di Paola D’Agostino
[Da poco è disponibile in ebook la traduzione italiana di un’opera importante della letteratura portoghese, I tre seni di Novellia, di Manuel da Silva Ramos. Pubblichiamo la postfazione al libro, scritta da Paola D’Agostino, e ringraziamo Vittoria Iguazú Editora].
“Non v’è letteratura senza diserzione”
(Giorgio Manganelli)
C’è un momento, nella storia di ogni letteratura, in cui un’opera, o un insieme di opere, viene a scardinare tutto l’impianto estetico-teorico che ne ha segnato, fino a quel momento, lo sviluppo. Come se all’improvviso le regole del gioco cambiassero, o come se il gioco stesso cominciasse, di per sé, a richiedere nuove soluzioni.
C’è un momento, nella storia del romanzo portoghese del Novecento, in cui si spezza, forse per usura, la linearità della costruzione narrativa, per dare luogo a un’avanguardia, a volte strutturata, altre volte spontanea e quasi “ingenua”, che proietta il vecchio modello letterario verso esiti più moderni. È un’esigenza, questa, che ha tanto più valore quando si considera che il germe della modernità matura all’interno di un paese, come il Portogallo degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, in cui vige ancora, seppur gradualmente indebolendosi, il laccio di un regime autoritario.
Per rimanere nell’ambito della narrativa (o “anti-narrativa”) sulla scia del nouveau roman francese, gli anni Sessanta vedono il fiorire di una serie di esperimenti (il termine non è qui casuale) che ritrarranno in maniera sorprendente le forze sotterranee autogeneratesi nella creatività di alcuni dei principali autori del secolo.
Sono gli anni di Rumor Branco di Almeida Faria (1962), di Herberto Helder con Os Passos em Volta (1963) e di Manuel da Silva Ramos con il suo romanzo d’esordio, I tre seni di Novellia (1969), che qui si presenta in traduzione.
Nello stesso 1969, un altro autore vicino alle tendenze del nouveau roman, Nuno Bragança (1929-1985) nel suo romanzo A Noite e O Riso, scriveva: «Sto avanzando in territorio proibito. Ogni parola-passo mi allontana dal mio silenzio, da questi segreti contornati»[1].
Nella parola-passo, parola rivelazione, in questo nuovo rapporto con un dire fecondo e iconoclasta al tempo stesso, si trova la giustificazione, o la scaturigine, dell’uso del frammento come unità narrativa. La parola diventa protagonista assoluta del messaggio e il romanzo si fa diario del processo creativo e storia dell’autore stesso mentre lo pensa.
Non è più la frantumazione dell’Io, l’isola d’identità molteplice nel mare della scrittura che aveva dato forma al Libro dell’Inquietudine di Pessoa. Il frammento è ora la riduzione nucleare e irriverente che fa della immediatezza la sua forza d’intervento. La riduzione a un effimero che contiene in sé tutte le potenzialità di una rivoluzione, non solo estetica.
L’opera di Silva Ramos, così come le altre sue contemporanee, fa del corpo la chiave di lettura della realtà. E come molte delle opere di quell’avanguardia, lo fa spesso in maniera eccessiva. Ma anche questo ha un chiaro valore ‘contestuale’.
“I tre seni” della protagonista Novellia, l’idea stessa dei tre seni, ci danno la misura di un “eccesso di corpo” che è caratteristico di questa fase della letteratura portoghese. E del resto non è un caso che le opere più significative di quel periodo abbiano sempre, e già nel titolo, un fortissimo rimando al corpo. I “passi” e il corpo nei titoli di Herberto Helder, il “riso” di Nuno Bragança come manifestazione acustica (e ancora fisica) di una reazione, contrapposti al “rumore bianco” di Almeida Faria, sono la risposta alla invisibilità coatta che il regime richiedeva.
Esiste un saggio critico di José Gil che è fondamentale per penetrare la produzione narrativa in tempo salazarista. “Salazar e la retorica dell’invisibilità”[2], sarebbe il titolo italiano se l’opera fosse tradotta. Attraverso un’analisi puntuale dei discorsi pubblici del dittatore, José Gil ci racconta come l’obiettivo principale del regime fosse privare i suoi sudditi dell’idea di possedere un corpo, corpo vivo e dunque capace di ribellione. Come se privare della stessa corporalità un intero popolo fosse la via maestra per sedarne ogni potenzialità di rivolta.
Il principio dell’invisibilità sarà dunque la legge professata e richiesta dal regime personale ma incorporeo di Salazar: abdicazione totale dall’idea di possedere un corpo, facendo appello all’alma portuguesa, l’anima, dunque, da sempre contrapposta alle prepotenze del corpo[3]. Il visibile sarà catturato dal regime, le energie fisiche dei giovani saranno coperte da divise militari e spedite a morire su navi dirette verso le guerre coloniali. In culo al mondo, di Lobo Antunes, è il resoconto lirico e agghiacciante di quell’esperienza.
José Gil ci racconta come, attraverso una retorica mirabilmente studiata, Salazar sia arrivato a esigere il sacrificio del corpo attingendo, egli stesso, uno stato di trascendenza che legittimava la richiesta di un tale sacrificio. «Fate come me – diceva Salazar – siate grandi rendendovi piccoli, siate visibili rendendovi invisibili.»[4]
È in questa cornice che va letto, o forse riletto, sarebbe il caso di dire, il romanzo d’esordio di Manuel da Silva Ramos. Perché nell’eccesso, fisico e onirico, di quei tre seni e di quel linguaggio in generale, c’è la chiave illustrata per percepire, in maniera esemplare, il territorio immaginario di un momento fondamentale, letterario perché storico, e viceversa, di un’intera letteratura. Si tratta di un esperimento che non può prescindere dal precedente sensazionismo di Fernando Pessoa, dove «l’unica cosa che conta è la sensazione», né dalle regole di un certo surrealismo, dove la scrittura è anche, e spesso soprattutto, specchio di immaginazione libera e puro desiderio.
Nella cornice dell’invisibilità forzata, si spiegano anche gli eccessi nel linguaggio erotico di Silva Ramos, l’elogio dell’impresentabile e dell’indicibile, la compiacenza nel provocare quel pudore anche solo involontario che ogni lettore ha nel proprio codice genetico.
In una recensione a Silva Ramos, Urbano Tavares Rodrigues, sulle pagine di Le Monde Diplomatique, così descrive “lo splendore burlesco” del nostro autore: «Una scrittura estremamente creativa, a livello sia stilistico che lessicale, di concisione e rigore rari, ma che pure a tratti dilaga in autentici poemi satirici in cui l’erotico e l’osceno a volte si fondono, senza mai però sconfinare nella pornografia. Ci ricorda, in certi passaggi, Rabelais, o le esperienze di alcuni surrealisti francesi, come Aragon e Soupault».
L’edizione che traduciamo raccoglie tre testi: I tre seni di Novellia, Il respiro e Una lunga nascita. Ne I tre seni di Novellia, che ha un ritmo musicale da poesia in prosa, Silva Ramos pronuncia a se stesso il dialogo immaginario con una donna che tutti i giorni passa insieme a lui per le stesse strade della città di Lisbona, in un viaggio solo pensato che si fa a ogni tappa dichiarazione d’amore.
La protagonista, Novellia, è essa stessa metafora della narrazione, incanto di parole dette appena, che non esita a sdoppiarsi in una serie di visi possibili, mentre la fertile vena visionaria di Silva Ramos ci trasporta nel paesaggio rurale e urbano di un Portogallo devastato da decenni di repressione. Il testo, dotato di una modernità eccezionale in un panorama intellettuale mutilato dalla censura, fece subito di Silva Ramos un autore straordinario, e lo consacrò immediatamente come giovane promessa della letteratura lusitana.
Gli altri due testi si compongono di brevi aforismi, riflessioni sarcastiche o iconoclaste, puri guizzi di spirito o visioni oniriche di ispirazione surrealista. Ne Il respiro, un abbozzo di calendario diventa il progetto incompiuto di ritrovare dentro la scrittura un territorio fecondo in cui far ri-vivere il corpo. L’opera a cui Silva Ramos tende idealmente è una sorta di “moltiplicazione delle donne”, un sempre auspicato regno del desiderio non represso che l’autore evocherà in tutte le opere successive.
Una lunga nascita risulta interessante al critico perché ricompone, attraverso il frammento, alcuni passaggi fondanti nella costruzione della curiosa e spigolosa biografia intellettuale di quel complesso autore che è Silva Ramos.
Manuel da Silva Ramos è nato nel 1948 a Covilhã, città situata nella regione portoghese della Beira Interior e legata al settore tessile. La formazione dell’autore avviene pertanto in un contesto dominato dalla cultura operaia, che gli fornisce una matrice ideologica contestataria rielaborata più tardi in una feroce satira dei costumi di un Paese ancora sostanzialmente rurale e preso nelle maglie del regime salazarista, che si concluderà soltanto nel 1974 con la Rivoluzione dei Garofani. L’esperienza della formazione e del lanificio come laboratorio di opposizione dialettica sarà l’ispirazione del suo romanzo Café Montalto (2003). Figlio di un artigiano della sartoria e di una casalinga, Manuel comincia a scrivere all’età di dodici anni raccontando in diario le situazioni e i personaggi che colpiscono la sua immaginazione nei pomeriggi passati nella bottega di suo padre. La figura del padre verrà rievocata con profonda intensità poetica in uno dei suoi ultimi libri dal titolo Pai, levanta-te, vem fazer-me um fato de canela (“Papà, alzati, vieni a farmi un vestito di cannella”, 2013). Nel 1969, a soli vent’anni, vince con Os Três Seios de Novêlia il prestigioso premio letterario “Almeida Garrett”, attribuitogli da una giuria composta dai principali critici letterari dell’epoca, tra cui Óscar Lopes e António Sacramento. Nel 1970, grazie al successo ottenuto con il libro e alla conseguente borsa di creazione artistica attribuitagli, lo scrittore abbandona gli studi di Diritto intrapresi presso l’antica Università di Coimbra e lascia il Portogallo per vivere in esilio volontario in Francia, dove viene a contatto con la cultura europea e matura una solida formazione letteraria facendo della scrittura la propria professione. Nel 1997 torna in patria e si dedica alla stesura di una copiosa produzione letteraria che comprende poesia e prosa.
Tra le sue opere principali, vanno menzionati i libri Tanatoperador e Adeusamalia (entrambi del 1999), la trilogia Tuga (composta a quattro mani con lo scrittore Alface), Viagem com Branco no Bolso (2000), Jesus – The Last Adventure of Franz Kafka (2002), Ambulância (2006), A Ponte Submersa (2007) e Contos Eróticos em Tempos de Vacas Magras (2014).
Nel 1967, mentre alla periferia del Portogallo prendevano corpo I tre seni di Novellia, in Italia Manganelli scriveva La letteratura come menzogna. Quella libertà “eversiva, blasfema”[5], essenziale a ciascuno scrittore secondo Manganelli per tracciare “geroglifici minerali su mano parzialmente umana, il muschio che cresce sulla nostra bocca, le geometriche piaghe della decomposizione”[6] – è la libertà che infetta Silva Ramos.
Note
[1] Nuno Bragança, A Noite e O Riso: Tríptico, Lisboa, Moraes, 1969
[2] José Gil, Salazar e a Retórica da Invisibilidade, Lisboa, Relógio d’Água, 1995.
[3] Per un’analisi dell’evoluzione nella riflessione sul rapporto tra anima e corpo nella storia del pensiero occidentale, sono essenziali i saggi di Umberto Galimberti, Il corpo, Milano, Feltrinelli, 1997 e Franco Rella, Ai confini del corpo, Milano, Feltrinelli, 1999.
[4] J. Gil, op. cit., p. 38 (la traduzione è nostra).
[5] G. Manganelli, La letteratura come menzogna, Adelphi, 2004, pag. 219
[6] Idem, ibidem
[Immagine: Sainte Gwenn – Vallée des Saints à Carnoët (1988)].
“Non v’è letteratura senza diserzione”, Giorgio Manganelli. E, infatti, io diserto e mi tengo alla larga accuratamente.
Se anch’io istituzione diventassi, finirei col diventare altro da me. Quindi, fuggo, scantono, evito, mi dileguo, uccel di bosco. E gioco con la vita e le sue regole. Imprendibile.