cropped-Gabriele-Basilico-Gabriel.jpgdi Milo De Angelis, introduzione e commento di Fabio Jermini

[Somiglianze (1976) di Milo De Angelis è un libro ormai entrato nel canone della poesia italiana del Novecento. Fabio Jermini ha da poco pubblicato il commento a una delle sezioni di Somiglianze, quella intitolata Intervallo e fine (Milo De Angelis, «Intervallo e fine». Commento a una sezione di Somiglianze (1976), a cura di Fabio Jermini, «Quaderni di Per Leggere», Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, 2015). Quello che segue è il commento alla poesia Essere qui. Per aiutare la lettura a schermo abbiamo messo il testo prima del cappello introduttivo. Nell’edizione di Jermini il cappello precede il testo].

ESSERE QUI

Cosa muore, stretti al privilegio
di scegliere
fissando a lungo, di nuovo, l’erba umida
dopo avere negato ogni cosa
c’era ancora tutto da negare:…………………….5
ieri prevaleva, la sua fine, ma altro tempo
l’affronta e cancella visi
e nulla
si è spezzato sulla veranda
tornata chiara, mentre le labbra ………………10
si colorano ancora
per uno sguardo che le turba.
Già un’altra nascita, come i cervi
che fuggono da millenni nei prati.
Allora è difficile……………………………………… 15
perché ogni fedeltà
era nella morte del tempo
qualcosa tradisce: è l’attesa
gli odori del mattino
attraversati i giorni…………………………………. 20
che uno chiama morte se ha paura.
E cosa paga al suo amore, se già rinasce
nel muschio scosso dall’abbraccio
povere ore di vita
lontano dalla sua, grida………………………….. 25
ciò che non si divide con nessuno
e quindi tutto.
Ma già l’accadere è accettato:
non si potrà rispettarla, la morte,
se il sole batte sulle panchine………………….. 30
e più in là, deformati dalle lacrime,
altri alberi
tornano a esistere.

1 Cosa] Non si A75….. 3 di nuovo] ancora A75….. 4 ogni cosa] omesso A75….. 10 mentre] , tra le voci, A75
12 turba] turbava A75 …..18 qualcosa] allora qualcosa A75….. 21 che uno chiama] che chiama A75
23-24 nel muschio scosso dall’abbraccio / povere ore di vita] tra le formiche / spaventate dai passi, p. o. d. v. A75
27 tutto.] tutto: A75 …..28 Ma] ma A75….. 33 a] ad A75

ESSERE QUI] PARCO LAMBRO S90

[SIGLE: A75 = «L’idea centrale. Sedici poesie», Almanacco dello Specchio 1975, marzo 1975, pp. 371-91; S90 = Somiglianze (nuova edizione rivista dall’autore), «Fenice contemporanea», Guanda, Parma 1990]

Al secondo posto nell’Almanacco dello Specchio 1975, dopo Un secondo per noi e prima di Ogni metafora, nella raccolta del 1976, con l’inserimento di La somiglianza, il testo è spostato al terzo posto. Nella riedizione del 1990 il titolo è mutato in Parco Lambro[1], ma questa variante è eliminata nell’edizione delle Poesie, in cui il titolo ritorna all’originario Essere qui.

Il titolo Essere qui è traduzione del Dasein di Heidegger, l’Esser-ci, «il termine scelto da Heidegger per designare la realtà umana. L’essere dell’Esserci è l’esistenza» (HEIDEGGER 1970, p. 165). «Da-sein, Esser-ci significa un essere che “ci” è, che è qui. L’“in” dell’in-essere è il “ci” esistenziale dell’Esserci, la sua apertura, la sua autoilluminazione» (HEIDEGGER 1970, p. XII). L’Esser-ci è la condizione dell’uomo che vive una situazione di esistenza determinata e situata. Heidegger interpreta l’esistere come un “ex-sistere”, ovvero non più essere “un permanere”, ma costantemente oltrepassare, travalicare il permanere, andare verso la possibilità aperta, verso nuovi accadimenti attraverso i quali l’esistenza possa mutare nel corso del tempo. È il divenire: tendere sempre verso una diversa sistemazione della realtà.

L’influenza di Heidegger è stata segnalata in primis da Franco Fortini, che trovava De Angelis «affascinato dai vortici dell’origine, dell’assenza, della ricorrenza e del pericolo della morte di Heidegger» (FORTINI 1975, p. 1309), mentre Giuliano Manacorda registra «influenze heideggeriane sia pure tenute su un registro domestico dove la donna, nella completezza della sua funzione fisica, è l’ineliminabile secondo dell’istantaneità, del miracolo, e certi rapidi scorci milanesi uggiosi di pioggia e neve richiamano dalla dimensione dell’esistere a quella del vivere» (MANACORDA 1996, p. 770).

La lirica è un tentativo di mediazione tra esistenzialismo heideggeriano e eterno ritorno nietzschiano. È l’esistenzialismo messo alla prova. Il discorso è aperto dalla domanda esistenziale «Cosa muore, stretti al privilegio / di scegliere», la cui risposta è data ai vv. 8-9, «e nulla / si è spezzato». Nulla muore, «ogni cosa» ritorna ciclicamente, nell’eterno ritorno nietzschiano: soprattutto ritorna l’infanzia, periodo carico delle “sinopie” di ogni evento, accaduto una volta per sempre e assunto a modello per ogni evento successivo.

Nel presente si assiste alla rinascita del passato, che si manifesta nel ricomporsi dei ricordi di eventi accaduti al Parco Lambro: il più importante sembra essere il ricordo del primo amore («le labbra / si colorano ancora / per uno sguardo che le turba», vv. 10-12). L’io lirico esprime lo spiazzamento causato da questa esperienza, che contrasta con il precedente «privilegio / di scegliere». La conclusione è una concessione, un tentativo di conciliazione velato dalla commozione dovuta ai ricordi, tra l’ottica esistenzialista del divenire e il continuo ritorno dell’infanzia.

La lirica espone una delle costanti della poesia di De Angelis, cioè la riflessione sulla temporalità, la consapevolezza che nel presente è sempre “vivo” il passato e che negli attimi si percepisce ciò che è stato una volta per sempre.

Riguardo al titolo dato alla lirica nella riedizione del 1990, Parco Lambro, in un articolo-intervista pubblicato sul Corriere della Sera del 30 luglio 2007, interrogato sull’importanza dei luoghi di Milano che lo hanno visto crescere e ne hanno segnato la poetica, De Angelis afferma: «Ma c’è un luogo a cui ritorno con il pensiero e i passi. Il Parco Lambro. Lì ho passato l’adolescenza a giocare a pallone, lì le prime amicizie, i primi amori, i patti giurati».

Dell’importanza del Parco Lambro come luogo “mitico”, De Angelis parla anche in un’altra intervista, a Giulia Cailotto[2]: «Ogni viaggio è un ritorno. Si viaggia per conoscere a fondo qualcosa che abbiamo già conosciuto, qualcosa che ci ha già conosciuti: ci aveva parlato in un’altra epoca della nostra vita e ora torniamo lì per decifrarne le parole, una per una, per comprendere la loro essenza. Quel campo di calcio, al Parco Lambro, quella partita, quei compagni di strada e di squadra… tutto è avvenuto… e tutto continua ad avvenire, a chiamarci, a convocarci… improsciugabili i luoghi che abbiamo amato… il nostro compito è dar loro la parola… chiamarli con il giusto nome».

Le rime imperfette, rare e distanti tra loro (19 mattino : 26 nessuno : 30 panchine) sono variate da assonanze (24 vita : 25 grida; 26 nessuno : 27 tutto), consonanze (27 tutto : 30 batte [interna]) e richiami interni (22 amORE : 24 ORE; 24 DI VITa : 26 DIVIDe). È da notare inoltre la ripetizione di termini-chiave: «cosa» (vv. 1 [pronome neutro], 4 [sostantivo] e 22 [pronome neutro]) e, ben più importante, «tempo» (vv. 6 e 17, in entrambi i casi in posizione di rima, come già in Un secondo [vv. 1 e 22]). Per quanto riguarda le “parole-rima” dei vv. 15-19, si vedano le Osservazioni sulla versificazione e sullo stile.

[1] Parco situato a nord-est di Milano, confinante con Segrate, inaugurato nel 1936. È scavalcato in direzione nord-sud dalla tangenziale Est (costruita negli anni 1969-1973), che lo divide praticamente a metà. Caratteristica principale è l’omonimo fiume che lo attraversa e ne traccia l’andamento.

[2] «Dietro le quinte. Milo De Angelis», pubblicata su www.viaggivacanze.in fo/new-site/2010/10/dietro-le-quinte-3

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1-3. Cosa muore, stretti al privilegio / di scegliere / fissando a lungo, di nuovo, l’erba umida: ‘cosa muore se si resta fedeli al vantaggio di poter decidere, progettare?’. Se “ora” si è nella condizione di chi ha il «privilegio di scegliere», se ne presume che «ieri» (v. 6) non si sceglieva. La domanda retorica non è segnalata dalla punteggiatura (come accade anche in altre liriche, p. es. Un perdente, 3). Dallo sviluppo che segue la lirica, dalla variante di A75, «Non si muore» (forse ricordo della chiusa di PASCOLI, PP, Digitale purpurea, 75: «si muore!») e, soprattutto, dal «e nulla» (v. 8), icastico perché isolato, si intuisce che la risposta è che nulla muore. E se non si muore, non si rinasce. Occorre invece accettare la morte, come costante intrinseca della realtà; accettare il fatto che «non c’è più bisogno di scegliere» («L’ascolto», Una generosità, 9-10), perché tutto è già stato pre-definito, destinato, e tutto si scompone e si ricompone ciclicamente in un mutevole eterno ritorno. A monte della subordinata modale «stretti al privilegio / di scegliere» si può ipotizzare la contaminazione memoriale di alcuni versi di autori cari a De Angelis: Drieu La Rochelle («La tua tristezza non ti ha impedito / di scegliere tra il fango e la morte», Adieu à Gonzague, 63-66, in DE ANGELIS 1982, p. 40) e il Sereni di SU (Ancora sulla strada di Zenna, 25-27: «quelle inutilmente fresche mani / che si tendono a me e il privilegio / del moto mi rinfacciano…»). L’«erba umida», probabilmente dopo un temporale (cfr. Ogni metafora, 1-2, STP, 37) oppure bagnata dalla brina mattutina (cfr. v. 19; e Bolesław Leśmian, Il prato, «Questo prato verde, in uno sciame di rugiada, / si impone ai miei occhi come un prodigio» [LEŚMIAN, p. 35]), è ‘nuovamente’ osservata (la variante di A75, «ancora», suggeriva anch’essa l’idea di ‘una seconda volta’) e permette al poeta di riflettere sulla ciclicità della natura contrapposta all’immobilità immanentemente umana: «Perché quelle piante turbate m’in teneriscono? / Forse perché ridicono che il verde si rinnova / a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?» (SERENI, SU, Ancora sulla strada di Zenna, 1-3). – scegliere: parola-chiave della poesia deangelisiana, ricorrente in molte poesie, soprattutto della sezione «L’ascolto»: Una generosità, 9-10: «(“vedi, non c’è più bisogno / di scegliere”)»; Laggiù senza, 20-21: «Lo troverai, se non prepari / sceglierai, se non hai mai deciso»; Una lettera d’amore, 8-9: «Se lo vedrai interamente / non ci sarà più bisogno di scegliere»; ma anche della sezione «La materia», L’idea centrale, 5-6: «E ancora, davanti a tutti, si sceglieva / tra le azioni e il loro senso».

4-5. dopo avere negato ogni cosa / c’era ancora tutto da negare: ‘dopo aver rifiutato tutti i valori dell’infanzia, quella era già ritornata e ritornava ogni volta’: forse in altro modo, ma comunque l’infanzia era “sinopia” soggiacente a ogni nuovo evento. Motivazione logica del verso precedente, i versi, nella loro antiteticità, comunicano il presagio della circolarità degli eventi. Cfr. La somiglianza, 11: «Non si poteva». – ancora: esprime la continuità dell’azione. La sua diversa accezione potrebbe essere la ragione della sostituzione dell’«ancora» del v. 3 di A75, che, come quello al v. 11, vale ‘di nuovo’.

6-12. I due punti a fine del v. 5 segnalano un legame logico di motivazione, del tipo x infatti y, che apre allo sviluppo della risposta, costituita, per contrappunto, da immagini di ritorno. – ieri prevaleva, la sua fine: ‘fino a ieri l’infanzia era morta, prevaleva la morte di ogni cosa’. Si individuano tre tempi: (1) il tempo dell’infanzia; (2) lo “ieri” in cui se ne negava il “potere”, o il “ruolo fondante”; (3) il “presente” segnato dal suo ritorno. Dislocazione a destra del soggetto, come accade parallelamente anche al v. 29 («non si potrà rispettarla, la morte»). Cfr. Il sorriso, 5-8: «Qui è falso / anche chi esiste, anche un presente / che non incrocia la sua fine / perché non chiede di rinascere». Il presente vero è quello che chiede di rinascere e, allo stesso tempo, accetta il proprio destino: il continuo mutamento. – ma altro tempo / l’affronta e cancella visi: ‘ma ora, adesso, il presente di consapevolezza investe il tempo intermedio di ieri’. Cfr. DE ANGELIS 2005, pp. 14-5: «L’universo rimane intero, ma i singoli corpi si consumano, crescono, appassiscono, cadono, sbocciano di nuovo, in una giostra eterna. Senza tregua si rinnova questa flotta delle cose create: le generazioni usurpano le generazioni, le nascite fioriscono sulle morti, come atleti che di mano in mano si passano la fiaccola» (traduzione di Lucrezio, De Rerum natura, II, 71-79: «Cum tamen incolumis videatur summa manere / propterea quia, quae decedunt corpora cuique / unde abeunt minuunt, quo venere augmine donant / illa senescere, at haec contra florescere cogunt, / nec remorantur ibi. Sic rerum summa novatur / semper, et inter se mortales mutua vivunt. / Augescunt aliae gentes, aliae minuuntur, / inque brevi spatio mutantur saecla animantum / et quasi cursores vitai lampada tradunt»). «ma altro tempo» è singolare rimando intertestuale a La casa dei doganieri di Montale, con stravolgimento del significato dell’«altro tempo», che non «frastorna la tua memoria» ma, al contrario, «cancella» i visi anonimi dello ieri e fa ritornare quelli dell’infanzia. Forse con ricordo diretto e in parte antitetico di PASCOLI, MY, Anniversario, dove il viso della madre morta si scolora ormai nella sua memoria: «e il caro viso già mi si scolora» (v. 11), e infatti De Angelis successivamente impiega il verbo opposto, «colorano», detto delle labbra. – e nulla / si è spezzato sulla veranda / tornata chiara, mentre le labbra / si colorano ancora: il presente è la rinascita del passato, che si manifesta nel ricomporsi dei ricordi di eventi accaduti al Parco Lambro – sembrerebbe ambientata lì la lirica, visto il titolo assegnatole in S90 –, come, probabilmente, il primo amore, il primo bacio («mentre le labbra / si colorano ancora», vv. 10-11; cfr. Fioritura [«L’ascolto»], 31-35: «Vedrà le correnti e il sogno, l’essenza / del papavero, le tenere costellazioni / mentre le labbra, aperte sull’acqua, / lasciano un segno rosso / a ciò che muta»), eletti a “atti mitologici” il cui ricordo ritorna a ogni nuovo atto d’amore. La ripetizione della coordinazione «e» ha scopo accumulativo ed enfatico, considerato anche l’isolamento della prima parte della seconda coordinata «e nulla». – ancora: ‘di nuovo’ (come la variante di A75 del v. 3. Cfr. nota). – per uno sguardo che le turba: ‘per uno sguardo che suscita amore’. Ancora più che lo «sguardo che la sfida» di Montale (MONTALE, BU, Lasciando un ‘Dove’, 6) è segnale di rinascita della passione. – turba: ‘produce agitazione interiore’. La variante di A75, «turbava», voleva intendere, in senso iterativo, che ‘le aveva già turbate’. Cfr. Un secondo, 12-14, dove però la visione della «tredicenne» è negativa e turba nel senso di ‘devia, distrae, corrompe’. In questo caso, invece, il turbamento, che lo sguardo di lui produce sulle labbra di lei, è da intendersi in senso positivo, quale ricordo del “primo amore”.

13-14. Già un’altra nascita, come i cervi / che fuggono da millenni nei prati: aggiunta valorizzante o esplicativa ai versi che precedono, riassunti nel «Già un’altra nascita» (dove «altra» indica la iteratività, ma anche, magari, il sopraggiungere «già» di un’ulteriore «nascita»). «Nella mistica dell’atto di Somiglianze, dove convivono concentrazione e dispiegamento di forze, il già accaduto che precede l’infanzia ritorna nell’attimo in cui l’energia raccolta sta per espandersi in gesto e movimento» (CAPORALI 1989, p. 22). – come: per la similitudine, si vedano le parole di Diana in PAVESE, DL, Il lago, p. 108: «Con me si vive alla giornata, come la lepre, come il cervo, come il lupo. E si fugge, s’insegue sempre. Questa non è terra di morti, ma il vivo crepuscolo di un mattino perenne. Non hai bisogno di ricordi, perché questa vita l’hai sempre saputa» e pure la traduzione deangelisiana di Lucrezio, De Rerum natura, II, 78-79: «le generazioni usurpano le generazioni, le nascite fioriscono sulle morti, come atleti che di mano in mano si passano la fiaccola» [inque brevi spatio mutantur saecla animantum / et quasi cursores vitai lampada tradunt] (DE ANGELIS 2005, pp. 14-5).

15-17. Allora è difficile / perché ogni fedeltà / era nella morte del tempo: «allora» ha il valore di ‘dunque’. L’io della poesia dichiara la difficoltà d’accettare la “rivelazione” (il ritorno dell’infanzia e l’eterno ritorno del tempo), che contrasta con le precedenti convinzioni (e con il «privilegio / di scegliere» e di «negare», dei versi iniziali). Nel momento della “rivelazione” è difficile trovare il modo di re-interpretare quella «fedeltà» (Un secondo, 16) e il dovere di «sbriciolare un tempo / che egualmente passa senza di voi» (Un secondo, 22-23). La «morte del tempo» corrisponde al tempo in cui tutto era «da negare» (v. 5).

18-21. qualcosa tradisce: è l’attesa: i versi sono una riformulazione espansiva dei tre precedenti, esplicitata nella versione di A75 dall’anafora: «allora qualcosa tradisce». I due punti al v. 18 precedono la specificazione di cosa spiazza e dà la sensazione di esser stati traditi da sé stessi: «l’attesa», ‘non si è fatto altro che aspettare’. È il rovesciamento di quanto provatoaffermato in Un secondo, 5-7: «E quelle attese / come si accordavano bene / al buio del finestrino». – gli odori del mattino / attraversati i giorni: sono gli odori di allora, che tornano uguali, immutati, perché «nulla / si è spezzato», tutto si è conservato. – che uno chiama morte se ha paura: ‘quando se ne ha paura, l’attesa la si chiama morte’. E così si rimane immobili, nella sterile staticità che non conduce a nulla. Dice De Angelis: «I greci l’hanno capito perfettamente nel mito di Cerere e Proserpina. Appena Proserpina decide di amare – senza più vie d’uscita – la morte, allora il sole torna a splendere sulle stagioni. Finché la morte veniva sfuggita, le stagioni ansimavano nell’attesa» (DE ANGELIS 1982, Certezze zodiacali, p. 10). – se: subordinata ipotetico-temporale (‘ogni volta che’), giustificata dalla variante «quando» di A75; vedi nota al v. 30.

22-27. E cosa paga al suo amore: ripresa aggiuntiva al «Cosa muore» (v. 1): ‘e cosa può sminuire, mercificare il suo amore’. Altra interrogativa retorica non segnalata dalla punteggiatura. Il referente di «suo amore» è l’«uno» del v. 21. Cfr. «La materia», La riunione, 11-12: «e cosa pretende un pensiero servo / che vuole sistemare il fenomeno». – se già rinasce: subordinata ipotetico-temporale: ‘quando tutto rinasce’ o ‘quando si apre alla possibilità’. – nel muschio scosso dall’abbraccio: il ricordo di un primo abbraccio, un primo amore: esperienze erotiche fatte sul prato del Parco Lambro. Immagine molto più pregnante ed esplicita della prima versione: «tra le formiche / spaventate dai passi». – povere ore di vita / lontano dalla sua: sono le minime cose, assolutamente non eccezionali, distanti dalla vita ordinaria, elevate al rango di “metafora”. – grida / ciò che non si divide con nessuno / e quindi tutto: ‘urla la propria individualità, che costituisce e caratterizza la propria essenza’. A gridare è il «suo amore», personificato, ma anche lui stesso, perché in esso si riconosce e diventa quella «figura di vincitore che crede al miracolo, si lascia spogliare, sa risorgere, non ha bisogno di frenare lo svuotamento. Trionfa, e perciò può voler bene. È l’ultimo essere, nel mare, dopo le tempeste, che dibattendosi genera la vita ancora una volta, rifiutandosi di durare e consegnandosi tutto intero alla successione» (DEANGELIS 1976, p. 35). – tutto: parallelo e opposto al «c’era ancora tutto da negare» del v. 5: lì, valeva ‘qualcosa’, qui, invece, designa una recuperata “totalità”.

28-33. Ma già l’accadere è accettato: la conclusione è, sotto il profilo logico, una concessione, un tentativo di conciliazione tra l’ottica esistenzialista del divenire (Lucrezio da un lato e Heidegger dall’altro) e il continuo ritorno dell’infanzia (Nietzsche e Pavese). La vita non è un flusso, ma un ritorno di attimi; il divenire, che si credeva progressione, è in realtà una “spirale”, o un anello di Moebius: «L’anello di Moebius è un’immagine naturalmente poetica, fa scivolare in un unico cammino l’interno e l’esterno, il trascorso e il presente. Questo c’è sempre nei miei versi. L’attuale e il passato accadono insieme, appartengono a una sola visione. Di più: si può conoscere soltanto ciò che abbiamo già conosciuto. Lo zampillo dell’istante è tanto più vero quanto più ereditato. Il tempo trascorso gli dà sfondo, profondità, anima, futuro, lo immerge nella profezia» (NICODEMO 2007, p. 196). Il verso testifica la «presa d’atto del movimento del tutto […] come scomposizione, ricomposizione. […] Il dialogo è questo: continuo stimolo e ricerca di una risposta, ma al tempo stesso accettazione della condizione del vivere, movimento costruttivo e sintesi nella ineluttabile coesistenza di contrari» (BERTOLANI 2009). Quale riscontro lessicale, cfr. PAVESE, DL, Schiuma d’onda, p. 48: «BRITOMARTI: […] morire a una forma e rinascere a un’altra. È accettare, accettare, se stesse e il destino». – non si potrà rispettarla, la morte: dislocazione a destra dell’oggetto con ripresa pronominale. Si passa dal rifiuto di morire («Non si muore») al non aver timore della morte («non si potrà rispettarla», legato alla «fedeltà» del v. 16), all’acquisizione della condizione del vivere. Cfr. forse SERENI, SU, Ancora sulla strada di Creva, 45-50: «Così delirando di una perduta forza / di una remota gioia, così oltre noi dileguando / scovava, svergognandola, la morte / ancora occulta tra noi. E da quel giorno / e quell’ora / d’amore più non ti parlai amore mio». – se il sole batte sulle panchine: subordinata ipotetico-temporale: ‘quando il sole batte sulle panchine’. È l’ultimo di tre «se» (dopo «se ha paura» [v. 21] e «se già rinasce» [v. 22]), che, molto “montalianamente”, aprono l’ipotesi di una “possibilità”: cfr. MONTALE, OC, [Il ramarro se scocca] «Il ramarro se scocca» (v. 1) o «e il cronometro se / scatta senza rumore» (vv. 9-10). Le «panchine» sono elementi del paesaggio del Parco Lambro. – e più in là, deformati dalle lacrime, / altri alberi / tornano a esistere: DE ANGELIS 1982, L’impresa, p. 96: «Allora può accadere che uno ritorni nei luoghi della sua adolescenza, abbandonati dai compagni di allora, e riveda il campo in cui giocava. Può accadere che riconosca proprio quei quattro alberi; e poi un gesto, un guizzo improvviso della mano che tocca la corteccia. Ma a volte avviene che gli alberi siano muti e i tronchi ormai cambiati non permettano di ritrovare nessuna mano e nessun viso. Nel campo regna il silenzio delle cose avvenute una volta sola. Non serviva inseguire la loro scia evaporata in altre stagioni [è il tempo in cui tutto era «negato»] o rintracciare per terra qualche orma, qualche ciuffo d’erba schiacciato [il «muschio scosso dall’abbraccio». I versi finali oppongono al pianto – probabilmente dovuto alla commozione provata nel riconoscere negli eventi lo “stampo” originario dell’evento vissuto durante l’infanzia – il rinvigorire, il rinverdire degli alberi. La vista di elementi della natura (che con la loro “eterna” presenza confermano o la ciclicità o comunque la continuazione del mondo) deformati dal velo del pianto è motivo leopardiano di Alla luna.

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ABBREVIAZIONI E INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

BERTOLANI 2009 = L. Bertolani, Tutto era in cammino. Da allora a qui, Scandicci, luglio 2009, www.transfinito.eu/IMG/doc/Dialogo_con_Milo_De_Angelis_2.doc.

CAPORALI 1989 = M. Caporali, Il primo tempo della poesia di Milo De Angelis, «I Quaderni del Battello Ebbro», n. 3-4, dicembre 1989, pp. 22-4.

DE ANGELIS 1976 = M. De angelis, La gioia di Hegel, «Altri termini», n. 9-10, febbraio 1976, pp. 26-50.

DE ANGELIS 1982 = M. De angelis, Poesia e destino, Cappelli, Bologna 1982.

DE ANGELIS 2005 = Sotto la scure silenziosa. Frammenti dal «De rerum natura», a cura di M. De Angelis, SE, Milano 2005.

FORTINI 1975 = F. Fortini, The Wind of Revival, «Times Literary Supplement», 31 ottobre 1975, pp. 1308-9.

HEIDEGGER 1970 = M. Heidegger, Essere e tempo, traduzione di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1970.

LEŚMIAN = Bolesław Leśmian, «Niebo», n. 11, febbraio-marzo 1980, pp. 1-103.

MANACORDA 1996 = G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea: 1940-1996, vol. 2, Editori riuniti, Roma 1996, pp. 768-71, 992-3.

MONTALE: OC = E. Montale, Le occasioni [1939], a cura di T. De Rogatis, Mondadori, Milano 2011. BU = La bufera e altro, Mondadori, Milano 1956.

NICODEMO 2007 = V. Nicodemo, «Dialogo con M.D.A.», 21 gennaio/31 dicembre 2007, in I. Vincentini (a cura di), Colloqui sulla poesia: Milo De Angelis, La Vita Felice, Milano 2008, pp. 193-205.

PASCOLI: G. Pascoli, Poesie, UTET, Torino 2002-2009. Vol. I: Myricae e Canti di Castelvecchio, a cura di I. Ciani e F. Latini; vol. II: Primi poemetti e Nuovi poemetti, a cura di F. Latini. Sigle: MY = Myricae. PP = Primi poemetti.

PAVESE: DL = C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino 1947.

SERENI: SU = V. Sereni, Gli strumenti umani, Einaudi, Torino 1965.

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Fabio Jermini (Lugano, 1988) vive tra il Ticino e Ginevra, dove si è laureato in letteratura italiana con una tesi sulla poesia di Milo De Angelis. Attualmente è Assistente di letteratura italiana del Medioevo e del Rinascimento all’Università di Ginevra e lavora a una tesi di dottorato in filologia su Cecco Angiolieri. Collabora con recensioni di poesia e saggistica a «Cenobio. Rivista trimestrale di cultura della Svizzera Italiana». Ha esordito come poeta con la plaquette Corpi gabbia d’ali e unghie (alla chiara fonte, Lugano, 2015).

[Immagine: Gabriele Basilico, Milano (gm)].

1 thought on “Essere qui

  1. “ Giovedì 27 gennaio 2011 – Poi leggo su Sienanews.it che Milo De Angelis è andato a Poggibonsi a presentare il suo ultimo libro Quell’andarsene nel buio dei cortili. Poi vedo il fascicolo di «Studi novecenteschi» dedicato a Elsa Morante, a cura di Concetta D’Angeli e Giacomo Magrini, con scritti di Cesare De Michelis, Cesare Garboli, Pier Vincenzo Mengaldo, Giuseppe Nava, Guido Paduano, Enrico Palandri, Gabriella Sica, Walter Siti, Adriano Sofri etc. Alla fine penso che io ho sempre avuto una straordinaria voglia di non fare niente. E dunque non devo lamentarmi. Perché, si sa, chi non risica non rosica, e comunque non rosicare è già molto etc. “.

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