di Gianfranco Pellegrino

 

[Questo articolo è uscito sulla rivista «il Mulino»]

 

Si dà per scontato (si veda ad esempio qui) che nella discussione sulla liceità della gravidanza per altri, meglio conosciuta come utero in affitto, e sulle unioni civili ci siano interessi in conflitto. Secondo alcuni, l’interesse delle coppie gay e lesbiche ad avere figli biologici si contrapporrebbe all’interesse delle donne a non essere preda di sfruttamento o di mercificazione del proprio corpo. Secondo altri, anche l’interesse dei figli nati da gravidanze per altri, ed eventualmente ceduti, sarebbe in conflitto con l’interesse delle coppie che sollecitano queste gravidanze: in questo caso, la gravidanza per altri lederebbe l’interesse delle madri e dei loro nascituri. E, volendo continuare, pure gli interessi dei bambini già nati e in cerca di genitori adottivi si potrebbero vedere come in conflitto con quelli di chi evita l’adozione, preferendo a un figlio totalmente adottivo il figlio biologico di almeno uno dei due membri della coppia. (Quest’ultima cosa non viene detta spesso, almeno in Italia, dal momento che sarebbe un’argomentazione a favore della completa liberalizzazione dell’adozione per le coppie gay e lesbiche.) Vorrei concentrarmi qui sulla prima idea, cioè sulla tesi secondo cui la gravidanza per altri lederebbe gli interessi delle donne, e quindi – assumendo che la legge sulle unioni civili in discussione in questi giorni incentivi o faciliti in qualche modo il ricorso alla gravidanza per altri (un assunto non dimostrato, però) – questa legge in qualche modo tutela gli interessi di una minoranza ledendo gli interessi di una maggioranza, le donne.

 

Ciò che trovo sospetto è la tesi implicita di chi la pensa così, la tesi secondo cui la gravidanza per altri lederebbe esclusivamente gli interessi delle donne. Trovo sospetta questa tesi perché mi sembra che di tutte le argomentazioni usate contro la gravidanza per altri nessuna o quasi riguardi esclusivamente le donne, e le poche che riguardano solo le donne non sono buone argomentazioni, come vedremo.

L’argomentazione più diffusa contro la gravidanza per altri è che essa implica un rapporto di sfruttamento di donne povere, e che in nessun caso chi sceglie di vendere una gestazione si possa dire libera di farlo: si tratta di donne costrette dalle circostanze a vendere una parte preziosa di sé, della propria vita e del proprio corpo. Queste donne limitano la propria libertà (per esempio sottoponendosi a cure mediche o a particolari regimi sanitari) e subiscono una trasformazione del proprio corpo, che non è scelta, ma è imposta dal bisogno.

Ovviamente, però, sono molte le persone che, per bisogno, limitano la propria libertà e vendono parti preziose di sé, della propria vita e del proprio corpo. Nei paesi dove la gravidanza per altri è più diffusa, come per esempio l’India, ci sono masse di lavoratori che assicurano agli occidentali servizi a basso costo in campi meno considerati, come l’elettronica e l’editoria. E il mondo è pieno di persone duramente sfruttate per alimentare mercati illegali: chi ha estratto il coltan che fa funzionare lo smartphone che state usando per leggere queste parole? Non è detto che non sia stato un bimbo in Nigeria.

 

A questo si potrebbe obiettare che questo tipo di sfruttamento non implica trasformazioni del corpo e trattamenti medici coatti. Ma a me non sembra difficile pensare a sfruttamenti – o anche addirittura a rapporti di lavoro che non percepiamo come sfruttamento – che provochino deformazioni non volute del corpo e della salute. Che dire ad esempio degli operai morti per cancri che si sarebbero potuti evitare se gli imprenditori non avessero usato, nelle fabbriche, certi materiali, o morti in incendi evitabili? Il cancro non è una deformazione del corpo e una lesione dell’integrità? E la morte per ustione?

L’argomentazione dello sfruttamento, dunque, se è giusta, non si può limitare alla gravidanza per altri. Chi si oppone alla gravidanza per altri dovrebbe anche essere parecchio attento alle merci che compra, e protestare duramente tutte le volte che il nostro paese commercia con nazioni in cui i diritti e la salute dei lavori non sono tutelati adeguatamente. Non mi pare che questo avvenga. Inoltre, l’argomentazione dello sfruttamento nulla dice contro gravidanza per altri dove non ci sia passaggio di denaro.

 

Si potrebbe dire, però, che in realtà il motivo per cui la gravidanza per altri non è ammissibile sta nella relazione che si crea fra la madre e il nascituro durante la gestazione. Questa relazione viene interrotta dopo la nascita, e ciò lede l’interesse della madre – e, immagino, anche del bambino. E questa relazione è appannaggio esclusivo delle madri.

A prima vista, quest’argomentazione limita il discorso alle donne, perché ovviamente gli uomini non possono avere questo tipo di relazioni con i nascituri. Ma vedo due problemi in essa. In primo luogo, non capisco come un’argomentazione del genere possa conciliarsi con la liceità dell’aborto. O la relazione si istituisce a un certo momento della gestazione (quale?), o la relazione può essere interrotta quando la madre vuole, per certi motivi: ma allora non capisco perché questo non valga per la gravidanza per altri, dove peraltro la gestazione viene portata a termine. (O forse le donne sono più libere di abortire che di vendere una gestazione?) E nemmeno capisco se questa relazione continui immutata dopo la gravidanza: mi sembra che qualcosa cambi, e che le relazioni con i bimbi nati forse siano meno esclusivamente femminili – nel qual caso, il genitore biologico che affida suo figlio alla madre surrogata sarebbe anch’egli o ella un termine della relazione. E, ovviamente, non si capisce perché certe relazioni debbano essere esclusive (perché la madre surrogata, specialmente se non ci sia stato passaggio di denaro, dovrebbe cessare del tutto i rapporti con il figlio biologico?).

 

Quali che siano le nostre posizioni, mi sembra che la discussione sulla gravidanza per altri non possa essere una battaglia delle donne contro tutti – e che sia un cattivo servizio, alle donne stesse e ad altri, vederla così.

[Immagine: Foto di Hannah Starkey (gm).]

159 thoughts on “L’utero (in affitto) è solo delle donne?

  1. «L’argomentazione dello sfruttamento, dunque, se è giusta, non si può limitare alla gravidanza per altri».

    Bene. Non limitiamola, allora.

    Il nostro mondo conosce le più svariate forme di sfruttamento: questo è un fatto sotto agli occhi (occhi, certo, non coscienze) di tutti. Alcuni sono sensibili ad alcune ingiustizie, altri ad altre; alcuni a nessuna, altri a tutte.
    Quindi? Non capisco è dove si voglia andare a parare con questa constatazione: a un’accusa di incoerenza?

    Esistono molte forme di sfruttamento, alcune più ed altre meno (o per nulla) sentite dalla nostra coscienza individuale e collettiva. Ciò non implica che “l’utero in affitto” non sia una forma di sfruttamento.

  2. L’argomento “donne” viene usato paternalisticamente da certuni e certune. In seno ai femminismi c’è uno scontro in atto, da questo punto di vista. L’argomento “donne” è funzionale in tanti ambiti.

    I bambini! Non avete pensato ai bambini? Ma perché nessuno pensa ai bambini?
    (Helen Schwartzbaum)

  3. Una obiezione pregiudiziale. Figli? Nessuna specie vivente si riproduce in maniera così forsennata ed irresponsabile ed esponenziale come noi esseri umani. Non sarebbe il caso di limitare le nascite? Il pianeta prima o poi esploderà.
    Inoltre, non ho mai amato eccessivamente gli esperimenti fatti in laboratorio. Ed ho il sacro terrore della dittatura dei preti e di quella degli scienziati, di chi pretende di regolamentare le nostre vite. Credo fermamente alla libera scelta individuale.

  4. Commissionare, vendere e comprare i bambini è una malvagità infame, e punto.
    Chi la giustifica con “l’amore”, alla malvagità e all’infamia aggiunge l’ipocrisia, e così non si fa mancare niente, bravo!

    A chi la accetta o la caldeggia, come ad esempio il filosofo Remo Bodei, che con le mie personali orecchie ho ascoltato dire (“Uomini e profeti”, Radiotre di due sabati fa): “la maternità surrogata, anche a pagamento,va bene…se c’è amore…” auguro di tutto cuore che una donna a lui cara – figlia, sorella, moglie, amante, amica – intraprenda al più presto questa remunerativa, benemerita e altruistica attività; naturalmente con amore, ci mancherebbe.

  5. “Perché non ci si indigna per lo sfruttamento da coltan?”; “Perché considerare solo alcune relazioni e non tutte?”
    Mi si perdoni, ma mi pare un esercizio di benaltrismo che non sposta di un millimetro la questione.

  6. Grazie per i commenti.
    @ Chiara: l’obiettivo del ragionamento è indicare che ci sono molte forme di sfruttamento, e che se lo è la GPA ce ne sono altre di eguale importanza cui non si dà eguale rilievo. Ma con questo non volevo dire che c’è un problema di incoerenza. O meglio non pura e semplice incoerenza. L’idea è che o si rifiuta del tutto qualsiasi sfruttamento — e quindi non si acquistano telefonini, servizi editoriali, magliette piratate, e così via –, oppure si cerca di capire i contesti degli sfruttamenti, di limitarne l’impatto, e se ne accettano anche alcuni quando ci siano valori in gioco che hanno maggiore importanza. Non voglio e non so dire se questo sia il caso della GPA. Ma mi pare che il problema ce lo si dovrebbe porre: perché senno’ non capisco perché lo sfruttamento delle badanti, ad esempio, va bene, perché risolve un problema di sanità pubblica, e in fondo migliora la vita delle badanti stesse, e invece la GPA a certe condizioni — la GPA regolata da leggi di Stati civili e democratici — sia particolarmente scandalosa.
    E non mi imbarco sulla questione della libertà in condizioni di mercato capitalistico e della definizione di “sfruttamento”. Però segnalo che anche su questi argomenti non tutto è scontato od ovvio.
    Insomma, l’obiettivo è segnalare che dietro l’argomentazione dello sfruttamento si cela una obiezione diversa — una obiezione talvolta cripto-religiosa, talvolta fondata su una qualche concezione di ‘natura’, talvolta omofoba — e invitare ad avere il coraggio di esporre, e discutere, le vere argomentazioni che si hanno in mente. Non è incoerenza, insomma, ma forse un tantino di ipocrisia.
    @ Buffagni e FF vs PPP: certo che bisogna occuparsi dei bambini, e dei loro diritti e interessi. E anche quest’argomento è complicato e vasto. Ma, per esempio, a me pare che se io, dall’iperuranio, dovessi scegliere fra nascere in Nigeria, nella maniera tradizionale, e poi vivere la mia infanzia estraendo il coltan per i telefonini degli occidentali, oppure nascere in India, o negli Stati Uniti, e finire nella ricca casa di due padri italiani… Beh, non avrei dubbi. E, peraltro, i bambini non si vendono solo in utero. Se ne può vendere la forza lavoro, ad esempio. Ancora una volta non intendo difendere a spada tratta la GPA. Solo mi pare assurdo isolarla dal contesto del mercato globalizzato. E ci sono un sacco di donne a me care che vengono sfruttate del tutto legalmente — come correttrici di bozze, commesse all’Ikea, assistenti universitarie senza stipendio, mogli di mariti assenti o noncuranti, e così via. E lo sfruttamento non dura solo nove mesi, e stravolge il loro corpo, e sfiorisce i loro anni, secondo me, ben più di una gravidanza.

  7. @ G. Pellegrino

    Ma ci prendiamo in giro? Col fatto che esiste lo sfruttamento della forza lavoro (o i matrimoni infelici) lei mi giustifica eticamente la fabbricazione industriale degli esseri umani a scopo di lucro?

    Siccome al mondo ci sono tante cose brutte, che sarà mai una cosa brutta in più? Una più, una meno…

    E questa secondo lei sarebbe una giustificazione etica?

    A rigor della sua logica, perchè non giustificare e legalizzare anche la vendita di bambini poveri ai pedofili benestanti? Meglio dividere il letto del benestante, che chissà, ti potrebbe anche “amare”, che “estrarre il coltan per i telefonini degli occidentali.” E la vendita di organi, no? Tu bimbo povero vendi (legalmente, beninteso) un rene al bambino ricco; resti con un rene solo, ma puoi avviare una attività che ti strappa dalla miseria, e poi magari col bambino ricco ci diventi amico, vi scrivete le email con le faccine…il suo papà investe nella tua aziendina che pian pianino diventa un gigante dell’economia, che bella fiaba!

    Mah…e poi cosa sto a sprecar fiato, queste cose se uno non le capisce da sè è inutile spiegarle…cadono le braccia. Buon pro le faccia il suo mondo.

  8. Le monde va finir

    « Le monde va finir. La seule raison, pour laquelle il pourrait durer, c’est qu’il existe. Que cette raison est faible, comparée à toutes celles qui annoncent le contraire, particulièrement à celle-ci : Qu’est-ce que le monde a désormais à faire sous le ciel? — Car, en supposant qu’il continuât à exister matériellement, serait-ce une existence digne de ce nom et du Dictionnaire historique? Je ne dis pas que le monde sera réduit aux expédients et au désordre bouffon des républiques du Sud-Amérique, que peut-être même nous retournerons à l’état sauvage, et que nous irons, à travers les ruines herbues de notre civilisation, chercher notre pâture, un fusil à la main. Non; car ces aventures supposeraient encore une certaine énergie vitale, écho des premiers âges. Nouvel exemple et nouvelles victimes des inexorables lois morales, nous périrons par où nous avons cru vivre. La mécanique nous aura tellement américanisés, le progrès aura si bien atrophié en nous toute la partie spirituelle, que rien, parmi les rêveries sanguinaires, sacrilèges ou antinaturelles des utopistes, ne pourra être comparé à ses résultats positifs. Je demande à tout homme qui pense de me montrer ce qui subsiste de la vie. De la religion, je crois inutile d’en parler et d’en chercher les restes, puisque se donner la peine de nier Dieu est le seul scandale, en pareilles matières. La propriété avait disparu virtuellement avec la suppression du droit d’aînesse; mais le temps viendra où l’humanité, comme un ogre vengeur, arrachera leur dernier morceau à ceux qui croient avoir hérité légitimement des révolutions. Encore, là ne serait pas le mal suprême.

    L’imagination humaine peut concevoir, sans trop de peine, des républiques ou autres États communautaires, dignes de quelque gloire, s’ils sont dirigés par des hommes sacrés, par de certains aristocrates.

    Mais ce n’est pas particulièrement par des institutions politiques que se manifestera la ruine universelle, ou le progrès universel; car peu m’importe le nom. Ce sera par l’avilissement des cœurs. Ai-je besoin de dire que le peu qui restera de politique se débattra péniblement dans les étreintes de l’animalité générale, et que les gouvernants seront forcés, pour se maintenir et pour créer un fantôme d’ordre, de recourir à des moyens qui feraient frissonner notre humanité actuelle, pourtant si endurcie? — Alors, le fils fuira la famille, non pas à dix-huit ans, mais à douze, émancipé par sa précocité gloutonne ; il la fuira, non pas pour chercher des aventures héroïques, non pas pour délivrer une beauté prisonnière dans une tour, non pas pour immortaliser un galetas par de sublimes pensées, mais pour fonder un commerce, pour s’enrichir, et pour faire concurrence à son infâme papa, fondateur et actionnaire d’un journal qui répandra les lumières et qui ferait considérer le Siècle d’alors comme un suppôt de la superstition. — Alors, les errantes, les déclassées, celles qui ont eu quelques amants et qu’on appelle parfois des Anges, en raison et en remerciement de l’étourderie qui brille, lumière de hasard, dans leur existence logique comme le mal, — alors celles-là, dis-je, ne seront plus qu’impitoyable sagesse, sagesse qui condamnera tout, fors l’argent, tout, même les erreurs des sens! Alors, ce qui ressemblera à la vertu, que dis-je, tout ce qui ne sera pas l’ardeur vers Plutus sera réputé un immense ridicule. La justice, si, à cette époque fortunée, il peut encore exister une justice, fera interdire les citoyens qui ne sauront pas faire fortune. Ton épouse, ô Bourgeois! ta chaste moitié, dont la légitimité fait pour toi la poésie, introduisant désormais dans la légalité une infamie irréprochable, gardienne vigilante et amoureuse de ton coffre-fort, ne sera plus que l’idéal parfait de la femme entretenue. Ta fille, avec une nubilité enfantine, rêvera, dans son berceau, qu’elle se vend un million, et toi-même, ô Bourgeois, — moins poète encore que tu n’es aujourd’hui, — tu n’y trouveras rien à redire; tu ne regretteras rien. Car il y a des choses, dans l’homme, qui se fortifient et prospèrent à mesure que d’autres se délicatisent et s’amoindrissent; et, grâce au progrès de ces temps, il ne te restera de tes entrailles que des viscères! — Ces temps sont peut-être bien proches; qui sait même s’ils ne sont pas venus, et si l’épaississement de notre nature n’est pas le seul obstacle qui nous empêche d’apprécier le milieu dans lequel nous respirons?

    Quant à moi, qui sens quelquefois en moi le ridicule d’un prophète, je sais que je n’y trouverai jamais la charité d’un médecin. Perdu dans ce vilain monde, coudoyé par les foules, je suis comme un homme lassé dont l’œil ne voit en arrière, dans les années profondes, que désabusement et amertume, et, devant lui, qu’un orage où rien de neuf n’est contenu, ni enseignement ni douleur. Le soir où cet homme a volé à la destinée quelques heures de plaisir, bercé dans sa digestion, oublieux — autant que possible — du passé, content du présent et résigné à l’avenir, enivré de son sang-froid et de son dandysme, fier de n’être pas aussi bas que ceux qui passent, il se dit, en contemplant la fumée de son cigare : «Que m’importe où vont ces consciences?»

    Je crois que j’ai dérivé dans ce que les gens du métier appellent un hors-d’œuvre. Cependant, je laisserai ces pages, — parce que je veux dater ma colère. »

    Fusées, 1851

  9. Ti ringrazio, Gianfranco, per la tua risposta.

    Prendo spunto dalle tue parole. Io direi che “l’utero in affitto” è una forma di sfruttamento della quale occorre capire le ragioni, interrogandosi sui ‘perché’ delle donne disposte a rendersi “utero in affitto” e sui ‘perché’ di chi – single, coppia etero o coppia omosessuale che sia – intende usarle come tali.

    Ho scritto “donne disposte a”. Anche su questo bisognerebbe fare chiarezza. Distinguiamo tra donne costrette da una condizione di forte disagio economico e sociale ad affittare il proprio utero (rinunciando alla propria libertà per il tempo della gravidanza, a una esperienza piena di maternità, a crescere il bambino che hanno portato in grembo, ecc.) e le ‘missionarie’ che, ricche, ben istruite e realizzate, senza essere pagate, in assoluta libertà, ecc., scelgono di mettere al mondo un bambino che poi sarà cresciuto da altri.

    Disgraziate VS volontarie. Credo di aver dato un’idea della casistica, pur calcando un po’ la mano. Ora, io non ho numeri ufficiali, ma credo che le prime siano i n f i n i t a m e n t e più numerose delle seconde. È questo un dato che non può essere declassato a secondario o trascurabile. Certo, ci sarà chi calcherà la mano su questo aspetto con ipocrisia, celando altre motivazioni: ma la realtà è questa, e con questa occorre fare i conti.

    In me convivono e si spalleggiano due tipi di no all’utero in affitto: il primo è di stampo femminista; il secondo, di carattere spirituale e religioso. La biografia gioca la sua parte: come donna, ripensando alla mia storia di figlia e di madre – ed ecco, infine, un argomento lacrimevole ed agé… – trovo agghiacciante la pratica dell’utero in affitto.

    Il tema è un ginepraio che punge nel vivo tutti. Perché sì, l’utero – almeno fino a quando la tecnologia biomedica lo consentirà – è solo della donna, ma quel che lì dentro può accadere, no, non è soltanto della donna: appartiene a ciascuno e riguarda tutti, come individui e come membri di una comunità. Misurandosi con questo tema, una società esplicita i suoi valori cardinali, la sua idea di comunità e di futuro.

    Scrivi bene: sull’utero in affitto – o sulla “Gestazione per altri”, per usare un’espressione più ‘gentile’, che edulcora e cancella (ipocritamente?) quella realtà di cui sopra –, gli Stati civili e democratici sono chiamati a legiferare. Io auspicherei leggi che impediscano questa pratica: e le auspicherei da uno Stato laico. Perché a mio parere, anche senza scomodare profeti, mistici e bigotti, si possono trovare molte buone ragioni razionali contro la GPA.

    (Ginepraio nel ginepraio: mi guardo bene dallo scrivere dei diritti del nascituro, della commercializzazione della vita in ogni suo aspetto. Eh no, non si finirebbe più)

  10. @ Buffagni: Buffagni, lei si altera e dice di sprecar fiato. Ma ovviamente se lo fa vuol dire che non ritiene sia spreco. Poi, se invece è spreco, non capisco perché lo faccia una prima e una seconda volta. A rigor della mia logica, come dice lei, non è questione di giustificare o legalizzare alcunché. Ma solo di chiedere a chi la pensa come lei prima di tutto di spiegare a noi che non le capiamo le distinzioni più rilevanti — per esempio quella fra alcuni tipi di sfruttamento e altri. In secondo luogo l’idea sarebbe di capire come mai se io dico che affittare l’utero è sbagliato come è sbagliato vendere la forza lavoro dei bambini (o essere complice di chi lo fa) lei reagisce interpretando il mio come un invito a legalizzare tutto, anche la pedofilia, e non come un invito a vietare il commercio internazionale di certi prodotti, o a farsi dei problemi di coscienza per le merci che acquistiamo. Io ho solo detto che o ci indigniamo per le due cose oppure dovremmo spiegare la differenza. E a lei, come a molti e molte che la pensano come lei, chiedo semplicemente di spiegarla questa differenza — senza dare per scontato che ci sia. Ed eventualmente provando a vedere se tutti i nostri comportamenti sono specchiati, a parte alcune minoranze che vorrebbero forme diverse di riproduzione. Oppure, se non riuscite a spiegare la differenza, forse si potrebbero cercare altre argomentazioni. Sempre che quello che volete fare sia argomentare, naturalmente.
    Questo dovrebbe spiegare, spero, il mio pensiero. Per il fiato sprecato, naturalmente, non posso farci niente.

  11. @ Chiara: grazie a te. Cogli i due punti che mi stanno a cuore. In primo luogo, la discussione non può essere appannaggio solo di alcune; in secondo luogo, fatta la differenza fra sfruttate e illuminate, bisognerebbe avviare una riflessione politica contro le forme di sfruttamento, in particolare in un contesto globale. Qui terminano le mie sicurezze però- Penso che tutta la storia dei commerci illegali e clandestini mostri che proibire all’interno di uno stato non sia molto efficace, perché il commercio se ne frega delle frontiere e delle leggi. E, allora, o la rivoluzione anticapitalistica permanente, o la fatica della regolazione — cioè la fatica di vedere e distinguere fra le sfruttate, e assumersi l’onere del paternalismo (tu no! perché non puoi decidere, tu sì, ma sei sicura? tu sì, perché puoi difenderti), e la via della regolazione, non della proibizione. Perché, se non si vuole rovesciare il capitalismo con la rivoluzione, ci dovrà essere una via praticabile fra la libertà sregolata dei commerci e il proibizionismo…

  12. L’utero (in affitto) è solo delle donne?

    Evidentemente sì, altrimenti lei non parlerebbe di gravidanza e parto con tanta soave incomprensione.

  13. Prima di tentare di definire le peculiarità del dare l’utero in affitto rispetto a tante altre cose che pure ci appaiono indegne dei valori che attribuiamo a tutti gli individui della nostra specie, mi permetta di obiettare allo stesso schema che lei propone.
    Con un manicheismo degno di miglior causa lei sostiene che nella società esiste il buono e il nobuono. Ora, lei come ha confermato nei suoi successivi interventi, non intende prendere posizione, a lei interessa soltanto che per l’utero in affitto si usi un metro di giudizio omogeneo a quello che usiamo per tutte le forme di prestazione a pagamento già esistenti.
    Questo suo schema di ragionamento però ha da una parte un’evidente funzione di espediente retorico per giungere dove lei intenderebbe portarci, come può capire anche un ragazzino, e dall’altra viola apertamente la logica dell’azione politica.
    In primis, una situazione esistente non può essere in alcun modo equiparata a una nuova che si vuole introdurre. Ciò che già si pratica, ha dalla sua la forza dell’evidenza sperimentale, fa parte della vita, magari non direttamente la nostra, ma anche di quella degli altri possiamo avere una conoscenza adeguata.
    Inoltre, l’opzione per cui esista una sorta di ora zero, a cui improvvisamente il mondo abroga tutto ciò su cui un ipotetico illuminato gruppo di saggi emette un giudizio negativo, è priva di senso ancor prima che di praticabilità politica.
    Così, si appalesa dove lei ci vorrebbe portare. Non riuscite ad eliminare il male dal mondo? Allora ccolgiete quest’altro male. Ma dico, lei vorrebbe che ci bevessimo questo ragionamento da bar come se si trattasse di un contributo alla chiarezza sull’argomento? La pretestuosità di questa linea di ragionamento mi pare indubbia.

    Tuttavia, non mi sottrarrò alla sua richiesta di definire l’utero in affitto rispetto ad altre schifezze che già ritroviamo nel mondo in cui abitiamo, ma lo farò in un successivo intervento.

  14. @ Cucinotta: La ringrazio per voler prendere sul serio, in un successivo intervento, il mio invito. E però vorrei reagire alla sua osservazione sulla retorica del mio, di intervento. E’ vero che c’è retorica: ma non quella che lei mi attribuisce in alcune parti del suo breve commento. Certo, io vorrei smascherare chi nasconde dietro l’obiezione dello sfruttamento obiezioni più forti — e vorrei farlo perché sospetto che non siano sostenibili. Ma la dicotomia che lei fa tra male presente e male futuro da introdurre è ben più manichea della mia. Per dirla in termini quanto più possibili chiari: dato che di operai morti per cancro e per rogo ce ne sono sempre stati ce li teniamo, ma facciamo argine contro l’utero in affitto? A me pare che, di nuovo, ci sono sfruttamenti ben più gravi dell’utero in affitto, e che, come dicevo in un’altra risposta, bisognerebbe assumersi l’onere di regolare quello che ci pare sfruttamento, se ci pare di non poterlo rifiutare del tutto, e di rifiutare del tutto quello che ci sembra più odioso sfruttamento di tutti gli altri. Sono analogie ed esempi quelli che faccio, è vero: ma non mi sembrano — e qui ci si deve fidare della buona fede — pretestuose. Perché il mio copy editor indiano, o chi mi mette la benzina la notte al self service, lui al freddo, io dentro al caldo, sono meno sfruttati di una donna che affitta l’utero? Io non dico che la donna sia meno sfruttata, dico che loro lo sono in pari grado.
    E, inoltre, l’utero in affitto non è da introdurre: c’è già, nei mercati internazionali. La questione è se andare in piazza per chiedere che l’Italia interrompa le relazioni commerciali e diplomatiche con quei paesi che lo contemplano. Questa è cattiva politica, o ragionamento pretestuoso? Non è praticabile? C’è un’evidenza sperimentale di quel che accade, anche se è male? S’immagina se argomentazioni del genere fossero state presentate a chi voleva abolire la schiavitù nel XIX secolo negli Stati del Sud? Può darsi certo che mi sfugga la praticabilità politica. Non mi pare di far parte di nessun illuminato gruppo di saggi :-), e questo forse lo prova…

  15. Continuando dal mio precedente intervento, tenterò adesso di affrontare il merito delle questioni che definiscono l’utero in affitto rispetto ad altrre pratiche a pagamento.
    Due brevi premesse.
    La prima è che dovremmo abituarci a considerare la realtà partendo dal presupposto che ogni suo aspetto ha delle sue peculiarità che lo rendono in qualche misura unico e differente da ogni altro, fosse anche per dettagli apparentemente insignificanti.
    La seconda premessa è che un confronto tra utero in affitto ed altre schifezze per essere esauriente, dovrebbe prevedere una disamina puntuale di tutte le modalità di prestazioni a pagamento fin qui legalmente praticate. Tuttavia, un compito di questo tipo sarebbe come capiamo impossibile da svolgere in questa sede, il che ci porta a limitare la discussione al fissare alcuni criteri.

    Per avere una valutazione della complessità del compito, farò un brevissimo riferimento a un caso molto significativo, quello dovuto alla rivoluzione industriale di inizio ottocento in Inghilterra.
    Improvvisamente, un numero enorme di contadini, reduci dall’antica servitù della gleba, si rirtrovarono a diventare operai per le prime grandi aziende dell’umanità.
    Il capitalismo considera questo passaggio come altamente positivo, ma anche i marxisti credono che il capitalismo, permettendo alle persone di vendere “liberamente” la propria forza lavoro, senza dovere sottostare ad una sorte definita già alla loro nascita, costituisca un progresso rispetto allo stato feudale.
    C’è tuttavia, una tesi differente, dovuta in particolare a Polanyi che sostiene il contrario. Egli sostiene che il dover vendere la propria forza lavoro rendeva questi uomini ancora più schiavi, perchè quelle misere abitazioni e quel poco di terra da far fruttare con enorme fatica erano comunque una forma di garanzia, un qualcosa a cui aggrapparsi anche nei momenti peggiori. L’operaio invece aveva come unica risorsa per potere sostentare sè e la propria famiglia solo le proprie braccia. Così, malgrado mediamente fosse più ricco che da contadino, se per una crisi ciclica del tutto indipendente dal proprio controllo, non trovava chi la comprasse, finiva immediatamente in miseria e talvolta moriva anche di fame.
    Ora, se su una questione specifica come questa, il fronte a favore dei più poveri si divide al proprio interno nel valutare cosa possa essere considerato come preferibile, significa che non esiste un metro unico che ci consenta di giudicare le cose tutti allo stesso modo.

    Il problema che si pone Polanyi è per certi versi quello che tutti ci poniamo e che lei invoca esplicitamente in un ambito che mi consenta di considerare improprio, come si possa considerare umana una società dove le persone scambiano le proprie risorse fisiche per denaro.
    Un problema fondamentale, ma che qui dobbiamo mettere da parte, almeno nei suoi aspetti generali.
    Possiamo però fare una specificazione: seppure questo lavoro sia oggetto di vendita, esso è per altri aspetti simile a un lavoro condotto in modo individuale. Correre, tirare stringere, esercitare la forza per ottenere certi risultati, pare un’attività del tutto naturale, come ogni altro animale, anche l’uomo per la sopravvivenza opera sulla realtà usando le proprie risorse fisiche.
    La prostituzione ad esempio non sembra che si possa equiparare ad altri lavori. Ciò che rimane difficile da accettare anche quando la donna lo faccia del tutto volontariamente, è lo svolgimento di un’attività comunemente associata ad un trasporto affettivo, come pura attività fisica, l’attività sessuale che è per sua natura un veicolo privilegiato per raggiungere un livello di intimità altrimenti quasi irragiungibile, viene svolta con estranei, negando per questi versi la sua funzione peculiare.
    Con l’utero in affitto, andiamo ancora più in là, un ulteriore gradino verso il degrado della persona.
    Nella prostituzione, c’è ancora una partecipazione personale, c’è una competenza comunque questa voglia essere considerata, ma c’è indubitabilmente.
    Bene, nell’utero in affitto, è evidente che la donna è chiamata a svolgere un ruolo passivo, non esiste evidentemente competenza alcuna, la si usa come si usa la mucca nutrita perchè faccia il latte.
    Naturalmente, c’è di peggio, la vendita di organi è senz’altro ancora peggiore, se non altro per le menomazioni che comporta.
    Ho portato questi esempi proprio per illustrare come una disamina corretta debba considerare aspetti anche apparentemente secondari che tuttavia risultano alal fine determinanti nel differenziare le situazioni.

    Leggo ora il suo nuovo intervento e mi corre pertanto l’obbligo di risponderle.
    La distinzione tra esistente e innovazione non è un mio arbitrio, su questo si sbaglia completamente.
    Occuparsi oggi dell’utero in affitto non dovrebbe secondo ogni logica influenzare la misura dle nostro impegno a migliorare il mondo, tntare di renderlo migliore.
    Su questo, do’ per scontato che siamo tutti impegnati già da ora, e pertanto non posso accettare che qualcuno guardi alle storture del mondo solo perchè deve trovar eil modo di giustificare l’utero in affitto. Se le storture permangono, significa che non fsacciamo ababstanza o che non siamo ababstanza bravi, ma ciò non vedo come e perchè dovrebbeb unfluenzare la nostra opinione sull’utero in affitto.

    Infine, lei introduce la situazione internazionale, arrivando sostanzialmente a dire che dobbiamo entrare in guerra contro le nazioni che hanno adottato legislazioni differenti da quelle che noi vogliamo introdurre.
    Intanto, stabiliamo cosa vogliamo fare a casa nostra, poi andremo in giro per il mondo come missionari, e io la proporrò come capo missione .

  16. Caro Pellegrino,
    vuole sapere perché scrivo che mi cadono le braccia e che discutere su questo argomento è fiato sprecato? Bene, glielo spiego. Le spiego anche perché invece di stare coerentemente zitto, scrivo.

    Mi cadono le braccia, perché se si è costretti a spiegare a persone istruite e sane di mente come lei per quale motivo comprare e vendere le persone sia male, vuol dire che “il mondo sta per finire”, come scrive Baudelaire. Ha letto? “…ce n’est pas particulièrement par des institutions politiques que se manifestera la ruine universelle, ou le progrès universel; car peu m’importe le nom. Ce sera par l’avilissement des cœurs.”: “la rovina universale … si manifesterà NELLA DEGRADAZIONE DEI CUORI.”

    Non sto coerentemente zitto perché la stupida enormità di questa rovina mi rivolta lo stomaco e mi fa salire la pressione: insomma, mi sfogo un poco.

    E adesso, passiamo a spiegare “a VOI che non le capiTE” “le distinzioni più rilevanti — per esempio quella fra alcuni tipi di sfruttamento e altri.”

    Lo sfruttamento della forza lavoro, la miseria, l’oppressione economica e politica sono mali. Più che indignarsi – l’indignazione lascia il tempo che trova – io direi che si può e si deve agire per limitarli, o anche sradicarli, se possibile. La storia dimostra che non è facile ma ci si può provare, magari stando attenti ai contraccolpi dell’enantiodromia e dell’eterogenesi dei fini. Fin qua, direi che siamo d’accordo.

    Qual è la differenza tra questi antichi mali e il nuovo male della maternità surrogata? La differenza è questa. Con la maternità surrogata, si introduce nell’ordinamento giuridico, nel costume, nell’etica pubblica, nella morale privata dei paesi che la legalizzano un principio (e i giudizi di valore e il senso comune che ne derivano) che nuovo non è, ma che per secoli è stato colpito da un’ unanime condanna senza appello: che sia lecito – e persino normale, positivo e lodevole – vendere e comprare esseri umani.

    La peculiare innovazione, e la speciale, satanica degradazione della maternità surrogata rispetto alla schiavitù antica è questa.

    1) A essere comprati e venduti sono i bambini, addirittura prima della nascita. Sinora, a chi non fosse un pazzo o un mostro, l’idea di comprare e vendere bambini appariva una pazzia e una mostruosità. Oggi se ne parla pubblicamente come di cosa scontata: una conquista di civiltà sin troppo rinviata, un benemerito adeguamento ai paesi più avanzati, insomma una innovazione come lo Smartphone, che ormai ce l’hanno tutti e se non lo compri anche tu sei un poveraccio e un arretrato. Se non è “degradazione dei cuori” questa, che cosa lo è?

    2) La compravendita dei bambini viene giustificata con l’amore (degli acquirenti tra loro e per il bambino che acquistano) e la libertà (degli acquirenti di comprare, dei venditori di vendere). Amore e libertà, due beni sommi, vengono impiegati (e bestemmiati) per giustificare un male terribile inflitto a un innocente che non lo può capire e non se ne può difendere nemmeno piangendo. Se non è satanico questo, che cosa lo è?

    3) La legalizzazione della maternità surrogata afferma il principio giuridico ed etico che un essere umano formalmente libero, titolare di tutti i diritti della persona che le leggi garantiscono possa a) vendere un altro essere umano che cresce NEL e DAL suo corpo (la madre) b) essere commissionato, venduto e comprato (il bambino).

    4) Si introduce così nelle leggi e nel costume un precedente affatto nuovo: che possono coesistere SENZA CONTRADDIZIONE ALCUNA piena libertà formale, giuridica e politica, delle persone, e loro totale, ripeto TOTALE mercificazione. Totale vuol dire totale, cioè senza limiti, spiragli, eccezioni, ripensamenti: basta una firma legalmente apposta in calce a un contratto validamente stipulato, e si può vendere e comprare TUTTO. Secondo questa logica, sono tranquillamente pensabili e accettabili gli esempi a prima vista paradossali che facevo nel mio precedente intervento: vendita di bambino ad acquirente pedofilo, vendita di organi, etc. Non sarà legale vendere l’anima solo perché i codici civili delle nazioni occidentali non ne riconoscono l’esistenza, e dunque chi la vendesse dovrebbe rispondere del reato di truffa (art. 640 CP).

    La maternità surrogata espianta dal cuore della civiltà europea (che di conseguenza muore) la valvola aortica: la persuasione che il valore della persona umana è infinito; e che pertanto, è ingiusto e inaccettabile venderla e comprarla (è accettabile vendere e comprare solo ciò che è finito, e pertanto quantificabile).

    Questa persuasione origina dal cristianesimo, il che certo spiega perché a un cristiano come me questa sciagura sia subito evidente, e subito faccia orrore. Le faccio rilevare, però, che l’espianto della persuasione che la persona umana ha valore infinito non avrà conseguenze solo per i cristiani.

    Perché veda: l’idea che il valore della persona umana sia infinito non è affatto un’evidenza, una certezza misurabile, un dato di fatto. In realtà, l’unica evidenza e certezza empiricamente misurabile, nel mondo così com’è e come è sempre stato, è proprio il contrario: che il valore della persona umana è finito, e dipende dalla forza di cui dispone. Forza fisica, intellettuale, politica, economica, etc. Ci sono persone che valgono zero, e persone che valgono 100, 1000, 1 MLN, etc. E’ una delle principali ragioni per cui il cristianesimo, al suo sorgere, fu giudicato “follia” dai greci e “scandalo” dai giudei. E’ anche la principale ragione per cui le società cristiane e i cristiani singoli vennero e vengono accusati di ipocrisia: perché il mondo cristiano non è mai riuscito a ordinarsi in conformità piena all’idea che la persona umana ha valore infinito.

    Se si toglie dal nostro panorama interiore, dalle nostre leggi e dai nostri costumi l’idea che il valore della persona umana è infinito, la conseguenza immediata per tutti, cristiani e non cristiani, è la seguente: che tutte le indignazioni e le proteste per gli sfruttamenti, le oppressioni, la miseria, la diseguaglianza sociale, le stragi, etc., vengono a trovarsi affatto prive di fondamento, e diventano o risentimento di perdenti, o capriccio sentimentale di deboli di nervi. Mai letto Nietzsche, Pellegrino?

    E’ da sempre NORMALE – nel senso di usuale, ricorrente, ordinario – che vi siano diseguaglianze sociali, oppressioni, miseria, sfruttamento, stragi. E perché non dovrebbe essere così? Da sempre ci sono, e sempre ci saranno, i più forti, i più intelligenti, i meglio piazzati nella scala sociale sin dalla nascita, i più utili, i più abili, i più spregiudicati, etc.: come sempre ci sono stati e sempre ci saranno i meno forti, i meno intelligenti, e così via. In conformità a queste diseguaglianze, queste sì evidenti ed empiricamente rilevabili con certezza, si disegnano i rapporti di forza tra le singole persone, tra ceti all’interno degli Stati, e degli Stati tra loro.

    Come dicono, con franchezza encomiabile, gli ambasciatori ateniesi ai Meli nel celebre dialogo tucidideo, “Gli dèi, infatti, secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze.” Pane al pane, vino al vino. Oggi poi gli ambasciatori ateniesi non dovrebbero neanche darsi la pena di tirare in ballo gli dèi, ai quali non crede più nessuno: una seccatura di meno.

    Chi sta sotto può certo tentare di andar sopra (non sarà mai una passeggiata, auguri). Buon per lui se ci riesce, ma sia ben chiaro che la sua ascesa non rivestirà alcun particolare carattere di giustizia, progresso, bene, etc. Sarà un semplice “Fatti in là che al posto tuo mi ci metto io.”

    C’è poi un’ultima, non irrilevante differenza tra la maternità surrogata e le altre odierne forme di sfruttamento, male sociale, etc. E’ questa: che questo male ancora non c’è, e lo possiamo evitare senza versare una goccia di sangue. Certo: lo possiamo evitare solo entro i confini italiani, non cancellarla dal mondo, del quale non siamo (e per quanto mi riguarda, non vogliamo essere) i giudici e i gendarmi. Però la possiamo evitare. Basta non varare leggi che la autorizzano, e in Italia questo male, questa satanica degradazione dei cuori e della persona umana non sarà lecita. Chi la compirà, se scoperto, sarà punito con severità. Nel giure, nel costume, nel senso comune degli italiani non entrerà questo schifo, questo rovesciamento demoniaco dei significati che chiama bene il male, male il bene.

    Non è la palingenesi? Non è la guarigione da tutti i mali del mondo? Non è l’inaugurazione del regno della giustizia? No. Ma almeno, non sarà la solenne inaugurazione del regno dell’ingiustizia, dove chi ha fame e sete di giustizia SARA’ GIUSTIZIATO.

  17. Purtroppo il “c’e’ ben altro” non basta, anzi appare decisamente stucchevole ed ipocrita. Stiamo a combattere gli orrori del mondo, non a metterli in classifica. Anche – doverosamente – considerando la sua buona fede e volonta’, c’e’ odor di appiattimento verso il basso, lo stesso odore o meglio fetore che emanano i sostenitori della regolamentazione della prostituzione che, va da se’, non avranno mai le loro figlie dedite alla professione (sulle madri sorvoliamo). Ci sono confini invalicabili, e la pelosissima “il fenomeno esiste, tanto vale regolamentarlo” si puo’ applicare, perche’ no, all’omicidio. Come appunto in molte parti del mondo, USA compresi, dove nel braccio della morte finiscono solo i poveracci. Mettiamola cosi’, puo’ affittare l’utero la cittadina che percepisce un reddito annuale non inferiore a 70.000 euro…

  18. Buffagni che lagna: la maternità surrogata lei non può vietarla semplicemente perché in Italia già è vietata, e bisogna recarsi all’estero per poterne usufruire, ma in quei paesi aimè lei non può farci niente per proibirla, perché è pratica legale possibile da anni, senza che questo abbia snaturato o distrutto quelle civiltà; anzi, le consiglio di non dire queste cose da quelle parti perché verrebbero scambiate per facezie deliranti.
    Poi la aggiorno: in Italia non c’è nessuna proposta di legge a riguardo, tantomeno la Cirinnà ne fa menzione, stia pure tranquillo e si rassereni.
    Se mai un giorno una coppia etero( perché le assicuro che anche le coppie etero ricorrono a una gestante surrogata), o anche omosessuale, decidesse di avere un figlio utilizzando la collaborazione di una donatrice, per farlo dovrebbe recarsi all’estero, così come avviene oggi. Potranno quindi percorrere questa, trasferta estera, solo coppie etero o omosessuali ricche, i poveri come già adesso avviene se la dovranno cavare per altre vie, più o meno sicure o lecite. Ma anche qui prima o poi l’Italia dovrà decidere di sfilare la testa dal sottosuolo, se non altro per respirare la vita nel suo fluire quotidiano.

  19. Caro Gianfranco,
    grazie per questo intervento, interessante e, come sempre, stimolante.
    Ho però qualche perplessità.
    1) Il primo argomento, quello dello sfruttamento, mi sembra poco convincente. Tutti i casi che citi sono tipi di sfruttamento effettivamente vietati (almeno nel nostro ordinamento o in altri simili), e moralmente condannati; quindi giustificherebbero il divieto della GPA, in quanto moralmente inaccettabile. Se poi vuoi dire che chi si indigna per la GPA dovrebbe indignarsi anche per gli altri tipi di sfruttamento, questo può essere corretto, ma non toglie nulla al fatto che la GPA, in sé, è ingiusta.
    2) La relazione tra la madre e il nascituro durante la gestazione è invece, credo, il nodo centrale. Qui gli argomenti in prima battuta sono convincenti.
    a) Se la donna può scegliere di abortire, perché non dovrebbe poter scegliere anche di condurre una gravidanza per altri? Fin qui tutto bene. Però la differenza secondo me è questa: chi sceglie di abortire non cede l’uso di una parte del proprio corpo a un altro. Mantiene un rapporto con il proprio corpo, e decide di non avere un figlio. Invece chi decide di fare una GPA, durante la gestazione cede l’uso del proprio corpo (di una parte, ma di una parte fondamentale) a un altro. Per capire la portata morale di questa situazione, bisogna confrontarla con tutti i casi in cui un soggetto cede interamente a un altro una parte del proprio corpo (una parte viva, non separabile dall’esistenza del corpo proprio nella sua interezza, e quindi dal soggetto; le donazioni di organi non sono casi simili): esistono? sono possibili e accettabili moralmente? Io ho l’impressione di no, ma è solo un’impressione, e adesso non ho né il tempo né gli strumenti per analizzare il problema.
    b) Quando il bambino nasce, la relazione cambia, non è più solo esclusiva con la madre. Anche qui bene: ovviamente, il bimbo che viene alla luce entra immediatamente in un processo di socializzazione, e tutte la parti di questo processo instaurano una relazione con esso. Ma che questo fatto morale evidente possa prevalere sul fatto che la gestazione è stata condotta da un’altra persona, diversa da quelle che interagiscono nel processo di socializzazione, dipende del tutto dalla bontà dell’argomento a), su cui invece vedo grandi difficoltà.
    Un caro saluto,
    Mauro

  20. Parto dalla premessa secondo cui è falso affermare che la posizione che un partito assume rispetto alla specifica proposta di una legge sul riconoscimento delle unioni civili fra omosessuali costituisca la linea di demarcazione tra il conservatorismo ed il progressismo. Va detto allora che un governo che sta distruggendo ogni diritto sociale ancora esistente non ha il minimo diritto di presentare ipocritamente se stesso come il campione di alcuni diritti e rivendicazioni individuali. Quindi anche gli omosessuali fautori della legge Cirinnà tengano ben presente che non saranno di certo risparmiati dall’offensiva sferrata da questo stesso governo contro i diritti dei lavoratori, ma ne soffriranno le conseguenze assieme a tutti gli altri. In realtà, la materia su cui tale progetto interviene potrebbe e dovrebbe essere affrontata nel quadro complessivo di accordi legali privati e semmai dei cambiamenti potrebbero essere apportati al Codice Civile. Si tratta infatti di questioni che non riguardano soltanto gli omosessuali. Al contrario, lo scopo della legge Cirinnà è il riconoscimento istituzionale della coppia omosessuale come famiglia, incluso il diritto per tali coppie di adottare bambini e affittare uteri. È questo il fondamentale punto di disaccordo che intendo qui esprimere e che converge con la posizione sostanzialmente sana assunta su questo problema, sia pure con altre motivazioni, dalla Chiesa cattolica, posizione qui ribadita con efficacia argomentativa e giusto ‘pathos’ storico-morale da Roberto Buffagni.

    Il punto discriminante è il seguente: l’espressione della sessualità è una questione privata dell’individuo, mentre la famiglia è un rapporto sociale ed è l’istituzione basilare per l’assistenza e l’educazione dell’infanzia. Con questo non stigmatizzo in alcun modo le persone che scelgono uno specifico orientamento sessuale. Ritengo però che l’orientamento sessuale omosessuale non determini in alcun modo diritti sociali legati alla famiglia e soprattutto alla custodia di minori. Mi riferisco a diritti e doveri che emergono nel quadro della famiglia, quali nascita, assistenza e accudimento dei bambini, i quali biologicamente sono il prodotto del rapporto tra un uomo e una donna. Per me, che sono marxista e comunista, è un dato di fatto che la famiglia, nelle condizioni di una società divisa in classi, funziona come unità di riproduzione della società e del sistema capitalistico, assieme ovviamente al lavoro (in quanto la parte principale della riproduzione della società avviene attraverso il lavoro). È evidente, inoltre, che la famiglia in Italia e in ogni società divisa in classi è basata sulla coercizione economica, sociale e culturale. Non c’è alcuna forma di relazione coniugale, nella società divisa in classi, che non sia basata su questa coercizione. È solo nella prospettiva di una società comunista che i rapporti famigliari saranno privi di coercizione e non richiederanno riconoscimenti formali. Ciò si realizzerà quando esisteranno le condizioni materiali affinché ciò avvenga. Allora, e soltanto allora, la famiglia sarà, come ha scritto Antonio Gramsci, “un centro di vita morale e sentimentale cementato dall’affetto”.

    Consideriamo, inoltre, la situazione attuale. Ciò che oggi succede in Europa è, a questo proposito, quanto mai istruttivo: il numero medio di figli per donna è 1,57, ben al di sotto del 2,1 che consente di mantenere il livello della popolazione. Senza l’apporto degli immigrati la popolazione di paesi come la Germania e l’Italia sarebbe quindi in netto calo. A ciò si aggiunga l’effetto deprimente esercitato sulla struttura demografica, economica e sociale dall’invecchiamento della popolazione. È quindi una verità innegabile che il capitalismo dei paesi maggiormente industrializzati, giunto al suo massimo sviluppo, determini un calo netto della natalità, che gli studiosi definiscono come “inverno demografico”. Se, per un verso, la campagna dell’Occidente capitalistico per la legalizzazione delle coppie omosessuali e la conseguente legalizzazione del commercio di esseri umani via utero in affitto costituisce l’aspetto esteriore più carnevalesco, ma anche più rivoltante, di questa situazione materiale, è indubbio, per un altro verso, che, nella misura in cui contribuisce a rendere tale inverno sempre più gelido, essa dimostra che il sistema capitalistico di produzione e di scambio sta ormai minacciando lo sviluppo della specie umana e che, di fronte alla decadenza di una civiltà che promuove l’omosessualità come falso valore e la legalizzazione di quell’infame commercio come suo corollario, solo il comunismo è la civiltà vera in quanto promuove, nella libertà e nell’uguaglianza, il lavoro, la famiglia e la vita.

  21. @ Mauro Piras
    Lei scrive: “Se la donna può scegliere di abortire, perché non dovrebbe poter scegliere anche di condurre una gravidanza per altri? Fin qui tutto bene. Però la differenza secondo me è questa: chi sceglie di abortire non cede l’uso di una parte del proprio corpo a un altro.”

    Proprio non ci siamo, caro Piras. Non ci siamo perché:

    1) Il bambino che cresce in grembo alla madre NON è “una parte del suo corpo” come la cistifellea, i capelli, le unghie.

    2) Questo elementare fatterello viene registrato dalla legge italiana, che infatti recita all’art. 4: “Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.”

    3) Per quale motivo la legge tira in ballo le circostanze che comporterebbero “serio pericolo” per la donna? Perché la giustificazione giuridica ed etica della legalizzazione dell’aborto è lo “stato di necessità”, un istituto che si radica nel diritto romano, dove il principio “necessitas non habet legem” veniva di frequente invocato per giustificare le lesioni cagionate dal medico al paziente nel corso di un intervento chirurgico. Il CP disciplina lo “stato di necessità” all’ art. 54, che prevede la non punibilità di chi commette un fatto corrispondente alla descrizione operata da una norma incriminatrice (per es., un omicidio) per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo di un danno grave alla persona, da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, e sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

    4) Terra terra: la legge italiana consente l’aborto entro i primi 90 giorni solo quando la gravidanza fa correre alla madre il rischio di “un danno grave alla persona”, e sempre che “il fatto sia proporzionato al pericolo”. Questa la teoria. La pratica, invece, è la seguente: che la formulazione amplissima dell’art. 4 (v. sopra), l’ideologia dominante nella società, e l’inevitabile routinizzazione che interessa tutte le pratiche istituzionalizzate, traducono implicitamente “serio pericolo” = “problema” e fanno finta di non vedere la dizione “sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. In buona sostanza: quando una donna per qualsivoglia suo motivo grave o no vuole abortire entro i primi 90 giorni, abortisce, e nessuno ci mette becco.

    5) Più difficile invece abortire dopo i primi 90 giorni. Art. 6: “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.” Perché si fa differenza tra prima e dopo il terzo mese di gravidanza?

    6) Si fa differenza perché dopo 90 giorni, il nascituro è completamente formato. Uno guarda l’ecografia, e vede che ha la sua faccina, i suoi occhietti, le sue espressioni buffe e commoventi, etc.: morale, per negare che si tratti di un essere umano e derubricarlo a materiale biologico ci vogliono una faccia di tolla e una perizia sofistica che, per ora, solo pochi hanno in dotazione. Prima dei 90 giorni, le supercazzole cavillose del tipo “ma allora è un essere umano anche un cromosoma, con questa logica è aborto anche un coitus interruptus, una masturbazione, un sogno bagnato” hanno una loro credibilità, per chi non chiede di meglio che farsi convincere. Dopo i 90 giorni, bisogna negare un’evidenza clamorosa, e negare un’evidenza clamorosa comporta sempre una dissonanza cognitiva egodistonica (in parole povere: ti turba, ci fai dei brutti sogni, ti viene la gastrite).

    7) Quindi, caro Piras, NON è vero che chi sceglie di abortire prende una decisione in merito a “una parte del proprio corpo”. Chi sceglie di abortire prende una decisione in merito a un altro essere umano, cresciuto nel e dal suo corpo e concepito da lei e da un’altra persona, e nella fattispecie la decisione che prende è: ucciderlo.

    8) Al tempo in cui la legge sull’aborto fu varata, NON era ancora stata espiantata dal cuore della civiltà europea la persuasione che la persona umana ha valore infinito (v. mio intervento precedente). Dunque, il legislatore si è cautelato. Invece di dire pari pari: “la madre ha il diritto di abortire, cioè di uccidere un’altra persona, quando voglia a suo insindacabile giudizio” si è rifatto all’antichissimo principio giuridico ed etico dello stato di necessità, che tradotto dal linguaggio tecnico dice: “non si può obbligare nessuno a preferire la vita altrui alla propria, cioè ad essere un santo o un eroe. Chi scelga di sacrificare la vita altrui per preservare la propria vita fisica o le condizioni che la rendono degna d’essere vissuta, non è colpevole perché agisce in stato di necessità, e necessitas non habet legem.”

    9) Si noti che la cautela adottata dal legislatore con il richiamo allo stato di necessità non si motiva esclusivamente con ragioni d’ordine morale. Si motiva anche con ragioni d’ordine culturale, sociale e politico: concedere a un privato cittadino il diritto assoluto di vita e di morte su un altro essere umano importa conseguenze di vastissima portata. Il diritto assoluto di vita e di morte sui membri della sua famiglia, ad esempio, era riconosciuto al pater familias nel diritto romano: del quale si può dire tutto, ma non che fosse ispirato ai principi del liberalismo tanto caro a lei, Piras.

    Il quale Piras prosegue così la sua argomentazione: “Invece chi decide di fare una GPA, durante la gestazione cede l’uso del proprio corpo (di una parte, ma di una parte fondamentale) a un altro. Per capire la portata morale di questa situazione, bisogna confrontarla con tutti i casi in cui un soggetto cede interamente a un altro una parte del proprio corpo (una parte viva, non separabile dall’esistenza del corpo proprio nella sua interezza, e quindi dal soggetto; le donazioni di organi non sono casi simili): esistono? sono possibili e accettabili moralmente? Io ho l’impressione di no, ma è solo un’impressione, e adesso non ho né il tempo né gli strumenti per analizzare il problema.”

    E proprio non ci siamo neanche qui, caro Piras: peggio che andar di notte.

    “I casi in cui un soggetto cede interamente a un altro una parte del proprio corpo (una parte viva, non separabile dall’esistenza del corpo proprio nella sua interezza, e quindi dal soggetto” esistono eccome, e secondo un filosofo che dovrebbe esserle caro, Immanuel Kant, sono moralmente accettabilissimi e anzi in tutto conformi all’imperativo categorico: per esempio, il matrimonio.

    “Il rapporto sessuale (commercium sexuale) è l’uso reciproco, che un uomo [Mensch] fa degli organi sessuali e delle facoltà di un altro (usus membrorum et facultatum sexualium alterius) …Il matrimonio [Ehe] (matrimonium), cioè l’unione di due persone di sesso diverso per il reciproco possesso durante tutta la vita delle loro caratteristiche sessuali [Geschlechtseigenschaften].” (Metafisica dei costumi, Dottrina del diritto, § 24).

    Nella maternità surrogata o nell’aborto, il punto della questione NON è il diritto di disporre di una parte del proprio corpo. Il punto della questione è: il diritto di disporre di un altro essere umano nella sua integralità. Nell’aborto, il diritto di ucciderlo. Nella maternità surrogata, il diritto di venderlo e comprarlo.

    Paradossalmente – ma non poi tanto, se ci si riflette – è assai più grave, e ha conseguenze etiche e giuridiche assai più vaste riconoscere il diritto di compravendita di un essere umano, che riconoscere il diritto di ucciderlo. Il diritto di uccidere un’altra persona può fondarsi, almeno in teoria, sul ragionevole, umano e realistico principio dello stato di necessità. Se poi nei fatti se ne fa a ipocritamente a meno, almeno la legge rende il consueto omaggio del vizio alla virtù, ed evita di assegnare formalmente a un privato il diritto assoluto di vita e di morte su un altro essere umano.

    Il diritto di compravendita di un essere umano, invece, NON può essere motivato in alcun modo dallo “stato di necessità”. Il pur comprensibile desiderio di avere un figlio NON può, con tutta la buona volontà, la perizia retorica, la genialità menzognera del mondo, essere equiparato alla “necessità di salvare sé od altri dal pericolo di un danno grave alla persona.” A chi vi rifletta un istante appare chiaro come il sole che i desideri, per quanto brucianti e rispettabili, NON configurano e NON POSSONO MAI configurare uno “stato di necessità”; altrimenti, il bruciante e rispettabile desiderio dell’amante di essere ricambiato gli darebbe il diritto di rapire l’amata e portarsela in camera da letto, perchè necessitas non habet legem.

    Il diritto di vendere e comprare un essere umano può fondarsi solo su due principi:

    I) gli esseri umani sono essenzialmente diseguali tra loro. Diseguali per appartenenza a una casta che rispecchia una gerarchia metafisica, per capacità/incapacità di difendere la propria libertà, per qualità native, etc. A questi criteri si richiamano le giustificazioni della schiavitù antica, esemplare l’aristotelica: “è schiavo per natura chi può appartenere a un altro (per cui è di un altro) e chi in tanto partecipa di ragione in quanto può apprenderla, ma non averla” (Politica, I, 4-5).

    II) gli esseri umani sono essenzialmente uguali tra loro, e possono essere venduti e comprati. Pare logico trarne la conclusione che a) se gli esseri umani sono essenzialmente eguali tra loro e possono essere venduti e comprati, TUTTI gli esseri umani potranno essere venduti e comprati b) a differenziare esseri umani essenzialmente eguali che possono essere venduti e comprati restano, appunto, soltanto gli atti della vendita e dell’acquisto: chi non è solvibile potrà soltanto vendere, chi è solvibile potrà anche comprare. Questa è la schiavitù moderna (postmoderna?)

    Lo so che sembra una follia e un paradosso. Però fino a cinque minuti fa sembrava una follia e un paradosso anche l’idea di legalizzare la vendita e l’acquisto di un bambino, e invece, to’! Accendi la televisione e giornalisti, filosofi, intellettuali assortiti, politici, cattolici, vescovi e vescovesse protestanti, esemplari, affettuose coppiette di papà+papà e mamma+mamma, tutti in coro se ne proclamano entusiasti e danno degli imbecilli arretrati e rancorosi ai pochi coglioni che timidamente avanzano qualche obiezione in merito.

    Quindi, caro Piras, la invito a riflettere un momento, quando troverà “il tempo … e gli strumenti per analizzare il problema” sulla possibilità che queste follie, questi paradossi, un bel giorno si presentino alla sua porta e la sfondino senza tanti complimenti.

    Perché questa battaglia noi coglioni arretrati e rancorosi la perderemo, l’abbiamo già persa nei paesi normali e avanzati ai quali guardate con occhi stellanti voi, che siete tanto intelligenti e aggiornati e benintenzionati e cosmopoliti. Io questo lo so, eccome se lo so.

    Ma quello che non sa lei, che non sapete voi, è che insieme a noi la perderete anche voi vincitori, questa battaglia. Perché se io stento a immaginare sul serio come sarà un mondo dove l’ultima residua luce della stella morta cristiana – l’idea che la persona umana ha valore infinito – si spegnerà del tutto, lei e voi non ve ne fate neanche la più vaga, pallida, evanescente idea. Ci siete nati dentro, a quella luce, anche se era ormai fioca. Quando si spegnerà – e ormai sta per spegnersi – ci troveremo tutti al buio, caro Piras: noi e voi.

  22. Buffagni finora ha asfaltato tutti, ma sul serio. Si sente, leggendolo, che sa di cosa parla. In effetti dovremmo saperlo tutti di cosa parliamo, specie se gli argomenti sono tanto delicati. Io non intervengo per mia inadeguatezza – il tema è enorme, io no – e perché non ritengo umanamente dignitoso parlare di una cosa che si chiama “utero in affitto”. Se non è possibile attribuire ad una cosa un nome più umano, forse vuol dire che questa cosa di umano ha ben poco.

  23. Macioci, tu sei un eccellente scrittore, dunque dovresti conoscere gli espedienti retorici. “Utero in affitto” è per l’appunto un espediente retorico. “Umano” è un altro espediente retorico, ben più radicato nel profondo. “Asfaltare” neanche a dirlo…

  24. “Voi vincitori”? Caro Buffagni, se lei non si arrabbiasse così, vedrebbe che io critico la “gravidanza per altri”, anche se con argomenti forse fragili.
    Il suo intervento è inutilmente paternalistico e aggressivo nei miei confronti, ma per me il dialogo e il confronto degli argomenti è così importante che sorvolerò su questo aspetto e, appena avrò il tempo, risponderò nello specifico alle sue critiche, interessanti soprattutto nella seconda parte.
    Cordialmente,
    mp

  25. Caro Piras,
    mi spiace di averla infastidita, tra l’altro lei mi sta simpatico.
    Non è una giustificazione, ma io mi arrabbio perchè non si arrabbia nessuno.
    Mi scuso se tirando nel mucchio ho finito per prendere di mira lei, che stimo.
    Ricambio i saluti e la cordialità. A risentirla.

  26. @ Buffagni: “Il rapporto sessuale (commercium sexuale) è l’uso reciproco, che un uomo [Mensch] fa degli organi sessuali e delle facoltà di un altro (usus membrorum et facultatum sexualium alterius)” eh eh, un Mensch con un alter neutro, sia pure un neutro che è ambedue ma, sottolineo, neutro. Ricorda il mercato in cui circolano le merci, no?, scambiabili col “mezzo universale”, il neutro denaro.
    L’affare invece riguarda un contratto sessuale tra un maschio e una femmina, oggi almeno potremmo tenere la cosa sotto gli occhi, con tutte le sue conseguenze.
    Una, intanto: un feto non sopravvive a tre mesi fuori dal corpo materno, non si può dire che sia un “essere umano” sic et simpliciter anche se è difficile dire cos’è, o forse chi è, è la possibilità di diventarlo, e questo almeno per ora, fin che non riusciranno, interessati dovrebbero essere soprattutto i maschi, a farli crescere in bottiglia. Per ora, senza madre, per un bel pezzo, non c’è figlio.
    Ricordo la vecchia storia che san Tommaso dotava di anima razionale il feto solo dopo 40 giorni … ma se si trattava di una femmina bisognava aspettarne novanta: ricordo questo per significare da parte mia che avere pensieri chiari sulla gestazione è stato difficile, né oggi si sono schiarite di più.
    Per questo nesso così “viscerale”, il legislatore e i movimenti femminili hanno deciso di lasciare alla madre la responsabilità, e sottolineo responsabilità, di dare luogo col suo corpo alla futura vita della figlia-figlio.

  27. p.s.: cominciamo a partire da qui, per ragionare poi dell’utero in affitto, e infatti è proprio quello che lei ha fatto.

  28. > Buffagni finora ha asfaltato tutti, ma sul serio.

    Ma no, e’ semplicemente un conservatore. Finche’ non assumiamo la prospettiva della pallina rocciosa fra miliardi di altre palline nel buio e vuoto nero spazio, con la specie vivente uomo non superiore a lombrichi e ratti, si rimane infanti, attaccati all’idea privilegiata di un Babbo in qualunque forma in nome del quale rompere le balle e spesso rovinare la vita a tutti i non fatti ad immagine e somiglianza. Siamo noialtri senza Pupazzo (o quantomeno con un rapporto adulto con la Pupazzita’, che potrebbe anche esserci ma sicuramente meno becera di come la fanno tutti I fondamentalisti) a portare avanti la pallina rocciosa, altrimenti saremmo ancora allo stadio di organismi monocellulari in fondo al mare o intrappolati in qualche forma tribal-teocratica cara ad ogni adoratore di pupazzi.

  29. Cari tutti, grazie ancora per la discussione. Prendo parte anch’io, dicendo alcune cose, un po’ per punti — ché già così è lungo…
    I toni retorici: a me non danno particolarmente fastidio, e temo che nessuno ne possa essere esente – li avrò usati anch’io nel mio intervento originario. Né mi sento particolarmente toccato dalle tonalità aggressive e vagamente paternalistiche di Buffagni. Se uno fa un intervento del genere, ovviamente si aspetta – e forse anche vuole – toccare certe corde. Ciò detto, però, rimangono alcuni punti fermi, secondo me: la miglior retorica, specialmente se indirizzata a uno tranquillo come me, che non s’inquieta, poco può se non ci sono argomentazioni. Le argomentazioni sono venute fuori, dopo un po’, e forse è meglio discutere quelle. “Asfaltare”, “non ci siamo”, “la degradazionedel cuore”, “mai letto Nietzsche, Pellegrino?” (“Sì, ho letto anche Nietzsche, caro Buffagni – non in tedesco, ma l’ho letto, all’università, e anche un po’ di libri su Nietzsche, se è per questo. Ma forse l’ho capito diversamente da lei, e dalla maggior parte dei suoi lettori. Non è detto che la mia interpretazione sia errata, perché minoritaria, però”) li lascerei al nostro caro presidente del consiglio, e ai suoi sodali di televisione. Almeno noi non abbiamo l’obbligo dell’audience, qui. E, naturalmente, Macioci, che ringrazio per aver fatto capolino (magari può dire qualcosa di più, se proprio ritiene l’argomento degno) sa benissimo tutto questo. Scelta legittima la sua, di giocare un certo gioco. Ma a me, e ad altri qui, interessa un altro gioco. (O, meglio, interessa principalmente un altro gioco. Poi un po’ di retorica ci sarà sempre. Proprio perché, contrariamente a quel che pensa Buffagni in compagnia del poeta francese, il cuore non si è degradato. Ché se si fosse degradato, aprirei un piccolo traffico redditizio di donne e uteri, invece di stare a una scrivania a riflettere sulle cose.)
    E veniamo allora alle argomentazioni. Inizio con Buffagni, che ha il pregio di discutere a fondo tutti i presupposti del mio scritto, e di provare a delineare una piattaforma completa. (Temo che, come si vedrà, questi siano gli unici pregi che riesco a riconoscere – ma questo, di nuovo, fa parte della retorica.) Secondo Buffagni, 1. la GPA è un atto di compravendita di bambini, e questo è intrinsecamente malvagio perché 2. il valore della persona umana è infinito, e quindi non si può né vendere né comprare – ché 3. solo ciò che ha un valore si può vendere e comprare. Poi, Buffagni aggiunge che 2. origina dal cristianesimo. Nel suo secondo intervento, poi, Buffagni fa un’interessante analisi della l. 194, e ci ricorda che la legge disciplina l’aborto come se si trattasse di una specie di difesa della donna da conseguenze sulla sua salute o altre conseguenze gravi, che – tenuto conto di fatti oggettivi e proporzionalità – giustificano l’uccisione del feto. Si tratta appunto di un principio di auto-difesa, che si concede alla donna. C’è poi la questione di quando il feto è persone: per Buffagni lo è dopo 90 giorni, perché ha ‘espressioni buffe e commoventi’. Temo che non sia così facile, ma su questo non commento.
    Mi pare che la posizione di Buffagni sulla legge 194 si possa mostrare contraddittoria con la sua posizione sul valore infinito degli esseri umani, e quest’ultima, a sua volta, abbia parecchi problemi. Consideriamo, per esempio, l’idea di un valore infinito della persona. Se tutte le persone hanno valore infinito, non capisco perché si possa dare legittima difesa – attenzione, la storia dello stato di necessità mi pare insufficiente (non capisco perché bisogna riconoscere per legge la necessità: la legge ci consente di distinguere fra necessità e necessità, di dare torti e ragioni. La necessità può essere un’attenuante, non una base per comportamenti del tutto leciti. L’aborto è omicidio colposo? Legittima difesa? C’è un eccesso di aborto come c’è eccesso di legittima difesa?). La donna che abortisce chiede aiuto ai medici, e alla società, per difendersi. Non è che si difende e basta. Se si difendesse e basta, una volta vincerebbe lei, una volta il feto. Invece, mi pare che in questi casi il feto perda sempre. Ma, se sono in ballo due valori infiniti, non vedo perché si dovrebbe sempre prendere le parti della donna. Sì, lei può preferire se stessa, perché non le si può chiedere di essere una santa o un’eroina. Ma noi siamo terzi, e dovremmo agire in base al valore in ballo. Se sono in ballo due valori infiniti, io non pratico interruzione di gravidanza in ogni caso. Tutt’al più tiro una monetina, oppure decido a mio insindacabile giidizio, a seconda di chi ho davanti. Se uno vuole essere anti-utilitarista, è questo il ragionamento che deve fare (lo ha reso famoso J. Taurek).. Alla luce di questo ragionamento, l’aborto non è mai giustificabile. E questa mi pare la conclusione più coerente a partire dalla premessa del valore infinito degli esseri umani. La legge 194, con tutti i suoi compromessi, assume che la madre abbia più valore del feto, o del bambino.
    Considero adesso l’altra idea, 3., che quel che ha valore non infinito si può sempre vendere o comprare. Ma perché? Ci potrebbero essere mille argomentazioni per dire che alcune cose non debbano essere sottoposte alle leggi del mercato, senza dire che hanno valore infinito. Dire coerentemente, senza retorica, che qualcosa ha valore infinito, significa dire che non ci sono trade-off giustificabili. Significa dire che ogni situazione è come la scelta di Sophie nel libro di Styron. Ma noi possiamo dire che alcune cose sono di enorme valore, eppure possiamo sacrificarle ad altre, e ritenere giustificato questo sacrificio, e la gerarchia di valore che esso implica. Per esempio, potremmo ritenere che guarire una persona da un male rarissimo al prezzo di negare farmaci antiinfluenzali gratis a milioni di persone non sia da fare. Se ritenessimo che ogni persona ha valore infinito, non potremmo fare valutazioni del genere. Ma fare valutazioni del genere non vuol dire che riteniamo la salute della persona affetta dal male rarissimo un bene da vendere. Eppure, si consideri che scelte del genere i sistemi di welfare li fanno per ragioni economiche – relative ai denari che hanno o non hanno. Ma non è che tutte le scelte di questo genere sono commodification o mercato. Senno’, e si veda su questo quel che dico sotto su alcuni punti minori, vi pregherei di organizzare una protesta contro il sistema sanitario del vostro paese che spende inutili soldi per i vaccini antinfluenzali invece di finanziare la ricerca sulle malattie rare.
    E vorrei concludere adesso con l’idea che la GPA sia una compravendita di bambini. Non capisco bene perché. Tutt’al più è compravendita dell’utero – o meglio è affitto temporaneo dell’utero. Ma il bambino che c’entra? Sarebbe compravendita se il bambino perdesse alla nascita i diritti, se divenisse un oggetto utilizzabile a piacimento da chi ha commissionato la gravidanza. Ma questo non lo dice nessuno. Oppure, si vuole dire che un bambino ha il diritto a essere cresciuto dalla propria madre biologica, o di non essere messo al mondo perché qualcuno lo desidera? Ma allora non capisco perché ci siano le adozioni, e che dire degli orfani, e dei milioni di bambini nati per desiderio di maternità, per avere il trasferimento, per coronare il matrimonio, per conformarsi al progetto divino…. (Peraltro, e vedete sempre sotto la mia osservazione a., vorrei capire perché nessuno si occupa del flusso di denaro che passa nell’adozione internazionale. A me quella pare la vera vendita di bambini…)
    Piccola osservazione sul cristianesimo. Non sono un teologo. Ma non ho mai capito se il cristianesimo assegna valore alla persona o al suo creatore. A me pare che una delle molte argomentazioni – presente anche nella recente Laudato si’ – deriva il valore delle creature dal fatto di essere state create, e quindi dal valore di Dio. A questo punto, forse non è dal cristianesimo che deriva la migliore argomentazione a favore di un valore infinito della persona umana. E pure con questo c’entrerebbero certe letture di Nietzsche.
    Alcuni punti minori: a. Per molti qui, la differenza fra GPA come sfruttamento e altre forme di sfruttamento è che la prima non ci sarebbe, mentre le altre sì. E quindi la prima è facile da evitare, le altre difficili. E per quanto riguarda i mercati globali, non possiamo essere, dice Buffagni, “i giudici e i gendarmi del mondo”. Ma, scusatemi, ha senso accalorarsi per mali che non ci sono, e restarsene del tutto inerti per quelli che ci sono? A me non mi pare. Proprio il mio cuore è sempre più colpito dalle sofferenze di bimbi già nati, rispetto a quelle ipotetiche di bimbi non nati. Sarò un sentimentale materialista …. E, per non essere complici, per non comprare un telefonino senza coltan a 660 euro, o non avere la donna delle pulizie, per non essere complici di sfruttamento, o rompere agli amici che complici sono, bisogna essere “gendarmi del mondo”? O è che queste piccole cose sembrano meno eccitanti e nobili di altre? Questo anche per rispondere a chi dice che il mio è appiattimento verso il basso. Decidetevi: chi dice che voglio troppo – e non tengo conto della praticabilità politica –, chi dice che mi appiattisco…
    b. Parlo con soave incomprensione, mi viene rimproverato. Ma delle due l’una: o queste cose sono indicibili, oppure almeno un po’ le possono comprendere anche i maschi. Non so, la povera Adrienne Rich ha tentato per pagine e pagine di farci comprendere, e io ho molto imparato da lei. Se invece sono cose indicibili e ineffabili, be’ penso mi rimanga il diritto di non volere che la legislazione impedisca certe cose in nome di fattori ineffabili. Non vorrei che qualche fattore ineffabile inducesse a ritenere che i maschi, laureati in filosofia, del sud, debbano venire soppressi…
    Mauro, grazie a te, e piacere di sentirti. Ti rispondo tra un po’. Provo a rispondere dopo anche a Cucinotta e Barone, che ringrazio.

  30. @ chris

    Visto che Kant non ha collegamento internet e non può correggere le sue inesattezze, intervengo io e le posto il suo parere sul matrimonio (anticipazione: no, Kant non prevede nè caldeggia il matrimonio same sex)

    Il diritto della società domestica
    Titolo primo: Il diritto coniugale
    § 24

    Il rapporto sessuale (commercium sexuale) è l’uso reciproco, che un uomo [Mensch] fa degli organi sessuali e delle facoltà di un altro (usus membrorum et facultatum sexualium alterius), e può essere un uso naturale (attraverso cui è possibile creare un proprio simile), o un uso contro natura, e questo è rivolto o a una persona dello stesso sesso, o ad un animale di un’altra specie di quella umana; le quali violazioni delle leggi, vizi contro natura (crimina carnis contra naturam) che si dicono anche innominabili in quanto lesioni dell’umanità nella nostra propria persona, non possono essere salvati dal totale rigetto attraverso alcuna limitazione ed eccezione.

    Il rapporto sessuale naturale è ora o quello secondo la semplice natura animale (vaga libido, venus vulgivaga, fornicatio), o secondo la legge. – L’ultimo è il matrimonio [Ehe] (matrimonium), cioè l’unione di due persone di sesso diverso per il reciproco possesso durante tutta la vita delle loro caratteristiche sessuali [Geschlechtseigenschaften]. – Lo scopo di generare e di educare i figli, può sempre essere uno scopo della natura, per il quale scopo essa ha instillato l’inclinazione dei sessi l’uno verso l’altro; tuttavia, che l’essere umano che si sposa, debba proporsi questo scopo, non viene richiesto ai fini della legittimità di questo suo legame; poiché altrimenti, una volta terminata la procreazione, il matrimonio si scioglierebbe da sé.

    Infatti, anche alla condizione del desiderio dell’uso reciproco delle loro caratteristiche sessuali, il contratto matrimoniale non è un contratto qualsiasi, bensì un contratto necessario secondo la legge dell’umanità, cioè, nel caso in cui un uomo e una donna vogliano l’uno con l’altro godere reciprocamente delle loro proprietà sessuali, allora devono necessariamente sposarsi, e ciò è necessario secondo le leggi giuridiche della ragion pura.

    § 25

    Infatti l’uso naturale che un sesso fa dell’organo sessuale dell’altro, è un piacere, per il quale una parte si dà completamente all’altra. In questo atto un uomo fa di sé stesso una cosa, il che va contro il diritto dell’umanità nella sua propria persona. Soltanto ad un’unica condizione ciò è possibile: che una persona, nel momento in cui viene acquisita dall’altra come se fosse una cosa, prenda a sua volta reciprocamente possesso di quella; poiché così riconquista nuovamente sé stesso e ristabilisce la propria personalità. Tuttavia l’acquisizione di una parte del corpo di un essere umano equivale all’acquisto di tutta la persona -poiché questa è un’unità assoluta-; di conseguenza, l’abbandono e l’accettazione di un sesso per il piacere dell’altro non solo è permesso a condizione del matrimonio, ma è possibile solo a quella condizione. Ma che questo diritto personale sia anche allo stesso tempo di specie reale si fonda su ciò, che, nel caso in cui uno dei due coniugi fugga, o si sia dato in possesso a un altro, l’altro ha il diritto di ricondurlo, in ogni momento e immancabilmente, proprio come una cosa, in suo potere.

    § 26

    Per gli stessi motivi il legame tra coniugi è un rapporto di uguaglianza di possesso, tanto delle persone che si posseggono l’un l’altra reciprocamente (di conseguenza soltanto nella monogamia, poiché in una poligamia la persona, che si dà a un altro, acquisisce soltanto una parte dell’altro, al quale questa persona si abbandona completamente, facendosi quindi soltanto cosa), quanto dei doni della sorte, quantunque essi abbiano la facoltà, benché solo attraverso un particolare contratto, di rinunciare all’uso di una parte dei doni stessi.

    Dal principio sopra menzionato deriva che il concubinato non è suscettibile di alcun contratto valevole in diritto, così come non lo è il mecato che si fa di una persona per un momento di piacere (pactum fornicationis). Per ciò che riguarda infatti quest’ultimo contratto, ognuno dovrà convenire che la persona che l’ha concluso non può essere costretta secondo il diritto a mantenere la sua promessa, caso mai essa se ne pentisse; e così può essere annullato anche il primo contratto, quello edel concubinato (come pactum turpe), perché questo sarebbe un contratto di locazione (locatio-conductio) avente lo scopo di far servire per l’uso di una persona una parte di un’altra, e in conseguenza per l’indivisibile unità di tutte le parti della persona, questa si sacrificherebbe come una cosa all’arbitrio dell’altra; perciò ogni parte può abolire il contratto concluso con l’altra, appena essa lo desideri, senza che l’altra possa fondatamente lamentarsi come di un’offesa al suo diritto. La stessa cosa vale anche relativamente al matrimonio morganatico, che ha lo scopo di utilizzare la disuguaglianza di condizione delle due parti a vantaggio del dominio di una parte sull’altra, perché in fondo questa specie di matrimonio, se condo il puro diritto naturale, non è diverso dal concubinato e non è un vero matrimonio.

    Se perciò la domanda è: se venga anche contraddetta l’uguaglianza dei coniugi in quanto tale quando la legge dice dell’uomo in rapporto alla donna: egli deve essere il tuo signore (egli la parte che comanda, essa quella che ubbidisce), questo non può essere visto in contraddizione con l’uguaglianza naturale di una coppia, se questo potere è fondato solo sulla naturale superiorità delle capacità dell’uomo su quelle della donna nell’ambito dell’interesse comune della casa, e il diritto al comando è fondato su ciò, il quale perciò stesso può essere derivato dal dovere dell’unità e uguaglianza in considerazione dello scopo.

    § 27

    Il contratto matrimoniale è compiuto solo attraverso il coito (copula carnalis). Un contratto tra due persone di ambo i sessi, stipulato con il proponimento segreto, o di astenersi dalla comunione carnale, o con la consapevolezza di una parte o di entrambe di incapacità a ciò, è un contratto simulato e non costituisce nessun matrimonio; può essere anche sciolto a piacimento di una delle due parti. Ma se l’incapacità sopravviene soltanto in seguito, allora quel diritto, per questo caso innocente, non può rimetterci.

    L’acquisto di una moglie o di un marito non avviene dunque né facto (col coito) senza precedente contratto, né pacto (tramite il semplice contratto coniugale, senza successivo coito), bensì soltanto lege: ovvero come conseguenza giuridica dell’obbligo di non prendere parte ad un rapporto sessuale in modo diverso da quello che mette insieme il reciproco possesso delle persone, come si ottiene soltanto attraverso l’uso ugualmente reciproco delle proprie facoltà sessuali.

    http://btfp.sp.unipi.it/classici/kantmds1_it.htm

  31. Sorry , questi ragionamenti non mi hanno convinto. Se si tratta di essere coerenti rispetto a tante altre ingiustizie che accadono nel mondo , faremo il possibile per esserlo. Ma questo non cambia la mia considerazione negativa della pratica dell’utero in affitto.

  32. @pellegrino
    Mi scuso se il termine “asfaltare” ha urtato qualche sensibilità. La mia, di sensibilità, è urtata fin dal titolo, e siccome ritengo che le parole non siano mai innocenti l’ho detto. Del resto il mio commento, pur breve, mi sembrava chiaro. Wikipedia definisce così la surrogazione di maternità (nome in bella per utero in affitto): una donna si assume “l’obbligo di provvedere alla gestazione ed al parto per conto di una persona o una coppia sterile, alla quale si impegna a consegnare il nascituro. La fecondazione può essere effettuata con seme e ovuli sia della coppia sterile che di donatori e donatrici attraverso concepimento in vitro. La surrogazione in pratica si ha quando una donna si presta a portare a termine un’intera gravidanza, fino al parto, su commissione di single o coppie incapaci di generare o concepire un bambino.” Ecco, se queste parole sono inevitabili per esprimere ciò di cui si parla, io credo che abbiamo un problema. Non sto prendendo una posizione netta e irremovibile, ma dico che abbiamo un grosso problema, un problema che attiene alla parte più profonda di noi. Non interverrò più perché non ho altro da aggiungere.

  33. Buffagni, lei in che moral favella è sì sublime, si vergogni! Lo padron del maniero dice: e ‘l mal del mondo? Avesti tu contezza de li bambini nati in suolo greco, e di costoro le truci sofferenze? T’interessasti allora de li suicidi e de l’orfani in suol patrio? Giammai: ché cotali argomenti son novi sol per li novelli risvegliati.

    Suppuos’io che lo spirto del #dar mai ei con lui ebbe (ed i’, me ne prostro co’ lo moderatore, quel de la netichetta).

  34. @ G. Pellegrino

    Le replicherò in dettaglio appena possibile (non prima di un paio di giorni, sarò in viaggio); già che ci siamo replicherò anche a M. Murgia con la quale lei concorda.

    Per ora, le faccio rilevare le inesattezze della sua replica, e aggiungo un paio di brevi commenti:

    1) “Asfaltare” l’ha detto Macioci, non io. Io non lavoro nell’edilizia e non asfalto nessuno, scrivo quel che penso e basta.

    2) NON ho detto che “solo ciò che ha un valore si può vendere e comprare”. Ho detto che solo ciò che E’ FINITO è quantificabile, e pertanto è accettabile che lo si venda e lo si compri, traducendone il valore FINITO in una somma di denaro. NON ho detto che TUTTO ciò che è finito possa e debba essere venduto e comprato senza se e senza ma, sciocchezza insigne che lei mi mette in bocca per vincere facile.
    Ho detto invece: ciò che è INFINITO non è quantificabile, e pertanto NON si può vendere e comprare traducendone il valore in una somma di denaro, che per quanto grande sia non può essere infinita. Esempi: l’anima, per chi crede che esista, ha valore infinito e dunque non si può vendere o comprare. Così l’amore – sempre per chi crede che esista – ha valore infinito e pertanto non si può vendere e comprare. Eccetera.

    3) NON ho scritto che “la legge disciplina l’aborto come se si trattasse di una specie di difesa della donna da conseguenze sulla sua salute o altre conseguenze gravi, che – tenuto conto di fatti oggettivi e proporzionalità – giustificano l’uccisione del feto. Si tratta appunto di un principio di auto-difesa, che si concede alla donna.”
    La legittima difesa è solo uno dei casi nei quali il giure si richiama allo “stato di necessità”, disciplinato dall’art. 54 del CP: come ho illustrato con chiarezza al punto 3 del mio secondo intervento. La legittima difesa è disciplinata dall’art. 52 del CP, che recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.” Il feto NON può portare alcuna “offesa ingiusta” alla madre, perchè non è giuridicamente capace di dolo o colpa, constatazione alla quale si può facilmente giungere anche senza essere giuristi (non lo sono neanche io).
    Il feto può invece rappresentare un PERICOLO per la vita della madre, per esempio se portare a termine la gravidanza mette a rischio la vita di lei. Quindi, il suo discorso su chi si difende da chi non coglie il punto della questione.

    4) NON ho detto che per me il feto è persona “dopo 90 giorni, perché ha ‘espressioni buffe e commoventi’. Temo che non sia così facile, ma su questo non commento.” Lei non commenta, e allora commento io, e le dico che le ipotesi sono due a) lei non sa leggere b) lei è in malafede e mi attribuisce una sciocchezza abissale per vincere facile. Vada a rileggere, eventualmente facendosi aiutare da qualche amico non dislessico, e vedrà che questa scemenza se l’è inventata lei.

    5) Qui non rilevo una inesattezza, rispondo a una domanda implicita. Personalmente ritengo che l’aborto NON sia lecito mai, tranne quando portare a termine la gravidanza mette a rischio la vita fisica della donna (appunto perchè non si può obbligare nessuno a sacrificare la propria vita per altri). Ho analizzato la legge italiana in materia per quel che è, non per come vorrei che fosse.

    6) Qui invece rilevo una contraddizione, almeno apparente, nel suo discorso. Lei scrive: “… il cuore non si è degradato. Ché se si fosse degradato, aprirei un piccolo traffico redditizio di donne e uteri, invece di stare a una scrivania a riflettere sulle cose.” Domanda: ma allora la maternità surrogata è una attività che degrada il cuore? To’, l’ho detto anche io!

    7) Quando lei scrive che “Dire coerentemente, senza retorica, che qualcosa ha valore infinito, significa dire che non ci sono trade-off giustificabili. Significa dire che ogni situazione è come la scelta di Sophie nel libro di Styron” tocca un punto chiave, e apre una discussione di grandissimo interesse (anche se poi la chiude subito).
    Se vuole discutere di questo, mi metto volentieri a sua disposizione. Se invece non ha voglia di discuterne con me, le consiglio di discuterne con Simone Weil, che mette questo tema al centro di tutta la sua opera, ed è una interlocutrice di gran lunga più meritevole di attenzione.

  35. @ Buffagni: grazie per la lunga citazione. Ma come c’entra con quanto ho scritto? Le premesse della lunga disamina introducono due soggetti neutri in uno scambio sul mercato, le specificazioni ulteriori elencano le condizioni di validità del contratto.
    E esattamente sull’idea del “contratto”, come schema per comprendere, o piuttosto fare ordine, sulle questioni della generazione, che appuntavo, inutilmente, pare, la mia attenzione.

  36. Buffagni, sarò lieto di leggere le sue argomentazioni di dettaglio, con l’attenzione e l’intelligenza che ho, anche e soprattutto sui tradeoff se si assume valore infinito degli esseri umani. Non ho detto che lei ha detto “asfaltare”, ma vi ho fatto riferimento in un commento generale sulla retorica nei commenti a questo post — come si vede dalla reazione di Macioci (e a Macioci direi che non mi sono offeso: come detto, non mi offendo mai, tranquilli. Notavo l’uso in un luogo inaspettato del gergo giovanilistico di Matteo Renzi. Sarà che una certa percentuale di quello che diciamo è sempre detto dagli altri, come diceva Bachtin). Sul feto dopo 90 giorni, se non ha detto quel che le ho attribuito io — anche se quell’espressione compare nel suo scritto — dovrebbe spiegarsi meglio. (Il riferimento ai dislessici potrebbe apparire lievemente razzista, forse, non crede?) Sulla legittima difesa, checché ne dica il cp, lei non nega il punto. Ci si difende anche dai pericoli – e da chi non può nuocere volontariamente (si chiamano minacce innocenti, in filosofia morale). Lei non dice che tutto ciò che è finito si può vendere e comprare, ma lo implica, giacché dice che ciò che ha valore infinito non si può vendere e comprare, e lo contrappone a quello che, avendo valore finito e quantificabile, è oggetto di compravendita. Tecnicamente, avrebbe dovuto spiegare che ciò che non si può vendere e comprare non si può vendere e comprare perché ha valore infinito, e per qualche altra caratteristica, che lo accomuna ad alcune cose che hanno valore finito, le quali pure non si possono vendere e comprare. Se dice che una certa non si può vendere e comprare perché ha valore infinito, mentre quello che si può vendere e comprare ha valore finito, implica implicitamente che il valore infinito è ragione della non mercificabilità — e ragione unica. Io le ho semplicemente obiettato che non mi sembra ragione unica dell’eventuale non mercificabilità. La sua visione dell’aborto, ripeto, mi piacerebbe conoscerla meglio, e così detta continua a sembrarmi in contraddizione. Io dalle sue premesse non arriverei a giustificare l’aborto in nessun caso. Tutt’al più giungerei a dire che se ci sono casi in cui è in pericolo la vita della donna — e del feto — si lascia fare alla volontà di Dio. Ripeto, senno’ non capisco che cosa vuol dire valore infinito. Se madre e feto hanno valore infinito entrambi, non sta a noi scegliere — sarebbe appunto come scegliere uno dei due figli di Sophie. Quelle che lei chiama inesattezze nella mia ricostruzione saranno sicuramente colpa mia — non ho problemi ad ammettere i miei difetti. Ma credo che le posizioni chiare e cogenti le capisce anche chi ha gravi difetti. Se non le capisco io, ed altri insieme a me, forse dovrebbe spiegarsi meglio.
    Che la gravidanza per altri inaridisca o degradi il cuore non l’ho ammesso, lei me lo mette in bocca. Ho detto che io non ho il cuore così degradato come pensa lei, almeno a giudicare dalle reazioni che mi creano altri fenomeni. Ma questa è retorica, lasci perdere — non c’imbarchiamo…
    Come dicevo, lieto di risentirla.

  37. Caro Pellegrino,
    bene, ci risentiamo in dettaglio più avanti. All’ingrosso e subito le dico due cosette e basta.

    1) storia dei 90 giorni e della faccina. Ma perchè dobbiamo prenderci in giro? E’ proprio indispensabile? Lei lo sa benissimo che cosa ho detto. Ho detto che mentre si possono fare infinite supercazzole sofistiche sul tema “il feto è o no una persona” PRIMA del terzo mese di gravidanza, diventa difficilissimo fare le medesime supercazzole sofistiche DOPO il terzo mese di gravidanza perchè il feto è visibilmente umano, umanissimo, cià la sua faccina, i suoi occhietti, eccetera.
    Ora (e questo NON l’ho detto prima, lo dico adesso), il fatto che il feto sia visibilmente umano NON basta per argomentare rigorosamente che esso davvero è persona, perchè prima bisogna definire rigorosamente che cos’è persona, sul piano filosofico e giuridico.
    Sul piano del diritto positivo, siccome si può decidere qualsiasi cosa si può benissimo decidere che il feto NON è persona fino al momento in cui esce dal grembo della madre, trattarlo come materiale biologico, farlo a pezzi al nono mese e poi vendere le frattaglie alle industrie famaceutiche; com’è noto si può anche decidere che non è persona anche DOPO essere nato, se appartiene a una categoria non gradita al legislatore: e quindi eliminarlo senza tante storie.
    Sul piano filosofico forse è un po’ più difficile, ma non dubito che qualche abile tecnico atto alla bisogna si trovi, fornendo i giusti incentivi.
    Resta il fatto che quando uno e soprattutto una vede il feto al IV mese, gli/le riesce difficile non identificarlo come persona umana, perchè somiglia tanto a una persona umana. La reazione emotiva a una percezione non è una definizione rigorosa, ma finora gli uomini e le donne funzionano anche così. I legislatori lo sapevano, e siccome alle reazioni emotive degli elettori devono prestare attenzione per evidenti motivi, hanno reso più difficile abortire dopo il III mese. Chiaro?

    2) mercificabilità, finito, infinito. Non ho dato una definizione tecnicamente esauriente, bene, bravo che me l’ha fatto notare, si impara sempre qualcosa di nuovo e di utile. Vedrò di migliorare nel prossimo intervento.

    3) trade off impossibili. Le faccio un trailer della prossima puntata. La contraddizione tra necessario e bene, come quella tra finito e infinito, è la la condizione NORMALE della vita umana. Simone Weil ne trae la conclusione che la vita umana è impossibile, ciò che la indirizza verso una conversione al cattolicesimo che non porterà mai a compimento. Si possono trarre altre mille conclusioni, per esempio quella platonica, quella cristiana, quella utilitarista del maggior bene per il maggior numero, e così via: compresa anche la conclusione più frequente, che è quella di non pensarci.

  38. Mi pare che Buffagni dica che mettere nello stesso ragionamento lo sfruttamento coatto di buona parte dei popoli di questo mondo e il rendere legale la compera di un utero (o affittare? bisognerebbe vedere nei particolari le condizioni del contratto; se per esempio chi propone il contratto può rivalersi nel caso l’utera bipede andando in bici cada o mangi troppi grassi o troppo glutammato di sodio e rovini irrimediabilmente il feto, se debba restituire la somma o parte di essa nel caso nasca down etc etc) è di per se stesso una…una…lieve imprecisione?

    Se posso dire la mia, io dico che anche queste organizzazioni che mettono in piedi un sistema complesso e articolato per poter venire incontro ad una domanda di adozioni fatta da e solo per qualcuno che ha la facoltà economica di potersi permettere una cosa simile sia una pessima cosa.
    A questo punto se questo è davvero un valore, e non vorrei entrare nel merito di questo punto, allora va fatto a livello istituzionale e trasversale.
    Ma allora a questo punto dovrebbe essere (secondo il giusto concetto che rispetta ogni cultura) che a livello istituzionale questo sforzo dovrebbe essere teso a creare le giuste condizioni proprio dove quel bambino ha il suo “ombelico” antropologico, perché, diversamente, ci troviamo di fronte al solito modus operandi della cricca occidentale, che prima devasta e poi manda la crocerossa ad attaccare cerotti e pròtesi (tutti protèsi).

    Sarebbe interessante leggerlo uno di quei contratti, sai che sorprese!?

  39. Caro Pellegrino,
    prima di mettermi in viaggio ho riletto con attenzione tutto quanto. Conclusione: complimenti, lei è un maestro della manovra diversiva e della mimetizzazione.

    Lei non ha scritto questo articolo per analizzare la questione “utero in affitto”, lo ha scritto per trovargli una giustificazione.

    Siccome la cosa desta un certo disagio emotivo non solo tra i reazionari dedestra come me, ma anche tra i progressisti desinistra come lei, e la giustificazione dell’amore va bene per la TV ma è deboluccia per gli intellettuali, lei ha fatto due mosse:

    a) mimetizzare l’obiettivo con i fumogeni: forse l’utero in affitto è sfruttamento, ma di sfruttamenti ce ne sono tanti, anche peggiori. Sottotesto: sei di sinistra e progressista? Affronta il problema sfruttamento globalmente, non focalizzarti su questo fatto marginale che può essere criticabile ma è solo uno dei tanti. Ricorda anche che se ti compri il telefonino col coltan sei corresponsabile anche tu dei mali del mondo, quindi da che pulpito viene la tua predica?

    b) dividere il fronte avverso: non tutte le femministe accettano a cuor leggero la maternità surrogata, e allora lei che fa? Gli dice, se una donna è libera di abortire, perché non dovrebbe esser libera di affittare l’utero? Sottotesto: occhio care femministe che se disapprovate l’utero in affitto logica vuole che disapproviate anche l’aborto, conquista che vi è cara. A buona intenditrice, etc.

    C’est de bonne guerre, giù il cappello: mi sono fatto fregare anche io, nelle due ultime repliche alle sue risposte.

    Questi i suoi argomenti di fondo. Poi, nella sua prima replica a me, ha aggiunto un terzo argomento: la maternità surrogata non è una compravendita. E’ al massimo un nolo del corpo della gestante. Il bambino non viene venduto e comprato, perché se lo fosse dovrebbe essere nell’intera disponibilità dell’acquirente come una lavatrice, che uno se la compra e poi, se vuole, la rivende o la distrugge a martellate: e questo nessuno lo dice.

    L’argomento “c’è di peggio” vale zero: lo sa lei, lo so io, lo sanno tutti; e infatti serve solo per alzare un po’ di polverone.

    L’argomento “se aborto sì, allora utero in affitto sì e viceversa” sembra un po’ più solido, ma vale non più di zero virgola due, anche se lei prova a gonfiarlo con un altro lancio di fumogeni sul tema “legittima difesa” e contestandomi una posizione incoerente sull’aborto, che c’entra zero con la questione in ballo. La ratio del diritto di abortire, in Italia, è lo stato di necessità della gestante. La ratio del diritto di praticare la maternità surrogata non può essere mai lo stato di necessità, perché il desiderio di avere un figlio non configura lo stato di necessità del desiderante. E’ quindi possibilissimo, senza la minima contraddizione logica, essere progressista, desinistra, femminista, favorevole all’aborto, e disapprovare l’utero in affitto.

    L’argomento “il bambino non viene comprato perché è soggetto di diritti e non mera cosa nella piena disponibilità dell’acquirente” ha un valore esprimibile con numero algebrico negativo a piacere. Perché a) non è vero che ogni oggetto di compravendita sia nella piena disponibilità dell’acquirente: chi si compra un gatto o un cavallo può certo rivenderlo, ma non può lecitamente torturarlo, ucciderlo per capriccio, etc. b) ma soprattutto, il tipo di compravendita di cui è oggetto il bambino nella pratica della maternità surrogata è una innovazione assoluta, salvo errore priva di precedenti storici. Come scrivevo al punto 4, post del 1 febbraio scorso: “Si introduce così nelle leggi e nel costume un precedente affatto nuovo: che possono coesistere SENZA CONTRADDIZIONE ALCUNA piena libertà formale, giuridica e politica, delle persone, e loro totale, ripeto TOTALE mercificazione.”

    Quel che succede nella maternità surrogata, infatti, non è una fotocopia dello schiavismo. E’ una mercificazione totale e assoluta della persona umana (il bambino commissionato, comprato, venduto) che continua a riconoscerle, senza rilevare in ciò contraddizione alcuna, la titolarità piena di tutti i diritti formali riconosciuti dalla legge. Volendo, la si può descrivere come la forma di schiavismo conciliabile con il quadro culturale, giuridico e politico del capitalismo. A me del nome importa poco assai. Mi importa del fatto, e il fatto è questo: il bambino che nasce da questa pratica è una merce fin da quando ne spunta l’idea e il desiderio nella mente di chi ne sarà il genitore legale-committente. E’ un fatto nuovo che avrà vaste conseguenze. Alcune ho cercato di immaginarle nei miei interventi precedenti, ma ce ne sono certo altre. Questo fatto effettivamente nuovo può piacere o non piacere (a me non piace). Però, il fatto è questo qua.

    Il resto dei miei interventi – la retorica, come la chiama lei – traduce in modo oh quanto indiretto le reazioni emotive che mi suscita questo fatto. In sintesi, esse sono: schifo, orrore, collera, raccapriccio per la cosa in sé; disprezzo e disgusto per chi la promuove e giustifica: sia per chi la difende con l’amore, la libertà, i diritti, sia per chi la minimizza, la sdrammatizza, la normalizza, la mimetizza. Ah! Qu’en termes galants ces choses-là sont mises!

    Certo, sono opinioni.

  40. P.S.
    Ho letto pure l’articolo della Murgia.

    La Murgia, altra maestra della manovra diversiva e della mimetizzazione, prima intimidisce la femministe contrarie alla maternità surrogata con l’argomento “se dici no all’utero in affitto dici no all’aborto” (ci aggiunge dei bei ricamini semantici distinguendo “maternità” e “gravidanza”).

    Poi intimidisce il progressista desinistra dubbioso sull’utero in affitto ricordandogli che anche la badante di tua nonna lavora perchè costretta dal bisogno, e quindi da che pulpito predichi, ipocrita?

    Il tutto finisce con una proposta di sindacalizzazione delle gestanti per altri (in vista prospettive occupazionali interessanti: una manna, con questi chiari di luna).

    Chicca finale, che riporto per intero perchè è un capolavoro di ipocrisia da lasciare a bocca aperta i gesuiti d’antan: “proprio perché un essere umano non è una merce, in nessun caso il denaro versato alla donna gestante può essere considerato un corrispettivo per il bambino, ma sempre e soltanto una remunerazione della sua gestazione. Si paga il tempo, si paga il rischio, si pagano le assistenze, ma non si compra il nascituro, la cui cessione avviene per pura volontà da parte di colei che ne è a tutti gli effetti la madre fisica. Non importa di chi sono gli ovociti e lo sperma: anche la gestante ci mette del suo, non è un mero corpo attraversato. Non importa nemmeno quanto è costato il processo: il risultato sarà comunque un dono, che può restare in mano alla sola persona che ha il diritto di considerarlo proprio fino a quando non rinunci spontaneamente a farlo.”

    Brava signora Murgia, che tour de force! Arrivederla nei talk show e in Parlamento.

  41. Buffagni, abbia pazienza, e col massimo rispetto. Se lei vuole che io dica le cose tutte, le dico. Lei può analizzare come vuole le mie strategie argomentative, ma se ci sono argomentazioni, tocca rispondere con argomentazioni. Lei a volte lo fa, a volte ci racconta le sue reazioni. Come lei ha avuto modo di dire a Piras, che certo non ne aveva bisogno, lei mi sta simpatico, e possono interessarmi le sue reazioni emotive. Ma non cambiano molto la sostanza razionale della cosa. Se l’utero in affitto è una novità — e io, che ho meno sicurezze di lei, non ne sono sicuro –, allora le reazioni emotive non valgono molto: tutti hanno reazioni emotive negative di fronte alle novità. Lei ama ricordare quelle che accolsero il cristianesimo alle sue origini, ad esempio. Di fronte a una novità, per accettarla o meno, servirebbero argomentazioni — sghembe, difficili — ma argomentazioni. Lei non ne accetta nessuna delle mie. E va bene. Figuriamoci. Ma poi le argomentazioni che propone lei spesso finiscono in appello alle reazioni emotive. La non mercificabilità non è mai come la dice la prima volta, cambia sempre, che l’utero in affitto sia affitto non è vero, è una compravendita, e del bambino — e i gatti e i cani. Ok, va bene. Insomma, se si è stufato di discutere, figuriamoci… Siamo del tutto liberi qui di scrivere o meno (lei stesso, ricorda, si sfogava…), e probabilmente facciamo questi commenti perché abbiamo il tempo. E io aspetto che le ritorni voglia. Ma diciamo che quando mi racconta le sue reazioni emotive io posso anche simpatizzare, ma non è che la mia — scarsissima, si figuri (io sono dislessico, ricorda?) — razionalità riesca a seguirla molto. Ma mi fa piacere sapere di lei, figuriamoci.
    Stia bene. E complimenti per il romanesco.

  42. No. Murgia non la difendo. La approvo in silenzio (tra isolani…). Già mi tocca difendere me stesso dall’ira funesta di Buffagni. Come le dicevo, a risentirla, quando vuole.

  43. @ Buffagni

    il punto 3 – Simone Weil è fico, solo non ne trarrei la conclusione che la vita è impossibile, quanto che a volte è impossibile volerla adattare ai propri principi.

    Quanto al resto, ha poco senso parlarne, poiché considerazioni del genere avvengono nel privato. O almeno, ha senso parlarne e poi a volte le persone cambiano idea su una cosa, nel mentre che cambiano il modo di sentirla, quella cosa, spesso senza rendersene conto. L’unica cosa che mi sento di dire nello specifico è che la compravendita non trasforma una persona in merce, o un atto in merce. Qui ci vedo lo stesso errore metafisico che ho visto in Marx in riferimento all’alienazione. Ci sono genitori che fanno figli e li trattano come oggetti e ci sono genitori che acquistano figli e li trattano come figli.

  44. Caro Buffagni,
    lei sarà anche caduto nella trappola, ma leggere i suoi furori è stato bello.
    Parte dell’orrore è anche questo discuterne in punta di penna, il corrispettivo blogghistico dei lindi locali e dei volti sorridenti che appaiono aprendo i siti delle agenzie ucraine dove si pratica questo immondo commercio di carne umana. Grazie di cuore.

  45. Rispettate il corpo della donna, non renderlo ‘oggetto’. Il potere dei soldi avvilisce,chiavizza gli esseri umani. Non si può esaltare l’affitto di una gravidanza,ma si può aiutare chi già è nato.Rispettate le donne,soprattutto se povere, Questa non è un’innovazione. I diritti sono tutti da attuare. Ma i 9 mesi di gravidanza a richiesta non fanno parte dei diritti umani, né di un’innovazione.

  46. @ michela, mi hai preceduta: condivido il tuo pensiero; e ringrazio anch’io Buffagni per i suoi furori e non meno per i suoi argomenti.

  47. [..] La questione economica è apparentemente il cuore del dibattito sulla gravidanza surrogata. È socialmente accettabile che donne povere possano vendere la propria capacità riproduttiva – quella, non il proprio figlio – a ricche coppie sterili? Si può iniziare spontaneamente una relazione biologica come la gestazione senza avere intenzione di assumersi la maternità che ne deriverebbe? Lo si può fare anche dietro compenso? Più ci penso, più mi rispondo che una legge che metta delle regole all’eventuale risposta positiva a questa domanda è molto più urgente di una legge che impedisca di porsela, visto che qualcuno se la porrà comunque e andrà a cercare la risposta in India.

    M.Murgia

  48. “Ma allora non capisco perché ci siano le adozioni, e che dire degli orfani, e dei milioni di bambini nati per desiderio di maternità, per avere il trasferimento, per coronare il matrimonio, per conformarsi al progetto divino….”
    A mio modesto parere, un desiderio non da origine a un diritto, come si vorrebbe far passare tacitamente. E questo vale in generale (e meno male…), come anche nel caso specifico della maternità/paternità, che non è un diritto ma un privilegio. Tale privilegio è biologicamente riservato, per la specie Homo sapiens, alle coppie formate da maschio e femmina, e su questo non credo possano esserci dubbi. Poi, il fatto che il “progresso” oggi offra tale privilegio anche a coppie non compatibili con la riproduzione (sia etero che onosessuali), non sta a me giudicarlo eticamente, probabilmente non ne sarei in grado. Dico solo che senza il “progresso” di cui sopra tutti i ragionamenti fatti qui e altrove su tale tema non avrebbero ragion d’essere. Quanto alla gravidanza surrogata (o comunque la si voglia chiamare), questa è di fatto mercificazione, poco importa se del feto o del corpo della gestante, questa è solo una sfumatura che non sposta di un millimetro il dato di realtà, cioè la commercializzazione di esseri umani. Già il fatto che siano necessari tanti artifizi retorici pur di giustificarla rende tale pratica quantomeno discutibile in partenza, sarà banale ma il fine non giustifica i mezzi. E a chi dice che tanto in altri paesi del mondo è già possibile, QUINDI sarebbe meglio “aggiornarsi”, (argomento peraltro di una povertà intellettuale avvilente), mi verrebbe da rispondere (con altrettanta povertà intellettuale, lo ammetto, ma visto il livello…) che nel mondo esistono paesi in cui è possibile mercificare le vite umane in modi squallidi e deprecabili che nemmeno è necessario elencare, pratiche a cui molti (purtroppo) occidentali più o meno benestanti anelano. Che facciamo, ci “aggiorniamo” anche su questi settori? Non sia mai che si lasci ad altri anche questa fetta di mercato…
    Cordialmente
    Roberto Orrú

  49. Pellegrini riporta l’argomento gravidanza surrogata alla questione contratto, “mi pare assurdo isolarla dal contesto del mercato globalizzato”.
    Ora non prendo in considerazione la questione dei figli come prodotti industriali o in rapporti schiavisti. Ma sono certa che, ad una certa età, la figlia/figlio si porrà la domanda in termini razionali: sono forse stato comprato dai miei genitori? Un tempo questa era una metafora corrente con cui si rispondeva alla domanda dei bambini “da dove vengo”? la mamma il papà ti hanno comprato…” Il che dava anche al bambino la certezza di una origine autonoma e liberava da una schiacciante dipendenza. Oggi, in una età più matura del figlio-figlia, non avrebbe più questo senso.
    Quello che è certo è che la gravidanza in affitto riguarda le coppie maschili, e le coppie etero sterili. Quelle femminili non hanno bisogno della ‘terza donna”, la differenza sessuale è all’opera, Michela e Chiara ne tengono conto “Distinguiamo tra donne costrette da una condizione di forte disagio economico e sociale ad affittare il proprio utero … e le ‘missionarie’ che, ricche, ben istruite e realizzate, senza essere pagate, in assoluta libertà, ecc., scelgono di mettere al mondo un bambino che poi sarà cresciuto da altri.” Il dono può rimandare a un senso di potenza femminile. Penso alla madre che compie la gestazione per la figlia con l’ovulo della figlia, sono casi reali.
    Nei casi di coppie maschili e di coppie etero sterili accade che, quanto alla madre, si rompe il nesso tra generazione-gestazione-allevamento, la fornitrice di materiale biologico può non coincidere né con la gestante né con la nutrice. Infatti si arriva a parlare di madre-padre, di maternità-paterna, la madre ha lo stesso ruolo del padre biologico o dell’allevatore.
    Altro che invidia del pene!, in questi fatti e ragionamenti agisce un potente attacco alla madre, al suo essere stata finora, nel nesso tra biologia e cultura, un elemento fondante di civilà. E’ all’opera, all’ evidenza, l’invidia dell’utero.

  50. Ecco, la chiusa del discorso della Murgia a me suona come un appello a s s u r d o.

    Butta là una cosetta che pare una supposizione – forse, «apparentemente» eh, è la disparità economica tra fattrice e committente che ci turba. Ecco, la butta là, questa domanduccia (retorica), e lascia che aleggi, distogliendoci dalle questioni prioritarie e di cruciale importanza: questioni etiche, interrogativi inerenti il diritto e la legislazione (poi, certo, ci sarebbero anche i diritti del nascituro, oltre a quelli di coloro che economicamente e biologicamente cooperano per metterlo al mondo): interrogativi morali e giuridici, tanto per ‘volare basso’ e rimanere su un piano esclusivamente laico.

    La Murgia afferma, poi, che, non potendo proibire anche altrove questo commercio, è bene regolamentarlo da subito anche in Italia, dato che esiste una ‘domanda’ che appunto altrove – in India, se si vuole una soluzione low cost, negli USA, per formule più sicure e costose, ecc. – trova ‘offerta’ e soddisfacimento, con ricadute dirette sulla nostra società.

    Chapeau!

    Arriverà il giorno in cui ci suonerà possibile parlare di commercio di organi (ho un mutuo trentennale sul groppone e devo mandare mio figlio all’università: ricordatemi perché non posso vendere un rene): forza, mettiamo in moto la macchina legislativa – una buona fetta dell’intellighenzia nostrana fa già «brum brum» –, non facciamoci trovare impreparati.

    (Come già ha scritto Roberto Orrù, no, un desiderio non dà origine a un diritto: soprattutto un desiderio individuale che, per essere appagato, riduce gli altri a mezzi, e non a fini – reminiscenze liceali ne abbiamo tutti, di Kant poi… O no?)

  51. Eh, ma la realtà è sempre la stessa: le persone etero oppure no continuerenno ad andare a procreare all’estero anche dopo l’approvazione o meno della Cirinnà, vi sono e ci saranno casi.. e casi…e casi, vogliamo fare proprio le 3 scimmiette ?

  52. Cari tutti,
    mi pare che — assente Buffagni — la discussione langua, e rimangano solo i e le sue fan. Ottimo.
    Molte delle cose che volevo dire le ho dette — forse non si sono capite, forse le ho dette male, ma, insomma, le ho dette. Al netto dei toni, e dell’idea che i sentimenti siano patrimonio solo di alcuni — lo sdegno di Buffagni va bene, il mio per altri fenomeni (i bimbi che sono già nati, ad esempio) è falso o passa inosservato, mah, detto a chi non si conosce neanche, ma pazienza … Al netto dei toni, dicevo, puntualizzo solo alcune cose.
    Come molti hanno inteso, quello che volevo fare è chiedere se la GPA è realmente un fenomeno nuovo e negativo. Il mio modo di procedere consisteva nel dire che non è nuovo, e non è più negativo di altri fenomeni. Mi viene contestata l’analogia, di solito: si dice che è nuovo. Ma poi non riesco mai a capire perché lo sia. Ripeto: se è sfruttamento, non è nuovo; se è mercificazione, non è nuova; se è confusione fra desiderio e diritto, neanche. Mi si potrebbe più efficacemente dire: non è nuovo, ma è negativo lo stesso. Alcuni lo dicono, ma senza la passione con cui dicono che è un male nuovo.
    Veniamo a questo secondo modo di procedere. Bisognerebbe dire che la GPA è più negativa di altri fenomeni di sfruttamento o mercificazione o di desiderio che vuole diventare diritto. Ci sono molte maniere di farlo, ma non mi pare che nessuno sia andato qui al di là dell’asserire la cosa, senza dimostrarla.
    Poi, c’è un’altra questione, laterale ma interessante. Io faccio l’analogia fra GPA come sfruttamento e altri sfruttamenti, fra GPA come mercificazione e altre mercificazioni, e così via. E tutti mi dicono che è benaltrismo, e che così illanguidisco l’orrore della GPA — e che lo faccio capziosamente. Ma non capisco perché. Non capisco perché chi ha orrore della GPA è un puro alfiere della morale, e io che ce l’ho un po’ col capitalismo globalizzato lo farei per finta. Di nuovo; detto di uno che non si conosce…
    Dopo questo riassuntino, aggiungo una cosa forse nuova. La questione del desiderio di aver figli che non è un diritto, e dell’interesse del bambino. Vi sorprenderà, ma sono d’accordo. Il desiderio di maternità e paternità dovrebbe trovare limiti — nell’interesse dei nati, innanzitutto, e in quello degli altri che sono già nati. Quindi, ben vengano proposte di regolamentazione demografica, per evitare la sovrappopolazione che ci porterà alla rovina ecologica. Ben venga la proposta di J.S. Mill, di negare il diritto a sposarsi e a procreare a coppie eterosessuali — ai suoi tempi pensava solo a quelle — che non possono assicurare ai nati una vita abbastanza buona.
    Scommettiamo che questa implicazione non vi piace? Scommettiamo che, se accade all’interno di una coppia eterosessuale, con i mezzi tradizionali (che non nomino qui: ci fossero minori a leggere…), allora va bene tutto?

  53. Caro Pellegrino,

    Il filosofo polacco Leszek Kolakowski, parlando del comunismo reale, introduce due categorie: quella del “credere di credere”, e quella della “quinta operazione”, che si adatta a pennello alle giustificazioni dell’utero in affitto.

    Nelle quattro operazioni aritmetiche, il risultato consegue dai fattori: prima scrivi 2+2, 5-1, 2×2, 8:2, e solo dopo aver eseguita l’operazione giungerai al risultato, che in questi casi è 4.
    Nella quinta operazione, tu PRIMA stabilisci il risultato, ad esempio 4, e solo DOPO scegli i fattori che diano il risultato desiderato.
    Non è detto che la quinta operazione sia SEMPRE sbagliata: anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno. Però, meglio non fidarsi, perché chi esegue la quinta operazione al risultato precostituito sacrifica tutto il resto.

    Lei e la Murgia (e gli altri che sviluppano argomenti simili ai vostri) è questo che state eseguendo: la quinta operazione. PRIMA avete stabilito il risultato (“l’utero in affitto va giustificato”), POI sviluppate gli argomenti ad hoc. Se siate in buonafede o no lo ignoro: diceva Lenin che non esiste il sincerometro. Francamente non mi interessa.

    Io gli argomenti li ho portati, e sono sempre quelli.

    L’utero in affitto è mercificazione del bambino, venduto e comprato; e mercificazione della gestante. Sono mercificazioni nuove e totali di ciò che sinora, nella civiltà europea, non era mai stato totalmente mercificato in questo modo: la persona umana (in altri modi, sì: es. storico, lo schiavismo).

    Ho aggiunto che questa mercificazione nuova e totale provoca schifo, orrore, disgusto, collera, in me e non solo in me. Sono certo reazioni emotive, ma le reazioni emotive hanno un loro perché, come illustrerò più avanti.

    Non è facile definire la fattispecie giuridica di queste mercificazioni, perché sono effettivamente nuove.

    La mercificazione del bambino venduto e comprato NON è identica alla mercificazione dello schiavo venduto e comprato, perché in un ordinamento giuridico che prevede la schiavitù, lo schiavo NON gode degli stessi diritti del libero; mentre il bambino venduto e comprato è formalmente titolare degli stessi diritti giuridici del suo committente-genitore, salvo quelli riservati alla maggiore età. Per analogia, l’ho definita la forma di schiavismo compatibile con il quadro culturale, politico e giuridico del capitalismo liberale.

    La prestazione della gestante NON si può definire un vero e proprio affitto del proprio corpo, e neppure una vera e propria vendita della propria forza-lavoro; perché ciò che la gestante affitta non è una cosa che resta identica a se stessa nel tempo salvo il deperimento d’uso, come ad esempio un immobile o una macchina, o anche il corpo nel caso della prostituzione: la gestazione è un processo che trasforma il corpo – e la psiche – della madre mentre dà origine a una nuova creatura che ha corpo e psiche indipendenti, anche se non autonome, già all’interno del corpo materno, cioè a dire del bene locato.

    Né la gestante vende la propria forza-lavoro come un salariato, perché la gestazione NON è un lavoro nell’accezione che si dà alla parola quando a fornire lavoro è un essere umano, cioè l’applicazione di una energia umana COSCIENTEMENTE (anche se magari non liberamente) fornita al conseguimento di un fine determinato: la gravidanza non è un processo cosciente. Tentando una definizione, si potrebbe dire che la gestante viene noleggiata, e noleggia se stessa, come animale da riproduzione; ma questo animale da riproduzione resta formalmente titolare dei diritti giuridici che negli ordinamenti liberali vengono riconosciuti ai soli esseri umani, tra i quali il diritto di contrarre una obbligazione sinallagmatica (stipulare un contratto valido).
    Se ne accorge la Murgia quando fa del pattinaggio su ghiaccio sottile semantico, e distingue tra “gravidanza” e “maternità”: nell’utero in affitto la donna è “gestante”, quando fa figli gratis e per sé la donna è “madre”. In parole povere, quando si noleggia, e, scodellato il bambino, lo consegna a terzi, la donna noleggia la sola dimensione biologica – biologica e non corporea, si badi, perché il corpo ha legame necessario con la psiche – della sua persona, ed è “gestante”; quando fa figli gratis e il bambino se lo tiene lei è “madre”.

    Non sono un giurista, e quindi non so dare la definizione giuridica rigorosa delle due mercificazioni della persona umana, nuove e totali, introdotte dall’utero in affitto. Non me ne cruccio. Non mancheranno i tecnici all’altezza del compito, né gli abili artisti della quinta operazione per inzuccherare con l’amore, la libertà, i diritti delle donne e degli omosessuali, il progresso e la globalizzazione la pillola di cianuro giuridico che verrà distribuita gratuitamente ai popoli, in televisione e nelle facoltà di giurisprudenza e filosofia di tutto il mondo occidentale. Auguro a entrambe le categorie, di tutto cuore, buon lavoro; e che molte, meglio ancora tutte le donne a loro care intraprendano questa lucrativa attività economica in un settore innovativo in forte espansione.

    L’utero in affitto, insomma, una novità lo è eccome, e nuove sono le mercificazioni che introduce nel nostro mondo, che evidentemente non aspettava altro che aprirgli la porta (è la Tecnica che decide tutto, come ho sentito dire in TV a Umberto Galimberti, un altro artista della quinta operazione che deve aver scambiato la Tecnica planetaria con il copiaincolla per il quale sono celebri i suoi libri).

    Su questa effettiva novità delle mercificazioni introdotte dalla pratica dell’utero in affitto fanno abilmente leva gli artisti della quinta operazione: per confondere le menti e i significati, indebolire le facoltà razionali, e soprattutto per anestetizzare le reazioni emotive dei più.

    Perché la larga maggioranza delle persone, di fronte a questa Cosa, ha una reazione emotiva egodistonica, in uno spettro che va dal lieve disagio, alla preoccupazione, all’orrore, al rifiuto totale, alla ribellione. Almeno sul piano della reazione emotiva, le reazioni emotive negative e positive NON corrispondono esattamente agli schieramenti culturali e ideologici ordinari. Chi è reazionario e dedestra come me avrà magari reazioni negative più violente, chi è progressista e desinistra avrà magari reazioni negative meno vivaci: ma le reazioni negative ce le hanno in tanti.

    Ora, le reazioni emotive non sono una prova scientifica (in questo caso comunque impossibile: la scienza dura non può e non vuole dare giudizi assiologici) o una dimostrazione razionale rigorosa. Sono però un sintomo importante, quando chi voglia, e in questo caso debba, dare un giudizio di valore (insomma: è bene o male, questa Cosa?) è chiamato a pronunciarsi, se non altro dinanzi al proprio fòro interiore.

    Perché mentre è abbastanza facile invertire i valori sul piano razionale, e chiamare bene il male, male il bene in un articolo o in un discorso (bastano le supercazzole sofistiche), è molto più difficile invertire i valori sul piano emotivo, e dire “mi piace” davanti a una cosa che istintivamente fa vomitare.
    Intendiamoci: non disperino i sostenitori dell’utero in affitto. Ci si abitua, ci si abitua a (quasi) tutto, specie sotto la pressione del conformismo sociale organizzato dalle istanze autorevoli. Però non ci si abitua proprio a TUTTO; perlomeno, non tutti si abituano a tutto. Per esempio, i criminali si abituano a uccidere, e grazie alla routine delle uccisioni ammazzano una persona con il pathos richiesto all’ innocuo cittadino per ordinare al telefono una pizza margherita. Talvolta però anche i criminali hanno un attimo di stanchezza e disgusto per il sangue versato, e immagino che anche pedofili e serial killer, a volte, facciano brutti sogni.

    Ma se le reazioni emotive negative sono così diffuse, forse vuol dire che con questa Cosa stiamo – anzi, no: state, io proprio non c’entro niente – facendo qualcosa di grave, di funesto, di irrimediabile, di ominoso. Che stiate violando una legge sacra? Ci avete pensato? Sono solo superstizioni? Anticaglie? Può darsi. Vedremo. Dice la saggezza antica che la violazione di una legge sacra ha vaste, gravi, durevoli conseguenze che si manifestano in ambiti a prima vista affatto incongrui rispetto al comandamento violato (cosa c’entra la peste a Tebe con il fatto che Edipo abbia ucciso suo padre e sposato sua madre?).

    Io adesso, senza pretesa alcuna di indovinarci (non sono un aruspice o un veggente), provo a indicare un campo in cui questa pratica schifosa avrà vaste, gravi, durevoli conseguenze: il linguaggio.

    Esempio. Mettiamo che la tesi della Murgia – che in effetti è abilmente costruita – venga adottata come giustificazione ufficiale e prevalente dell’utero in affitto.

    “Una donna che accettasse di portare avanti una gestazione per altri avrebbe il diritto di cambiare idea durante la gravidanza e decidere alla nascita di tenersi il bambino come proprio, anche se i gameti non erano i suoi? Mi sono trovata a parlare di questa questione con molte donne e la risposta a questa domanda è stata la stessa per tutte: sì.
    La motivazione è evidente: proprio perché un essere umano non è una merce, in nessun caso il denaro versato alla donna gestante può essere considerato un corrispettivo per il bambino, ma sempre e soltanto una remunerazione della sua gestazione. Si paga il tempo, si paga il rischio, si pagano le assistenze, ma non si compra il nascituro, la cui cessione avviene per pura volontà da parte di colei che ne è a tutti gli effetti la madre fisica. Non importa di chi sono gli ovociti e lo sperma: anche la gestante ci mette del suo, non è un mero corpo attraversato. Non importa nemmeno quanto è costato il processo: il risultato sarà comunque un dono, che può restare in mano alla sola persona che ha il diritto di considerarlo proprio fino a quando non rinunci spontaneamente a farlo.”

    Lascio perdere la domanda, pur rilevante e logica, se la Murgia c’è o ci fa: la scrittrice sarda pretende infatti che lettori di età superiore ai sei anni credano sul serio che un business internazionale altamente lucrativo possa riconfigurarsi, grazie agli sforzi suoi e di chi la pensa come lei, sotto forma di attività benefica senza fini di lucro, tipo Oxfam o la San Vincenzo; esigendo da loro una fede assai più grande di quella richiesta per credere alle apparizioni mariane, o per spostare le montagne.

    Invito invece il lettore a concentrarsi su questa frase della Murgia: “non importa nemmeno quanto è costato il processo: il risultato sarà comunque un DONO.” Se la lingua italiana in cui scrive la Murgia è la stessa in cui la leggo io, ella sostiene dunque quanto segue. Una donna che si noleggia per fare un bambino per conto terzi, se ha “il diritto di cambiare idea durante la gravidanza e decidere alla nascita di tenersi il bambino come proprio”, quando poi invece NON cambia idea e lo consegna all’acquirente, gli fa un dono.

    Domanda: come fa la gestante a DONARE a chicchessia un essere umano che NON è suo?

    Perché il bambino NON è una cosa, e NON è neanche una parte del corpo della gestante, come ad esempio un rene o il sangue, e quindi NON è sua proprietà, vendibile o donabile. E’ una persona umana: non può pertanto (sinora) essere né venduta, né donata.

    Sinora, l’unico modo in cui una persona umana poteva essere donata era quando “donava se stessa”. E anche in questa bella formula del nostro linguaggio, la donazione veniva intesa come metafora di totale dedizione a un’altra persona, a una causa, a Dio: non come una “donazione” conforme all’art. 769 CC.

    Che cosa ha condotto la Murgia a introdurre il fattore “dono” nella sua quinta operazione giustificativa dell’utero in affitto?

    Ci scommetterei che le è venuto in mente perché nel linguaggio che sinora tutti abbiamo parlato, è comune dire che diventando madre, una donna “dona un figlio” all’uomo che con lei l’ha concepito, che così diventa padre. La lingua italiana però non prevede che la madre firmi un contratto di donazione, molli il bambino al committente/donatario, intaschi i soldi (o anche glielo dia gratis, è ininfluente) e sparisca dalla scena.

    “Donare un figlio.” E’ bello, no, dire così? E anche farlo.

    Domanda: se chiameremo “dono” questo schifo, sarà ancora bello, dirlo?

  54. Caro Gianfranco,

    etichettare me ed altri come ‘fan di’ è davvero una mossa che non ti rende giustizia. Non occorre, credo, che stia a spiegarti perché – siamo tutti adulti, nessun minore a leggere, né a scrivere. Certo, i dibattiti non sono mai pranzi di gala, però questo fallaccio così malevolo… «Ma – per citarti – pazienza…».

    Ecco, lascia che metta a terra i pompon da cheerleader e aggiunga un’ultima osservazione.
    Io non riesco a capire per quale ragione tu, che ti definisci uno che «ce l’ha un po’ col capitalismo globalizzato», non sia contrario alla GPA. Non riesco a capire che cosa a tuo parere renda più tollerabile l’«utero in affitto» – non so, faccio un confronto a caso – dello sfruttamento del lavoro minorile. Perché, nel mio modo di vedere, da vessillifero del anticapitalismo quali rivendichi di essere, dovresti essere contrario – per principio e di fatto – a questa forma di sfruttamento, inedita o vecchia come il cucco che sia.

  55. Forse la discussione langue perchè si è polarizzata, come del resto è del tutto fisiologico che avvenga.
    A me rimane un retrogusto amaro di carenza di capacità di dialogo in un ambito di discussione razionale ed argomentata.
    In sostanza, non è che io abbia molto da aggiungere a ciò che ho già detto, ma, visto che Pellegrino ribadisce cose a cui avevo obiettato senza ricevere risposta, ed in genere ciò si interpreta come accettazione delle critiche, trovo motivazioni nuove per riintervenire.
    Pellegrino afferma innanzitutto che non si tratti di fenomeni nuovi, ma non capisco allora perchè se ne parli. Se non c’è nulla di nuovo, significa che già è legalmente praticato, ma a me non risulta e se a Pellegrino risultasse, dica quando il parlamento ha dato il via queste pratiche. Al contrario, il clamore che circonda l’argomento è del tutto giustificato dal fatto incontrovertibile che si tratti di qualcosa di totalmente nuovo. Spero che nè Pellegrino nè altri insistano con arogmenti del tipo, sì questo non c’è, ma c’è quest’altro che gli somiglia molto. Non è possibile, non è lecito usare argomentazioni di questo tipo
    o, proprio perchè in questo ambito, si osserva un progressivo scivolamente, sempre motivato e ottenuto minimizzando gli elementi di novità.
    Pellegrino dice anche che è lecito richiamare tante schifezze analoghe a questa nell’ambito della presente discussione.
    Qui, permettetemi di autocitarmi. Ho scritto in un precedente intervento:

    “La distinzione tra esistente e innovazione non è un mio arbitrio, su questo si sbaglia completamente.
    Occuparsi oggi dell’utero in affitto non dovrebbe secondo ogni logica influenzare la misura del nostro impegno a migliorare il mondo, tentare di renderlo migliore.
    Su questo, do’ per scontato che siamo tutti impegnati già da ora, e pertanto non posso accettare che qualcuno guardi alle storture del mondo solo perchè deve trovare il modo di giustificare l’utero in affitto. Se le storture permangono, significa che non facciamo abbastanza o che non siamo abbastanza bravi, ma ciò non vedo come e perchè dovrebbe influenzare la nostra opinione sull’utero in affitto.”
    Cosa risponde Pellegrino a questa mia frase? Semplicemente nulla.

    Ancora, Pellegrino ha deciso di ignorare il mio intervento ed avrà le sue brave ragioni, ma non credo sia accettabile che egli sostenga che nessuno dica che l’utero in affitto non sia peggio di altro.
    Io ho tentato non di dimostrarlo, perchè le dimostrazioni sono possibili solo in un ambito convenzionale, come in geometria, non per questo tipo di questioni. Ho tentato di argomentarlo, e magari sarebbe corretto dal punto di vista dialogico, entrare nel merito.
    Ho assimilato il ruolo della donna che si presta a questa operazione ad una forma di prostituzione, con cui ha in comune questa mercificazione in una sfera che investe la più stretta intimità, con l’aggravante del ruolo passivo che affittare l’utero comporta.

    Al di là di tutto questo, ciò che disturba in Pellegrino è quest’atteggiamento da vicedio, cosa che si evidenzia ancora di più nel finale del suo ultimo intervento.
    Vorrei chiedere chi è lui da decidere che un bimbo cresca meglio dove trova più benessere, da dove ricava le sue certezze su quanti uomini possano vivere e come possano vivere che poi sono due questioni strettamente correlate.
    I suoi criteri di giudizio sono personali come quelli di ciascuno di noi, e disturba e preoccupa che stia crescendo una nuova generazione di intellettuali che non percepiscono il limite, questo senso di onnipotenza che deriva dagli sviluppi tecnologici, nel pretendere che gli equilibri più delicati che sono legati alal nostra stessa genetica possano essere violati a piacimento da qualcuno che si convince e convince altri che i meccanismi genetici, ciò che associamo di più alla nostra stessa umanità, possano essere allegramente modificati secondo un piano che appare brillante e convincente, e che poi in un domani questo stesso signore chiederà scusa per i disastri che la sua brillante trovata ha provocato.
    Del resto, viviamo già in un mondo di questo tipo, nel golfo del messico ha costruito un pozzo a 500 mt di profondità, e poi hanno scoperto che non erano in grado di tappare il buco che essi stessi avevano praticato.
    Da questo punto di vista, potremmo dire che Pellegrino è un esemplare ideale di questa nuova umanità, di questa svolta antropologica.
    Perderemo a difendere la nostra immagine di umanità, ma non chiedetemi di essere d’accordo, finchè posso lotterò contro costoro.

  56. Gli omosessuali, ma anche gli eterosessuali, hanno il diritto di afffittare una persona (c’è chi dice una parte di una persona, ma ho il timore che una volta legalizzata questa porcheria, capiti quello che capita normalmente al riguardo dei contratti, cioè che chi ha i soldi si faccia aggiustare le questioni a proprio favore, determinando una sorta di possesso reale su ciò cui quella persona può o non può fare. Quindi non un affitto di una parte, ma il possesso di buona parte delle circostanze della sua vita; le sue abitudini in genere)?

    A scanso di equivoci, per me è l’ennesima porcheria generata dalla vittoria del pensiero scientista– la fisica del senso comune, su quella umanista– l’empatia del senso comune.
    E’ una delle sue manifestazioni peggiori che vanno a comporre un disegno, una prospettiva che mette i brividi: Una superclasse elitaria ed elitarista ristretta che, tramite le enormi ricchezze nominali accumulate, tiene al soldo la potenza esecutiva militare, per regnare su ciò che resterà della massa informe e indistinta uniformata sotto tutti gli aspetti e decimata dal ritorno alla durezze del vivere che tanto ci stanno ripetendo ad ogni piè sospinto.

    Questo dell’utero a pagamento è un’altro piccolo passo verso il completo sradicamento del valore dell’identità.
    Identità è cultura, identità è natura. L’insieme dei due forma organismi umani particolari che si traducono poi in organismi sociali particolare–a vari livelli politici come, per esempio, le comunità, o enti territoriali, che sommati formano organismi formati da un’identità antropologica “finita”, circoscritta, avente una propria scala di valori e relative norme generali che ne formano la relativa unicità– tutto questo è naturalmente non statico, ma, essendo organismi, in continua relazione con tutto ciò che gli sta attorno.

    Ecco che cultura e natura vanno a formare un’identità che gode di una volontà peculiare distinta perché non uguale– la similarità implica una differenza, e la differenza, da un punto di vista economico, implica una diversa concezione di cosa sia il valore.
    Ma se io intendo vincere la guerra (quella guerra che oggi è più remunerativo vincere senza distruggere i sistemi che lo compongono) che oggi si è evoluta i guerra culturale, cioè ti impongo la mia cultura con tutto quello che la compone, in modo che tu debba sottostare alle mie regole, che sono quelle che rendono me più potente e te più debole.

    Ma se tu hai una identità solida, e cioè risultante da una cultura viva e solidamente ancorata ad un’insieme di nuclei famigliari forti e coesi formanti un organismo compatto avente un riferimento chiaro e in relazione alla qualità del tempo odierno, quale è la nostra costituzione, ecco che sorgono problemi seri al riguardo della penetrazione che la tua cultura del dominio troverà strada facendo.

    Sempre due sono le problematiche da risolvere per “l’invasore”; la cultura e la natura.
    La prima, la cultura, è quella che regola lo scopo di una società e ne detta la direzione e i modi. Se intendo appropriarmi della richezza che tu hai prodotto, ho bisogno una società dove le differenze antropologiche siano minime e siano uniormate in modo da poter innestare senza troppi rifiuti delle dinamiche psicologiche che sfruttino l’ego della persona e rendano più acute le differenze sfilacciando il tessuto sociale, a quel punto mi sarà facile influenzarne la classe dirigente e stabilire norme che renderanno difficile la produzione e la distribuzione di ricchezza.

    La seconda è quella identitaria per antonomasia e che ci lega fortemente alla natura in quanto da essa siamo formati. Anche questa ha due grossi problemi; la famiglia è il più resistente “mezzo di trasporto” della parte riguardante la natura, in poche parole i geni, i quali sono a loro volta i portatori di quella parte di “informazione” che va a costituire il livello di consapevolezza precomprensivo che sta alla base di valori e tradizioni secolari che la volontà trasmuta in cultura della giustizia– chiudendo così il cerchio tra cultura e natura. Ma non solo riguarda questo aspetto metafisico, soprattutto si manifesta in aspetti “quotidiani” quali per esempio quello fondamentale del cibo; se io ho raggiunto un equilibrio di alta qualità e biodiversità alimentare che mi pone ai massimi livelli assoluti a tal riguardo, mangerò e produrrò le tue schifezze solo fino a quando verrò tenuto all’oscuro delle pessime conseguenze sanitarie che subentrano mangiandolo.
    E ancora, la famiglia, pone in essere un legame dalla forza immensa; se io sento di essere quasi uguale a chi mi ha procreato e a tutti quelli che ne compongono il nucleo, cioè vedo più la somiglianza che la differenza, creo un legame positivo cui nuove e discutibili abitudini non avranno potere di penetrazione.

    Da un punto di vista assoluto non esiste norma o legge o che dir si voglia che stabilisca l’assoluta giustezza di una cosa rispetto all’altra.
    Quando si tirano in ballo la relogine coi sui testi sacri, o la presunta giustezza delle leggi della natura in quanto tale non si stabilisce nulla di assoluto a cui tutti si debba per forza sottostare. Sono argomenti poco dissuasivi che hanno la loro presa su persone che ancora fanno riferimento a testi scritti più di tremila anni fa e che contengono al loro interno delle bestialità di una consapevolezza umana superata a cui è difficile dar credito assoluto.

    Io credo che il valore a cui appellarsi debba essere endogeno, debba cioè scaturire dalla nostra identità completa.
    Deve appellarsi alla cultura e anche alla natura, deve appellarsi tanto alla fisica del senso comune quanto all’empatia del senso comune e ai valori che veicoliamo anche tramite la nostra materialità in quanto inevitabilmente espressione della nostra metafisica dell’identità.

    Certe pratiche ci fanno schifo. Perché?
    E perché e perché e percome…mi sembra di essere all’asilo dei perché.
    ” ?Chi ha fatto la gallina? ”
    “L’uovo.”
    ” ?E chi ha fatto l’uovo? ”
    ” La gallina. ”
    ” ?Ma è nato prima l’uovo o la gallina? ”
    ” E’ nato prima l’uovo. ”
    ” ?E perché? ”
    ” E checcavolo, perché perché e percome. Trovati qualcosa da fare, non toccare i bambini e non spiattelare i testicoli alla gente. ”

    A un certo punto ai bambini del perché va detto; basta, non si fa!

  57. @ Pellegrino, lei migliora a mano a mano che commenta.

    Ecco, è proprio per evitare altre bestialità del tipo di J.S Mill, che altro non sono che ghettizzazione genetica, che le motivazioni per evitare certe porcherie vanno trovate all’interno di un vasto perimetro comprendente l’ontologia, l’antropologia e la propria epoca, miscelate col buon senso (quest’ultimo pare abbia una radice mista, di base è genetica, o ce l’hai o…, ma necessita anche di un ambiente adatto).

  58. GPA

    1) Il bambino non è della gestante perché i gameti(ovulo e spermatozoi ) con i quali è stato prodotto lo zigote(cellula uovo fecondata) che è stata utilizzata per fecondare la donna in laboratorio, non appartengono nè alla gestante nè ad uno dei componenti della sua famiglia. Il patrimonio genetico dell’ovulo (zigote) con il quale è stata fecondata non appartiene al patrimonio genetico(DNA) della donna o ad uno dei componenti della sua famiglia.

    2) la gestante non dona il bambino, ma dona se stessa come mezzo(incubatrice), per i mesi necessari affinché il bambino si formi e nasca.

    3) Lei non dona il proprio bambino, ma dona se stessa… e ci sono donne che sono in grado di fare quest’atto di generosità immenso. E se vogliono farlo sono libere di farlo… e non saranno altri uomini(esseri umani uomini o donne) ad impedirlo.

    4) L’utero è mio e lo gestisco io !! è non permetto ad un legislatore qualunque di impedirmi di utilizzarlo per i miei fini, soprattutto se il mio fine è una NASCITA e non la morte.

    Buffagni, e le altre, si leggano meglio lo scritto della Murgia, li c’è tutto.

  59. Ringrazio @ Pellegrino per il bel post e il link al bell’articolo di Murgia. Gia’ discutere di questi argomenti mi sembra positivo. Mi sembra importante parlare di questioni problematiche e che portano dolore, conflitto e dilemmi morali. Non farlo e’ peggio.

    Mi limito a una domanda, che spero di saper formulare. Ho intuizioni in conflitto su un punto e volevo sapere che ne pensa @ Pellegrino.

    Mi sembra che ci sia una disanalogia morale fra la GPA gli altri casi di sfruttamento economico ricordati(l’espressione ‘sfruttamento economico’ e’ vaga, ma non e’ questo il punto). La GPA mi sembra invece analoga moralmente alla postituzione.

    Provo a spiegarmi. Nel caso di un minatore, cio’ che sembra sblagliato sono le conseguenze del lavoro in miniera, ma l’attivita’ in se’ non sembra problematica. E cio’ resta vero anche se si sapesse in anticipo che svolgere quel tipo di attivita’ avrebbe molto probabilmente o sicuramente conseguenze negative per chi la svolge. In questo caso a essere moralmente sbagliato sarebbe forzare la persona a fare il minatore o nasconderle le conseguenze negative di quella attivita’. Ma fare il minatore resterebbe un’attivita’ moralmente non problematica. E questo vale per le altre attivita’ remunerate che sono state ricordate, come la badante e cosi’ via. Non c’e’ nulla di moralmente problematico nel fare la badante, anzi e’ vero il contrario.

    Un’intuizione diffusa sembra spingere invece a dire che la GPA fatta in cambio di denaro sia moralmente problematica in se’, per principo, anche al di la’ delle conseguenze per chi la pratica. Per questo aspetto, la GPA mi sembra analoga alla prostituzione.

    Anche Murgia sembra avere una intuzione simile, quando scrive che “Mi pare evidente che il problema etico della remunerazione della gravidanza surrogata sia identico per natura a quello di qualunque prestazione estrema di vita che si fa in cambio di denaro” – non e’ chiaro cosa intenda per ‘prestazione estrema di vita’, ma mi sembra ragionevole pensare che la prostituzione ne sarebbe un caso.

    Vorrei chiedere a @ Pellegrino se pensa che questa intuizione ci sia e quale ne sia la spiegazione o il valore. Le mie intuizioni non sono chiare e sono in conflitto. Per me sarebbe problematico scoprire che dietro questa intuizione ci sono concetti metafisici impegnativi, come quello di ” Se’ “, ” identita’ “, ” dignita’ umana ” e simili.

  60. @ Cucinotta

    Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è diventata l’ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità (burocrazia, efficienza, organizzazione) che non esitano a subordinare le esigenze proprie dell’uomo alle esigenze specifiche dell’apparato tecnico. Tuttavia ancora non ci rendiamo conto che il rapporto uomo-tecnica si sia capovolto, e per questo ci comportiamo ancora come l’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona e basta.

    U. Galimberti

  61. Possibile che a nessuno (dico nessuno) interessi una beneamata di ciò che può pensare il nuovo nato?
    Proprio non capisco l’urgenza (mi pare la stessa di quando si entrò nell’euro che lavorava di meno e guadagnava di più)

  62. Carissimi,
    innanzitutto porgo le scuse ai molti che mi rimproverano mancate risposte e alcuni “fallacci malevoli”. Mi pare chiaro per tutti, data la sede gratuita e spassionata in cui scriviamo, che al di là di suscettibilità, irritazioni e facezie più o meno di cattivo gusto, se uno continua a scrivere qui assume in default il rispetto e la stima intellettuale per i propri interlocutori, quel rispetto e stima che giustificano il togliere tempo alle altre attività per scrivere qui.
    Ciò detto: a Cucinotta dico subito che non ho risposto immediatamente a lui per mancanza di tempo, e ovviamente anche perché la discussione aveva preso una piega diversa – certo, si era polarizzata, ma quando hai di fronte Buffagni… –, ho pensato alle sue argomentazioni, e provo tra un po’ a dire qualcosa.
    A Chiara porgo di nuovo le mie scuse, se per qualche ragione sono stato greve. Ma si può anche dire che non ci sia nulla di male a essere fan di Buffagni, come non c’è nulla di male a non esserlo. (Come ho detto, a me Buffagni sta simpatico, ho tanti amici che la pensano e argomentano come lui, e se lo vedo e lo riconosco lo invito a cena.) E parlavo dei e delle fan, proprio per evitare qualsiasi anche velata derivazione sessista. E posso anche dire che quello che mi colpiva, e mi colpisce, è lo schierarsi, emotivo e virulento. Non che mi spaventi, sia chiaro, né che lo ritenga negativo in tutti i casi. Ma mi sembra troppo incline a portare all’idea che tutto sia già deciso, e per me invece non è deciso, e mi piacerebbe più vedere chiaro che difendere un’opinione precisa perché quella opposta mi spaventa – insomma, tutto questo parlare di orrore mi pare espressione della scarsa voglia di verificare se si hanno le argomentazioni per difendere ciò che si vuole difendere (una cosa simile alla quinta operazione, di cui mi accusa Buffagni). Senza voler dare patenti a nessuno, a volte mi pare che si indulga in questo, e la cosa mi sembra sterile. Anche Buffagni, per esempio, dice che le sue argomentazioni c’erano sin dall’inizio, e che sono sempre le stesse. Invece a me pare che le sue vere argomentazioni vengano fuori a poco a poco, e mutino – anche per stimolo di questa discussione. Bisogna vedere se migliorano, certo (sono pessimista). Ma questo più tardi. Qui rispondo innanzitutto a Chiara. In un altro intervento risponderò ai due interventi di Cucinotta. E poi ritornerò a Buffagni – se avrete ancora la pazienza… :-)
    In linea di principio, io sarei contrario all’utero in affitto – non uso GPA volutamente, qui, come sarà chiaro. Ma questo non è importante, perché appunto io sarei contrario a tutte le forme di sfruttamento – per esempio all’idea che una donna non possa fare figli quando vuole per paura di perdere il posto, o che possa venire costretta, legalmente, a stare al lavoro otto ore, quando potrebbe lavorare benissimo da casa, anche quando ha figli piccoli – o che non possa scegliere invece di stare al lavoro e lasciare il marito, magari con l’aiuto di leggi e convenzioni sociali a casa coi figli. Il mio post iniziale nasceva dall’impressione che le contrarie alla GPA non fossero poi tanto attente a questo livello, e che dietro l’argomentazione dello sfruttamento si nascondessero altre cose. Ancora una volta, a Buffagni il merito di essere chiaro. Lui sposta quasi subito il fuoco sulla mercificazione e sul valore della persona umana – rivelando che ho ragione, almeno sul punto polemico. Lo sfruttamento paventato da alcune femministe è foglia di fico per preoccupazioni diverse. Questo, ovviamente, non basta a dire che quelle preoccupazioni siano malriposte. Ma, allora, perché non dichiararle fin da subito?
    Ma a questo aggiungo due osservazioni: 1. una definizione di ‘sfruttamento’ soddisfacente non si è trovata (si veda qui: http://plato.stanford.edu/entries/exploitation/); alla fine lo sfruttamento rimanda all’idea di eguaglianza, o all’idea che ciascuno debba avere di che soddisfare I propri bisogni, o all’idea che ciascuno debba essere rispettato, e così via. 2. se si prende di mira solo lo sfruttamento come eguaglianza, rispetto, e così via, e si assumono una serie di argomentazioni economiche che reputano irrealizzabile un’economia pianificata, l’unica via è la regolamentazione – anche stringentissima – del capitalismo e dei rapporti di lavoro e di produzione. Per capirsi, e in un altro ambito, cose come I sindacati, I redditi minimi garantiti, e così via. (Tutte cose che fanno orrore a Buffagni, ricordiamoloi, se applicate alla GPA.) In conclusione, non la penso diversamente da Murgia. Il mio problema con le argomentazioni come quelle di Buffagni – all’ingrosso, poi ci ritorno nel dettaglio – è che, isolando il problema come mostruoso e intrattabile, mancano di usare le uniche armi possibili per contenerlo. E, sia detto ovviamente e per inciso, che il problema per me è lo sfruttamento del corpo della donna, non il suo uso libero in condizioni di non sfruttamento, né tantomeno una qualche corruzione dell’ineffabilità della gestazione. Ma, come detto, su questo torno dopo.
    Quindi, per riassumere la mia risposta a Chiara: sono contrario all’utero in affitto, e questa contrarietà mi spinge a volere una legge che lo regoli con draconiana severità, non una legge che lo proibisca con sforacchiata e inutile inflessibilità, all’interno di un solo paese, e forse neanche all’interno di quello. É piatto riformismo il mio, capisco. Poco eroico e attraente. Ma molte volte ha funzionato.

  63. Mi accorgo adesso del secondo commento di Ceccato — che non capisco se sia un complimento, o una gustosa ironia. Come che sia, lo ringrazio

  64. Caro Pellegrino,
    grazie delle attestazioni di simpatia e dell’invito a cena.

    Forse non sono stato abbastanza chiaro. Ci provo ora. Le va bene la tortura? No. Neanche a me. Però la tortura di fatto si pratica in tutto il mondo, anche se in tutto il mondo (o quasi, il mondo è grande e non lo conosco tutto) è illegale.
    E’ meglio regolamentarla in modo “stringentissimo” o vietarla tout court, pur sapendo che all’occorrenza, una scappatoia si trova sempre?
    Negli USA, con il Patriot Act hanno scelto questa seconda strada: la praticano, regolandola in modo “stringentissimo” (poi, quando hanno bisogno di andarci giù pesante usano le extraordinary renditions, cioè la delocalizzano alla chetichella).
    Fanno così anche per l’utero in affitto.
    Facciamo così anche noi?

  65. Caro Buffagni,
    sempre rimandando a dopo risposte più articolate. Se lei mi dice che la tortura è come i rapporti di lavoro subordinato in condizioni di mercato — con gli abusi di potere, il lieve sfruttamento, e l’iniquità che vi si accompagnano –, io le rispondo che non mi pare. L’analogia è fra lo sfruttamento dei corpi nei rapporti di lavoro e quello nell’utero in affitto. Lei rifiuta quest’analogia, e va bene. Ne parliamo dopo. Ma l’analogia non è con la tortura. Non lo è, perché se io proibisco la tortura, il tasso di persone che la praticano, e l’indotto illegale di torturatori, non è numericamente paragonabile, neanche lontanamente, al tasso di persone che acquistano droghe illegali, o trattano iniquamente i lavoratori. Questi fatti numerici, proprio perché io non sono un idealista, ma un realista riformista — così per dare un po’ di etichette –, non li posso trascurare.
    Sulla tortura, ancora. A me non va bene, generalizzata. Ma si ricordi che per me la vita umana non è di valore infinito. La si può sacrificare in nome di altre vite umane — certo bisogna vedere quante, e come. E quindi non sono un assolutista sulla tortura. Certo, lo sono sulla tortura generalizzata e pubblica — in rari casi, e in segreto… Si chiama utilitarismo di palazzo, è una cosa da britannici imperialisti. Si attira le critiche di Cucinotta, in termini di elitismo e vicedio, (e di molti altri — B. Williams, e così via) e vi risponderò dopo. Ma non è incoerente.

  66. Immagino di essere la figlia di una coppia omosessuale maschile (il caso più estremo di distanza, genetica e gestazionale, dall’allevamento che sarà successivamente in capo ai due genitori). Giunta a una certa età, in cui la curiosità circa le mie proprie origini assumerà una veste razionale, dovrò riflettere sulle implicazioni di essere stata ordinata e pagata. Salvo restando il mio affetto nei confronti dei due genitori (lo assumo per ipotesi) che mi hanno amorosamente voluta e allevata, può nascermi nei confronti di questo fatto un duplice stato emotivo: di rifiuto “politico” dello sfruttamento della donna che mi ha partorito e dei due portatori di materiale genetico che ha dato luogo al concepimento. Oppure posso compensare la assenza di radici accettando la situazione elitistica che mi ha fatto nascere: posso diventare cioè una feroce rivoluzionaria o una convinta sostenitrice della superiorità della mia cultura nei confronti della sottoumanità che si vende per dare figli a chi comanda.
    Brutti esiti ambedue. Mi chiedo seriamente come possa cavarsela un figlio di gravidanza in affitto quando arriva a porsi il problema.
    Certo, questa è la situazione più dura, se c’è in parte la continuità genetica con un genitore, come in una coppia lesbica per esempio, oppure se si mantiene un rapporto affettivo con la madre biologica, è meno aspra. Ma nel caso delle donne del terzo mondo usate come bottiglie da laboratorio, le implicazioni psicologiche classiste mi sembra debbano per forza derivare.
    A meno che non insorga una indifferenza radicale nel figlio/figlia rispetto all’origine… un passo avanti verso la cyberumanità.

  67. Ares, Galimberti è un funambolo della parola, ma alla fin fine dice spesso delle emerite sciocchezze.
    Nel passo che lei cita, pone il capovolgimento del rapporto uomo-tecnica come un destino, ma ancora non siamo arrivati a questo punto, una mente critica può ben resistere all’ultima innovazione tecnologica. Se così non fosse, non so che senso avrebbe discutere, tranne confermarsi reciprocamente sul fatto di esistere.
    In siciliano, diciamo “pigghia bonu ppi tia”, che potremmo tradurre “parla per te stesso”, ognuno di noi è una persona che come tale può non seguire la corrente. Che poi ciò avvenga sempre più raramente, non mi sembra cambi i termini della questione.

  68. Una breve notazione, l’espressione di chris che parla dell’invidia dell’utero, parafrasando Freud, mi piace tanto, secondo me esprime in modo sintetico ed efficace la questione.

  69. @ Pellegrino

    “”” Ben venga la proposta di J.S. Mill, di negare il diritto a sposarsi e a procreare a coppie eterosessuali — ai suoi tempi pensava solo a quelle — che non possono assicurare ai nati una vita abbastanza buona.”””

    Ma i canoni chi li stabilisce? E in base a quale criterio? La salute del pianeta?!
    E Lei, o chiunque altro, sarebbe in grado di diagnosticare lo stato di salute del pianeta e stabilirne la cura?

    E ancora; Lei crede davvero che in questo modo si eliminerebbero povertà e schiavitù?

    E ancora; Questa norma entrerebbe in vigore nottetempo tra sabato e domenica? Perché credo che se lo venissi a sapere per tempo e sfortunatamente mi trovassi in condizioni di difficoltà andrei dal primo che avesse manifestato approvazione ad una simile brutalità e sicuramente lo giudicherei indegno della propria ricchezza e sistemerei subito l’inghippo.

    E non voglio neanche entrare nel merito morale ed etico di una superbia simile.

    Non si è mai chiesto del perché i sistemi sociali che producono e distribuiscono un certo grado di ricchezza abbiano problemi demografici (che risolverebbero la salute del pianeta stando a quanto dice Lei), e che questo provoca ben altri problemi economici pratici?

    La facciamo facile…

  70. @ Ares

    E’ proprio quello che dico nel mio commento “pesante”.

    Per capire: nell’esperimento della “falsa credenza”, il bambino vede lo sperimentatore spostare un oggetto da un contenitore ad un’altro mentre una terza persona non vede. Il bambino dovrà poi dire dove la terza persona cercherà l’oggetto.
    Per dare la risposta corretta, si deve immaginare che la terza persona creda a una cosa non vera e soprattutto bisogna mettersi nei suoi panni. In genere i bambini superano questo test verso i quattro anni. I bambini autistici o lo superano quando sono oramai adulti o non lo superano mai ( a seconda della forma di autismo.

    Nel test della falsa foto un bambino scatta una polaroid a degli oggetti, mentre la foto si sta sviluppando lo sperimentatore sposta uno degli oggetti, il bambino dovrà dire la disposizione degli oggetti nella foto.
    I bambini autistici non hanno alcuna difficoltà a superare questo test.

    Questo perché nel primo serve avere il senso dell’empatia e immaginarsi nell’altro.
    Nel secondo basta avere il senso tecnico e l’empatia può andare a farsi….

    Oggi la tecnica domina le menti di coloro che dirigono e stabiliscono le norme che regolano la società.

    p.s. L’autismo è la forma senza freni inibitori dell’egoismo umano.

  71. È vero i problemi sono enormi . L’etica sta cambiando. Tutto è possibile ma tutto ha bisogno di lunga riflessione. Sono del parere che la natura ha le sue leggi che dobbiamo sempre tenere presente, che il rispetto per l’essere umano uomo o donna, deve comprendere la non mercificazione ,altrimenti tutto entrerà in un giro che esclude la possibilità di sentirsi degni della vita. Qualcuno mi dirà la libertà di poter scegliere è fondamentale….ok, ma le conseguenze le dovrebbe pagare solo chi ha fatto la propria scelta. Qui si tratta di nuove vite …questi figli un giorno chiederanno il perché della loro esistenza …forse ,potrebbero avere una risposta talmente egoistica da non riuscire a risolvere nessun tipo di problema o inquietudine che potrebbe crearsi in un soggetto che si trova in questa difficile situazione. Ma per tutto se si vuole, c’è una risposta…magari banale, politica, economica e via dicendo appunto…dicendo.

  72. Santa pazienza @Pellegrino!

    Riassiumiamo?

    Lei scrive un post dal titolo “L’utero (in affitto) è solo delle donne?” e comincia citando un articolo nel quale si osserva che nel dibattito pubblico le questioni riferite alle donne (o gli aspetti delle questioni specificamente riferiti alle donne, come quello di cui parliamo) arretrano nel caso che il loro interesse (parola ampia, nella quale rientra per esempio quello di non essere smanacciate a Colonia) entri in conflitto con interessi di altri soggetti ritenuti, a vario titolo, deboli (extracomunitari, omosessuali) e soprattutto più meritevoli di un atteggiamento pubblico non-ostile (per evitare le accuse di xenofobia o omofobia).

    Da questo -e da altre fonti che non cita- lei deduce che esista una tesi implicita che sostiene che la gravidanza per altri danneggi “esclusivamente” (il corsivo è suo) gli interessi delle donne, tesi che contesta sostenendo che esistono forme di sfruttamento che danneggiano anche altri: così smentendo una tesi che nessuno ha formulato dal momento che limitare l’oggetto del discorso a una specifica forma di sfruttamento non implica affatto la negazione di forme diverse di sfruttamento e gli esclusivamente non è che si possano spostare a piacimento.
    Essendo l’argomento evidentemente debole sul piano semplicemente logico, lei opera uno spostamento di piano e affibbia allo stesso soggetto (le donne, guarda un po’) l’obbligo morale di interessarsi un pochino dei casi degli altri invece che sempre dei propri -le solite scostumate!- , ci piazza un povero bambino nigeriano che torna sempre buono per toccare gli aridi cuoricini dei lettori e di fatto ci invita a porre la questione che ci riguarda direttamente (almeno fino a quando abbiamo un utero) in secondo piano, così confermando in pieno proprio la tesi dell’articolo citato.
    Liquidato così alla svelta il presunto argomento centrale (lo ricordo: L’utero (in affitto) è solo delle donne?), cambia l’oggetto del discorso e scrive. “Si potrebbe dire, però, che in realtà il motivo per cui la gravidanza per altri non è ammissibile sta nella relazione che si crea fra la madre e il nascituro durante la gestazione. Questa relazione viene interrotta dopo la nascita, e ciò lede l’interesse della madre – e, immagino, anche del bambino. E questa relazione è appannaggio esclusivo delle madri.”
    Lei dunque non parla più dell’esclusività della titolarità del discorso da parte delle donne, né della lesione esclusiva dei loro interessi ma, come se nulla fosse, introduce l’argomento assai più generale della ammissibilità tout court; argomento sul quale alle donne -sempre loro!- ha la bontà di suggerire un prudente silenzio, tante volte qualche a malintenzionato venisse in mente di dire “ah sì? e allora se non volete la surrogacy, vi togliamo pure l’aborto!”, che si sa che quella per la 194 è stata una battaglia per la libertà, proprio, e non il penoso tentativo di limitare i danni (e la speculazione) conseguenti a gravidanze indesiderate.
    Ciliegina sulla torta, ci ricorda che eventualmente nessuno vieterebbe alle madri biologiche di vedere i figlioletti, che tanto fare avantendrè dall’India è un attimo.

    Nel giro di pochi commenti ci fa sapere che non voleva farne una questione di coerenza (che è proprio quello che ha fatto), tira in mezzo l’onesto lavoro delle badanti (sic!), addirittura la sofferenza delle povere “mogli trascurate dai mariti assenti” (non potevo credere ai miei occhi, glielo giuro) e finalmente ci fa sapere che il suo vero obiettivo era “segnalare che dietro l’argomentazione dello sfruttamento si cela una obiezione diversa — una obiezione talvolta cripto-religiosa, talvolta fondata su una qualche concezione di ‘natura’, talvolta omofoba — e invitare ad avere il coraggio di esporre, e discutere, le vere argomentazioni che si hanno in mente” .

    E in effetti, noi donnacce diffidenti qualche sospetto sulla natura totalmente strumentale del suo articolo l’avevamo avuto e la brava Ottonelli l’ha addirittura anticipato..

    E così, mollata definitivamente ogni cautela, è venuto al punto.
    Oddìo, il punto.
    I punti, diciamo.
    Il povero benzinaio che lavora la notte (l’infermiera che lavora di notte non le è venuta in mente, chissà come mai), i rischi per le relazioni commerciali e diplomatiche (addirittura, siamo diventate il nuovo petrolio!) con i Paesi che consentono la surrogacy se ci azzardassimo a scendere in piazza a protestare, eccetera..un affastellarsi di argomenti scomposti che conduce dopo un po’ al disvelamento di un nuovo vero obiettivo (un altro!) che sarebbe stavolta “chiedere se la GPA è realmente un fenomeno nuovo e negativo”.
    Domanda curiosa per una persona che evidentemente ha già delle convinzioni forti sull’argomento dal momento che pochi post dopo scrive (ultimo colpo di scena!) “sono contrario all’utero in affitto, e questa contrarietà mi spinge a volere una legge che lo regoli con draconiana severità..”

    Ora, caro Pellegrino, ammetterà che seguirla nelle sue evoluzioni è piuttosto faticoso, né aiuta il riferimento a Michela Murgia, uno strano soggetto che da quindici anni si agita scompostamente all’unico scopo di ritagliarsi un posto al sole, e che si spera si plachi con l’ingresso trionfale nel club de La Repubblica, che è il posto perfetto per la sua profondità intellettuale.
    In ogni caso non voglio credere che lei sia pagato dalla SPECTRE della surrogacy per intorbidare le acque e vedere l’effetto che fa, e preferisco pensare che a muoverla sia una reale e, perché no, affettuosa preoccupazione per le donne e per il loro utero; la invito però a tranquillizzarsi e ad avere fiducia nella loro azione, di cui forse ha sentito parlare in occasione dell’incontro di Parigi di due giorni fa.
    Di più, io la invito a sostenerle, magari anche solo sottoscrivendo questa mozione

    http://www.stopsurrogacynow.com/#sthash.5rGDAoU8.dpbs

    Cordialità

  73. @ chris.

    Lo scenario che immagina e’ complesso – le variabili sono molte – , ma secondo me porta lontano dal problema morale di cui si discute qui e che riguarda anzitutto la donna che accetta di fare una GPA.

    Per tornare allo scenario che lei immagina e al problema della GPA, non vedo come essere figlie o figli nati da una GPA possa costituire di per se’ aver subito un danno e quindi che per questo la GPA e i genitori siano da condannare moralmente.

    Delle due l’una. O lei pensa che la GPA sia moralmente sbagliata di per se’ – ma allora l’argomento del(la) figlio/a non aggiunge nulla.

    O lei pensa che il problema sia la disuguaglianza economica che porta le donne di paesi poveri a fare la GPA come servizio a pagamento. Ma allora i figli della GPA e la GPA non avrebbero nulla di speciale, perche’ le figlie e figli della disuguaglianza sono moltissime/i. Per essere figlie/i della disuguaglianza, basta essere nate/i in una famiglia relativamente benestante in un paese relativamente ricco e stabile.

    E non c’e’ nessun test morale per i genitori – e se ci fosse, molti genitori non lo passerebbero. Mi chiedo se la GPA ci turbi anche perche’ mostra che diventare genitori non significa avere dimostrato di avere un privilegio morale o di fare il bene. Dare la vita e’ un atto moralmente neutro. E non si nasce dal bene morale: si nasce e basta.

    La ringrazio per il commento che meriterebbe di essere discusso piu’ a lungo.

  74. @FF vs PPP
    5 febbraio 2016 a 01:31

    Ti ringrazio del documento.

    Mi fa piacere che la ragazza si sia trovata bene.
    Ma è solo uno dei corni della questione, ovviamente.

    Trovo curioso che l’intervistatore indichi con il termine “surrogata” la madre biologica e con il termine “mamma” la donna che ha pagato per avere una bimba.

  75. Cari tutti,
    in questo intervento provo a rispondere ad alcune delle obiezioni che mi pone Vincenzo Cucinotta, che ringrazio per le sue ripetute sollecitazioni. Innanzitutto, una questione generale e di fondo, su cui non mi sono espresso bene, evidentemente, a giudicare da quanti la pongono. Il mio ragionamento sull’analogia fra gpa e sfruttamento è questo. Assumiamo che la Gpa sia sfruttamento, e che per questo sia negativa (si noti: assumo già che ogni sfruttamento sia negativo). Possiamo dire due cose: o si tratta di una nuovissima forma di sfruttamento, e quindi dobbiamo reagire in modo nuovo — per esempio proibendola del tutto, laddove non proibiamo le altre forme, oppure non proibendola affatto, laddove proibiamo le altre forme; oppure è una forma di sfruttamento più grave o odiosa, ma comunque comparabile alle altre. Io penso che sia vera la seconda ipotesi: si tratta di una forma di sfruttamento forse anche più grave, ma non differente in genere, in kind, dalle altre. La differenza è tutt’al più di grado. (Si noti, per i pochi lettori ancora interessati, che proprio su questo Buffagni e io divergiamo. Nelle sue ultime repliche, Buffagni difende l’idea che la Gpa sia un male sui generis, per così dire, cioè differente in genere, in kind, rispetto ad altre forme.)
    Se mi si concede questo, cioè che la Gpa è sfruttamento come le altre, allora il mio ragionamento procede così: qual è l’atteggiamento che abbiamo nei confronti dello sfruttamento? Ce ne possono essere tanti — i marxisti vogliono superare il capitalismo, e tutte le forme di sfruttamento, i libertari negano che esista sfruttamento quando ci sia libertà anche solo formale, i socialdemocratici vogliono regolare, a vari gradi, lo sfruttamento capitalistico, e così via. A questo punto, è chiaro che io sono un socialdemocratico molto moderato. Ma non è questo l’importante. Il mio punto, contro le femministe e altri, era che gli atteggiamenti che si hanno contro lo sfruttamento dovrebbero essere, se la Gpa è sfruttamento come gli altri, gli stessi. Se invece si ritiene che la Gpa sia qualcosa di diverso, lo si dovrebbe dire chiaramente, come fa — in parte — Buffagni. Si dovrebbe avere il coraggio delle proprie premesse spiritualiste, ad esempio.
    Secondo punto, sollevato anche da Alessio Baldini, che ringrazio: Gpa e prostituzione. Se si assume che la prostituzione perverta in qualche senso rapporti affettivi o sia in un qualche senso immorale, e si assimila la Gpa alla prostituzione, allora si ha che la Gpa non è sfruttamento in senso proprio, ma è differente in genere, come ho detto prima. E si ha anche che la Gpa e la prostituzione, anche non ci fosse sfruttamento, sarebbero immorali, e da proibire. (C’è poi da vedere se tutto ciò che è immorale sia da proibire con leggi. Ma questa è un’altra questione.)
    Ma queste premesse sono problematiche. Cioè, io sono una brava persona :-), e posso accettare — in realtà non ne sono sicuro — che il sesso sia solo da accoppiare con l’amore, e la prostituzione sia intrinsecamente immorale — chiunque la pratichi, e per qualsiasi ragione, e quali che siano i rapporti di forza fra le parti. Ma, francamente, questa mi sembra una premessa così peculiare che è inutile farne il punto di partenza di un’argomentazione che dovrebbe sostenere scelte politiche o legislative. Quindi, il mio punto di partenza è: la prostituzione, senza sfruttamento, in completa libertà, è moralmente indifferente. E così è la Gpa. Poi, si può pure dire che di fatto, nel nostro mondo attuale, non si dà prostituzione e Gpa senza sfruttamento. Può darsi. Ma allora si ritorna al discorso precedente: ci vuole una teoria su come gestire, o rifiutare, tutte le forme di sfruttamento.
    Terzo punto: vicedio e criteri per decidere del benessere dei bambini. Prima risposta: i criteri sono personali, e non ci sono criteri oggettivi? Oppure, chi sono io per stabilirli? Io non sono nessuno (non sono un vicedio, ovviamente, né un esponente di una nuova razza di super intellettuali, anzi, tutt’altro. E sono peraltro molto più vicino a Cucinotta di quanto egli pensa: per esempio, posso capire tutti i modi di dire siciliani che lui ci possa raccontare, e come un native speaker), ma tutto questo non vuol dire che non ci siano criteri oggettivi. Potremmo non averli ancora trovati, potremmo non capirli, ma — tranne che uno non si assuma i prezzi teorici dello scetticismo completo in epistemologia — non può escludere che ci siano criteri oggettivi per dire che un bambino anencefalico avrà una vita migliore o peggiore. D’altra parte, molti qui — e Cucinotta stesso — assumono implicitamente criteri oggettivi. Per esempio, la concezione della prostituzione come immorale, o come perversione di rapporti affettivi. Uno potrebbe dire: e chi l’ha detto? Ma io invece dico che potrebbe darsi, ma molti non sono d’accordo. Quei molti possono sbagliarsi, ma dobbiamo fare una legge…
    E’ per questo che, come osserva Ceccato, può darsi che il suggerimento di Mill sia assurdo — non credo eugenetico — ma irrealizzabile. Io, dal canto mio, credo che ci sia una lista oggettiva di cose che rendono la vita degna di essere vissuta (scrivere qui fa parte della lista!), e che un genitore che crei un essere che non possa avere una soglia minima di queste cose danneggia il nato (con me stanno alcuni filosofi contemporanei: una fra tutte, M. Nussbaum). Ma, siccome quest’idea è tutt’altro che condivisa e incontroversa, non si può mettere in galera chi fa un bambino senza avere un lavoro pagato. Epperò, e qui stava la mia provocazione, se diamo la libertà a qualsiasi addicted, disoccupato, senza casa, di avere un figlio e riconoscerlo, perché dovremmo negare questa libertà quando ci siano tre persone — una madre surrogata e una coppia — che fanno la stessa cosa? Possiamo farlo solo se si configura sfruttamento, ma qui vedi i discorsi di cui sopra, o se c’è una differenza specifica, in kind, che rende il concepimento tradizionale di valore, un valore che vada al di là dell’interesse del bambino e dei genitori. Che è, come dirò successivamente, un presupposto implicito della posizione di Buffagni, per come la capisco io nei suoi ultimi interventi. Ma come ho detto, questo dopo.

  76. @ alessio baldini
    Lei scrive:
    “Dare la vita e’ un atto moralmente neutro. E non si nasce dal bene morale: si nasce e basta.”
    Non c’è atto meno neutro che dare la vita. Ciò non significa che diventare genitori significhi “avere dimostrato di avere un privilegio morale o di fare il bene”, significa che io mi assumo una responsabilità enorme (individuale e collettiva) nell’ambito vertiginoso della mia libertà. Sono stupefatto dalla disinvoltura con cui si è giunti a parlare del concepimento d’un figlio: sembra che si parli dell’acquisto d’una lavastoviglie. Ma un figlio NON è una lavastoviglie, è un nuovo problema di senso che si apre nel mondo.
    La seconda frase poi, che dovrebbe agganciarsi alla prima, mi pare nebulosa. Che cos’è il “bene morale”? Che significa che “si nasce e basta”? Io ho due figli, e di nessuno dei due potrei mai dire che è nato e basta, a nessuno dei due potrei appiccicare etichette tanto vaghe come “bene morale”; sono esseri umani, santiddio. Ma come? Prima condanniamo – giustamente – tante fumisterie cattoliche e poi diventiamo ancora più astratti e più vaghi? Qui si parla di carne e sangue. Si parla della nostra specie per i prossimi venti, cinquanta o cento anni. Delle modalità della sua sussistenza sul pianeta Terra. Assumere un tono leggero e liberal (mi riferisco a Pellegrino, ma non solo) è una forma di difesa o rimozione, non certo di apertura mentale. Per questo plaudo alla serietà di Buffagni, pur non essendo un credente – sono un cristiano, ma quello lo siamo tutti qui, che lo vogliamo o no.
    Come sottolineavo a Pellegrino fin dal mio primo intervento, secondo me dobbiamo stare molto molto attenti all’uso del linguaggio perché è il linguaggio che produce la cultura, e noi non solo viviamo dentro una cultura, viviamo proprio DI cultura. La cultura, cioè una precisa visione del mondo, è importante tanto quanto il cibo; se la avveleniamo, ci avveleniamo. Le acrobazie della Murgia, ben smascherate da Buffagni, sono un buon esempio di come si possano dire certe cose facendole sembrare – anzitutto a sé stessi – delle altre. E quando si parla di faccende così complesse e così nuove – perché sono nuove, checché ne pensi Pellegrino – l’attenzione alle parole dovrebbe centuplicarsi. Ogni frase scagliata alla cieca è un colpo inferto alla urgente necessità di discernere.

  77. Caro Pellegrino,
    non ci siamo capiti. Ci riprovo.

    Lei e la Murgia avanzate una proposta di utero in affitto equo e solidale, perché “sono contrario all’utero in affitto, e questa contrarietà mi spinge a volere una legge che lo regoli con draconiana severità, non una legge che lo proibisca con sforacchiata e inutile inflessibilità, all’interno di un solo paese, e forse neanche all’interno di quello”.

    Ammessa la vostra buona fede, possibile che non vi rendiate conto dell’ingenuità imperdonabile della vostra proposta? Che non capiate qual è l’unico effetto reale che può avere nel mondo reale?

    Prendiamo in esame il cuore etico della proposta della Vispa Teresa Murgia, che secondo lei trasforma la mercificazione in dono: se cambia idea, la gestante ha sempre il diritto di tenersi il bambino.

    Nel mondo reale, che conseguenze reali avrebbe l’adozione di questa proposta?
    Che i committenti firmano un contratto con la gestante, spendono decine di migliaia di euro per pagare “il tempo, il rischio, le assistenze”, e al momento di consegnare il bambino la gestante può: a) ricattarli: “se non mi dai xmila euro in nero, mi tengo il bambino” b) fargli marameo e tenersi il bambino come aveva intenzione di fare sin dal primo momento, allo scopo di avere un figlio, godersi una gravidanza con welfare principesco, e mettere da parte qualcosa per mantenerlo (a chi scegliesse la soluzione b, tutto il mio plauso e la mia ammirata solidarietà, faccio la ola e le mando un bacio. Era meglio se il figlio lo faceva con un uomo amato, ma all’inferno non si può andare tanto per il sottile ).

    La Murgia, che è trafelata perché far quadrare la sua quinta operazione è difficile, ma non è stupida, ha sentore che qui c’è un problemino: “Naturalmente questo apre a potenziali tentativi di ricatto da parte della gestante per alzare il prezzo della rinuncia, ma credo sia un rischio assolutamente sostenibile a fronte di quello che si assume chi porta avanti la gravidanza.” Vallo a dire a chi paga salato e il figlio lo vuole, e sentiamo che cosa ti risponde.

    Lei lo firmerebbe un contratto così, Pellegrino? Lo possono firmare solo due categorie di persone: 1) ricchi con il cuoricino sensibile, il senso di colpa vigile e una forte inclinazione masochista 2) persone (criminali) che possono e vogliono ricorrere a mezzi extralegali per garantirsi la consegna della merce: “Se non mi consegni il bambino ti faccio strappare le unghie”.

    L’utero in affitto è un business capitalistico, e non può che funzionare come tutti i business capitalistici. C’è un mercato A (legale, alta gamma) , un mercato B (legale, bassa gamma), più un mercato C (illegale).

    Mercato A: esempio, Canada. Le condizioni di lavoro delle gestanti sono migliori, il prodotto (i bambini) è di migliore qualità (migliore assistenza medica, etc.). Nella customer care è prevista anche la manutenzione della coscienza del cliente: la compravendita è elegantemente confezionata come “donazione”. Certo, costa di più.

    Mercato B: esempio, India. Le condizioni di lavoro delle gestanti sono peggiori, il prodotto (i bambini) è di peggiore qualità (peggiore assistenza medica, etc.). Nella customer care NON è prevista la manutenzione della coscienza del cliente, gli eventuali sensi di colpa se li gestisce lui. Costa di meno del mercato A.

    Mercato C: tout va.

    Nel mondo reale, la vostra proposta di utero in affitto equo e solidale sortisce un unico effetto. Uno solo, ma di valore inestimabile per il business: lo sdogana, lo insinua delicatamente nel panorama mentale dei clienti, lo fa diventare NORMALE.

    Alle inevitabili obiezioni e proteste degli arretrati, il business non può (ancora) rispondere ufficialmente pari pari: “Il capitalismo è il sistema sociale nel quale tutto, ripeto TUTTO può essere venduto e comprato, senza eccezione alcuna; quindi fatemi il favore di stare zitti e tornate nel vostro medioevo”.

    In attesa del momento, non lontano, in cui potrà gridare la verità dai tetti, il business che cosa dirà invece? “Una legge che regola la GPA anche in Italia è necessaria e urgente. Perché ‘Le leggi che consentono sono le sole che possono mettere dei limiti all’azione che stanno legittimando, per il fatto stesso di riconoscerla. L’assenza di leggi permette invece qualunque eccesso, perché nessuno degli abusi perpetrati sulla parte debole è definibile come tale: semplicemente, senza legge, non esiste.’ “ (tra ‘ ‘ è la Murgia che parla).

    Se lo spin sarà efficace (lo sarà, già ci investono ingenti risorse), e i sondaggi confermeranno che legalizzare l’utero in affitto non provocherà spostamenti di voto rilevanti, i legislatori, incentivati dalle contribuzioni legali e illegali degli investitori del settore (dove c’è da fare lauti profitti), vareranno la legge. I media la condiranno di supercazzole sofistiche, amore e libertà, interviste a coppie di acquirenti rassicuranti e responsabili + bambini comprati rassicuranti e felici + gestanti rassicuranti e oblative, pareri favorevoli di scienziati & intellettuali rassicuranti e pensosi, vidimazioni teologiche rassicuranti e progressiste di cristiani 2.0 come la Murgia che tira in ballo la Bibbia, Abramo, Sara e Agar; e così via, in un istruttivo, redditizio festival della menzogna e della disinformazione.

    Così il mercato italiano si aprirà finalmente al business utero in affitto, il quale si configurerà come sopra descritto perché non può configurarsi altrimenti. Le vostre proposte di utero in affitto equo e solidale contribuiranno a posizionare l’Italia nel mercato A (migliore assistenza medica, migliori condizioni di lavoro per le gestanti, manutenzione della coscienza dei clienti compresa nel prezzo, più elevato). Agli investitori andrà benissimo, perché investiranno (come già investono) sia nel mercato A sia nel mercato B (alcuni, alla chetichella, anche nel mercato C illegale). I margini di profitto sono ottimi in tutti e tre i mercati.

    Insomma: tutto è bene quel che finisce bene.

    Peccato che lei, la Murgia e gli altri ingenui sostenitori dell’utero in affitto equo e solidale avrete fornito una prestazione professionale di valore inestimabile a imprese che ci faranno un pozzo di soldi, senza presentargli neanche una fattura. Gli unici che avranno davvero “donato se stessi” in questo business sarete voi. Spero che almeno ci rimedierete un po’ di notorietà, qualche ospitata nei talk show, un blog sui giornali, un avanzamento di carriera accademica, un posto in parlamento.

  78. @ G Pellegrino

    Postilla.

    Certo che per me la maternità surrogata è qualitativamente diversa, “in kind”, dalle altre forme di sfruttamento. Lo dico dal primissimo momento. Secondo lei, quando uno scrive parole quali “satanico, infamia, malvagità, degradazione” sta usando il bilancino del farmacista? Fa un report sui costi/benefici della maternità surrogata?

    E’ qualitativamente diversa come è qualitativamente diversa la schiavitù dal lavoro salariato (uso l’analogia con la schiavitù perchè non ne trovo altre, vista la reale novità dell’abietta, schifosa, demoniaca pratica da lei riformisticamente, socialdemocraticamente proposta).

    Poi certo che uno schiavo domestico di padrone illuminato e comprensivo ha condizioni di lavoro migliori del bambino che estrae il coltan per i nostri telefonini in fondo a una miniera. Messi nell’alternativa di scegliere tra le due mansioni, comprensibile la scelta di fare il gramaticus in casa di Scipione. E allora? Che cavolo di conclusione ne dovremmo trarre? Schiavitù, torna, tutto è perdonato?

    Ma devo essere davvero ingenuo anche io, perchè ancora stento a persuadermi che stiamo davvero tenendo questo cortese dibattito, tra persone civili e istruite che si attestano simpatia e si invitano a cena, sul tema: “compravendita di bambini & mercificazione assoluta maternità & infanzia: uno studio di fattibilità”.

    Cristo! Stiamo discutendo di come vendere le donne! le donne incinte, per la Madonna! Come vendere i bambini! Prima ancora che nascano, in nome di Dio e di tutti i Suoi surrogati! Cosa avete nelle vene, il Lexotan? Quando vi raccontavano la fiaba di Hansel e Gretel, da bambini, facevate il tifo per la strega?

    Una volta – non mille anni fa, l’ho visto di persona – quando a un soldato (uomo, tocca specificare) gli dicevi, “c’è da difendere le donne e i bambini”, si batteva fino alla morte senza fare una piega, anche contro forze soverchianti: che caspita è successo?

    Voi, a quanto pare, il male lo riconoscete solo quando vi si presenta davanti con il bracciale recante la svastica. Be’, provi lei, Pellegrino, provi la Murgia, a immaginare come reagirebbe emotivamente a un civile dibattito sul tema: “soluzione del problema degli inabili: uno studio di fattibilità”. Con le posizioni di destra (li facciamo fuori tutti nel modo più cost effective) e le posizioni riformistiche di sinistra (facciamo fuori solo i più gravi e incurabili nel modo più umano). Faccio notare che questi civili dibattiti ci sono stati sul serio, nella Germania nazi, e che insigni cattedratici cristiani hanno giustificato per iscritto l’uccisione degli inabili. Nel modo più umano, naturalmente: non si sono spinti fino a dire “con amore”, però. Che progresso da quei tempi bui a oggi!

    Ah già: per voi la persona umana non ha valore infinito, quindi probabilmente l’intervento pensoso e riformista nel dibattito sul tema inabili, eutanasia, etc., ce l’avete già nel cassetto. Sterminio per iniziativa privata e libera scelta del morituro o dei suoi legali rappresentanti, naturalmente, non per dispotico dirigismo di Stato che è antiquato, corrotto, illiberale e in contrasto con la legislazione UE (aiuto di Stato).

    Evidentemente, il mondo non “sta per finire” come diceva Baudelaire nel 1851. E’ GIA’ finito, e finito molto male. E non with a whimper, come profetizzava l’ottimista Eliot. E’ finito con un bonifico inferno su inferno. Vi piace, l’inferno? Adesso ci sono le gite organizzate. Buon viaggio.

  79. @Buffagni

    Invece di continuare a dire che pensiamo male…

    faccia proposte concrete e ci prospetti soluzione al problema che c’è: i bambini ci sono, le famigli arcobaleno ci sono, e sono in AUMENTO.

    Che facciamo ? prima di rispondere contatti un’associazione delle famiglie arcobaleno, e ci parli, ascolti le loro storie, il loro vissuto e osservi il loro presente: le loro difficoltà ma anche le loro gioie, e ascolti i loro bambini e adolescenti.

    Poi ci faccia proposte “civili” e “moralmente accettabili” , perché da uno che la pensa come lei, con la pregiudiziale cattolica stretta alle giugulari ( che come si sa portano sangue e ossigeno al cervello) non possono che venir fuori proposte che generan dei rifugiati politici.

  80. @Cucinotta

    Lei dice: “una mente critica può ben resistere all’ultima innovazione tecnologica”.

    Certo…. ma una mente critica può decidere anche di avvalersene.

    Non sarà certo lei a voler decidere per entrambi, almeno che la mia scelta non la danneggi… ma il danno va provato e non dipende dal suo sentire soggettivo.

    Ta tecnica c’è, è non è mai stata così presente, ed è al di sopra di tutti noi, e vi si accede al bisogno.

  81. Le destre conservatrici più o meno fondamentaliste hanno sempre buon gioco dialettico quando richiamano ad ordine e (malintesa) natura, specie se i progressisti procedono in ordine sparso fra relativismi, paracoolismi e paragurismi. L’unico modo per tacitare le destre in ambito legislativo e’ il fatto compiuto, cosicché possano farne cattivo uso anche loro, in futuro. Quando si ritroveranno in famiglia o in comunità un/una deviante, un/una impura, un/una sangue del proprio sangue che le obbliga ad un confronto personale con la prassi positiva delle faccende, in genere maturano convincimenti meno paternalistici e più sentimentali, buona ultimissima italiota la camerata neo-futura-mamma-non-sposata Meloni in versione angioletto. Fra le Murgia e le Meloni o fra i Travaglio ed i Gasparri per par condicio, e’ sempre una titanica lotta di geni e genìe per l’accesso privilegiato alla pentola dei maccheroni.

  82. @chris

    LEI parte male dicendo : ” Immagino di essere la figlia di una coppia omosessuale maschile (il caso più estremo di distanza,[..].. etc.. “

    …diciamo che partire così tradisce un pregiudizio bello grosso, che non la porterà da nessuna parte….

    …non trova che il caso più estremo possa essere anche quello Uomo/Donna, il caso dove la donna è sterile e non è in possibilità di portare avanti una gestazione ?… che poi questo caso è l’unico possibile quando parliamo di GAP voluta da “Etero” ….
    Il bambino non si porrebbe gli stessissimi interrogativi ?.

    Tenga presente poi che il bambino si porrebbe le domande che lei elenca, solo nel caso in cui ci fosse un’umanità piena di figure come Buffagni che non perdono occasione per definire quelle nascite delle mostruosità, e che sono talmente cocciute ed egocentriche da non dare spazio ad altri, se non a se stessi e al proprio bisogno di avere un controllo sul proprio mondo, solleticando meschinamente il senso di colpa altrui(mail il proprio).

    Se invece ci convincessimo tutti che sono nascite come tante altre, e che sono nascite dell’oggi, nascite di un’umanità che progredisce a livello tecnologico in modo esponenziale, al punto di poter decidere come far nascere la propri pogenie, staremmo tuttutti più sereni ed inclusivi, e le risposte alle domande di quei bambini sarebbero ovvie e di una semplicità disarmante.

  83. @Buffagni : non posso che dirle grazie, grazie, grazie per tutto l’impegno, la cultura e la forza che lei spende in questa discussione di tono così alto, e queste parole sue che stralcio da un intervento sono di grande conforto per un Cristiano.

    “l’idea che la persona umana ha valore infinito – si spegnerà del tutto, lei e voi non ve ne fate neanche la più vaga, pallida, evanescente idea. Ci siete nati dentro, a quella luce, anche se era ormai fioca. Quando si spegnerà – e ormai sta per spegnersi – ci troveremo tutti al buio, caro Piras: noi e voi.c”

  84. L’argomento della “riduzione del danno” della Murgia (visto che una cosa si fa illegalmente a questo punto meglio legalizzarla) non può essere usato da solo e non può comunque essere l’argomento decisivo. In sé è in effetti assai debole: nessuno accetterebbe l’affermazione che poiché l’evasione fiscale in Italia è alta, tanto vale legalizzarla. E’ evidente che questo argomento può al più servire a rafforzare altri tipi di argomento. Nel caso dell’aborto, per esempio, questo argomento non ha alcuna forza oltre i tre mesi dalla fecondazione, che è il termine di legge stabilito: dopodiché la presenza degli aborti illegali non diventa ragione sufficiente per la legalizzazione.
    L’aborto, come ricorda giustamente Buffagni (ma è la ratio della nostra legge, non l’interpretazione di un conservatore medievale) è legato a uno stato di necessità, non ad un “diritto”. L’aborto è una dolorosissima necessità, che anche le persone di sinistra accettano perché evita, o limita, più gravi dolori (alla donna).

    Mi pare anche che non ci si renda conto di come siamo di fronte a un gatto che si morde la coda.
    La “famiglia naturale” non esiste. Ok, ci sto, lo so. Esistono, sono esistiti, dovrebbero esistere forme di famiglia diverse e riconosciute. Ok, ci sto, lo so. Ma, dal punto di vista giuridico, noi non stiamo proponendo nuove configurazioni inusitate di famiglia, stiamo estendendo il diritto d’accesso a un CERTO tipo storico di famiglia, la famiglia nucleare eterosessuale con prole (anche se per farlo dobbiamo fingere di non vedere che si tratta di appunto di un certo modello storico di famiglia: lo ipostatizziamo giuridicamente, lo astraiamo dal flusso storico, lo trasformiamo in una formula tipo x + y + zzz). E questo crea dei conflitti e dei paradossi.
    Mi spiego. L’astrazione da “uomo + donna” a “x + y” funziona senza grossi problemi se si intende consentire l’unione civile (o il matrimonio) omosessuale. Ma le cose cambiano parecchio se introduciamo la variabile zzz, i figli, specie se non si tratti di riconoscere i diritti di quelli già esistenti (figli naturali di un membro della coppia, bambini adottati: Cirinnà, insomma), ma si tratti di prendere in considerazione quanti devono ancora essere messi al mondo.
    I figli nascono da una donna, è natura (almeno fino ad ora: immagino che tra breve dovremo discutere se sia lecito, poiché tecnicamente possibile, riprodurre i figli in provetta, visto che la gravidanza comunque ha dei costi fisici, psicologici, sociali, lavorativi, e dei rischi per il nascituro). Ma quanto succede dalla nascita in poi è (per lo più) cultura. Se un bambino nasce in una comune, a Sparta, in una relazione bigama o trigama (qualche settimana fa ne disquisiva Chiara Lalli su Internazionale: non ci sarebbero argomenti razionali e vincoli costituzionali cogenti che possano impedire la bigamia e altre forme di relazioni non mutualmente esclusive) o se nasce in un harem (all’araba: un uomo tante donne; alla Ferreri: una donna, tanti uomini) probabilmente non si porrà il problema di chi siano sua madre e suo padre, o, immaginando che invece esista una sorta di “istinto” che ci porti verso quel tipo di relazione e proiezione verso due individui, si può almeno dire che il bambino non si porrà il problema in termini così esclusivi e sarà per così dire spontanemente poligamo. (Io tutto questo non lo so, e mi pare che anche la psicologia e la psicanalisi non possano che darci qualche vaga idea, non risolvere scientificamente una volta per tutte dati alla mano la questione: vedo invece che molti hanno grandi certezze, in un senso o in un altro).
    Ma noi non stiamo normando incipienti modelli di famiglia spartana o comunarda, che non si intravedono affatto all’orizzonte; stiamo sempre parlando di famiglia nucleare e siamo costretti a stabilire per legge che una donna debba rinunciare ai propri “diritti” di madre per cederli alla famiglia “vera e propria”, perché solo una famiglia di fatto nucleare può essere per noi “titolare” di quei diritti.

    Non c’è bisogno di molta sociologia per sapere che la famiglia nucleare è la forma storica della famiglia borghese, cioè della famiglia nata sotto il capitalismo come forma economica e di vita. E questo, personalmente, mi sembra qualcosa che chi afferma la gratuità dell’affitto dell’utero non consideri a sufficienza. Anche la gratuità del dono, oggi, specie a livelli molto lontani dai concreti e spontanei rapporti umani (il livello della legge, il livello delle farm dove si affittano gli uteri), è qualcosa di assai problematico, forse più l’eccezione che la regola.
    “Gli uomini disapprendono l’arte del dono. C’è qualcosa di assurdo e di incredibile nella violazione del principio di scambio; spesso anche i bambini squadrano diffidenti il donatore, come se il regalo non fosse che un trucco per vendere loro spazzole o sapone. In compenso si esercita la charity, la beneficenza amministrata, che tampona programmaticamente le ferite visibili della società. Nel suo esercizio organizzato l’impulso umano non ha più il minimo posto: anzi la donazione è necessariamente congiunta all’umiliazione, attraverso la distribuzione, il calcolo esatto dei bisogni, in cui il beneficato viene trattato come un oggetto. Anche il dono privato è sceso al livello di una funzione sociale, a cui si destina una certa somma del proprio bilancio, e che si adempie di mala voglia, con una scettica valutazione dell’altro e con la minor fatica possibile. La vera felicità del dono è tutta nell’immaginazione della felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari, pensare l’altro come un soggetto: il contrario della smemoratezza. Di tutto ciò quasi nessuno è più capace. Nel migliore dei casi uno regala ciò che desidererebbe per se, ma di qualità leggermente inferiore. La decadenza del dono si esprime nella penosa invenzione degli articoli da regalo, che presuppongono già che non si sappia che cosa regalare, perchè, in realtà, non si ha nessuna voglia di farlo. Queste merci sono irrelate come i loro acquirenti: fondi di magazzino fin dal primo giorno” (Adorno, Minima moralia)

  85. @ Pellegrino

    Ti ringrazio, Gianfranco, per la tua risposta.

    Vedo che la discussione è andata avanti alla velocità della luce: salterò senz’altro qualche passaggio, ma vorrei aggiungere una riflessione.

    Dimmi se ho capito bene: in linea di principio, saresti contrario all’utero in affitto, così come a tutte le altre forme di sfruttamento possibili e immaginabili, soprattutto – stando agli esempi che tu porti – a quelle che hanno come protagoniste, loro malgrado, le donne. In pratica e sostanza, però, siccome alcune femministe birbone doppiogiochiste, più che la donna, hanno a cuore teologia e dottrina (cattoliche, immagino tu immagini), uhmmm…, no, si accende la sirena d’allarme, «Attenzione, attenzione, c’è puzza di religione!». Quindi? Quindi non sei più tanto contrario.

    Va bene, manteniamo la calma. Il problema si potrebbe anche risolvere facilmente.
    Ecco qua: le ragioni di molte femministe – atee e comuniste – schierate contro l’utero in affitto sono sinceramente e assolutamente LAICHE: non c’entra Dio, non c’entra il Catechismo della Chiesa Cattolica, non c’entrano la metafisica, l’inferno e Babilonia. Piantiamola di fare l’equazione “lotta all’utero in affitto” = “retrivo cattolicesimo destrorso”, perché davvero non sta in piedi; sostenerla ad oltranza, mi sembra un mezzuccio per fiaccare l’opposizione all’utero in affitto. Opposizione che invece è viva e vegeta, e – grazie a Dio (ops!) – trasversale.

    http://www.stopsurrogacynow.com/#sthash.plHFSGTQ.dpbs
    http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/IO-ATEA-FEMMINISTA-E-COMUNISTA-LIBERTARIA-FIERAMENTE-CONTRARIA-AL-MERCATO.aspx
    [ahi, è uscito su «Avvenire»: allora non vale]

    Mi rimane una curiosità. Dimmi per bene in base a quali PRINCIPI (che di solito sono fatti di roba bella dura, che non si lascia scalfire facilmente) saresti contrario alla surrogata. Perché alla fine i principi che accampi, gira che ti rigira, fan sempre acqua da tutte le parti. Principi tanto buoni non sono: ma forse ti piace che sia così, da buon riformista. (Ecco, inizio a sospettare che siano i principi del riformismo, nel tuo ragionamento, a vincerla su ogni altra cosa: su qualsiasi altra considerazione etica, economica, sociale, ecc.).

    Ho un dubbio. Non sarà, invece, che dal tuo p.v. il sostegno alla surrogata fa sistema alla perfezione con altre irrinunciabili riforme civili? Forse sarebbe troppo difficile e troppo poco progressista avvallare queste riforme buttando a mare l’utero in affitto? Se ci stanno le prime, ci potrà stare anche la GPA: basta regolamentarla al capello, no? Che dire? Forse avrei capito più e meglio il senso del tuo intervento se lo avessi intitolato «È lo Zeitgeist, baby».

    P.S.: la foto di Hannah Starkey che fa da copertina a questa pagina è bella; più bella, e portatrice di un significato più pieno, se la si vede nella sua interezza: http://www.maureenpaley.com/artists/hannah-starkey/images/18

  86. Mi pare, caro Pellegrino, che siamo al punto di partenza.

    Lei si comporta come un alieno venuto da chissà quale galassia col compito di mettere a posto questo pianeta, e così ignora le cose come stanno, pretendendo di sottoporre tutto alla sua analisi.

    E’ come se lei andasse in Finlandia e dicesse ai finlandesi che la loro lingua è piena di difetti, consigliando loro di convertirsi alla lingua vietnamita. Il finlandese avrà certamente le sue pecche, ma dalla sua ha un vantaggio formidabile, è una lingua parlata, e se uno si comportasse ignorando questo fatto fondamentale, sarebbe oggetto di interesse per i neuropsichiatri. Sono le innovazioni che devono farsi accettare, il che poi avviene normalmente, ma non prima di un esame accurato, ma se non venisse accettato, non vedo come il proponente si potrebbe appellare a usanze già esistenti, sarebbe un appello del tutto irricevibile.

    Ancora, lei ignora una delle premesse che facevo, che data la delicatezza dell’argomento, non si poteva assimilare cose differenti sottacendo sulle differenze per quanto queste possano essere considerate secondarie. Sebbene quindi io abbia in qualche misura accostato questa questione alla prostituzione, non potrei mai accettare di assimilarle, perchè questo configura un processo di scivolamento porgressivo secondo un meccanismo ben noto.

    Infine, lei pretende di considerare le nostre posizioni come equivalenti, perchè entrambi utilizziamo nostri criteri per giudicare.

    E’ un artificio retorico, perchè è evidente che per continuare a far parlare i vietnamiti in vietnamita e i finlandesi in finlandese, non occorre fare niente. Ma se volessimo fargli cambiare lingua, avremmo bisogno di una rivoluzione.

    Che una coppia fertile possa fare figli, è un fatto, che ciò a lei possa piacere o no è un altro fatto, ma che il suo giudizio debba prevalere, è ancora un’altra questione, e non può essere affrontata su un piano esclusivamente teorico.

    Invece, per attivare la pratica dell’utero in affitto, bisogna darsi molto da fare, organizzare il tutto, dalla legislazione al personale medico necessario, ai legali per affrontare i possibili dissidi che con tutta pprobabilità sorgerebbero.

    Come può pretendere quindi che le cose siano equivalenti?

  87. Ares, io penso in premessa che lei debba innanzitutto mettersi d’accordo con sè stesso.
    Sbaglio o è lei che ha postato un pezzo di Galimberti?
    Ebbene, in quel pezzo come tutti possono constatare il filosofo soteneva come delr esto fa anche Severino, che la tecnica debba per forza prevalere sulle nostre scelte, per cui gli uomini si comportano e in futuro sempre più si copmporteranno come strumenti della tecnica, uan sorta di robot molto sofisticati.
    Se lei posta questa roba, io sono tenuto a rispondere a questa roba, e mi pare che l’ho fatto adeguatamente.

    Invece, nella replica, lei sposta totalmente la questione, ponendo un’altra questione, a aprtire dalla sua convinzione che spetta al singolo individuo se accedere ad un nuovo mezzo reso disponibile dalla tecnologia.

    Su questo, non mi ero pronunciato, perchè in tutta evidenza di questo lei non aveva parlato. Visto che me lo chiede, la devo deludere. Lei da liberale, pensa che asdista una sfera individuale inviolabile per principo (cioè senza entrare nel merito dello specifico diritto), io che sono fieramente antiliberale, penso che tale sfera è appunto un’invenzione dell’ideologia liberale, e quindi penso che di volta in volta vada valutata la linea di confine tra diritto individuale e interessi collettivi, che esistono ben oltre il coinvolgimento esplicito e diretto della comunità. Penso cioè che, da essere sociali, tutto ciò che riguarda gli altri, ci coinvolge, il che ovviamente non significa che debba contare, possiamo decidere che in determinati casi debba prevaletre l’interesse individuale (ad esempio, non esiste alcun motivo valido per attentare al diritto alla vita di ciascuno di noi, la nostra libertà di espressione, e così via). Bisogna entrare nel merito, in questi due esempi, non v’è dubbio che debba prevalere l’individuo, ma in altri potrebbe non essere così.
    In alcuni casi, mi spiac
    e per lei, ma un dato ausilio tecnocologico potrebbe dovere essere inibito erga omnes.

  88. Esprimo profonda stima a Buffagni in specie all’ultimo intervento, anche se partiamo da prospettive diverse l’immaginato si somiglia.

  89. @ Enrico Macioci

    La ringrazio per il commento. Spero di evitare ogni equivico. Ripeto che ho intuizioni contraddittorie sulla GPA, come sulla prostituzione. Ma questo non importa.

    Temo che il problema di quello che ho scritto e’ che bene morale ha un significato tecnico, riguarda come dobbiamo trattarci gli uni gli altri. In questo senso nascere o dare la vita sono moralmente neutri, perche’ sono fatti che non fanno parte di una relazione e quindi non si puo’ dire che ci sia l’obbligo o un dovere di far nascere o di nascere. Ci possono essere ragioni per cui si consideri nascere o far nascere una cosa buona, ma non sono ragioni morali nel senso descritto – si puo pensare che la vita sia bella, interessante, ecc. Solo una volta che e’ nata, una persona entra in relazione e quindi nella dimensione morale.

    E questo significa che nessuno ha obblighi morali quando pensa di fare dei figli – e per questo decider di fare figli e’ moralmente neutro. Perche’ dico questo? Perche’ mi interessa dire che non si puo’ stilare una lista di criteri in base ai quali di possa stabilire chi ha diritto di fare figli e chi non lo ha. Fare figli rimane fuori dal diritto. Nell’esempio di Chris, due uomini avrebbero meno diritto di fare figlio di altri. Ma che dire allora di una donna sola rispetto a una donna sposata, dei poveri rispetto ai ricchi, ecc. Insomma, nessuno ha il diritto o l’obbligo di far nascere. E nessuna persona ha avuto il diritto o l’obbligo di nascere. Si nasce e basta.

  90. Sì sì il pensiero di Galimberti mi è chiaro Cucinotta così come mi è chiaro il mio di pensiero, ho semplicemente cercato di venirle incontro perché mi sembrava non aver completamente compreso quanta potenza la tecnica ha sull’uomo.
    Ed è per questo che la mia posizione è virata verso una piattaforma di più facile comprensione, ma anche qui aime non ci si intende.

  91. @ares. È proprio così, ho fatto un esempio estremo, quello di una coppia, omo maschile o etero, in cui l’estraneità biologica e affettiva con la madre surrogata sia totale, e ho ipotizzato, sul piano psicologico, le possibili conseguenze ideologico-politiche per il la figlia. Infatti, che un figlio abbia un interesse fondamentale a conoscere le condizioni della propria nascita, è un dato ben noto. Che la propria nascita sia un atto coloniale ha delle conseguenze per la nostra cultura.
    Il mio scopo è quello di mostrare paradossalmente come NON distinguere nel campo della GPA tra coppie molto diverse porti all’astrattezza delle due posizioni: quella del contratto o quella della infinità della Persona.
    Una coppia omomaschile in cui uno dei due entri con un figlio avuto in precedenza potrebbe essere un caso simile a quello di una coppia lesbica in cui una delle due ricorre all’inseminazione artificiale. In ambedue c’è identità -parziale- biologica col figlio, e gestazione unita ad allevamento.
    Idem per la coppia etero in cui sia sterile il marito. Si può valutare casi come questi allo stesso modo della coppia omo maschile o etero che va ad acquistare un bimbo al mercato? Direi di no: non c’è nessun legame né biologico né affettivo né culturale tra la coppia e la madre.
    Perché allora proiettare accuse feroci di disumanità schiavismo e abiezione su tutta la materia indistintamente? O simmetricamente perché bonificare casi diversissimi tra loro in nome della santità del contratto?
    Anche lo scherno sul “dono” andrebbe moderato da parte di chi lo fa: come si valuta la madre che compie una gestazione per la figlia con ovulo fecondato della figlia? È accaduto, e a un dono assomiglia parecchio.
    A mio parere partire dalla differenza sessuale e dalla “madre’ per ragionare aiuterebbe a far chiarezza.
    In ultimo rimando a un articolo di Silvia Niccolai uscito su Costituzionalismo in rete ieri. per cominciare a distinguere un po’ nella materia.

  92. Carissimi,
    sto avendo difficoltà a caricare i miei commenti, e a seguire la discussione, che è diventata velocissima.
    Carico di seguito alcune delle cose che ho scritto ieri, e mi scuso per non riuscire a rispondere a tutti.

  93. Scrivevo questo commento ieri, dopo il commento di Buffagni sui vari mercati che si creerebbero con la regolamentazione della GPA. Lo divido in due parti, perché il browser non lo accetta così com’è.
    “Ringrazio ancora per i commenti di questa ormai lunga discussione. A Buffagni e Michela debbo risposte articolate, che rimando a più tardi. Vorrei però dire una cosa adesso, a botta calda, rivolgendomi soprattutto a Buffagni e a Michela, e forse anche un po’ a Macioci.
    Non capisco bene alcune pieghe della discussione, o del senso che voi date alla discussione. Non capisco, in particolare, le parti che si potrebbero configurare come commenti o insinuazioni sulle persone che scrivono (su di me e Murgia, per essere precisi). La cosa è interessante, e vorrei capirla meglio, per alcune ragioni: 1. perché io non mi innervosisco, e non mi innervosirò. Sono disposto ad avere torto, è nel novero delle possibilità, sono disposto a farmi convincere da voi, e non mi pare uno scandalo. Se mi convincete, lo scrivo qui, state sicuri. In quelle che Michela chiama “le mie evoluzioni” ho più volte riconosciuto quando le critiche e le argomentazioni sono da considerare, mi pare. Sono anche disposto a essere accusato di cose sgradevoli, è il prezzo che si paga in queste discussioni. Ma la discussione mi preme di più, e sono saldo abbastanza, quindi vado avanti, senza innervosirmi. Anzi, vengo da queste parti proprio perché c’è questo tipo di discussione franca. Eppure mi pare che quello che vi preme di più sia proprio questo: innervosirmi. Se proprio è necessario, e vi fa stare meglio, magari m’innervosisco un pochino, ogni tanto, come ho fatto con Chiara, e con quell’accenno ai fan. Ma sarei curioso di sapere perché ci tenete tanto.

  94. Bene (anzi male) non esiste più limite a ciò che può essere comprato sul mercato globale: anche la vita. La legge sancisce.

    Una modesta proposta : riapriranno le case chiuse?

  95. 2. Sembra che non possiate fare a meno di delegittimare l’avversario — anche quando, come spesso fa Buffagni,avreste argomentazioni che non guadagnano nulla da questo, e guadagnerebbero di più dall’essere discusse senza inframmezzarle da rampogne, allusioni e così via. E poi sarei io che uso i fumogeni… 3. E non si può non pensare — è tanto che cerco di non farlo, ma ora non ci riesco più — che le cose che attribuite agli altri un po’ le temiate per voi. ‘Sta storia di Repubblica, per esempio, o del posto in Parlamento. Sapete che non ci avevo pensato? Sapete che se me lo chiedessero, non credo lo faranno, magari rifiuterei? La Murgia è una che si agita? In che senso? Perché scrive quello che pensa? Sarà sbagliato, ma lo scrive e lo comunica agli altri. E quindi si agita? E voi? E io? Com’è non agitarsi? Firmare l’appello e tacere? Non so. Io su questo sono veramente liberale, e meridionale. Mi piace l’agitazione, il casino, la gente che dice le cose, magari sbagliate e assurde, e uno che ci discute, ci argomenta, cerca di capire se hanno anche un po’ di ragione, e spiega con pazienza che cosa pensa. A voi non piace? E’ brutto? Fa schifo? Deve sicuramente venire da secondi fini? Oddio che mondo brutto…Per essere chiari su 3. Lasciamo perdere la Murgia, come ho detto non difendo lei, mi basta il daffare che ho con me stesso. Siamo in una sede specifica: questo è un blog a non troppa visibilità, fatto di persone le più varie, con vari interessi e posizioni. L’unico interesse comune, credo, è del tutto spassionato: la discussione per la discussione. Se non è comune, comunque è il mio di interesse. E, ovviamente, se vi dico che è così, voi potete farmi tutta la psicoanalisi che volete, o la critica dell’ideologia, ma rimane che io vi dico che è così. A me parrebbe che per me debbano parlare le mie argomentazioni — brutte, belle, deboli, false, come volete –, ma le argomentazioni. Non deve parlare la possibilità che io con queste argomentazioni cerchi visibilità (no! Sono altri i campi in cui mi potrebbe far comodo: non mi occupo professionalmente di bioetica), avanzamenti di carriera (no! Vedi la precedente parentesi, e comunque va tutto bene come va adesso — porto lo stipendio a casa), o chissà che (la spectre, e così via. No! Non mi paga nessuno, ho una figlia anch’io, ottenuta in modo del tutto naturale, non faccio traffici, e così via). Ritornando alla sede in cui siamo, mi pare che ne faccia parte anche la norma non scritta di non parlare, né chiedere, troppo di sè, no? Faccio accenno al bambino in Nigeria per ammorbidire i cuori, mi viene detto. Può darsi, come ho detto più volte, è facile cedere alla retorica, in questi casi. Può darsi che non avrei dovuto farlo, perché indebolisce la mia argomentazione. Accetto quest’obiezione, sia se è logica, sia se è alla pragmatica del mio discorso. Ma per dimostrare la buona fede, cribbio, che debbo fare? Scannerizzare il bonifico delle mie donazioni mensili? Io direi, pacatamente e serenamente, come diceva quel tale, che, se vi interessa l’argomento, e lo ritenete degno del vostro acume, commentate, come avete fatto e state facendo. Se vi interessa attaccare le persone, m siete sicuri che queste energie non sarebbero meglio impiegate contro altri obiettivi? Veramente, credetemi, con me non vale la pena. Non conto niente, sono — e voglio restare — del tutto marginale, e neanche mi innervosisco. Come ho detto, a più tardi, per qualche altra risposta a Buffagni e ad altre argomentazioni.

  96. Vorrei adesso rispondere ad alcune delle cose che mi dice Chiara, che ringrazio. Allora, le femministe. Cogli bene le mie preoccupazioni, anche se metti un po’ in burletta la mia preoccupazione con la religione. Ora, sarà vero che molte, o forse tutte, le femministe che si sono schierate contro l’utero in affitto sono “atee e comuniste” — alcune sono solo “comuniste”, forse. Ma non è questo il punto, o non solo questo. Alcune delle premesse da cui partono, nella misura in cui le capisco, sono spiritualiste, e non sono lontane dalle argomentazioni sull’unicità della gestazione e sul suo significato che vengono espresse, ad esempio, da una persona che parte dalle posizioni di Buffagni. Il mio invito era a essere chiare su queste posizioni — il che non mi pare avvenisse — e a dirci se ne accettano le conseguenze.
    Mi chiedi una cosa generale, cioè di dire in base a quali principi sarei contro l’utero in affitto. Mi pareva di avere risposto, ma lo rifaccio volentieri. Sono contro l’utero in affitto perché è una forma di sfruttamento. (Non sono contro la Gpa, quindi, se non è sfruttamento. Poco vale che la cosa sia empiricamente impossibile o numericamente minoritaria. Su questo livello ritorno.) Ma uno può esser contro certe forme di sfruttamento, certe distorsioni del mercato, e non dedurne che la cosa migliore sia vietarle in un solo paese. Questa è la mia posizione. A me pare che né le femministe né altri abbiano ancora spiegato come una proibizione assoluta, solo in Italia, possa evitare la diffusione del mercato illegale, e di quello legale negli altri paesi, né se una proibizione assoluta sia il mezzo migliore per evitare quello che di male c’è nello sfruttamento. Allora, forse chi vuole una proibizione assoluta non pensa allo sfruttamento, non pensa all’utero in affitto. Ha ragioni indipendenti per schierarsi contro la Gpa, in qualsiasi forma sia praticata. E qui nascono le divergenze con me, e l’invito a spiegarsi meglio — ad aderire pubblicamente, se credono, a posizioni sull’unicità della gestazione, sul legame fra gravidanza e maternità, sulla relazione, e così via. Che non sono posizioni che demonizzo, tutt’altro. Solo vorrei che le si discutesse apertamente, e non nascondendole. Invece mi pare che siano state nascoste, almeno nell’appello da cui parte la Murgia, che è quello che ho letto con maggiore attenzione. Fa parte del mio dubbio sulle strategie per bloccare lo sfruttamento anche il ricorso agli appelli. Detto fuori dai denti: le femministe italiane e francesi hanno ben più connessioni di me nei parlamenti. Forse si potrebbero mobilitare di più di quanto si è fatto le parlamentari, e anche le esponenti politiche a livello mondiale ed europeo, no? E, anche, vorrei che mi si spiegasse perché l’appello esce in prossimità della discussione sulla Cirinnà. Vorrei che mi si facesse capire se le femministe ritengono che gli articoli di quella legge daranno uno stimolo al ricorso all’utero in affitto o no, e che proposte fanno per evitare che la legge non venga approvata. L’articolo di Valeria Ottonelli da cui partivo — e qui rispondo parzialmente anche a Michela — partiva proprio dall’idea che ci fosse un conflitto di interessi fra donne e altre minoranze. Il mio articolo voleva dire che non c’è un conflitto di interessi: ci sono interessi comiuni — delle donne e di chiunque altro — a evitare sfruttamenti. Non credo che ci sia un interesse comune, di chiunque, a proibire la GPA senza sfruttamento, perché, come mostrerò dopo, non condivido le argomentazioni di Buffagni e altri. Spero che adesso sia chiaro. E continuo dopo.

  97. @ alessio baldini

    “Solo una volta che e’ nata, una persona entra in relazione e quindi nella dimensione morale.”

    Non è vero. La neonatologia, la genetica e l’epigenetica ci indicano oramai con chiarezza che durante i nove mesi di gravidanza, e fin dall’inizio, si stabilisce tra madre e figlio una relazione strettissima, che conforma già molto di ciò che il figlio diverrà. Si sviluppa non solo un interscambio biologico, com’è ovvio stando il feto a galla nell’utero, bensì emozionale. In particolare la voce della mamma scatena le reazioni più diverse; ma anche le sue emozioni. La verità è che l’essere umano costituisce, fin dall’inizio, il polo di una relazione. Ma oggi siamo nel regno dell’ego, dell’auto-nomia, e questa cosa è difficile da far passare.

    “E questo significa che nessuno ha obblighi morali quando pensa di fare dei figli – e per questo decidere di fare figli e’ moralmente neutro.”

    Non è vero. Se io “penso” di fare un figlio avrò l’obbligo morale (non c’entra niente il moralismo, si badi) di prendermi cura di lui, di preoccuparmi che cresca nelle migliori condizioni possibili, che sviluppi una personalità il più possibile sana ed equilibrata e completa, che non faccia del male a sé stesso e agli altri, che non distrugga altre persone o l’ambiente o il pianeta… Come può una decisione che immette nel mondo un essere umano – e cioè un abisso, una potenzialità infinita – come può una decisione del genere rivelarsi moralmente neutra?

    “Fare figli rimane fuori dal diritto.”

    Io questo non lo so. Non sono sicuro però che fare figli SIA un diritto. E soprattutto non sono sicuro che sia giusto, per ottenere questo diritto, avvicinare (non voglio usare il termine parificare) il corpo e la vita umani alla merce. La vita umana non è una merce. E checché ne pensi Galimberti la tecnica può e deve rimanere un mezzo. La tecnica è uno strumento di infinite potenzialità, ma chi FA la tecnica? L’uomo. Dunque risiamo punto e daccapo. L’uomo è libero d’usare i propri enormi poteri – poteri anzitutto cognitivi – nella maniera che più desidera; Hitler e Gandhi sono entrambi liberi. Ma qui si pone il problema della coscienza (chi è l’io umano?), e devieremmo troppo dall’argomento.

  98. @ luigi paraboschi

    Prego, grazie a lei.
    A me sembrava che bastasse appartenere alla civiltà europea, e che non ci fosse bisogno di essere cristiani per tener cara l’idea di persona umana che non solo il cristianesimo ha fatto propria. Mi sbagliavo. Comunque grazie ancora e cordiali saluti.

  99. @ G. Pellegrino

    Non la accuso di malafede. Se lei fosse chiaramente in malafede, con lei non discuterei proprio, perchè discutere con chi è in aperta malafede è uno spreco di tempo. Al massimo, presenterei una critica ai suoi argomenti senza neanche nominarla.

    Quanto al “che cosa ci guadagna Pellegrino”, ho detto, e ripeto: chi sostiene posizioni come le sue rende un segnalato servigio alle imprese capitalistiche che su questa schifezza fanno e faranno un pozzo di soldi, e non gli presenta neanche una fattura (=NON ci guadagna sopra).

    Se poi lei o chiunque altro, sostenendo queste tesi con abilità, ne ricava qualche utile di notorietà, etc., non me ne può fregare di meno e non inficia per nulla il valore e la serietà, o il disvalore e la ridicolaggine, di quel che dice.

    E’ più che normale che ciò accada: tutte le posizioni politiche e culturali possono venir “commissionate” post factum, cioè a dire trovare forze sociali che se ne servono per il loro interesse; e quando ciò non accade, le idee più interessanti e profonde restano a dormire nelle biblioteche senza influire direttamente sulla storia.
    Sono stati “commissionati” così il marxismo, o il cristianesimo, e nessuno sano di mente pensa che Marx o Gesù Cristo o San Paolo fossero arrivisti che scrivevano per beccarsi un posto in parlamento.
    Non c’è bisogno di essere asceti zen per essere in buonafede e degni di ascolto e di interlocuzione. Diverso è il caso in cui uno sia direttamente pagato da chi ha interesse a sostenere una tesi, tipo un lobbysta. In questo caso, è ufficiale, sicuro e garantito che scrive e parla per denaro, e che quindi dei suoi argomenti conviene come minimo diffidare (la quinta operazione non è un monopolio del comunismo d’antan).

    Io mi scaglio con violenza (verbale) contro quel che lei dice, perchè lo trovo gravemente sbagliato, pericoloso, dannoso, etc. Per precisare: giudico malvagio quel che lei dice, non giudico malvagio lei. E non perchè non la conosco di persona, o perchè “chi sono io per giudicare” (non sono un fan dello scaricabarile: nessuno ha il diritto di giudicare ma tutti, chissà com’è, ne hanno la necessità e di conseguenza il dovere; tenendo presente il caveat evangelico della reciprocità).

    Non la giudico malvagio, perchè per essere malvagi bisogna SAPERE che cos’è il male, almeno farsene un’idea, e ho la netta impressione che lei proprio non ne abbia la minima (o che perlomeno se ne faccia un’idea così diversa dalla mia da non esserle commensurabile, come paragonare mele con fischietti).

  100. @ Enrico Macioci

    La ringrazio ancora e penso che siamo d’accordo su molte cose, piu’ di quanto possa sembrare da questo scambio su un blog. Ma questo e’ il problema dei blog. C’e’ poco spazio e non si puo’ articolare una questione complessa, cosi’ ci si fraintende.

    Lei ha ragione, la questione della gestazione e’ complessa e in particolare negli ultimi mesi c’e’ gia’ una relazione – e infatti sia le nostre intuizioni morali, sia la legge riconoscono questo fatto. E pero’ il nascituro non e’ ancora una persona giuridica in senso pieno – e anche questo lo riconosce sia la Costituzione, sia la legislazione in materia, sia le nostre intuizioni morali. La difficolta’ e’ che si emerge come persona gradualmente e all’interno del corpo di un’altra persona. E’ chiaro che il nostro design biologico non e’ fatto per rendere facile la riflessione morale! E se Dio dei cristiani cattolici esiste, ha fatto un bel pasticcio qui. C’e’ una tensione fra natura e morale e bisogna tenerla bene presente – e le sue osservazioni su questo sono centrali. Forse mi sbaglio, ma credo che su questo siamo piu’ o meno d’accordo.

    Credo che siamo piu’ o meno d’accordo anche sulla responsabilita’ morale dei genitori nei confronti dei figli. Non ho mai detto che una volta che il figlio e’ nato – e anche negli ultimi mesi della gestazione – , i genitori non hanno responsabilita’ morali nei suoi confronti. Ci mancherebbe! La relazione genitori/figli e’ anzi un caso paradigmatico di relazione interpersonale che crea obblighi reciproci.

    Quello che ho detto e’ che nessuno ha alcun diritto o dovere nei confronti del nascituro, quando concepisce o fa concepire un figlio. Le faccio un esempio, Pensiamo a un giovane spacciatore di droga e membro di una gang che vive nella periferia di Citta’ del Messico. Si sa gia’ che l’ambiente in cui vive non e’ adatto per crescere dei figli e che e’ probabile che morira’ presto lasciando eventuali figli orfani. Ora nessuna autorita’ o altra persona ha il dovere o il diritto di intervenire o biasimare moralmente. Se a questa persona capitasse di fare figli, non sarebbe condannabile moralmente e nemmeno punibile per legge. Non esistono criteri morali o un profilo obbligatorio per diventare genitori, perche’ dare la vita e’ un gesto moralmente neutro. Certo, una volta che il figlio nasce cambia. E cosi’ l’eventuale figlio/a non ha alcun diritto di biasimare moralmente chi lo ha o la ha messa al mondo per il fatto di averla/lo messo/a al mondo. Ha invece il diritto di biasimare i genitori per averla/o abbandonato dopo la nascita, per esempio.

    Su questo penso che il discorso di Nussbaum sia pericolo, perche’ potrebbe giustificare il ricorso a sterilizzazioni di massa preventive – e’ gia’ stato tentato e da gente non proprio raccomandabile. Per questo e’ centrale – almeno per me – insistere sul fatto che nascere e dare la vita sono fatti moralmente neutri.

    Questo voglio dire quando dico che nacere o far nascere sono fatti moralmente neutri.

    Un’utima cosa per evitare equivoci. Si puo’ sentire e pensare che fare figli e nascere sia fatti bellissimi e pieni di significato – che siano fatti che manifestano amore o la bellezza e il senso della vita. Ci mancherebbe che non veda che questa esperienza e’ possibile. Ma si tratta di quella che viene a volte chiamata la “dimensione etica” della vita, cioe’ la dimensione che riguarda tutto cio’ che da’ senso alla vita della singola persona e realizza la sua idea di una vita degna di essere vissuta. E io preferisco tenere la dimensione del senso della vita separata da quella degli obblighi; preferisco separare l’etica dalla morale.

    Grazie ancora per lo scambio’ Le sue osservazioni sono sempre molto acute e pertinenti.

  101. Caro Buffagni,
    lei mi confonde — troppo buono. Mi creda: molte delle argomentazioni che uso io sono già note da tempo, e sviscerate a lungo in altri dibattiti, dalla fine degli anni Ottanta. Quindi, le lobby di cui lei dice hanno già tutto quel che serve, senza usare il mio povero intelletto, cui lei dà così risalto.
    E, certo, io non condivido la sua idea del male. Sarei disposto a farmene convincere, però, dal momento che sarei aperto, nonostante quel che si possa pensare. Ma lei non riesce a convincermene, mi pare — lei riesce a convincere, spesso, chi è già convinto. Il che ovviamente accade anche a me. Pazienza, è questo che rende questi dibattiti utili, ma difficili. Certo, se il male fosse evidente come pare a lei, dovrebbe essere più facile da cogliere, non crede? Ma sarà sicuramente la sua e la mia inadeguatezza. A più tardi.

  102. Prima di ritornare su Buffagni, vorrei dare alcune risposte a Macioci, che dice delle cose interessanti, e anche a Baldini, che pure indica alcune direzioni del dibattito che sono state trascurate.
    La relazione. Anch’io ritengo come Macioci che potrebbe esserci una relazione fra il feto e chi lo porta in grembo — ci sono quelle prove che Macioci menziona, ed è un dato di senso comune. Anche per questo io indicavo alle femministe il problema di prendere posizione su questo e trarne le conseguenze. Ma l’esistenza della relazione non risolve il problema della rilevanza morale della relazione stessa. Bisogna stabilire se è una relazione da cui scaturiscono obblighi per le due parti — o meglio per la madre. Se è una relazione di questo genere, ed è una relazione che è tanto moralmente rilevante da non poter venire interrotta, allora bisogna concludere che non sono moralmente ammissibili né Gpa né aborto — in nessun caso. Se invece si ritiene che la donna possa unilateralmente interrompere la relazione, allora non vedo le differenze fra Gpa e aborto. Checché ne dica la 194 — adesso rimango sul piano puramente morale e teorico. Era questo che volevo indicare nel mio primo intervento. Io non ho idee chiare su questo. Mi limiterei a indicare, come ho detto più volte, il problema.
    Ho idee più chiare su un altro punto: quale che sia la rilevanza morale e il dato esistenziale della relazione fra feto e madre, una volta nato non si può pensare che non ci siano altre relazioni moralmente rilevanti, per esempio col padre. E, ovviamente, se la relazione col padre è moralmente rilevante anche se il padre non ha portato il bambino in grembo questo attenua l’unicità e la rilevanza della relazione pre-natale, che non può essere ineffabile o sempre più importante di qualsiasi altra. E questo, naturalmente, rende la Gpa preferibile all’aborto, come alcuni ritengono.
    Terza cosa. Quando facevo riferimento a Mill intendevo presentare proprio una posizione simile a quella che discutono Macioci e Baldini. Non c’è un obbligo di diventare genitori, ma, una volta decisolo, ci sono obblighi di cura nei confronti dei nati. L’obbligo è condizionale a una decisione, e seleziona anche chi è obbligato — chi ha preso la decisione, chi causa l’esistenza della nuova persona, ne è responsabile. Questo, secondo me, ha in mente Baldini. Ovviamente, anche in questo caso, se una posizione del genere è sensata, è sensata sempre — quale che sia il tipo di gestazione. E da questo deriva che si possa rimproverare chi decide di far nascere un bambino senza potergli garantire la migliore esistenza — anche se è una coppia eterosessuale regolare e sposata da Santa Romana Chiesa. E così via con le cose già discusse prima…

  103. Rispondo finalmente a due commenti di Buffagni, quelli in cui ci sono le argomentazioni principali. Parto dal secondo, quello del 5 febbraio, alle 10, 36, per capirci quello dove Buffagni distingue i tre mercati che si formerebbero se si legalizzasse l’utero in affitto in gran parte del mondo, o in molti paesi. (C’è poi una postilla a questo commento, che è la reductio ad Hitlerum che in effetti si aspettava da un po’… stavo in pensiero. Ma a quella non c’è molto da dire, se non che l’articolo sulla soppressione dei disabili debbo ancora prepararlo. Appena esce su Lplc glielo faccio sapere, caro Buffagni.)
    Allora: Buffagni lascia da parte l’apparato metafisico di alcuni commenti precedenti, e viene sul mio punto, cioè discute la fattibilità pratica di una parziale regolamentazione dell’utero in affitto, soffermandosi in particolare sul problema del ricatto eventuale, o delle assicurazioni che la coppia committente potrebbe pretendere dalla gestante e così via.
    A riprova dell’apertura mentale di Buffagni, le sue sono considerazioni sensate, su cui si deve riflettere.
    A riprova della validità del mio punto, sono considerazioni che non cambiano di nulla la divergenza. Se uno ritiene la Gpa satanica, manco s’imbarca in queste cose. Se ci si imbarca, vuol dire che la ritiene non satanica, ma male discutibile, da comparare con altri mali, se non altro.
    Buffagni si imbarca, e io lo ringrazio, perché io questo volevo discutere, sin dal primo momento.
    Non sono sicuro che le cose andrebbero come lui crede, ma non sono sicuro neanche del contrario. Può darsi che si creino quei tre mercati, può darsi che se ne creino solo alcuni, può darsi che si tratti di un mercato non rilevante — perché nel frattempo inventano l’utero meccanico, e non c’è bisogno di coinvolgere le donne (ohhhh…. ancora più satanico. Ci stanno lavorando i coreani, sapevatelo.)
    Ma ammettiamo che vada tutto come dice Buffagni — e riconosco che ci sono probabilità. Buffagni, però, non dice quanto estesi sarebbero quei tre mercati. Non lo dice perché nessuno può saperlo, non è colpa sua. Ma possiamo sapere come le cose vanno ora. Vanno così: il mercato più esteso è quello illegale seguito dal mercato B. Ora, anche ammesso che la proposta di regolamentare la Gpa con mille cautele avesse l’unico effetto di togliere fette di clienti al mercato illegale e a quello B, questo non sarebbe un bene — un bene nel senso di un male minore? Lo sarebbe per le donne, perché ci sarebbero meno donne sfruttate, o sfruttate di meno. Lo sarebbe per i bambini, perché nascerebbero in condizioni migliori. Sarebbe un male solo per i profittatori che operano nel mercato illegale. Qualsiasi gesuita sarebbe convinto di questo — e forse il problema è questo, che io vado più d’accordo con i gesuiti adesso al potere nella città del Vaticano che con Buffagni.
    Conclusione: se restiamo sul campo delle conseguenze della regolamentazione della Gpa, in analogia alle conseguenze di una regolamentazione della droga, o di alcuni contratti iniqui, questo è il tipo di discussione da fare. E la maggior parte degli studi in mercati simili indicano che le cose andrebbero così: mercati legali di alta gamma che piano piano s’impongono su mercati legali. Ovviamente, altro è il discorso se la Gpa è un male assoluto, che non può venire diminuito, che non può venire compensato da nulla. E, quindi, alle fumose pianure metafisiche bisogna tornare.

  104. @ baldini e pellegrino
    Non collegherei la GPA né a una valutazione dello stato dei genitori (baldini) né all’aborto (pellegrino), perché la GPA introduce un concetto nuovo e a mio avviso pericoloso: la vita umana è fin dall’inizio qualche cosa che si può vendere e/o comprare. Mi viene in mente il magnifico romanzo di Stephen King, Cose preziose, in cui un negoziante – Satana – arriva nella piccola città di Castle Rock proclamando l’allegro slogan: tutto è in vendita, anche l’anima. E non importa che uno creda o non creda nell’anima: se vieni comprato, scusate il paradosso, sarai tu a pagare. E caro.
    Tutto ciò mi sembra persino più grave della realtà (rientrante nella nostra libertà) secondo la quale la vita umana è qualche cosa cui si può porre fine, insomma mi sembra peggio dell’omicidio e dell’aborto (una pratica di cui riconosco in determinate circostanze la necessità ma che d’istinto mi fa orrore, perché al di là di ciò che afferma la giurisdizione ho sempre considerato quella minuscola ghianda qualcosa, anzi qualcuno, che vive e che avrebbe vissuto chissà quale vita). La mia insomma non è una posizione squisitamente raziocinante, attiene soprattutto alla coscienza. Se ammettiamo di essere vendibili, comprabili, fungibili, se ammettiamo come spiega Murgia che due coniugi (maschio/femmina, maschio/maschio, femmina/femmina) possano consegnare il seme a una terza donna dietro compenso e che poi costei possa decidere di tenersi il bambino una volta nato, se insomma ammettiamo tutta una serie di simili faccende temo che non saremo più gli esseri umani che pretendiamo di essere, e sulla cui pretesa abbiamo fondato – in teoria e in pratica – l’apparato etico/morale che ci tiene vivi, sani di mente (abbastanza), evoluti (sì e no), inclini più al bene che al male, più al progresso che all’arretratezza, più alla solidarietà che alla malvagità (ci si prova); insomma gli esseri umani che proprio perché si ritengono tali stanno imbastendo questo dibattito su Le parole e le cose.
    Se infatti, come prima spiegavo, un essere umano è fin dall’inizio il polo di una relazione, creare un alveo relazionale sulla base dei soldi e poi sradicare per soldi da quest’alveo il bambino appena nato costituisce una violenza: perché non sappiamo quanto la gravidanza, biologicamente, psichicamente, e spiritualmente per chi ci crede, influirà sul prosieguo dell’esistenza del bambino, perché non sappiamo le domande che il bambino crescendo si porrà, perché non sappiamo cosa potrà rispondersi e dove troverà un senso alla propria venuta sulla Terra quando gli verrà spiegato che lui/lei è il risultato dell’incrocio fra un desiderio dotato di soldi e un corpo di quei soldi bisognoso. Il problema è che l’uomo è quell’animale molto particolare che, unico nel creato conosciuto, si domanda perché (noi non facciamo nulla, badate bene, nemmeno alzarci dal letto la mattina, se dietro non ci intravediamo un senso. Un senso e una dignità assoluti). Chiunque abbia un figlio sa bene che l’età dei perché arriva presto, compreso il perché più importante: papà, perché si muore? Ecco, questa breve domanda a mio avviso manda in frantumi non solo ogni riduzionismo materialistico, ma anche ogni questione giuridica o legale di cui qui si è parlato con dovizia, competenza e passione. L’uomo, essendo il polo di una relazione, ricerca un senso perché fin dall’origine sente di non essere autonomo, di non poterlo essere, di essere “straniero sulla terra” (Trakl). L’uomo è intrinsecamente relazionale. E se creiamo un’umanità sradicata (in parte, non del tutto, ma non sappiamo l’entità di quella parte, e ciò mi sembra un problema), se creiamo un’umanità in parte sradicata fin dall’origine rischiamo di creare un’umanità priva di senso e dunque pazza, e un’umanità priva di senso e dunque pazza non sopravvivrebbe a sé stessa neppure se arrivasse alle più mirabolanti scoperte scientifiche (del tipo: immortalità fisica; già si parla di ibernazione eccetera). Non ho prove di ciò, parlo per sensazioni, emozioni ma anche riflessioni su come è fatto l’essere umano e su come funziona. Oggi sembra che tradizioni millenarie debbano andare tutte a farsi benedire in nome del nuovo, ma troppo spesso dimentichiamo che l’idea del nuovo, del progresso, dell’andare avanti, della libertà, della dignità, dell’evoluzione (ivi incluse tecnica e scienza) è un’idea essenzialmente cristiana. Questo dibattito è possibile perché siamo cristiani. E anzi io distinguerei ancora, come fa Maurice Bellet: perché almeno in parte siamo cristici. C’è in noi un germe piantato da duemila anni, che crediamo o no (io sono un dannato scettico), il quale prescinde dal cristianesimo per come poi si è sviluppato (spesso e volentieri malissimo) ma non prescinde da un “fatto” (non saprei come altro chiamarlo) che ci ha portato ad una nuova e diversa soglia della sensibilità e del valore stesso che attribuiamo alla singola persona umana, vale a dire a noi stessi. Cristo è il luogo di una suprema relazione e la nostra cultura – comprese le più acuminate pretese della modernità che di quella cultura è l’estrema propaggine e la figlia ribelle – deriva dal “fatto” che chiamiamo Cristo = incarnazione (si badi alle parole). Ribadisco infine che il discorso è troppo grande per me – forse per tutti – e che cerco di comprendermi e comprendere; ma troppe cose mi lasciano perplesso e come vedete mi portano al largo.

  105. Una brevissima precisazione: quando dico che la compravendita di bambini mi sembra “peggio” dell’omicidio o dell’aborto mi esprimo malamente; poco sopra avevo scritto “più grave”, e già si avvicina di più a quello che cerco di esprimere; il fatto cioè che si aprano prospettive antropologiche inedite e potenzialmente imprevedibili, in un senso per me negativo. Posso del resto sbagliarmi su questo, esprimo il mio sentire e chiedo scusa se qualche volta scivolo con le parole, le cui sfumature ritengo fondamentali; l’argomento – lo ripeto per l’ennesima volta – mi mette in difficoltà.

  106. Caro Pellegrino, replico alle sue risposte.

    1) aborto e maternità surrogata.

    NON è vero che l’aborto non è MAI ammissibile moralmente in nessun caso. Paradossale che tocchi dirlo a me, ma siccome penso che sia vero, lo dico.
    Personalmente ritengo che l’aborto sia un omicidio, senza stare a fare tanti ricami sul momento in cui si pratica.

    NON è vero che l’omicidio non sia MAI moralmente accettabile. Il caso più evidente in cui l’omicidio è moralmente accettabile è la legittima difesa, da lei stesso richiamato in altro intervento. L’omicidio può diventare persino moralmente lodevole qualora sia commesso in difesa di un terzo e a rischio della propria incolumità, o in una guerra giusta (non imbarchiamoci nella definizione, intendiamoci all’ingrosso).

    Chi preferisce morire piuttosto che uccidere è eroico, sempre che rifiutandosi di uccidere non permetta mali più grandi: nel qual caso il rifiuto assoluto di uccidere diviene colpevole per omissione (es.: rifiuto pregiudiziale di difendere sé ed altri da un aggressore quando se ne abbia la possibilità).

    Nel caso dell’aborto, se la gravidanza fa correre alla madre un reale pericolo di morte o di menomazione gravissima, ella è moralmente giustificata ad abortire, anche se chi la minaccia di morte è affatto innocente. Se sceglie di perdere la vita perché il bambino viva, è una santa o un’eroina, cioè a dire che tocca un vertice di virtù al quale nessuno può essere obbligato, né dalla legge né dalla coscienza: così come un soldato è obbligato a combattere con coraggio, ma non può essere obbligato, né dalla legge militare né dalla coscienza, a compiere una missione nella quale è certo – non possibile o probabile: certo – che perderà la vita o gli arti.

    Poi, qualcuno lo fa, come i piloti tokkotai (kamikaze); o come il nostro ufficiale di Marina Teseo Tesei, che alla guida di un siluro a lenta corsa andò a minare le navi inglesi alla fonda nel porto di Alessandria d’Egitto, e accortosi che il meccanismo a tempo della mina era difettoso, spolettò a zero, cioè si fece saltare insieme alla nave nemica. Se Tesei fosse tornato indietro senza compiere la missione, nessuno avrebbe potuto o voluto criticarlo, men che meno condannarlo, giuridicamente o moralmente. Si sacrificò, invece. Per questo fu insignito della medaglia d’oro al VM, a lui è intitolato il Comando Subacquei Incursori, e da allora, nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, la sua eroica vicenda viene tramandata, come esempio di straordinario coraggio ed abnegazione, alle giovani generazioni. (Come? A scuola non ne parla nessuno, di Teseo Tesei? ma guarda un po’! pazzesco!).

    La posizione: “aborto=omicidio=MAI lecito” è una posizione astrattamente morale, di tipo kantiano, che non condivido neanche un poco, e dà luogo a paradossi evidenti che il grande filosofo prussiano, sempre sincero e conseguente, non spazzava sotto il tappeto. Celeberrimo l’esempio, davvero demenziale, portato da Kant stesso: siccome mentire è assolutamente incompatibile con l’imperativo categorico, se un innocente inseguito da assassino si rifugia in casa tua, e l’assassino si presenta alla porta e ti chiede sue notizie, tu NON puoi mentirgli e dirgli che l’hai visto prendere il tram.

    Sintesi: l’omicidio, quindi anche l’aborto, è moralmente accettabile qualora l’omicida si trovi in stato di necessità.

    Conclusione: Non è NECESSARIO per nessuno avere un figlio. Desiderabile sì, anche infinitamente desiderabile, ma MAI necessario, nel senso illustrato dal concetto di “stato di necessità”, cioè a dire rischio della vita, di menomazione gravissima, etc., propria o altrui. Ne discende che abortire può essere lecito, mentre la maternità surrogata, qualora non la si definisca un atto moralmente positivo senza se e senza ma per tutti i coinvolti e la società nel suo insieme (e si fa una bella fatica, auguri) non sarà moralmente lecita MAI.
    Chi desidera un figlio e non può averlo, dunque, se vuole avere la coscienza a posto si rassegna, e punto. Chi pensa che è NECESSARIO soddisfare i desideri va indirizzato al più abile e prossimo psichiatra, che si troverà una gatta da pelare mica male.
    (Digressione: se c’è un lacaniano tra il pubblico, è invitato a intervenire)

    2) reductio ad hitlerum.

    Ho portato l’esempio perché noto, e usato di frequente, a proposito e più spesso a sproposito, da chi appartiene al campo progressista. Personalmente NON penso che la maternità surrogata sia “nazista”. Se devo fare un confronto tra lo sterminio nazista degli inabili e la maternità surrogata, penso che il Gran Trotto dell’Inferno lo vinca per un’incollatura la maternità surrogata, perché mentre è abbastanza facile accorgersi che lo sterminio degli inabili è male (si ammazza della gente), è decisamente più difficile accorgersi che è male la maternità surrogata (qui invece della gente nasce, non sono belli i neonati?).

    Inoltre, le giustificazioni etiche dello sterminio degli inabili si fondano principalmente su considerazioni di tipo utilitaristico (maggior bene per il maggior numero), anche se non sono mancati gli ipocriti secondo i quali si ammazzavano gli inabili “per il loro bene”, in quanto la loro vita non era degna d’esser vissuta e insomma un peso di cui liberarli; mentre le giustificazioni etiche della maternità surrogata si fondano su argomenti e valori di tipo religioso o umanistico (amore, libertà, diritti, etc.).

    Insomma: è più menzognera, e corrompe moralmente di più perché opera una più radicale inversione dei valori, la giustificazione pubblica della maternità surrogata della giustificazione pubblica dello sterminio degli inabili.

    Tant’è vero che noi qua discutiamo di vendere e comprare donne incinte e bambini e nessuno chiama i Carabinieri, esige un TSO, ci telefona sconvolto per chiederci “Ma che cazzo dici?!”

    3) Maternità surrogata = male minore.

    Non direi. Anzitutto, le faccio rilevare che sono sceso sul suo terreno preferito dello studio di fattibilità all’unico scopo di dimostrare la contraddittorietà e la irrealizzabilità pratica delle sue proposte sue e della Murgia di maternità surrogata equa e solidale, l’enantiodromia che le governa.

    Le dimensioni rispettive dei mercati A, B e C non le so (e non le sa neanche lei). Ma se anche le cose stessero come lei dice, e cioè se il mercato illegale fosse il più vasto (il che non credo: è abbastanza facile sintetizzare droghe, molto più complicato organizzare maternità surrogate) legalizzarla sortirebbe due effetti certi (non probabili, certi): uno, aumentare in misura molto considerevole il numero di maternità surrogate; due, giustificare, non solo nel giure ma anche nelle coscienze, nel costume, nel senso comune una pratica che vede come vittime principali degli indifesi e/o degli innocenti (i bambini e le gestanti), e dà un contributo innovativo eccezionale alla dissoluzione del legame simbolico tra gli uomini, vulgo “degrada i nostri cuori” e ci fa diventare qualcosa di peggio di quel che già siamo, che la metà basta.

    Drogarsi in confronto è un gioco, pericoloso e vile e stupido e rovinoso finché si vuole, ma un gioco. Anche perché mentre nessuno a mente fredda può pensare che drogarsi sia una bella cosa, è possibile pensarlo della maternità surrogata, e infatti alcuni lo pensano: sarebbe bene che restassero molto pochi e diventassero sempre meno ( con la persuasione, eh? non con la polizia del pensiero o le leggi sul reato d’opinione, per le quali ho simpatia zero).

    L’argomento pratico “legalizziamo, così verrà riassorbito il mercato illegale” ha senso solo se la pratica da legalizzare viene ritenuta moralmente e socialmente condannabile, ma tollerabile nei suoi effetti. Per esempio, quando si parla di legalizzare la prostituzione, o anche le droghe leggere (o pesanti, se uno fa il ragionamento “tanto chi si fa di droghe pesanti è già perduto, evitiamo almeno che sporchi in giro”). Non legalizzerei per questo l’omicidio su commissione, e neanche la tortura.

    In sintesi: secondo me, la maternità surrogata non solo è condannabile, ma ha effetti intollerabili, moralmente e socialmente. E’ un pezzo che spiego perché. Naturalmente nessuno è tenuto a darmi ragione, siamo in un paese libero, più o meno.

    La maternità surrogata NON è poi “un male assoluto”. Il concetto di male assoluto è religioso (Satana, Arimane, etc.) e metafisico. La maternità surrogata è un fenomeno storico, malvagio e condannabile quanto si vuole, ma non IL male assoluto (non si può dire “un” male assoluto: di male assoluto ce n’è uno, con molti aspetti se si vuole, ma uno solo). Se vuole farmi dire che Satana stappa lo champagne quando sente caldeggiare la maternità surrogata glielo dico volentieri, non ho fatto altro dal primo intervento. Con questo, la maternità surrogata NON è Satana, Arimane o altri avatar del male assoluto. Non lo era neanche il nazismo, Auschwitz compreso. Bisogna stare attenti a identificare in un fenomeno storico il male assoluto, soprattutto perché diventa quasi inevitabile identificare con il bene assoluto chi vi si oppone (di solito, noi).

    Non so poi come la pensi papa Bergoglio. Non credo che la pensi come lei, ma non si sa mai, è un uomo pieno di sorprese.

  107. @ E. Macioci

    “Gli uomini dei tempi nuovi, a partire dall’epoca del Rinascimento, si sono ammalati sempre più di Fede nel sistema, sostituendo erroneamente il senso della realtà con formule astratte che non hanno più la funzione di essere simboli della realtà, ma diventano un surrogato di essa. Così l’umanità si è immersa nell’illusionismo, nella perdita del contatto con il mondo e nel vuoto, il che inevitabilmente ha portato alla noia, allo sconforto, allo scetticismo corrodente, alla mancanza del buon senso. Uno schema, in quanto schema, per se stesso, se non è controllato dalla viva percezione del mondo, non può neanche essere seriamente valutato: qualunque schema può essere bello, cioè strutturato bene in se stesso. Ma la visione del mondo non è il gioco degli scacchi, non è costruire schemi a vuoto, senza avere il sostegno dell’esperienza e senza tendere risolutamente alla vita. Per quanto ingegnosamente possa essere strutturato in se stesso, senza queste basi e senza questo scopo ogni schema è privo di valore. Ecco perché credo che sia assolutamente necessario accumulare da giovani una concreta percezione del mondo, e darle forma solo a un’età più matura.”

    Pavel Florenskij, “Non dimenticatemi”, Lettere dal campo di prigionia.

    Aggiungo che gestanti e bambini nel ventre materno sognano, sognano molto intensamente: diceva sempre Florenskij che

    “Il sogno è un segno del trapasso dall’una all’altra sfera, e simbolo. Di che cosa? Visto dall’alto – simbolo di quaggiù; e visto di quaggiù – simbolo dell’alto.”

    “Le porte regali. Saggio sull’icona”

  108. @Ares 5 febbraio 2016 a 15:57
    “Tenga presente poi che il bambino si porrebbe le domande che lei elenca, solo nel caso in cui ci fosse un’umanità piena di figure come Buffagni che non perdono occasione per definire quelle nascite delle mostruosità, e che sono talmente cocciute ed egocentriche da non dare spazio ad altri, se non a se stessi e al proprio bisogno di avere un controllo sul proprio mondo”
    Sa, caro o cara Ares di figure come Buffagni ce ne sono tante purtroppo… i bambini, e vivono proprio insieme agli altri bambini. Io quando avevo 8 anni mi sono divertita per una giornata a far credere a mio fratellino di 4 anni che era stato adottato dai nostri genitori perche lui a differenza di me era moro e di carnagione piu scura. lui ha pianto parecchio, non so se se lo ricordi, io probabilmente mi sono presa una rivincita per qualche bambola smontata e ho regolato i miei conti. Certo si potrebbe tentare di lavorare sul metalinguaggio anche a scuola, ma la vedo dura. A volte i bambini sono la bocca della verità, e la verità è crudele o forse solo nuda.

  109. Ma no Pellegrino, io non penso affatto che lei sia un agente retribuito dalle forze del male.

    Penso semplicemente che lei esprima l’ésprit du temp, quello che da questo discorso esclude ostinatamente il corpo della gestante, coi suoi bei testacoda ormonali prodotti dalla gravidanza, dal parto e dal rimbalzo successivo, ‘che la gravidanza non è un pranzo di gala; ma soprattutto quello che ritiene richieda del coraggio (l’ha detto lei) esprimere un’opposizione sulla base di un’idea di persona, tanto più se basata su qualche sentimento religioso talmente poco cool da dover essere cripto-religioso.
    Guardi, io non voglio crittare proprio niente e le posso dire con la massima serenità -e da atea, pensi un po’- che accanto al rifuto tutto politico di una forma di sfruttamento che considero estrema per le sue conseguenze fisiche e psichiche sulla gestante e accanto al rifiuto tutto politico di un atto legislativo che certificherebbe finalmente l’onnipotenza del denaro, sono anche affezionata ad una idea di umanità che non consenta con tanta allegra indifferenza l’ingresso della tecnica (benemerita in moltissimi altri casi) nelle zone liminali della vita e della morte, ingresso che alimenta un senso di onnipotenza umana che temo moltissimo; e men che meno se questo ingresso viene svuotato della sua sostanza esperienziale da siti caramellosi che però non dimenticano di fissare costi diversi per semini provenienti da razze diverse (quello dei maschi caucasici è il più costoso, tante volte vi fosse sfuggito).
    Che poi questa affezione sia legata ad una idea cristiana o addirittura veterotestamentaria è ampiamente possibile e non me ne vergogno affatto.
    Sarà che penso che quella radice culturale abbia regalato a questo pezzo di mondo alcune cose brutte e molte cose belle; o forse sarà, per dirla con le parole di Giorgio Manganelli, che vita, anima e morte, qualsiasi cosa siano, non si laicizzano.

  110. Sono d’accordo con molte delle cose che Michela dice nel suo intervento.
    Vorrei solo aggiungere, da agnostico ad atea, che il cattolicesimo su questo soggetto della vita e della morte, non è che sia un grande esempio di coerenza.
    Ricordo che, al contrario di quanto la chiesa sostiene sul tema della nascita. in,linea di principio ancora contrario all’uso di qualsiasi ausilio tecnico anche soltanto a scopo contraccettivo preventivo, sul tema della morte i cattolici non solo acconsentono, ma pretendono che venga usato il sondino per l’alimentazione di quanti si trovino in coma irreversibile.

    La mia tesi è invece semplice e lineare, ogni innovazione tecnologica dovrebbe essere proibita fino a quando non si abbiano ragioni univoche e convincenti della loro positività e della mancanza di consistenti effetti collaterali negativi. Sta insomma a chi innova l’onere di far rimuovere un divieto generale preliminare.
    Non si può bucare il fondo dell’oceano, senza considerare prima come si possa intervenire in emergenza per qualsiasi inconveniente che possa ragionevolmente verificarsi, ed allo stesso modo gli ogm, prima di essere consentiti, dovrebbero provare al di là di ogni ragionevole dubbio che non abbiano effetti disasrosi nè sulla salute umana, nè sugli equilibri ecologici.

  111. @ Michela, e sulla via di terminare la mia partecipazione a questa discussione (più tardi su Buffagni) — ormai mi pare ci siamo detti molto, se non tutto. Grazie per avermi tolto dal novero dei maligni :-). Le premesse non sono nascoste nel suo caso, ma lo sono in altri casi. Tanto mi basta — o mi bastava per scrivere quel che ho scritto. Quei siti e quei prezzi danno fastidio anche a me; ma proibire la Gpa in Italia non li smantella, tutt’altro. Se la discussione fosse su questo, come mostrano le ultime fasi del mio confronto con Buffagni, staremmo dividendoci semplicemente sulla fattibilità di varie politiche di contenimento della Gpa o dell’utero in affitto. Sull’idea di persona, io ho detto — o fatto intendere — quel che ne penso. Lei la assume così, semplicemente. Siccome non è tanto incontroversa — come riconosce anche Buffagni (per lui è stata un centro della civiltà europea: se avessimo tempo e spazio anche questo si potrebbe smentire; ma comunque anche per lui è ormai in crisi) –, ammetterà che ci vorrebbe qualche discussione in più, no? Ma certo adesso penso le nostre reciproche posizioni siano chiare.
    Mi preme solo un punto sullo spirito del tempo. A parte che a molti di noi piace atteggiarsi a inattuali — pure a me, non creda –, lo spirito dei tempi è complicato, e, come insegnava quel tale, lo si riconosce solo ex post, e se si è nottole. E in questi giorni è difficile essere nottole. Peraltro, mi sa che lo spirito dei tempi di questi giorni e del nostro paese è più quello che esprime lei che quello che rappresento io — e questo spirito si stende su un arco che va da Forza nuova a M5s, passando talvolta per le finezze di Radio Maria e del suo direttore. Ho l’umiltà necessaria per riconoscere che se sono in tanti a pensarla così ci sarà una qualche ragione. Ma anche l’arroganza necessaria per continuare a difendere le mie, di ragioni. Tanto per evitare la polizia del pensiero, che mi pare non stia bene a nessuno. A presto.

  112. @ Cucinotta, ma scherzosamente e con simpatia: lei la mangia la pasta? Lo conosce il grano del senatore Cappelli? (Potrebbe averne delle piantagioni vicino casa…) Lo sa che quello, o meglio i suoi più moderni discendenti sono l’ogm più diffuso sulle nostre tavole, ottenuto dal genetista Nazareno Strampelli nel 1915? E che ha molte disgraziate conseguenze sulle nostre panze? Eppure nessuno se ne preoccupa… Fuor di metafora e di scherzo. Le conseguenze delle innovazioni tecnologiche, ammesso che ce ne siano (di innovazioni tecnologiche vere, non dovute alla nostra ignoranza, non di conseguenze), si valutano in base a principi etici o politici — dando cioè peso ad alcune cose e non ad altre. E, ovviamente, non ci sono mai conseguenze deterministiche, ma solo probabilistiche. Tornando allo scherzo, ché è domenica: lei la prende l’aspirina? Può far molto male. Ma in rarissimi casi: quindi la commercializziamo e la diamo senza ricetta … Sono i nostri principi etici a farci decidere quali conseguenze accettiamo e quali no. E su quelli ci dividiamo in questa discussione. La tecnica, secondo me, c’entra poco.

  113. Meglio qualcosa in cui si dice esplicitamente di non credere che una tecnocrazia diretta? I radicali dentro e fuori del Parlamento sono estinti ed e’ sparito il loro movimento d’opinione ad ammortizzare fra eugenisti e popolino. Oggi fanno tutto gli atei devoti.

  114. Vede, Pellegrino, lei dovrebbe essere più cauto quando parla di cose su cui non ha competenza alcuna. Nel 1915, non potevano esistere ogm, ma soltanto mutazioni e ricombinazioni genetiche ottenute per via naturale e vagliate con un criterio empirico (cioè tramite una procedura trail and error). Non potevano esistere ogm perchè solo negli anni cinquanta Watson and Crick scoprirono la struttura del DNA, ed anche se la struttura del DNA è soltanto uno dei presupposgti necessari per costituire ogm, è chiaro che senza questo fondamento teorico, non si poteva sapere cosa fosse a livello molecolare un gene e quindi tanto meno si poteva aggiungere volutamente uno specifico gene.
    Assimilare agli ogm, mutazioni genetiche che non abbisognano neanche dell’intervento dell’uomo perchè fanno parte della spontanea evoluzione della natura, significa prendere lucciole per lanterne.
    Ciò che preoccupa nelle ogm è proprio che vi è l’intervento dell’uomo non con il generico scopo di migliorare la genetica di una pianta, ma nel volere ottenere uno specifico scopo, ad esempio costituire una nuova varietà di mais che resiste agli erbicidi- Si tratta quindi di nostri simili che si comportano appunto da vicedei, subentrano al creatore (detto in senso figurato), nel definire quali siano le caratteristiche desiderate non da uno specifico fruitore che nel caso più semplice dovrebbe coincidere con il costitutore della varietà, ma come un dato oggettivo a cui tutti devono conformarsi. Il discorso ci porterebbe lontano, e preferisco fermarmi qui, ma vedo appunto che lei ha perfettamente acquisito lo spirito di apprendista stregone così di moda nella classe dirigente che comanda il mondo.
    Lei lo afferma esplicitamente, non serve impegnarsi attivamente per conoscere con la massima precisione consentita le conseguenze delle nostre scelte tecnologiche, la tecnica può tranquillamente procedere come vogliono coloro che direttamente con le loro risorse finanziarie ed indirettamente tramite il controllo dei media, la controllano, a noi rimane la scelta squisitamente privata e quindi individuale di accettare o rifiutare quanto arriva sul mercato.
    Lei si è dichiarato socialdemocratico, non si sa perchè, visto che in realtà è liberale fino al midollo. Come Baldini ha detto esplicitamente, anche lei pensa che esista solo la morale privata, mentre non abbiamo bisogno di un’etica condivisiva, per la convivenza basta la legge resa del tutto autonoma da considerazioni di natura etica.
    Peccato che mai come nelle società liberali contemporanee le morali individuali si sono dissolte nel mare dei messaggi mediatici che costituiscono oggi l’unica guida morale, sostituendo sacerdote, genitori, ed insegnanti.
    In questo modo, l’ultimo farabutto che vuole imporre i suoi prodotti col fine di arricchirsi, trova una strada semplice e rapida per ottenere i suoi scopi senza incontrare resistenza alcuna.

    Siete pericolosi perchè vi comportate come dei bambini che per ottenere il giocattolo che desiderano, non esitano un momento a compiere i gesti più avventati, e purtroppo, a differenza dei bambini che presto apprendono l’importanza di considerare la complessità degli effetti delle proprie azioni, non imparate mai, e così un esempio così eloquente come il pozzo nel golfo del Messino che ha vomitato per settimane petrolio senza che nessuno fosse in grado di tapparlo, non vi ha fatto maturare e vi ripresentate ad ogni appuntamento pronti a compiere nuovi disastri, senza indietreggare neanche di fronte all’ipotesi estrema di mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie umana.

    Finchè l’ideologia liberale non verrà sconfitta definitivamente, non saremo al sicuro.

  115. Cucinotta, lei così mi riduce al silenzio. Se dovessi parlare solo di quello di cui ho competenza dovrei starmene zitto, e per sempre — e zitto avrei dovuto stare fino qui. Peraltro, mi avvio a zittirmi, tranquillo. Sugli ogm ho solo letto questo libro: http://www.amazon.it/gp/product/B00WSWJDPQ/ref=dp-kindle-redirect?ie=UTF8&btkr=1
    e sul grano del senatore Cappelli mi sono divertito molto leggendo questo: Regge, Tullio, Spaghetti geneticamente modificati, “Le Scienze”, 377, gennaio 2000. Su un incidente simile a quello che descrive lei, invece, ho letto questo: http://www.amazon.it/Responsibility-Problem-Routledge-Studies-Ethics-ebook/dp/B00ULD38H8/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1454858553&sr=8-1&keywords=the+problem+of+many+hands.
    Lei che ne pensa? Che ha letto? Sono lieto di conoscere le sue idee e le sue fonti su questi problemi.
    E, certo, sono liberale. E come liberale credo nell’etica pubblica, solo che non è la stessa cui crede lei (qui non faccio riferimenti, ché sono timido. Le basterebbe googlare tanticchia). E come liberale non penso che la sconfitta delle ideologie sia cosa molto rilevante o così drammatica.
    Stia bene.

  116. Caro Pellegrino, suvvia, non sia così modesto, non è così grave confondere una semplice mutazione genetica senza cui il nostro pianeta sarebbe ancora popolato soltanto di esseri monocellulari, e quindi qualcosa che è assolutamente naturale, qualunque cosa si intenda con questo termine, con un intervento di ingegneria genetica per costituire un ogm, soprattutto considerand o la sua formazione umanistica e il fatto che è stato indotto in errore da un libro di politica che si vorrebbe spacciare come di argomento scientifico.
    Lei ha molte più competenze e letture di me, ma proprio su un argomento di genetica, da chimico inevitabilmente ne capisco qualcosa più di lei, e non ho motivazioni politiche per confondere le acque mescolando capre e cavoli come mi pare siano interessati a fare gli autori del libro che lei cita. Seppure io non sia minimamente in grado di programmare nè di eseguire un intervento di ingegneria genetica, so di cosa si tratta e so distinguere come già le motivavo nel precedente intervento le capre dai cavoli: strano che lei non tenti neanche di entrare nel merito delle mie motivazioni, apparentemente tentando di intimidirmi con le sue citazioni, che tuttavia non mi intimidiscono per niente.
    Infine, le faccio notare che succede sempre così, coloro che sottostanno all’ideologia dominante, proprio per questa stessa ragione, non comprendono quanto tale ideologia sia determinante per le proprie opinioni. Tanto è vero, che le ideologie di cui si parla, sono sempre quelle che non fanno breccia nel loro tempo, quella dominante, come del resto è abbastanza ovvio riflettendoci un po’ su, è trasparente per chi vi si trova immerso, e ci vuole un bel po’ di attenzione e di analisi per rendersene conto.

  117. @ Cucinotta. Non voglio intimidirla, mi creda. Mi sa peraltro che sarebbe difficile. Dichiaravo le mie fonti. E so bene che lei è un chimico. Google io ce l’ho. Ero autenticamente curioso di sapere che cosa ne pensava. E mi interesserebbe sapere di più sul libro, che sul resto di quel che dice, di cui francamente capisco poco — e per questo non entro nel merito. Ma è colpa mia sicuramente. Ma pure Regge è politico? E del libro su many hands che mi dice? E’ interessantissimo, sa…

  118. Caro Pellegrino, la ringrazio per il consiglio di lettura, e sono certo che il suo giudizio in proposito è autorevole.
    Siccome sono sfacciato, ne vorrei approfittare e sottoporle una mia impressione che ho ricavato da quel poco di letture di filosofia politica che sono riuscito compiere.
    La mia impressione è che la filosofia politica abbia ormai da tempo finito per trasmutarsi in qualcosa d’altro. Di filosofia, a me pare che ne siano rimaste solo tracce. Quel che mi pare sia successo è che, data la sua netta dominanza, i testi diano per scontato i fondamenti filosofici del liberalismo, che quindi non vengono minimamente messi in discussione, e si finisca col sostituire ciò che pure si dichiara come filosofia politica con una sorta di teoria politica, quasi a stretto contatto con la tecnica politica.
    Dalla breve presentazione, sembrerebbe che anche il testo che lei cita parta già da premesse che costituiscono invece la parte di disciplina che a me più interesserebbe.
    Ora, indipendentemente dallo specifico testo che lei mi ha segnalato, mi farebbe piacere sapere se lei condivide con me questa impressione sulla carenza nella filosofia politica attuale degli aspetti fondamentali, quelli più propriamente filosofici, andando direttamente agli aspetti più puramente politici. Grazie.

  119. Non ho ancora una posizione matura sul tema, ma vorrei contribuire alla discussione postando un articolo francese che mi sembra portare qualche nuovo argomento.
    È un dialogo di qualche anno fa tra Sylviane Agacinski, filosofa, e Marcela Iacub, giurista e sociologa, allieva del grande giurista Yan Thomas.
    http://www.parismatch.com/Actu/Societe/Etre-enceinte-et-accoucher-un-job-un-service-un-cadeau-140153
    La cosa che mi sembra interessante qui è la posizione di Marcela Iacub, che difende l’approccio libertario su basi non «liberali» (ho l’impressione che nei commenti spesso si confondano le due cose) ma rigorosamente foucaultiane, artificialistiche e costruttivistiche: la radicalità della sua argomentazione – non priva di passaggi sofistici ma di indubbia coerenza – permette di vedere molto bene la distanza che separa diritto e morale per la politica, aiuta a distinguere nettamente le visioni del mondo in gioco nelle due posizioni, e, non da ultimo, a fare chiarezza sulle diverse matrici del pensiero critico, che spesso tendiamo a confondere in un unico calderone (nel caso specifico, la distanza che separa la sinistra umanista-marxista da quella poststrutturalista).
    Se si fa ricorso al concetto di mercificazione si fa, direttamente o meno, appello a un’idea di dignità e natura umana, a una visione sostantiva del bene, tutte cose che i critici della modernità e del capitalismo di famiglia foucaultiana devono invece rigorosamente aggirare. Il dilemma etico di cui stiamo discutendo è un campo di prova perfetto per cercare di capire una volta per tutte da che parte già stiamo o vogliamo stare da un punto di vista filosofico, e evitare di essere foucaultiani di notte e umanisti-moralisti di giorno, o viceversa.
    Sono curiosa di sapere cosa ne pensano le persone intervenute nella discussione (e ringrazio, oltre a Gianfranco Pellegrino per averla aperta, Roberto Buffagni per averla nutrita in modo esemplare).

  120. @ Carnevali: grazie moltissime, quel testo è interessantissimo. E, in questo caso più che in molti altri, io ho intuizioni libertarie e costruttiviste, solo che non ho la formazione e la cultura necessaria per articolarle bene, e quindi procedo all’interno del paradigma liberale. Il contributo che potrebbero dare su questo tema persone che lavorano all’interno del paradigma foucaultiano o anche nell’ambito della teoria queer sarebbe inestimabile. Peccato che non mi pare siano intervenute nel dibattito pubblico. Grazie ancora.
    @ Cucinotta: guardi, il panorama della filosofia politica contemporanea non lascia nessuno insoddisfatto. Complice il publish or perish imperante, non c’è che l’imbarazzo della scelta e i critici del liberalismo non mancano. Ovviamente, tutti danno per scontato qualcosa, e nessuno può partire se non da assunti non difesi. Ma, per esempio, se guarda la letteratura su environmental ethics, le critiche al liberalismo e al capitalismo da prospettive non necessariamente marxiste, e anche un po’ simili a quelle che mi sembra lei predilige, abbondano — si guardi ad esempio il dibattito sull’enciclica Laudato si’, veda le cose di Philip Cafaro, ad esempio, o la nuova edizione del libro di Taylor sul rispetto per la natura — fra le moltissime cose che stanno uscendo. A presto.

  121. @ Barbara Carnevali

    La ringrazio degli elogi e del consiglio di lettura. L’articolo di “Paris Match”, in effetti, è molto interessante. Salvo qualche sofisma tattico e pur scontando i limiti di un dialogo non rigoroso in sede non accademica, Mme Iacub esprime con coerenza la posizione nichilista pura, come la espresse Jacques Derrida in merito al matrimonio omosessuale, su « Le Monde » del 19/08/04. Eccola:

    « Si j’étais législateur, je proposerais tout simplement la disparition du mot et du concept de “mariage” dans un code civil et laïque. Le “mariage”, valeur religieuse, sacrale, hétérosexuelle – avec voeu de procréation, de fidélité éternelle, etc. -, c’est une concession de l’Etat laïque à l’Eglise chrétienne – en particulier dans son monogamisme qui n’est ni juif (il ne fut imposé aux juifs par les Européens qu’au siècle dernier et ne constituait pas une obligation il y a quelques générations au Maghreb juif) ni, cela on le sait bien, musulman. En supprimant le mot et le concept de “mariage”, cette équivoque ou cette hypocrisie religieuse et sacrale, qui n’a aucune place dans une constitution laïque, on les remplacerait par une “union civile” contractuelle, une sorte de pacs généralisé, amélioré, raffiné, souple et ajusté entre des partenaires de sexe ou de nombre non imposé.(…) C’est une utopie mais je prends date. »

    Ne ho discusso, con altri, qui: http://www.leparoleelecose.it/?p=7419

    Concordo con il suo rilievo che su questo tema, si misura “la distanza che separa la sinistra umanista-marxista da quella poststrutturalista”. Verissimo anche che “Se si fa ricorso al concetto di mercificazione si fa, direttamente o meno, appello a un’idea di dignità e natura umana, a una visione sostantiva del bene”.

    Il mio parere in merito è questo. La questione della maternità surrogata ha un’importanza decisiva sul piano culturale e politico: è uno spartiacque e il segno di una svolta d’epoca. Non uso queste parole alla leggera.

    Si usa dire che l’individualismo capitalistico- liberale “atomizza” la società in una congerie di individui astratti. Bene: la maternità surrogata è LA SCISSIONE DELL’ATOMO, e dà luogo a una reazione a catena dagli effetti non meno, ma PIU’ imprevedibili di quella sperimentata per la prima volta nel “Progetto Manhattan” (come lei sa, prima di effettuare il test gli sperimentatori temevano che la reazione a catena si rivelasse inarrestabile e finisse per distruggere il mondo).

    Le sue conseguenze sul piano culturale e politico saranno paragonabili, per ampiezza e importanza decisiva, a quelle derivanti dall’introduzione dell’arma atomica nel quadro dei rapporti politici fra potenze.

    La questione in ballo, infatti, non sono né “i diritti” di chicchessia, né tantomeno i rapporti di classe. La questione in ballo è la risposta alle seguenti domande: “che cosa è uomo?” “che cosa è mondo?” “che cosa è ‘natura umana’? ”, “qual è il rapporto tra uomo e mondo?” “qual è il rapporto tra individuo e comunità/società?”.

    Queste sono domande religiose e filosofiche, per la precisione metafisiche (ontologiche), che con tutta evidenza non interpellano solo i singoli, ma le società nel loro insieme.

    Qualora agenti, dotati della forza legale di imporre le risposte e sanzionare chi non le accetta, pongano ineludibilmente queste domande sul piano della effettualità storica e politica – nel quale non si può evitare di decidere, e non solo nel fòro interiore, ma appunto nella effettualità – il Kampfplatz filosofico kantiano si tramuta in vero e proprio campo di battaglia politico, e quindi, in linea di principio, in luogo ove può darsi un vero e proprio, letterale conflitto a morte.

    La forma di questo conflitto è la guerra di religione; che, secondo la logica propria alle guerre di religione, taglierà trasversalmente gli schieramenti politici e culturali precedenti al suo scoppio.

    Le posizioni contrapposte si incarneranno storicamente in due forze politiche statuali maggiori che prenderanno l’iniziativa e la guida del conflitto, e che, costruendo il loro sistema di alleanze e sabotando il sistema d’alleanze nemico, ridisegneranno gli schieramenti culturali e politici interni alle forze politiche statuali minori che SUBIRANNO l’iniziativa e saranno via via costrette, dalla logica politica, a scegliere il proprio campo: perché in guerra, tertium non datur.

    Per quel che mi pare di scorgere, il processo di cristallizzazione delle forze è già iniziato. Ne presento la dinamica in dieci tesi. Va da sé che non ho informazioni privilegiate dai Piani Superiori, e quindi estrapolo un’ipotesi da quel che vedo accadere, niente più.

    10 TESI SULLA GUERRA DI RELIGIONE PROSSIMA VENTURA

    Tesi 1
    Si stanno delineando e cristallizzando i campi della guerra di religione prossima ventura. Il clivage del conflitto è metafisico, culturale e politico, e attraversa l’Europa e il cristianesimo.

    Tesi 2
    I due campi si stanno cristallizzando intorno all’impero marittimo e all’impero terrestre.

    Tesi 3
    Nell’impero marittimo si sta rivelando e ufficializzando – cioè sta uscendo dalla marginalità simbolica, culturale e politica – una Nuova Religione, o Antireligione. Suo tratto più riconoscibile: l’uomo vi viene inteso come un composto di materiale biologico indefinitamente manipolabile + volontà: volontà arbitraria, perché non ontologicamente fondata; dunque, indefinitamente manipolabile anch’essa (decostruzionismo + costruttivismo radicale).

    Tesi 4
    Nell’impero terrestre, sta riemergendo e si sta ufficializzando il cristianesimo come teologia civile e imperiale, come religione generatrice di civiltà, o se si vuole come progetto di Nuova Cristianità.

    Tesi 5
    I segni inequivocabili sono:
    a) Impero marittimo. Dopo la sentenza della Corte Suprema sul matrimonio same sex – una rottura culturale epocale – il presidente USA illumina con i colori dell’arcobaleno la Casa Bianca, il simbolo più noto dell’istituzione imperiale: in hoc signo vinces.

    b) Impero terrestre. In occasione della parata militare celebrativa della vittoria nella IIGM – che i russi chiamano Grande Guerra Patriottica – il Ministro della Difesa entra nella Piazza Rossa per passare in rivista le truppe, e varcando la porta sormontata dalla grande icona di Gesù Salvatore, si scopre il capo, si fa il segno della croce, viene lungamente inquadrato dalla regia televisiva statale: in hoc signo vinces.

    Tesi 6
    In quanto cultura e civiltà generate da un kerygma rivelato, il cristianesimo è un compromesso, suggellato a Roma e da Roma, tra Atene e Gerusalemme. Il cristianesimo ortodosso è la confessione cristiana nella quale il lascito greco è più forte, più debole il lascito ebraico. Il contrario vale per il cristianesimo protestante e puritano. Nel cristianesimo cattolico le due correnti sono compresenti, e si sono equilibrate finché la romanità dell’istituzione ecclesiastica ha mantenuto salda la presa dottrinale, giuridica e pastorale. Con l’indebolirsi culturale e politico dell’istituzione ecclesiastica, le due correnti greca ed ebraica hanno iniziato a separarsi. Oggi, lo scisma potenziale è chiaro a tutti, e plasticamente rappresentato dalla compresenza di due papi.

    Tesi 7
    I due papi. Il papa recessivo ha incentrato la sua azione dottrinale e pastorale sulla riproposizione aggiornata del concetto di natura umana. Il concetto di natura umana come unità inscindibile di corpo e psiche, macro e microcosmo, cioè natura e cultura, mondo e uomo, è il centro di gravità del lascito greco, ed è affatto incompatibile con la visione dell’uomo proposta dalla Nuova Religione o Antireligione (v. tesi 3).
    Il papa dominante ha sinora incentrato la sua azione dottrinale e pastorale su due temi:
    a) l’immigrazione: doverosa accoglienza di tutti i migranti, senza alcun monito, cautela o indicazione in merito alle gravi conseguenze culturali, religiose, sociali e politiche che lo sradicamento impone sia a chi migra, sia a chi riceve i migranti.
    b) la natura non umana, cioè a dire l’ambiente naturale, non inteso come cosmo ordinato, ma, conforme la visione scientista, come materiale biologico (to be handled with care, of course).
    Le posizioni a) e b) convergono nel definire la visione dell’uomo e del mondo, almeno implicita, del papa dominante: tutti gli uomini sono uguali, sostanzialmente (e astrattamente) in tutto. Le differenze e le diverse vocazioni culturali, etniche, religiose sono scorie che si possono, e dunque si devono (perchè fonti di conflitto) cancellare con un atto di volontà buona (e arbitraria, perché non ontologicamente fondata). Come la creazione non è un cosmo ordinato (non esiste l’Anima Mundi), così l’uomo non è un microcosmo ordinato (l’anima personale non va fatta passare dalla potenza all’atto con l’educazione e la cultura, l’anima dei popoli non esiste affatto). Sono entrambi materiale biologico + un’anima che Dio provvede a fornire, già confezionata, alla nascita. I sacramenti diventano vidimazione della comune umanità.

    Tesi 8
    Il campo di battaglia della guerra di religione prossima ventura è l’Europa e quel che tuttora resta il suo centro spirituale, il cattolicesimo.

    Tesi 9
    In guerra i campi sono due, e solo due. Chi sta nel campo avverso viene designato come nemico, e non come avversario.

    Tesi 10
    Nella guerra di religione prossima ventura verrà messa alla prova, sul piano dell’effettualità politica, la validità e l’efficacia dei concetti di “ordine” rispettivamente adottati dalle forze in campo. Nel conflitto politico, infatti, e in special modo nel conflitto armato, chiave della vittoria e fondamento della strategia è proprio la capacità di ordinare efficacemente le proprie forze e disordinare le nemiche. Per la Nuova Religione, o Antireligione che dir si voglia, non ha senso parlare di “ordine” se non in termini di “funzionalità razionale”. Ciò vale sia per la personalità del singolo, sia per la compagine sociale. In breve: è ordinato tutto, ripeto tutto ciò che viene razionalmente costruito al fine che funzioni (al fine che sia “performativo”).
    Per la Vecchia Religione, è “ordinato” ciò che è adeguato e corrispondente alla struttura metafisica del reale. Ciò vale sia per l’ordinamento della personalità, sia per l’ordinamento della compagine sociale. La personalità e la compagine sociale si ordinano in rapporto con la “natura umana”, che è un dato strutturale permanente: anche se non ne sono, né possono mai esserne noti tutti gli aspetti e le possibilità; che anzi si esplicano, in modo parzialmente prevedibile ma sempre aperto all’irruzione del possibile, nelle storie personali e nella Storia comune.

  122. @ Carnevali

    il concetto di mercificazione non reggerebbe cinque minuti in un ring. Questo anche senza sapere nulla di Foucault, come me. Poi se uno vuole può condurre la sua vita con questo principio, ma certo non può negare ad altri certe possibilità in nome di questo principio (libertari e liberali su questo giustamente si confondono). Ma il problema rimane intatto, poiché non dipende dall’etica, quanto dalla possibilità di scegliere. E sappiamo benissimo che ci sono persone che non possono scegliere e che non vorrebbero essere in condizione di fare certe scelte. Questo dovrebbe portare a smettere di parlare di GPA, prostituzione eccetera come se fossero la stessa pratica per tutti, senza contesto.

  123. @ FF vs PPP

    Su un ring succedono tante cose.

    Per esempio, che “Everyone has a plan ‘till they get punched in the mouth” (Mike Tyson)

  124. Senza vena sarcastica o ironica, sarei interessato a conoscere quali sono le sue argomentazioni ( o di chiunque altro ne abbia di valide) contro il concetto di mercificazione applicato alla GPA, perchè questo è per me un punto focale, come ho già illustrato nel mio commento precedente. Grazie

  125. @ Roberto Orrù

    Quando sopra parli di privilegio biologico assegnato alla coppia stai facendo quella che si chiama fallacia naturalistica. Ovvero sia da un dato di natura non si desume un dato etico. Ma in realtà è sbagliato anche pensare che la natura abbia dato alla coppia il privilegio della procreazione. Sono i nostri occhi che vedono una coppia. Nella maggior parte delle specie di cui ho letto i rapporti sessuali sono semplici stupri, a volte anche di gruppo. Molte specie non sono monogame e avviene una competizione spermatica per fecondare. Le cure parentali si differenziano su una linea che va dalle cure esclusivamente materne, a cure condivise, fino a cure esclusivamente paterne.

    Il concetto di mercificazione non si può applicare a nulla per essere contrari a qualsiasi cosa, al limite uno può dire che se ci sono i soldi di mezzo la tal cosa non gli piace. Un rapporto sessuale consensuale per noi è lecito? Bene, perché a pagamento diventa illecito? Una gravidanza è lecita? Bene, e lo è anche l’abbandono del figlio, per la legge. Se il problema è che un figlio non può essere cresciuto da una persona diversa dalla madre, cosa cambia se questo figlio viene regalato o venduto? Il problema come si vede sta nell’atto di cessione, non se viene effettuato dietro compenso. A meno appunto di attribuire una caratteristica negativa al pagamento in sé, che però centra poco col bambino o col legame bambino-madre. Certo uno potrebbe dire che se c’è il pagamento questo serve ad aggirare il consenso, ma il problema è sempre un altro, non la mercificazione in sé. L’adozione non è che una pratica di acquisto a rate, però mediata dalla pubblica amministrazione, perchè giustamente non è che i figli possono essere affidati a chiunque.

    @ buffagni

    così non vale, a Tyson si dà ragione a prescindere

  126. a FF vs PP: la fallacia naturalistica potrebbe consistere per esempio nel fatto che dal dato di natura di una creatura umana non si può desumere il dato etico di un paramecio?
    Certo qui si introducono parametri azzardati, come la creazione, l’anima, il paradiso terrestre… ma anche l’evoluzione (cioè un processo dal basso all’alto), la complessità, usw…
    Attenzione al relativismo: la categoria di vita non assorbe quella di pensiero, per esempio.

  127. @ Chris

    non ho capita la domanda. Però, visto che nomini il relativismo, la fallacia consisterebbe nel desumere dal relativismo, ciò che pensiamo del mondo, il nostro comportamento. Io non credo che esistano il bene e il male come assoluti, che la vita umana sia più degna di altre vite, ma non per questo penso che si debba compiere il male liberamente, poiché so che esistono dei mali concreti che a volte sono intrinseci alla vita stessa, come nel caso dell’aborto o dell’alimentazione tra specie. Uno può dire: poiché la vita non ha senso, ammazzatevi tutti; oppure: sebbene la vita non abbia senso, possiamo comunque farci del bene.

  128. @ FF vs PPP

    Vedi: non a caso ho citato uno dei miei autori di riferimento, Mike Tyson.

    Il Filosofo americano, infatti, fa icasticamente rilevare, con il suo aforisma, che tirare sempre in ballo la naturalistic fallacy può avere effetti collaterali imprevisti.
    Per esempio: sali sul ring con il Filosofo, e prima di iniziare l’incontro gli dici: “Mike, sei d’accordo anche tu, vero? che non c’è connessione necessaria tra fatti e norme.”
    E il Filosofo risponde: “Do you remember Evander Holyfield? Non ci si poteva discutere. Continuava a rifugiarsi in clinch con Hume, Bentham, Moore…non ne ho potuto più, e gli ho mangiato un orecchio.”

  129. @ FF vs PPP: “fallacia naturalistica. Ovvero sia da un dato di natura non si desume un dato etico…”: allora ho adottato un esempio paradossale di fallacia naturalistica.
    Ma nel passaggio da un paramecio all’umano si implica una evoluzione. E’ possibile negarla? “Che la vita umana sia più degna di altre vite” lo dice la nostra autocoscienza, non abbiamo prove dell’autocoscienza del paramecio. Oppure la consapevolezza non ha nessuno statuto ontologico?

  130. Se mi pagate, produco un trattato tecnocratico per questa ed altre faccende; se invece è un contributo a gratis for the team o pour parler, il tempo e l’aspettativa sono ormai obsoleti, per cui prosit. Mi spiace per Buffagni, che magari sono due giorni che ricarica la pagina ogni mezz’ora per risposte a tono al suo scritto da Crociato Terminale. Lo faccio contento giusto per solidarietà tra commentanti, ma non scrivo sul Sole 24 Ore e nulla gliene verrà, mi spiace assai.

  131. A FF vs PPP
    Non colgo alcuna fallacia, naturalistica o di altro genere, nel descrivere una situazione biologica, priva di per se di connotazioni etiche o moralistiche, che io non ho attribuito alla riproduzione, è sufficiente leggere il mio commento precedente senza interpretarlo. Peraltro non capisco che contributo diano alla discussione paragoni con riproduzione all’interno di altre specie, men che meno le dinamiche etologiche ad essa correlate, visto che nulla hanno a che vedere con l’essere umano. Mi tolga una curiosità: ma “fallacia naturalistica” è farina del suo sacco?
    Ad ogni modo, la mia domanda verteva su un’altra questione, alla quale lei ha dato una serie di risposte che onestamente non ho compreso, ma andiamo con ordine:
    “Il concetto di mercificazione non si può applicare a nulla per essere contrari a qualsiasi cosa, al limite uno può dire che se ci sono i soldi di mezzo la tal cosa non gli piace.” Sarebbe a dire? In base a quale principio o argomento non si puó definire la GPA mercificazione di essere umano?
    ” Una gravidanza è lecita? Bene, e lo è anche l’abbandono del figlio, per la legge.” Io spero che questo sia un refuso.
    “Se il problema è che un figlio non può essere cresciuto da una persona diversa dalla madre, cosa cambia se questo figlio viene regalato o venduto? Il problema come si vede sta nell’atto di cessione, non se viene effettuato dietro compenso.” Quindi lei sta dicendo che siccome una madre è impossibilitata a crescere il figlio, non importa se lo vende o lo regala, basta che sia, il problema sta nella cessione in se. Quella che lei configura è un’adozione, dietro compenso o meno. Ora, lasciando perdere il fatto che il primo caso si configura come mercificazione, e il secondo no (sebbene convenga con lei che sarebbero da rimuovere a monte le cause che hanno portato una madre a cedere il proprio figlio), mi spega questo cosa ha a che vedere con la GPA?
    “L’adozione non è che una pratica di acquisto a rate, però mediata dalla pubblica amministrazione, perchè giustamente non è che i figli possono essere affidati a chiunque.” Di nuovo, qui si va fuori tema. Si parla di GPA, non di adozioni, la prego di non mescolare le tematiche.
    Rinnovo la domanda, a lei o a chiunque abbia voglia di rispondere: perchè la GPA non dovrebbe configurarsi come mercificazione di esseri umani?

  132. Barbara Carnevali introduce nel suo intervento la questione del rapporto tra liberalismo e libertarismo, sostenendo che si tratta di due correnti di pensiero ben separate, per cui esisterebbe anche un libertarismo non liberale.
    Io penso che si tratti di un argomento interessante e controverso, potrei dire interessante perchè controverso.
    Ci sono ottime ragioni per sostenere il contrario, ad esempio considerando che tale distinzione è ben chiara e consueta nell’ambito della teoria politica, ma non mi pare lo sia nel campo della filosofia politica, che non esistano fondamenti filosofici indipendenti del libertarismo. Potrei aggiungere anche un fatto lessicale, in inglese “libertarian” sta per liberista, anche se non pretendo che gli argomenti che porto siano definitivi in proposito.
    Mi chiedo soltanto se non sarebbe il caso di convenire tutti sul fatto che si tratti di una questione aperta, e che sarebbe preferibile evitare di sostenere che ci sia qualcuno che fa confusione, forse ha un’opinione differente in proposito.

  133. Chiedo scusa, ho commentato due volte in risposta a FF vs PPP perchè credevo di non aver inviato correttamente il primo commento

  134. @ GiuseppeC

    Grazie della solidarietà, ma non “sono costretto a caricare la pagina ogni mezz’ora per risposte a tono al MIO scritto da Crociato Terminale”: vengo avvisato dei nuovi commenti con un messaggio di posta elettronica.

  135. @ Roberto Orrú

    Lei scrive:

    “Rinnovo la domanda, a lei o a chiunque abbia voglia di rispondere: perchè la GPA non dovrebbe configurarsi come mercificazione di esseri umani?”

    Certo che la maternità surrogata è mercificazione (totale, aggiungo io) di esseri umani. I sofismi sentimentaloidi e ipocriti sulla oblatività, la donazione, etc. sono fumogeni. Questi fumogeni vengono gettati perchè la parola “mercificazione” è (ancora) carica di connotazioni negative, dunque suscita nei più reazioni istintive di disagio e peggio che si vogliono anestetizzare.

    Il punto è, però, che non è per niente semplice e immediato spiegare perchè la mercificazione degli esseri umani dovrebbe essere per forza un male. Se consegue a un’aperta violenza, a una lampante coartazione della volontà del mercificando (è il caso della schiavitù), difficile negarlo.
    Ma se è volontaria? Se prende la forma di un contratto legale liberamente sottoscritto dalle parti? Resta un male? E perchè? Per me può essere un male, per un altro invece no. Chi ha ragione? Come si decide chi ha ragione? Con un dibattito filosofico? A maggioranza, in parlamento o con un referendum?

    Dunque, se permette, le domande pertinenti mi paiono essere:

    a) “sul piano etico, la mercificazione degli esseri umani va giudicata un male? Perchè?”

    b) “sul piano etico, la mercificazione degli esseri umani va giudicata un male anche qualora l’essere umano mercificato vi dia il suo formale, giuridicamente libero consenso? Se sì, perchè?”

    c) “Qualora si risponda ‘sì’ a entrambe le domande precedenti, dalla valutazione assiologica negativa deve conseguire anche la proibizione legale della maternità surrogata? Se sì, perchè? Se no, perchè?”

    Infatti, il nodo della questione è quello che indica B. Carnevali: “se si fa ricorso al concetto di mercificazione si fa, direttamente o meno, appello a un’idea di dignità e natura umana, a una visione sostantiva del bene” che sono tutt’altro che pacificamente e universalmente condivise: anzi.

    Lo furono per lunghi secoli, nel comune sentire della civiltà europea. Oggi non lo sono più. Ecco perchè ci troviamo a discuterne qua e altrove, e non solo sul piano culturale ma sul piano dell’effettualità politica .
    Una discussione come questa è affatto IMPENSABILE, anche a livello puramente teorico, se la retrodatiamo di soli cinquant’anni.

  136. GPA non dovrebbe configurarsi come mercificazione di esseri umani se venisse regolamentata come in Canada, dove:

    1) La gestante è una donna che deve avere un reddito annuale lordo non inferiore ai 70 mila euro( ciò significa che non deve essere in difficoltà economiche).
    2) Deve aver già avuto dei figli propri e appartenere ad un nucleo familiare stabile.
    3) Deve affrontare un iter psicologico d’accertamento che certifichi il suo equilibrio psico-fisico e che le sue intenzioni siano di tipo umanitario.
    4) Il gamete: la cellula uovo fecondata, non deve appartenere alla donna o a un suo familiare( pertanto la cellula uovo fecondata non conterrà il patrimonio genetico né della donna né di uno dei suoi familiari).
    5) La gestante non deve percepire compenso diretto, ma un assistenza economica legata alla gestazione.
    6) La donna se lo vorrà potrà rimanere in contatto con il bambino nato per tutta la vita.

  137. ” ‘Business has boomed’: Canadian surrogacy agent facing 27 charges continues her controversial work”

    A surrogacy agent facing 27 charges under a precedent-setting RCMP prosecution continues to forge ahead with her controversial work, offering cash incentives for recruiting new surrogate mothers, boasting that business has “boomed” and requesting consultant fees of more than $10,000 from people who use her services.

    Among the charges levelled against Leia Picard last month are that she accepted payment for making surrogacy arrangements, barred under the Assisted Human Reproduction Act.

    On a surrogacy Facebook page, Ms. Picard indicates that she is preparing a Constitutional challenge of that nine-year-old law.

    http://news.nationalpost.com/news/canada/business-has-boomed-canadian-surrogacy-agent-facing-27-charges-continues-her-controversial-work

  138. E quindi Buffagni ??

    Sa quanti casi del genere ci sono su maternità “Naturali” e quante donne disposte a vendere i proprio figlio in Italia e nel mondo, e non mi pare ci si spertichi per denunciare la questione che è praticamente incontrollabile.
    La GPA è certamente più verificabile di una qualsiasi maternità.. se ci fosse una legge a riguardo in Italia.

  139. @ buffagni

    appunto, io sono sicuro che certe persone credendo che la mercificazione sia un male si sentano davvero male al pensiero, come ti senti male tu. Il punto è che bisogna vedere se questo male lo provano anche altri, non basta crederlo. E se andiamo a scavare per crescere un figlio ci vogliono i soldi. Se lo stato dà assegni di maternità non è mercificazione? Gli acquisti pubblici non valgono? Inoltre due persone riconosciute come genitori tramite GPA hanno comunque gli stessi obblighi che hanno gli altri genitori nei confronti dei figli, per cui parlare di mercificazione è arduo anche come descrizione del fenomeno in condizioni regolamentate. Tuttò ciò per dire che se uno si vuole opporre alla GPA deve tirare fuori argomenti forti, che provino che c’è un danno diretto evidente alla donna gestante e al bambino. Solo in questo caso il dato di natura può essere preso in esame per vagliare i nostri comportamenti.

    @ Chris

    Forse ho capito meglio. Nel tuo primo esempio mi viene da pensare intanto a quello che può essere chiamato antropocentrismo, pensare alle altre creature solo in funzione di noi umani; e poi a se la nostra considerazione del paramecio può essere condizionata dal fatto che non essendo come noi può essere trattato a nostro piacimento. Il dato naturale può essere utile per capire cosa implica il nostro comportamento e al limite quanto abbia senso preoccuparsi di certi organismi in base alle loro caratteristiche. Ma togliere o meno la vita ad altri organismi poi dipende comunque da noi, non c’è un dato di natura che ci dice che possiamo farlo. La sola forza, la necessità intrinseca alla vita, fanno il diritto. E qualsiasi criterio adottiamo, dalla semplice non appartenenza di specie, a motivazioni più o meno corrette circa le caratteristiche che noi pensiamo di aver comprese, è comunque arbitrario.

  140. Vorrei rigraziare tutti x la possibilità che mi avete dato di approfondire questo delicato argomento. Proverò ora a fare una forzatura , magari è una fesseria , ma la dico uguamente. Immaginiamo x un attimo che fra 5 annni ci si accorga che il popolo italico ( un pò come x alcune rare malattie insulari ) sia affetto da una strana appunto patologia che rende 1 donna su 2 impossibilitate alla gravidanza. Io penso che dopo un pò che la scienza latita in nome del salviamo il popolo italiano , non solo verrebbero meno tuttte le resistenze di “alto livello” allaBuffahni x intenderci , ma forse sarebbe lo stesso stato italiano a contrarre accordi bi-trilaterali, mentre la chiesa farebbe finta di niente come ha fatto in altre gravi circostanze. Non penso che Buffagni cambierebbe idea ,ma che resterebbero ben in pochi a sostenerla. Dico questo perchè io faccio molta fatica ad avere delle convinzioni granitiche ed immodificabili . Se dovessi decidere ora propenderei x il no perchè tutto sommato valutando appunto i ragionamenti di Pellegrino mi pare che i vantaggi siano inferiori agli svantaggi e sempre seguendo Pellegrino preferisco dedicarmi ai bambini viventi schiavizzati . Grazie a tutti Tiziano

  141. Innanzi tutto ringrazio Roberto Buffagni e Ares per le risposte esaurienti.
    @ Ares
    Non ero a conoscienza della legge canadese in materia. Bene, mi sembra se non altro un buon punto di partenza, peccato che in europa e nel resto del mondo non esistano leggi nemmeno paragonabili, e non ci si ponga nemmeno il problema di discuterne, soprattutto qui in Italia.

    @ Roberto Buffagni
    Sono d’accordo con lei, peccato che molte persone che conosco, e mi pare di capire anche qualcuno tra coloro che commentano qui, non vedano affatto la GPA come mercificazione, ma tant’è…. Lei parte dal mio stesso presupposto, per portare poi la discussione, mediante le sue domande, su un piano etico. Onestamente non ho gli strumenti culturali per affrontare una discussione di questo livello, posso solo dare dei miei pareri personali che contano il giusto…. Ad esempio, secondo me la mercificazione di esseri umani è sicuramente un male perchè attribuisce ad alcuni il potere di dare un valore materiale alle persone, ponendo fine al principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Risponderei di si anche alla sua seconda domanda, in conseguenza della prima, perchè la libertà di disporre del proprio corpo finisce nel momento in cui sorge il ragionevole dubbio che possa in qualche modo ledere se stessi o gli altri. Onestamente alla terza domanda non so ancora dare una risposta univoca, ma su questo e sulle precedenti domande sarei curioso di sapere cosa ne pensa lei e gli altri commentatori, perchè ammetto che la questione è comunque controversa e, come dicevo in precedenza, sicuramente c’è chi ne sa più di me in materia.

  142. @ FF vs PPP

    Su questo punto della opinabilità – insomma, la totale mercificazione dell’essere umano è tutta questa tragedia o no? – come vedi, concordiamo. Al di là della difformità dei giudizi (per me sì, è una tragedia, per te no) che è interessante ma fin lì, io sto cercando di attirare l’attenzione su un punto che mi pare significativo per tutti, questo: che le particolari, nuove forme di mercificazione che la maternità surrogata porta con sè sono un vero e proprio salto di paradigma, inaugurano cioè una differenza qualitativa reale, un prima e un dopo.
    Lasciamo da parte, per un istante, il giudizio assiologico (è bene? è male? è indifferente?). Io dico, e mi pare anche di argomentarlo: è nuovo, radicalmente nuovo. Se diventa NORMALE, cioè se diventa legge ed entra nell’etica cioè nel costume, cambia il modo di pensare l’uomo, quindi cambia tutto.

    @ Galli Tiziano

    Be’, visto il trend demografico italiano siamo sulla buon strada per verificare anche la sua ipotesi, senza bisogno di epidemie. Scherzi a parte, è evidente che in questo campo, come negli altri, necessitas non habet legem. Se davvero un popolo stesse per estinguersi e non potesse ricorrere ad altri mezzi per salvarsi dalla sparizione (per esempio aprendosi all’immigrazione, come già facciamo senza nessun rischio di sparire) è evidente che andrebbe riconsiderato tutto.
    Ma qui, uno dei punti più importanti in esame è proprio che questa cosa non viene fatta “per necessità”.
    Questa cosa viene fatta perchè è tecnicamente possibile, e per libera decisione volontaria, e ci si domanda: è giusto/bene/opportuno permettere che questa volontà decida liberamente? Sì o no?

  143. Ho seguito la discussione che si è sviluppata sulla problematica il cui oggetto è, per semplificare, l’utero in affitto e ritengo, andando oltre le accuse e contro-accuse di incorrere nella fallacia naturalistica, che una rapida casistica etnologica sia particolarmente utile per illustrare la variabilità delle forme di organizzazione famigliare e dei rapporti di consanguineità e filiazione che si possono determinare. Ad esempio, in talune popolazioni africane esiste un matrimonio legale tra donne, in virtù del quale, come accade presso i Nuer sudanesi, quando una figlia è sterile, il che viene provato dopo parecchi anni di matrimonio, essa è considerata e conta come un uomo della sua stirpe di origine. In quanto considerata alla stregua di un uomo, essa può sposare legalmente una ragazza, dopodiché sarà lei a scegliere l’uomo con cui quest’ultima potrà generare dei bambini. Presso i Nuer risulta ‘naturale’, in un contesto famigliare di questo tipo, che i figli che nascono da questa “unione dell’ombra” siano quelli della donna-sposo: essi la chiamano “padre” ed essa trasmette loro il suo nome e i suoi beni, mentre la sua sposa la chiama “marito mio” e come tale viene trattata sia sul piano della ripartizione dei beni sia su quello dell’autorità famigliare. Ad esempio, al matrimonio delle figlie lei riceve in quanto “padre” il bestiame che costituisce la loro dote e consegna per ciascuna di esse, al genitore naturale, la vacca che è il prezzo della loro procreazione. Il genitore (che nel caso dell’utero in affitto è la madre biologica) non ha altro ruolo che quello di compagno sessual-stallone e non fruisce di nessuna delle gratificazioni materiali, morali ed affettive legate allo stesso ruolo svolto nel matrimonio procreativo. Presso gli Yoruba della Nigeria, è una donna ricca, in genere una commerciante, e non già una donna sterile, che può legittimamente sposare altre donne ed averne, ricorrendo allo stesso procedimento di sostituzione, dei discendenti che sono suoi oppure ricavarne un profitto di tipo capitalista. Una ricca commerciante, dunque, sposa legalmente per mezzo del pagamento della dote una o più ragazze, di preferenza vergini, e le invia a fare del commercio nei villaggi vicini. Esse hanno la possibilità di unirsi, senza pagamento di dote, con chi vogliono, ma debbono preavvertire la loro donna-sposo. Quando esse hanno dei figli, la donna-sposo si presenta ai loro genitori e richiede loro i ragazzi che sono legalmente suoi, così come le spose che li hanno generati. In tal modo si ha un tipo di unione in cui i figli spettano alla donna-sposo legale e le fruttano del denaro. In entrambi i casi (Nuer e Yoruba) è da escludere una forma qualsiasi d’omosessualità femminile, poiché nel primo caso queste unioni hanno per scopo la costituzione di una famiglia normale e nel secondo la valorizzazione di un capitale. Vere e proprie unioni omosessuali maschili si hanno invece presso i Navaho e gli Zuni. Tralascio il caso, pur interessante, del ‘matrimonio-fantasma’ che si riscontra sempre tra i Nuer quando un morto è privo di discendenti. Insomma, questi esempi mostrano che non è il sesso né l’identità sessuale dei membri né la paternità fisiologica ad essere determinante per la costituzione di un’unione coniugale, il che è confermato anche dall’adagio romano secondo cui “is est pater quem nuptiae demonstrant”. Ciò che conta, in altri termini, è la legalità del matrimonio, sancita dal pagamento del “prezzo della sposa”, quindi una caratteristica non naturale ma economica, sociale e culturale.

    Non è difficile allora raffrontare queste situazioni con quella che è attualmente al centro della discussione politico-culturale e della normazione giuridico-istituzionale, e ricavarne la conclusione che, alla luce dell’esperienza etnologica, ciò che sembra possedere un’evidenza assiomatica, e cioè che i membri dell’unione coniugale siano di sesso differente, che il genitore dei figli sia normalmente il padre all’interno dell’unione coniugale, che la famiglia coniugale (padre, madre, figli) costituisca l’unità territoriale ed economica attraverso cui passano l’educazione e l’eredità, e perfino che questa unione si stabilisca tra esseri viventi, nulla di tutto ciò risulta universalmente riconosciuto. Ancora una volta, come accade in questa discussione e, più in generale, nel dibattito parlamentare sulla normazione delle nuove forme di organizzazione famigliare nessuno di questi princìpi è universalmente riconosciuto. Succede così anche a coloro che, come lo scrivente, riconoscono che la loro preferenza per la famiglia tradizionale è essenzialmente di natura emotiva e corrisponde ad un orientamento anti-malthusiano e pro-natalista, di restare prigionieri del falso dilemma che nasce da due particolarismi equieterogenei: quello delle culture e delle comunità di tipo tradizionale, da un lato, e quello delle nuove forme di organizzazione della famiglia e dei rapporti di consanguineità e filiazione, dall’altro. Una cosa però è certa: né la retorica del naturalismo a base creazionista né il feticismo della ‘seconda natura’ sono oggi in grado di prefigurare la via di uscita dalla crisi profonda e irreversibile della famiglia monogamica di tipo tradizionale e un superamento delle contraddizioni sociali, individuali e interpersonali che la dinamica di sviluppo e crisi del capitalismo determina incessantemente, facendo sì, come scrivono Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito Comunista”, che “tutto ciò che era solido svanisca nell’aria”.

  144. @ Eros Barone

    Grazie per la replica. Di etnologia so tra molto poco e niente. I casi che lei ha segnalato mi erano però noti. Avanzo solo queste obiezioni:

    1) quando si parla di “natura”, qui, sarebbe meglio specificare che si parla di “natura umana”. Il concetto di natura umana non coincide, come lei sa, con il concetto di natura esprimibile nel linguaggio scientifico. Il concetto di “natura umana” si può declinare, ed è stato declinato, nei modi più diversi tra loro, da Platone a S. Tommaso a Spinoza a Hegel. Il minimo comun denominatore mi pare questo: che il concetto di “natura umana” è incompatibile con una filosofia, o una visione del mondo, che neghi l’esistenza di una struttura ontologica del reale. Un integrale storicismo, ad esempio, marxista o no, non può ammettere che esista qualcosa di simile alla “natura umana”.

    2) I casi da lei citati, per quanto interessanti e indicativi, non mi paiono sufficienti a concludere che la famiglia, cioè l’istituzione che presiede alla riproduzione della specie umana e sua integrazione nella cultura, si comprenda facendo riferimento ai soli rapporti sociali di proprietà. La derivazione delle “sovrastrutture” simboliche dalle “strutture” economiche, propria alla tradizione del pensiero marxista, non trova concorde me, e altri pensatori più profondi di me, come lei sa.

    3) Conosco solo superficialissimamente le culture dei popoli ai quali rimandano i suoi esempi, e quindi non sono in grado di discuterne seriamente (si tratterebbe di capire che senso hanno queste specie di famiglia all’interno del sistema simbolico Yoruba, Navaho, etc.). Modi di declinare famiglia e filiazione ne esistono tanti, e molto diversi tra loro: e certo, la famiglia nucleare borghese non è l’unica forma di famiglia, anzi. Quel che mi preme sottolineare, ora, è la novità qualitativa di questa forma di filiazione e di famiglia, introdotta dalla maternità surrogata. Gli elementi di novità li ho indicati nei miei interventi precedenti.

  145. @ FF vs PPP

    Curry, bel canestro. Tu invece provi a fare tre punti tirando da ventisette metri, non ti sembra di esagerare?

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