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Matteo Bonazzi dialoga con Pietro Bianchi
Lunedì 14 Dicembre
Teatro Franco Parenti, ore 21

via Lombardo 14, Milano (MM3 – Porta Romana)

Guardare pare essere un atto innocente e naturale, eppure mai come oggi diverse visioni del mondo, diversi modi della rappresentazione e della percezione ci mostrano come anche il nostro modo di guardare sia un campo enigmatico, destabilizzante. È il cinema che, spesso in anticipo sulla realtà, riesce a interrogare il nostro modo di guardare le cose e quindi di costruire il mondo. E forse è proprio con l’aiuto della psicoanalisi e in particolare della riflessione di Lacan sulla visione che possiamo comprendere come guardare sia un’esperienza che divide più che unire, proprio a causa di un oggetto che scompagina le carte del nostro campo visivo: lo sguardo.In collaborazione con
Orbis Tertius  – Università degli Studi di Milano – Bicocca
SLP – Scuola Lacaniana di Psicoanalisi – Milano.

Iniziativa realizzata in occasione dell’uscita di Lacan e l’estetica (Mimesis, 2015) di Daniele Tonazzo e Matteo Bonazzi.

[Immagine: David Robert Mitchell, It follows (2014)]

 

 

1 thought on “Lo schermo diviso. Lacan, il cinema, lo sguardo

  1. Ascoltare l’ascolto – Dov’è finito Jaques Lacan? Dove lo ritroviamo oggi, nell’inconscio tra simbolico, immaginario e reale? Un po’ ovunque. Nel chiacchiericcio del quotidiano, non più al cinema, tanto meno in teatro, ma invece in televisione. La psicanalisi, ridotta a questione ormai squisitamente estetica dopo la defunta Ecole freudienne di Parigi, continua a risorgere come l’araba fenice, sotto altra veste. La fortunata e molto seguita serie televisiva, “In treatment”, è una pallida seppur efficace ricostruzione di percorsi di analisi, di sedute, e Lacan in questo caso c’entra poco o nulla. C’entra invece il voyeurismo di spettatori che, (in)consciamente si interrogano su cosa possa dire affidarsi all’analisi. Farsi ascoltare. E qui si spia, appunto, l’ascolto. E’ una grande occasione mancata, quella di spacciare per intrattenimento televisivo, la grande riflessione sull’inconscio sotto forma di linguaggio. Quello stesso linguaggio fatto di buchi neri, di balbettio, di inadeguatezza dello stare sul palcoscenico del mondo. Su quella poltrona o lettino, vorremmo esserci, senza essere davvero lì. “La nostalgia delle cose che non furono mai”. Qualcuno ci provò in palcoscenico, centrando l’obiettivo e fracassando l’io e il teatro. Si chiamava Carmelo Bene. Conobbi Jaques Lacan grazie a lui. Il lontanissimo Romeo e Giulietta ma anche i vari Amleti e, soprattutto il Lorenzaccio, erano un tributo al linguaggio privato del senso, sottratto al logos e restituito ai significanti, non più al significato. “Il significato è un sasso in bocca al significante”, salmodiava Carmelo Bene parafrasando Lacan. Esemplare fu una sua testimonianza durante le repliche parigine. All’Opera Comique di Parigi, dopo un Romeo e Giulietta a cui Lacan aveva assistito, il grande attore raccontò di quando, struccandosi in camerino, se lo ritrovò alle sue spalle: “…a fine spettacolo, io madido di sudore, gli volsi le spalle per riaverlo di fronte allo specchio. “Bon soir, maitre”…”Jaques Lacan, pas maitre”. Lì per lì, non presi atto ch’era quel silenzio reciproco la tregua dell’agire-patire. Lui, blu argentato, cui somigliare m’era stato congenito destino, lui taceva, io tacevo. Entrambi in ascolto, si va bene, ma che fare? L’ascolto era in ascolto. Certamente. Pure, in quel camerino, tra gli specchi, nulla restò interdetto. Devo alla sovrintelligenza di Lacan e alla mia lucida spossatezza, questo indimenticabile incontro a vuoto. Tacere: ecco un bel modo di dichiararsi amore e rispetto. Disparve, Lacan, come era apparso, felpato, tra i flash dei fotografi in calore e le occhiate concupiscenti dei suoi-miei fans.” Oggi, un percorso di analisi è roba per ricchi e annoiati borghesi in cerca di verità personali. Molto meglio, per i più, affidarsi a comode scorciatoie di nuove culture in pillole, sottobranche più disimpegnate della psicanalisi, oppure, alle pillole per davvero. Queste, ultima frontiera dell’avanzata farmacologia, accarezzano la mente (mentendo) quasi innocue nel loro invisibile utilizzo. Parliamone, anzi, parliamo, parliamo, convinti che il discorso appartenga sempre e solo al soggetto parlante. Ma almeno riparliamone. A patto di non avere di fronte a noi, analisti low-cost.

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