uno che discetta di rivoluzione con un bicchiere di un buon vino in mano, in un salotto di intellettuali e gente importante piena di soldi. Io non sono mai stato rivoluzionario, non ho contatti con salotti di intellettuali e gente importante e, cosa che mi dispiace molto di più, non ho un sacco di soldi. Mi piace il vino buono, ma non posso permettermelo. (Che poi io sia elitario, in quello che faccio o scrivo, mi fa sorridere, quindi sorvolo.)
    “Questo qui parla di scuola dal Gioberti, dove si vive da pascià, che cosa ne capisce”. Intanto, questo è un argomento “ad hominem”. Vediamo se quello che dico è sbagliato, non da dove lo dico e chi sono (ed è tanto più scorretto se formulato da gente che non si firma, ma su questo dopo). In ogni caso, io ho sollevato dei casi specifici perché avevo in mente proprio delle situazioni di scuola PRIMARIA di PERIFERIA, quando ho parlato dei disagi delle famiglie. Conosco anche lo sfacelo ecc., ma non capisco come bloccare la scuola il primo giorno di scuola o organizzare un boicottaggio sistematico di una legge dello stato possa diminuirlo. Ma questa è una valutazione politica, vorrei argomenti su una simile valutazione, non amenità sul fatto che chi insegna al Gioberti non capisce niente di scuola.
    Sono “reazionario”. Questa è una critica che capisco meglio. Ma la rifiuto, perché rifiuto il dogma di certa sinistra per cui di sinistra si è un solo modo. 1) La sinistra deve essere capace di accettare il pluralismo al suo interno, non accusare di essere “di destra”, “moderato” o “reazionario” qualsiasi persona che cerca di pensare i problemi della sinistra in modo diverso. 2) Essere di sinistra significa affrontare i conflitti ponendosi in primo luogo dei problemi di giustizia, a partire da un principio di eguaglianza. Questo vuol dire che tutti i soggetti in gioco devono essere presi in considerazione. Se io vedo solo i problemi dei docenti (reali) ma penso che siano più importanti di quelli delle famiglie (altrettanto reali) non sono di sinistra.

    Caro Giorgio,
    due righe speciali per te: 1) se leggi con attenzione, vedrai che non dico niente di diverso da quello che ho detto in assemblea; 2) ti pregherei di evitare di dire, come spesso fai, che io appoggio acriticamente il governo ecc., perché non è vero, testi alla mano; 3) non capisco in che cosa sarei “rancoroso” (tolta forse un po’ di ironia all’inizio, ma quella fa parte del genere letterario), mentre ricevo continuamente attacchi davvero “rancorosi”, che non capisco, ma ai quali rispondo, come vedi.

    Un’ultima cosa, molto importante:
    non risponderò più a commenti non firmati CON NOME E COGNOME, per questa ragione: io vorrei, con i miei interventi, dare un contributo (per quanto mediocre) alla discussione pubblica, e per questo leggo con attenzione i commenti e, se ho tempo, cerco di rispondere a tutti. Però, chi non si firma trincerandosi dietro i nickname spesso si lascia andare a un tasso di aggressività ingiustificato, cosa molto diffusa su internet, perché ovviamente è molto facile tirare la pietra quando si è sicuri di restare anonimi e impuniti. Poiché questo fa degenare la discussione, pregherei di evitare commenti non firmati, e comunque non li prenderò più in considerazione.

    Un caro saluto,
    mp

  20. Non credo – né invero, perdoni, mi interessa – di meritare la sua considerazione; per questo motivo mi ostino a trincerarmi, come scrive lei, dietro un nome fittizio, proprio perché – attingendo alla sua argomentazione, ma con una piccola variatio – non sono aggressivo, mai, né qui né altrove. Mi – ci – accusa di non aver argomentato, di aver praticato una lettura poco attenta. Accetto; la mia lettura – parlo, naturalmente, per me – non si è volutamente addentrata nelle articolazioni (certamente ammirevoli) del suo articolo, poiché ha voluto, con estrema umiltà (e, reputo, con garbo), stigmatizzarne il “clima”, per così dire, il clima entro cui il suo articolo respira. Un clima senz’altro, al di là delle sue affermazioni, privilegiato, élitario. Se non gradisce rispondermi, le sarò senza dubbio altrettanto grato; mi risparmia la fatica – ricordi: sono un agricoltore, ho a che fare con la terra, con le vacche (preferibili, mi creda, a gran parte dell’italica intellighenzia) – di prenderla in considerazione.

  21. Caro Mauro,
    come hai visto, mi dovrei sentire anch’io a disagio per il fatto di insegnare al Gioberti! Pare che la sua utenza non meriti neppure di avere degli insegnanti! Chi lo afferma, sicuramente senza mai averci messo piede, ignora che in entrambi i due indirizzi, l’utenza e’ davvero di varia provenienza, sia a livello sociale che nazionale. Dispiacera’ a qualcuno ma siamo da molto tempo una scuola davvero interclassista. Liceo lo siamo ma mi sembrerebbe davvero demagogico ritenere che parlando di scuola, questo tipo di indirizzo debba avere meno voce in capitolo. Dove siamo finiti? Venendo al tuo commento che mi riguarda, forse non te ne accorgi: ogni tuo articolo contiene un 10% di critica alla politica scolastica del tuo partito, per poi difenderne con tono supponente il restante 90%! Gia’ il titolo “come rovinarsi il primo giorno di scuola“, lettone il contenuto, e’ eloquente…
    Un leale saluto da collega e amico,
    Giorgio

  22. Tra l’altro, io sono strafelice di insegnare al Gioberti ma sono ben cosciente del nostro carico di lavoro assai notevole, che, preparazione delle lezioni e correzioni a parte, ci vede impegnati sistematicamente e percentualmente almeno due o tre pomeriggi a settimana oltre l’orario di insegnamento. Certo non siamo una scuola di frontiera ma, da noi, ogni nostra affermazione puo’ essere contestata da genitori molto competenti e cio’ ritengo essere cosa buona e giusta. Insomma non facciamoci la guerra tra noi insegnanti: ovunque il nostro lavoro e’ delicato e impegnativo; ovunque e’ giustificato provare fastidio e indignarsi per l’atteggiamento sprezzante e punitivo della 107, pseudoriforma priva di contenuti innovativi, interessata alla sola gestione. Il governo di centrodestra Alfano-Renzi e’ riuscito ad essere meno propositivo della Gelmini!

  23. Mi scusi 2005, un agricoltore, credo per scelta e con la sua proprieta’ di linguaggio e capacita’ argomentativa, potrebbe anche assumersi la responsabilita’ di firmarsi con nome e cognome come noi altri poveri mortali al servizio delo Stato…

  24. Cari Prof. Piras e Kurschinski, La mia in commento delle 14:53 di ieri non voleva essere una rimostranza nei riguardi vostri personali né tantomeno del Gioberti di Torino. Il punto è che le eccellenze nazionali, diciamo il top 1% ma anche il top 5%, non sono rappresentative del resto del 95%, né come insegnanti, né come strutture, né come utenza. Se l’obiettivo minimo, direi sociale, di alfabetizzazione, scolarizzazione e formazione viene ampiamente conseguito alle vostre latitudini, con lode diffusa, altrove la situazione si fa mano mano più complessa e mano mano che si scende verso sud diviene precaria, rassegnata, esplosiva quando non vero e proprio parastato o antistato. Capirete bene che la rappresentatività delle eccellenze, già rispetto al corpaccione popolare che vive la scuola dell’io-speriamo-che-me-la-cavo per insegnanti, strutture, utenze ed obiettivi, sia piuttosto bassa, figuratevi rispetto alle numerosissime situazioni emergenziali riportate da insegnanti non d’elite. Saluti e buon lavoro.

  25. “voi colleghi privilegiati, noi poveretti in trincea…”
    avete presente i polli di renzo? siete lo stesso.
    è l’opera diseducativa del sindacalismo sessottino, quando andavamo tutti insieme (a torino) a volantinare – nel freddo dell’alba invernale – ai cancelli della fiat mirafiori, invocando la dissoluzione della scuola come corpo separato nel più grande tessuto della società.
    dio mio, quando capirete che la vostra missione educativa è una missione sacra (già vedo i risolini!). quando finirete di battervi il petto per senso di colpa e vi deciderete di chiedere allo stato (come dovuto, come già attuato nelle nazioni civili, naturalmente capitalistiche) il raddoppio del vostro stipendio?

  26. quanto alla faccenda degli pseudonimi, è sindrome adolescenziale: tutti vendicatori con la maschera, tutti robin hood che pensano di far deragliare il treno, tutti “franti” votati al sabotaggio. è la versione maschile delle “madamazze” di facebook, che scrivono solo giorno e mese di nascita tralasciando vezzosamente l’anno.

  27. Molte grazie; preferibile – reputo – essere “adolescenziali” anziché senili, invecchiati già da giovani (attingendo a un certo Sandro Penna).

  28. Scusate, evitiamo, in questo sito, di riprodurre il caos sterile di fb! Rischiamo di avvitarci in inutili attacchi personali, per di piu’ rivolti a sconosciuti (che ossimoro paradossale, attaccare personalmente uno sconosciuto!). Lasciamo per favore da parte il 68. Chi lo ha vissuto agendovi e’ ora un tranquillo pensionato che legge il Manifesto o magari Il foglio ai giardinetti. La storia e’ andata avanti e abbiamo a che fare con altro, senza nulla togliere a quel salutare scossone alla societa’ di mezzo secolo fa. 2005, lei, poiche’ la moderazione di questo sito lo permette, ha l’incontestabile diritto di restare anonimo. Semplicemente, al suo posto, non riuscirei a partecipare ad un dibattito col volto coperto: fa parte dei miei valori e della mia formazione civile…

  29. evitare di parlare del 68 nel 2015 è assurdo. il 68 ha condizionato, come una faglia culturale, intere generazioni di intellettuali (basta pensare, nella sinistra, al ruolo del quotidiano “la repubblica” durante il ventennio di berlusconi –– fino al grandioso litigio zagrebelsky vs scalfari [su ingroia, la trattativa, napolitano] e fino all’esplosione, definitiva, del fenomeno renzi). rimproverarmi di ricordare il 68 – oggi nel 2015 – sarebbe come NON voler leggere nella produzione degli scrittori francesi dell’ottocento (per tutti: chateaubriand, saint-beuve) la reazione (e i lunghissimi echi) della grande Rivoluzione. per fortuna i tempi stanno cambiando. di qui il mio tono esagitato –– di cui, convenendo cordialmente con gl’interlocutori –– chiedo ora scusa e faccio ammenda.

  30. Parliamo del 68 ma, come lei Ceppa ha fatto ora, con cognizione di causa, senza eternarlo in negativo. Fu un fondamentale momento di svolta, un fare i conti con l’ipocrisia delle nostre societa’. Si pensi solo al pensiero benpensante dell’Italia bigotta e alla severa domanda collettiva degli studenti tedeschi alla generazione dei padri: dove eravate, cosa facevate tra il 33 e il 45? Poi ok, vennero gli anni di piombo, causati pero’ anche dall’incapacita’ delle classi dirigenti di fornire risposte adeguate e credibili. Alla nostra scuola il 68 ha portato comunque vantaggi, primo fra tutti venir rispettati per l’autorevolezza e non ricorrendo semplicemente all’autoritarismo irresponsabile…

  31. L’articolo di Mauro Piras infilza una serie di falsità, ma cercherò di rispondergli in separata sede.

    Qui però mi piace sottolineare la prima risposta di Leonardo Ceppa secondo cui si dovrebbe smettere “di polemizzare scioccamente contro i presidi sceriffo”.
    Forse, da docente universitario, non ha capito molto della riforma Giannini, che permetterà ai licei borghesi di selezionare i professori dal curriculum più sfavillante espellendo gradualmente i professori meno motivati e preparati verso le periferie proletarie. Un ragionevole riformismo, se nell’Italia del 2015 l’idea stessa non fosse una comica ipocrisia intellettuale, non dovrebbe forse proporsi di rinforzare le scuole in difficoltà, incentivando a recarvisi i professori migliori? Qui accadrà il contrario.
    Che il preside di una scuola statale possa selezionare i suoi insegnanti è davvero una logica capovolta, ma questo non può non risultare incomprensibile per chi agiti il fantasma di un inesistente riformismo borghese.

  32. Mi scusi, professor Ceppa, non ho ben capito: sta usando l’agire comunicativo o l’agire strategico?

    PS: nel precedente commento avevo dimenticato il cognome, ma desidero che lei sappia che non volevo in alcun modo cedere al desiderio infantile di nascondermi dietro un anonimato narcisistico!

  33. Caro Edoardo,
    aspetto le tue critiche, ma perché “in separata sede”? Qui possiamo dare un contributo alla discussione.
    Un saluto.

  34. Caro Mauro, ti rispondo in separata sede perché un blog mi ha chiesto un post e ne ho approfittato per rispondere a questo tuo articolo dal quale dissento totalmente. Appena esce lo linko qui.
    Ti preannuncio che sono stato piuttosto polemico. Il succo è che la tua richiesta di deporre le armi è irricevibile.

    A presto

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