di Lucia Faienza

 

Nell’era dell’istantaneità digitale in cui le cose, romanzi compresi, invecchiano più rapidamente che nel passato, anche una forbice cronologica relativamente breve può determinare la percezione di una distanza, di un anacronismo rispetto al presente. Un’eccezione in questo senso sembra provenire da quella narrativa che ancora una volta scava in una regione più profonda della contemporaneità, riuscendo a mettere a fuoco delle dinamiche primarie, espressioni di un paradigma da cui scaturiscono fenomeni di lunga durata. Rumore bianco è una riflessione sull’ipnosi collettiva tardocapitalista che ha come coordinate l’iperconsumismo e il progresso tecnologico. Allo stesso tempo è un compendio delle nevrosi che tratteggiano la normalità di una famiglia americana media, come miniatura di tutta la società: Jack Gladney, titolare di una cattedra di studi hitleriani, Babette, la sua quarta moglie dipendente dai farmaci, i numerosi figli avuti dai precedenti matrimoni. La vita dei personaggi viene presentata, non senza ironia, all’interno di una nicchia protettiva, emblematizzata dalla collocazione in provincia e dal campus universitario in cui lavora Jack. Questi, infatti, ha costruito la sua posizione di studioso su un gigante della storia mondiale, ripescato dai detriti della cultura contemporanea e rivestito di un’aura che supera i confini del personaggio storico, divenendo esso stesso un mondo:

 

Adesso Hitler è una cosa tua, l’Hitler di Gladney. […] Attorno a questa figura storica hai sviluppato un intero sistema, una struttura con innumerevoli sottostrutture e correlati ambiti di studio, una storia nella storia. Un’impresa che considero formidabile. Magistrale, sottile e favolosamente anticipatrice.

 

La narrazione assume presto i toni di un’allucinazione iperrealistica, dove la coscienza del soggetto sembra polverizzarsi nella proiezione esterna verso oggetti inutili, detriti, accumuli. La stessa realtà della merce su cui si riversa la compulsività umana tradisce un vuoto di significato, motivo per cui gli oggetti vengono investiti di un’aura sacrale, come risulta evidente in questo passaggio che si svolge in un centro commerciale:

 

Comperavo con abbandono incurante. Comperavo per bisogni immediati ed eventualità remote. Comperavo per il piacere di farlo, guardando e toccando, esaminando merce che non avevo intenzione di comprare ma che finivo per acquistare. […] Cominciai a crescere in valore e autoconsiderazione. Mi espansi, scoprii nuovi aspetti di me stesso, individuai una persona della cui esistenza mi ero dimenticato. Mi trovai circondato di luce. (p.104)

La vite eterodirette portate all’estremo di Jack, Babette, i loro ragazzi, vengono esemplificate a livello narrativo con una persistente tendenza dell’Io a venire assorbito dalla pluralità schizofrenica del reale, che deborda nel testo attraverso l’inclusione di divagazioni tratte da stralci di talk show, conversazioni radio, letture dettagliate di opuscoli e giornali:

 

Poi prese un altro tabloid. […]

– Squadre di ufo invaderanno Disney World e Cape Canaveral. Con uno sbalorditivo voltafaccia, la suddetta aggressione si rivelerà una dimostrazione della follia della guerra(….)

– Un consorzio giapponese comprerà l’Air Force One per trasformarlo in un lussuoso condominio volante (…)

– Lo spirito di Lyndon B. Johnson contatterà alcuni dirigenti della CBS per combinare un’intervista televisiva in diretta (…)

– Mark David Chapman, assassino del Beatle, cambierà legalmente il proprio nome in John Lennon, iniziando una nuova carriera in paroliere rock nel braccio della morte

 

L’irrelatezza tra le informazioni e lo svolgimento della vicenda accresce la sensazione di caoticità e di bombardamento cognitivo che subiscono i personaggi e, per esteso, tutta la società dei consumatori. Come Barthes mostrava che la messa a fuoco in dettaglio sull’oggetto realistico, senza scopi esteriori alla propria referenzialità, ha il solo scopo di amplificare l’effetto di reale, così l’apparente nonsense delle minuziose divagazioni di Delillo sembra rispondere all’esigenza di mostrare il reale, o meglio l’iperreale, senza altra finalità al di fuori di sé stesso. E infatti il reale di cui sono interfaccia l’abbondanza cerebrale di nozioni e teorie è anche testimonianza paradossale della sua alienazione, quindi della sua sostanziale irrealtà. A questo irreale, dalle cui profondità riecheggia una realtà remota, sepolta da strati di rimozione, corrisponde una mitopoiesi altrettanto straniante, che scaturisce da uno stadio successivo della storia, quello della postmodernità, in cui la metafisica è stata inglobata nella fisica dei prodotti umani:

 

Onde e radiazioni- disse poi.- Sono giunto a capire che il mezzo televisivo è una forza di fondamentale importanza nella casa tipica americana. Conchiusa in sé, senza tempo, autolimitata, autoreferente. È come un mito nato qui nel nostro soggiorno, come una cosa che conosciamo in modo preconscio, quasi in sogno. […]”Coke is it. Coke is it. Coke is it.“. Il mezzo televisivo trabocca praticamente di formule sacre, se riusciamo a ricordarci come rispondere con innocenza e a superare l’irritazione, la stanchezza e il disgusto.

 

Questo stato di elusione della realtà ontologica, sostituita da un secondo livello sovrastrutturale, inizia però a traballare per la presenza di un’ombra, il pensiero della morte, che irrompe nel fittizio delle vite con tutta la potenza della sua tangibilità. La morte, in quanto evento vero per eccellenza, dato che non permette fughe teoriche, viene connotata come cassa di risonanza di quel reale che la postmodernità ha eluso e disciolto in strati di ulteriori significazioni. La paura alimenta sotterraneamente tutta la narrazione mostrandosi in diverse gradazioni di “virtualità”, da proiezione del disastro viziata dall’immaginario mediatico a evidenza biologica, pulsazione interna alla materialità del corpo. Del primo caso abbiamo un esempio sin dalle prime pagine, nelle quali viene descritto uno sventato disastro aereo, in cui le reazioni e le parole dei personaggi oscillano tra la recita di un copione e improvvisi guizzi di coscienza, come in questo esempio:

 

-Qui American due-uno-tre al registratore della cabina di comando. Ora sappiamo com’è. È peggio di come abbiamo mai immaginato. Al simulatore della morte, a Denver, non ci hanno preparato a niente di simile. La nostra paura è pura, così totalmente spoglia di distrazioni e pressioni da costituire una forma di meditazione trascendente. In meno di tre minuti toccheremo per così dire terra. I nostri corpi verranno trovati in un campo fumoso, sparpagliati nelle orribili posture della morte. Ti amo, Lance-

 

Ma sarà “l’evento tossico aereo” che infrangerà il diaframma di finzione provocando la presa di coscienza del protagonista: la nube chimica di Nyodene Derivative costringerà Jack e la sua famiglia a scappare dalla propria casa e lascerà indelebile traccia nel suo corpo, compromettendone la salute. Nel corpo di Jack crescerà una massa informe, un doppio della nube tossica, di cui replica l’aspetto amorfo e imprevedibile:

 

-Che cos’è una massa nebulosa, tanto per curiosità?

– Una possibile escrescenza nel corpo.

– E si chiama nebulosa perché non si riesce ad averne un’immagine chiara.

– Noi otteniamo immagini chiarissime. L’elaboratore di immagini fa le foto più chiare che sia umanamente possibile. Si chiama massa nebulosa perché non ha né conformazione, né forma, né limiti definiti.

 

La difficoltà di comprensione della verità che riguarda le cose è legata anche a quella dei disastri: quanto sono reali e quanto nascono dalle nostre paure? Si profila l’ipotesi di una dipendenza dagli eventi tragici che in qualche modo restituisca dimensionalità a una realtà appiattita, dove tutto è “rumore bianco” («di quanto in quanto abbiamo bisogno di una catastrofe per spezzare l’incessante bombardamento di informazioni»).

 

L’immediata conseguenza che il pericolo esterno causa nel chiuso di questo sistema è la condizione dell’angoscia, sentimento che indica la presenza di una liminarità, quella della contiguità della vita con la morte. L’espansione priva di limiti della vita del consumatore viene, infatti, bruscamente arrestata dall’evidenza di una realtà biologica che riporta la riflessione sul proprio essere nel mondo. L’ultima sezione del romanzo impenna vertiginosamente, dopo che Jack scopre di condividere con la moglie l’angoscia totalizzante della morte. Viene quindi introdotto un nuovo attore, il Dylarama, farmaco in via sperimentale e non autorizzato utilizzato da Babette per convivere con l’horror vacui che le spalanca il pensiero della fine.

 

La paura è l’autocoscienza portata ad un livello più elevato”: è attraverso questa affermazione che la morte introduce il momento riflessivo che manca nella coscienza del consumatore ed è, a livello soggettivo, l’espressione della juissance, l’incrinatura dell’ordine che mostra il volto vero della realtà. La nube tossica e la paura sono a livello concettuale due diverse manifestazioni dello stesso fenomeno di juissance, proprio in quanto turbamento di un equilibrio che rende visibile lo spettro della morte, il grande rimosso della nostra cultura. Questa presa di coscienza è accompagnata, per il protagonista, dalla scoperta della vera natura della cultura e della religione, quali istituzioni che adempiono principalmente allo scopo di perpetrare l’illusione consolatoria di eternità. Il dialogo finale con il collega Murray porta il protagonista a riconoscere il senso che ha per lui la figura di Hitler – fantoccio e inconscio desiderio di potenza dietro cui Jack si è nascosto fino a quel momento:

 

Ci sono personaggi più grandi della vita. Hitler è più grande della morte. E tu pensavi che ti avrebbe protetto. Lo capisco perfettamente.

 

Ancora più terribili risultano le parole di una suora incontrata nell’ospedale, che svelano l’artificialità di qualsiasi concezione metafisica:

 

Tutti. Quelli che passano la vita a credere che noi crediamo ancora. È il nostro compito nel mondo, credere in cose che nessun altro prende sul serio. Abbandonando tali credenze, il genere umano morirebbe. È per quello che siamo qui. Una minuscola minoranza. Per dare corpo a vecchie cose, vecchie credenze. Diavolo, angeli, paradiso, inferno. Se non fingessimo di crederci, il mondo andrebbe a rotoli.

 

Il finale del romanzo rimane sostanzialmente aperto, a valorizzare l’apparizione di un nuovo tipo di coscienza, dopo l’interruzione delle frequenze che formano il rumore bianco in cui sono immersi i personaggi. In definitiva, spezzare l’illusione non rappresenta una tappa verso una presa di senso ulteriore sulla realtà, ma il momento in cui la narrazione collassa in uno stato di sospesa incompiutezza. Dissezionando il corpo della contemporaneità, a partire da una storia che volge gradualmente verso il delirio, Delillo attraversa gli incubi del presente e in primis la perdita di controllo su un mondo ri-creato a immagine e somiglianza del nostro statuto di consumatori. L’autore sceglie di non ricomporre una sintesi; lascia che il reale si mostri nella propria natura di contraddizione oggettiva, e delle storie che lo attraversano i paradossi stessi del nostro tempo.

 

Riferimenti bibliografici:

 

Roland Barthes, “L’effetto di reale”, in Il brusio della lingua, Einaudi, Torino, 1988

Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 1984

Zygmunt Bauman, Vita liquida, Laterza, Bari, 2008

Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano, 1995

Don DeLillo, Rumore Bianco, Einaudi, Torino 2014 (trad. di Mario Biondi).

Brian McHale, Postmodernist fiction, Routledge, London&New York, 1987

Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 2006

Slavoj izek, Benvenuti nel deserto del reale, Meltemi, Roma, 2002

Slavoj Zizek, Epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma 2004

[Immagine: Jeff Nichols, Take Shelter (gm)].

3 thoughts on ““Rumore bianco” di Don DeLillo, trent’anni dopo

  1. Una puntuale e fine analisi, esaustiva, compiuta con la maestria di chi ha non solo letto approfonditamente il romanzo di Delillo, ma ne ha colto i più profondi significati tracciando una mini-guida alla lettura, utile sicuramente alla comprensione del testo.

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