di Mauro Piras
La questione di principio, ormai, quasi non merita di essere discussa. Una democrazia liberale non può essere coerente con se stessa se accetta, nel suo ordinamento, disparità di trattamento tra i cittadini non giustificabili di fronte al principio di eguaglianza. Se due persone vogliono contrarre un vincolo di natura coniugale, con il quale dare consistenza giuridica a un progetto di vita condiviso, ciò deve essere possibile indipendentemente dai loro orientamenti sessuali, poiché questi cadono nella sfera delle condizioni e delle scelte personali, in cui il potere coercitivo dello stato non può entrare. In primo luogo, quindi, è in gioco il principio liberale della separazione tra le scelte etiche individuali e ciò che lo stato può impedire o imporre; una questione di libertà individuale, sulla quale non può decidere una “maggioranza morale”, imponendo il suo credo ai singoli. Ma si tratta anche, e forse soprattutto, di una questione di eguaglianza. Una democrazia matura deve essere capace di garantire un eguale riconoscimento a tutti cittadini, nella loro diversità. Trattare da eguali non significa trattare egualmente, cioè dare a tutti gli stessi beni o livellare, ma riconoscere a tutti un eguale status di cittadini e di persone morali, senza violarne le diverse soggettività. Ne discende che due persone che vogliano unirsi in un vincolo coniugale devono poterlo fare, senza che la loro condizione sociale, le loro credenze etiche o religiose, le loro appartenenze etniche o i loro orientamenti sessuali lo impediscano in alcun modo. Se questo non è possibile, l’eguaglianza è tradita, perché la sanzione giuridica è la prima forma di riconoscimento. Ecco perché una democrazia coerente non dovrebbe avere difficoltà ad accettare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, così come forme di unioni civili tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso. L’eguaglianza è preservata se il potere coercitivo dello stato non interferisce nelle scelte di vita individuali, impedendo certe unioni e favorendone altre, e permette invece a queste scelte di trovare la propria forma giuridica. Il matrimonio, certo, ha una forte carica simbolica, come tutte le istituzioni che portano con sé secoli di storia e di significati; ma la storia cambia, si riappropria dei significati e li riscrive, quindi è ben possibile che le istituzioni cambino. E non si può obiettare che autorizzando il matrimonio tra persone dello stesso sesso lo stato prenderebbe posizione a favore di questa scelta di vita, perché il riconoscimento giuridico è solo lo spazio formale in cui una scelta può essere operata legittimamente, non l’adozione di quella scelta di vita come modello.
Guardato da questa prospettiva, il Ddl Cirinnà (Ddl Senato n. 2081: “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”) è ben al di qua di quanto dovremmo volere. Esso infatti crea un regime giuridico di opzioni reciprocamente esclusive: gli eterosessuali, se vogliono unirsi in un vincolo legale, possono solo sposarsi; gli omosessuali possono solo contrarre una unione civile (che è istituita unicamente per “persone dello stesso sesso”). È un regime veramente curioso. Viene negata agli eterosessuali la libertà di scegliere un vincolo meno carico di tradizione e di significati storici del matrimonio, e viene negata agli omosessuali la libertà di accedere invece a questo patrimonio simbolico. Come eguali libertà siamo messi decisamente male. Certo, una qualche compensazione si trova nella seconda parte della legge, quasi mai citata nei dibattiti pubblici, che regola le convivenze di fatto, accessibili (ovviamente) a tutti, eterosessuali e omosessuali; questa parziale giuridificazione dell’ambito delle coppie di fatto permette di garantire alcuni diritti reciproci alle parti. Ma certamente a un livello di tutela ben inferiore al matrimonio o alle unioni civili.
Insomma, il Ddl Cirinnà, se fosse approvato, creerebbe un regime a tre livelli: matrimonio, unioni civili, coppie di fatto, ognuno con una copertura giuridica diversa. Tuttavia con una forte asimmetria determinata dal fatto che il matrimonio è accessibile solo agli eterosessuali, e l’unione civile solo agli omosessuali. Una legge piuttosto debole, sul piano della estensione dei diritti. E infatti, inizialmente, le opposizioni erano venute “da sinistra”: i primi a opporsi erano stati i movimenti LGBT, denunciando l’eccessiva prudenza e l’iniquità di queste soluzioni, e rivendicando il “matrimonio egualitario”. Questo perché, data la timidezza della proposta, e date le tensioni su altri fronti (riforma costituzionale, riforma del mercato del lavoro ecc.), l’opposizione di destra non si era ancora scatenata. Poi è partita, e si è visto che anche una proposta così timida e zoppicante rischia di essere fermata. Ormai, però, sia le gerarchie ecclesiastiche che la parte cattolica conservatrice della classe politica si sono rassegnate all’idea che una qualche forma di unione civile va approvata. Il compromesso al ribasso proposto da questo Ddl, che separa nettamente unioni civili e matrimonio, con le ingiustizie che abbiamo detto, mette a tacere molte critiche conservatrici. Per questo, l’opposizione si è scatenata a denunciare le presunte conseguenze di questa legge, e si è gettata sulla cosiddetta stepchild adoption (alla lettera “adozione del figliastro”), per denunciarla come una aberrazione giuridica che aprirebbe le porte all’“utero in affitto”.
Anche qui, la questione di principio è apparentemente semplice. L’adozione del figlio del coniuge o del convivente fa parte dell’ordinamento giuridico per quel che riguarda i matrimoni e le coppie di fatto eterosessuali. Se alcune norme del matrimonio si applicano alle unioni civili, sembra scontato che si applichi anche questa, perché tale estensione permette di tutelare i diritti dei figli nati da relazioni precedenti e presenti nella coppia omosessuale. Negare i diritti a questi bambini causerebbe gravi diseguaglianze tra figli di coppie eterosessuali e figli di coppie omosessuali. Inoltre, il Ddl Cirinnà non fa che richiamare la normativa esistente (Legge 184/1983, artt. 44 e sgg.), che impone numerose condizioni all’adozione, in particolare il consenso dei genitori biologici del minore e la sentenza del giudice dei minori. Infine, il riconoscimento di questo diritto si colloca in un quadro di già forte penalizzazione delle unioni civili, poiché questo non potranno ricorrere alla adozioni “normali”, cioè di bambini esterni alla coppia.
L’opposizione però si è scatenata perché questo tipo di adozione aprirebbe le porte all’“utero in affitto”. Questa paura è fondata? Non è facile rispondere, poiché i dati sulla maternità surrogata di cui disponiamo sono pochi e poco attendibili. Un recente studio promosso nel 2013 dal Parlamento europeo (reperibile qui:) denuncia questa carenza di dati. In ogni caso, sulla base di quello che sappiamo, questo studio ci fornisce qualche punto di appoggio: la maternità surrogata ha iniziato a diffondersi a partire dagli anni ottanta del ventesimo secolo, cioè ben prima dell’introduzione di unioni civili o matrimoni gay negli ordinamenti giuridici; è in crescita negli ultimi decenni; i dati non sono precisi né completi, ma sembra che le coppie che si rivolgono a questa pratica siano prevalentemente eterosessuali (nel Regno Unito, dove i dati sono più affidabili, le coppie omosessuali sono il 21% del totale di quanti hanno fatto ricorso alla maternità surrogata nel 2013). Queste poche informazioni ci dicono solo che la questione è ben difficile da dirimere. Si tratterebbe di dimostrare questa connessione causale: se viene facilitata l’adozione di figli interni a coppie omosessuali, aumenta la pratica dell’utero in affitto. Le poche cose che sappiamo non ci permettono di confermare tale nesso causale. Ma neanche di escluderlo. Solo uno studio sistematico sui paesi che hanno approvato questo tipo di legislazioni aiuterebbe, confrontando il prima e il dopo.
Tuttavia, anche senza disporre di ricerche empiriche soddisfacenti, la questione può essere decisa in linea di principio. Parto dall’assunto che si rifiuti come non accettabile legalmente la pratica della maternità surrogata. Anche questo è un problema aperto, in realtà, che merita di essere discusso in profondità; tuttavia, accetto come premessa il rifiuto di questa pratica, per mostrare che comunque il divieto della stepchild adoption per le coppie omosessuali non è giustificabile.
Il problema, si diceva, sarebbe questa connessione causale: se viene facilitata l’adozione di figli interni a coppie omosessuali, aumenta la pratica dell’utero in affitto. Questo tipo di implicazione si usa di solito per descrivere le connessioni causali necessarie, concernenti fenomeni naturali: se la temperatura dell’acqua viene portata a 100 gradi, l’acqua bolle; se a un filo con coefficiente di resistenza x viene appeso un corpo di peso x+n, il filo si spezza. La natura necessaria delle connessioni causali giustifica il divieto di azioni che possono provocarle. Per esempio, è vietato accendere fiammiferi nei pressi di un distributore di benzina, perché le probabilità che si scateni un incendio sono più alte che in altre condizioni. Tuttavia, quando la connessione riguarda due azioni umane, non abbiamo a che fare con questa causalità necessaria. La prima azione può provocare un certo tipo di reazione, ma questo non accade sempre. Se do uno schiaffo a una persona, posso aspettarmi diverse reazioni: un altro schiaffo, un insulto, indignazione, accettazione passiva ecc. Le reazioni umane sono sempre, in una certa misura, imprevedibili. Quando abitudini sociali, sanzioni sociali e norme giuridiche stabilizzano l’agire, è più facile prevedere che cosa può accadere; ma è sempre possibile che questi ordini sociali vengano violati. Quindi non è giustificato dire: da una certa azione sociale deriva necessariamente un’altra azione sociale. Solo la ricerca empirica a posteriori può portare alla luce una simile connessione, mentre a priori non la si può affermare necessariamente, come previsione.
E infatti, nell’agire sociale, casi in cui una certa azione, in sé giusta o legale, può favorire a volte azioni ingiuste o illegali, di solito non vengono affrontati vietando la prima azione. Per citare un esempio di J. S. Mill: non si vieta la vendita di prodotti tossici, perché questi possono essere usati anche per uccidere delle persone; semmai, si regola strettamente quella vendita. Lo stesso si potrebbe dire della vendita dei coltelli, per fare un altro esempio. Ma citiamo dei casi più vicini al nostro, in cui una pratica sociale legittima può causare una pratica sociale illegittima, ma la prima non viene proibita: fare uscire dall’aula gli studenti può far sì che alcuni fumino nei bagni, ma questo non vuol dire che sia giusto vietare agli studenti di uscire per andare in bagno; fare degli appalti può generare corruzione, ma questo non porta a vietare gli appalti, bensì a regolarli e controllarli; fare delle elezioni democratiche può portare alla compravendita di voti, ma anche in questo caso la risposta non è la proibizione delle elezioni, bensì un controllo più stretto su di esse.
Ritornando alla stepchild adoption: se anche essa comportasse l’aumento di una pratica illegale come l’utero in affitto, ciò non giustificherebbe la sua proibizione; quest’ultima infatti avrebbe la conseguenza certa di ledere dei diritti individuali e creare diseguaglianze tra i figli delle coppie eterosessuali e quelli delle coppie omosessuali, mentre quell’aumento sarebbe solo possibile, non necessario, e quindi assomiglierebbe a tutti i casi in cui la sola possibilità non giustifica la proibizione dell’azione legittima. Se la connessione non è certa, non si può giustificare una violazione certa del principio di eguaglianza.
Un ultimo punto, politico, forse sottovalutato. Il governo, sul Ddl Cirinnà, si gioca la sua credibilità, più che su altri provvedimenti di riforma. La sua base di consenso è liberale e progressista su questi temi, molto più di quanto pensino le “sinistre sinistre” che denunciano costantemente il presunto “inciucio” del renzismo con le forze moderate, anche cattoliche. Il governo si è presentato con un’azione politica anche duramente contrapposta alla tradizione della sinistra italiana sui fronti del mercato del lavoro, della costituzione, della riforma della scuola ecc., ma che raccoglie invece le esigenze di questa sinistra sul fronte dei diritti. Forse è una formula perdente sul primo lato, oggi, dato il grave cambiamento del contesto economico. Lo vedremo. Tuttavia, sui diritti la necessità di modernizzazione è del tutto aperta, e largamente sentita nell’opinione pubblica. L’esigenza di estensione democratica dei diritti è condivisa dalle componenti “renziane”, come dalle forze che si collocano alla loro sinistra; e forse anche da aree moderate ma sinceramente liberali sia della classe dirigente che della popolazione. Quindi, cedere su questo fronte sarebbe un grave errore: una politica sociale e istituzionale di “adattamento” alle condizioni del mercato globale, ai vincoli dell’Unione Europea ecc. può continuare ad avere il sostegno di un’opinione pubblica di “sinistra moderata” o anche solo moderata, se il governo è capace di mostrare coraggio dove invece non c’è nessun bisogno di arretrare, perché non ci sono costrizioni sistemiche gravi. Se invece fa marcia indietro, perde ogni credibilità. Ecco perché la maggioranza dei parlamentari del Pd ha sempre sostenuto il Ddl Cirinnà, e l’esecutivo stesso non ha mai ceduto: la “libertà di coscienza” concessa unicamente su pochi emendamenti relativi alla stepchild adoption è soltanto un’accortezza politica, che ha lo scopo di non accentuare inutilmente le divisioni nel partito. Ma le dichiarazioni del governo sono sempre state, sul fondo, a favore di queste misure, come dimostrano i fatti degli ultimi giorni. Bisogna solo sperare che questa linea venga tenuta fino alla fine.
(Torino, 14 febbraio 2016)
[Immagine: love=love, stencil. (gm)]
Caro Piras,
e i matrimoni a tre, a quattro, a ventisei, perchè quelli no? Chi è lei per giudicare? Per vietare alle comitive l’accesso al “patrimonio simbolico” del matrimonio?
E l’eguaglianza? Che fine fa “l’eguaglianza, che si preserva solo “se il potere coercitivo dello stato non interferisce nelle scelte di vita individuali, impedendo certe unioni e favorendone altre, e permette invece a queste scelte di trovare la propria forma giuridica”?
Certo, “Il matrimonio ha una forte carica simbolica, come tutte le istituzioni che portano con sé secoli di storia e di significati; ma la storia cambia, si riappropria dei significati e li riscrive, quindi è ben possibile che le istituzioni cambino”. O no?
Constato poi con piacere che l’elezione al trono pontificio di un gesuita ha lanciato la moda dei gesuitismi più spericolati anche tra i liberali.
Questo paragrafo del suo articolo: “Si tratterebbe di dimostrare questa connessione causale: se viene facilitata l’adozione di figli interni a coppie omosessuali, aumenta la pratica dell’utero in affitto. Le poche cose che sappiamo non ci permettono di confermare tale nesso causale. Ma neanche di escluderlo. Solo uno studio sistematico sui paesi che hanno approvato questo tipo di legislazioni aiuterebbe, confrontando il prima e il dopo” è infatti un preclaro esempio di probabilismo.
Nella formulazione del teologo morale Bartolomé de Medina (1517) “se una opinione è probabile è permesso seguirla, anche se è più probabile l’opinione contraria”.
Che altro commentare? Le vie del Signore sono infinite, plus ça change, plus c’est la même chose, e quos vult perdere, dementat.
Caro Piras,
le vorrei dire una cosa.
Mi pare che lei argomenti in modo perfetto per convincere tanti che questo DDL non vada approvato, anche se apparenteemnte dice il contrario.
Inizia col dire che vietare il matrimonio agli omosessuali è discriminante. Ma questo DDL non lo consente, quindi anch’esso è discriminante.
Precisa che si è creata una disciplina specifica per gli omosessuali, e che ad essa gli eterosessuali non possono accedere, se non è discriminante questo, altro motivo per bocciarlo.
Alla fine, non mi pare che lei formuli un unico motivo per cui dovremmo trovare desiderabile che il DDL divenga legge dello stato.
Insomma, prima di leggerla, ero convinto che questo DDL dovesse passare, ma leggendola, mi ha convinto con le sue argomentazioni che è preferibile che sia bocciato, e che si proceda con un DDL più coerente.
Grazie del suo contributo.
@ roberto buffagni
… e i Marò?
(mi scuso in anticipo con la redazione, ma non potevo resistere. Censuratemi se lo credete opportuno)
P.S: se lei dichiarasse apertamente la sua posizione riguardo all’oggetto del contendere, forse il suo pubblico potrebbe giudicare con più equanimità le sue obiezioni sull’articolo, che così articolate paiono un po’ un esercizio da causidico. Ammetto che mi affascina il ricorso alla teologia morale d’antan.
Caro Buffagni,
non capisco però quali sono le ragioni che lei adduce per opporsi al matrimonio gay, o anche solo alle unioni civili. Le faccio notare che accettare queste istituzioni non implica minimamente accettare la poligamia, che è un’altra cosa, da analizzare a parte.
Sul “gesuitismo”: le chiederei di leggere con più attenzione, in quel punto mi riferivo solo all’analisi empirica del problema, che si può decidere solo con dati attendibili che non abbiamo; quindi non è decidibile. Però subito dopo dichiaro apertamente che invece, in linea di principio, la questione è decidibile. Anzi, mi sembra quasi di essere stato troppo apodittico.
Caro Cucinotta,
chiunque capisce che, dato che sostengo non solo le unioni civili, ma anche il matrimonio gay, per me questo ddl va approvato, per quanto sia lontano dai miei ideali. Però se devo dirlo esplicitamente perché tutti lo capiscano, la accontento: benché difettoso, il ddl Cirinnà va approvato così com’è, e anche di corsa, perché è sempre meglio di niente; e perché poi il “piano inclinato” farà il resto. Va meglio così?
Ma se approvassimo il ddl Cirinnà, L’Unione Europea, smetterebbe di multarci ?
O visto che il ddl è discriminatorio, comunque continuerebbe a multarci ?…
No perché le associazioni LGBT, come minimo, dovrebbero ricorrere alla corte europea e chiedere, per i loro iscritti, un’esenzione alle multe … perché altrimenti qui si configura il “Cornuto e mazziato”.
Qua ci sono le mie opinioni sul matrimonio gay etc.
Chi ne ha voglia se le va a vedere, poi se volete ne discutiamo, se possibile senza fotocopiare l’immenso, diluviale dibattito: http://www.leparoleelecose.it/?p=7419
@ Piras: secondo i suoi “principi”, cioè che uno può fare quel che vuole a patto che non danneggi altri, non vedo per niente facile distinguere la poligamia dalla monogamia (nel dibattito succitato si parla anche di questo, con il parere in materia di Derrida, che la pensa come me).
@ db Sui marò le do una notizia in anteprima: non sono marò, sono fucilieri di marina. Gliene do un’altra, sempre in anteprima: quel che a lei e a Piras pare evidente e pacifico pare completamente assurdo a una larga maggioranza degli esseri umani. Se fossi in lei di tanto in tanto un pensiero lo dedicherei, a questo fatto; ma non sono in lei.
Caro Mauro,
questa volta trovo il tuo articolo davvero equilibrato e costruttivo. Vediamo come andrà a finire. La pesante, ambigua zavorra cattolica che avete ritenuto come fondamentale componente del PD, non credo sia rappresentata solo dalla loro parte più conservatrice. Quest’ultima è spesso la più onesta, rispetto all’atteggiamento ambiguo e imprevedibile di chi ama giocare il ruolo di cattolico progressista, favorendo ambiguamente e in ultima analisi concretamente il lato normalizzatore e censorio di santa madre ecclesia…
Caro Buffagni,
sono andato a vedere, ma ho seguito il suo consiglio, e non ho guardato il dibattito fluviale di quel post, mi sono limitato ai suoi tre primi interventi lunghi. Il tempo è poco.
Anche io, come lei, non penso che il matrimonio come istituzione sia definito dall’amore, perché altrimenti il vincolo giuridico varrebbe solo finché ci si ama, cosa ben difficile da verificare. Tuttavia, trovo debole la sua tesi fondamentale, cioè che il matrimonio è l’unione di due persone al fine della procreazione, tesi da cui consegue che una unione di due persone dello stesso sesso non può essere matrimonio perché in essa la procreazione è impossibile.
Se quella tesi si fonda sul fatto che per molto tempo e in molte società i matrimoni sono stati finalizzati alla procreazione, la giustificazione è debole. Intanto i matrimoni sono serviti anche ad altre cose (alleanze tra famiglie e tra gruppi sociali, preservazione di patrimoni e di potere sociale ecc.), quindi il rapporto con la procreazione non è esclusivo. Poi, nel momento in cui un rapporto più riflessivo con la tradizione ha portato a interpretare il matrimonio come scelta libera di individui, legata a una certa idea dell’amore romantico, o alla condivisione di un progetto di vita, è diventato possibile pensare e scegliere il matrimonio anche senza legarlo necessariamente alla procreazione. Se molte persone si sposano senza volere fare figli, vuol dire che l’istituzione sociale si è trasformata in questo modo; e noti che dico “sociale”, accettando il suo presupposto che il matrimonio preceda lo stato, e quindi sia una sorta di vincolo precontrattuale, non riducibile del tutto a un semplice contratto tra parti. Il matrimonio è certamente, al di sotto del contratto che viene riconosciuto giuridicamente, anche una istituzione che assume dei significati a partire dai patrimoni simbolici e dai valori condivisi. Ma questi ultimi cambiano, e quindi quei significati cambiano, e non si può ridurre il matrimonio alla semplice procreazione. Fa parte di quei significati condivisi l’idea che il matrimonio è un progetto di vita in comune, con o senza figli, con o senza alleanze patrimoniali e parentali.
Quindi, se il matrimonio nelle società moderne viene interpretato anche così, e non solo ai fini della procreazione, come si potrebbe pensare un ordinamento giuridico che invece lo limita solo a questo fine? Definendo il matrimonio come solo di due persone di sesso diverso? No, perché anche due persone di sesso diverso spesso si sposano senza volere figli (non sto parlando della patologia di chi non può, ma della fisiologia di chi non vuole). E allora? Dovremmo forse far pagare delle multe a chi si sposa e non fa figli? O dovremmo vietare il matrimonio a chi non vuole procreare, e poi andare a controllare? L’assurdità di questi esempi mostra che al matrimonio non può essere imposta dall’ordinamento giuridico (cioè dallo stato) una finalità che le persone scelgono liberamente a partire dal proprio patrimonio culturale. Non si può forzare il corso della risemantizzazione continua delle parole e delle istituzioni, che è il corso della storia.
E poi non si può riavvolgere il nastro della separazione dell’individuo dai ruoli sociali trasmessi. Il rapporto con i ruoli sociali è riflessivo, e il tentativo di irrigidire normativamente (cioè giuridicamente) i ruoli sociali, definendo come devono essere interpretati, diventa subito totalitario, perché la società pluralista non riesce a imporre da sé questa omogeneità interpretativa, e allora se ne fa carico lo stato, che si assume il compito di dire ai singoli quale deve essere la vita che devono fare.
Ecco perché l’unico punto di vista da cui si può partire, secondo me, è l’accettazione delle scelte delle persone, scelte che non sono fatte da atomi irrelati, ma da individui concreti con una storia e una cultura, ma spesso con storie e culture diverse; ecco perché uno stato che vuole essere democratico, e che non vuole imporre con la forza una totalità etica che non esiste più (se mai è esistita), lascia che siano i singoli a riempire di significato il matrimonio, che diventa semplicemente un contratto tra parti finalizzato a un progetto di vita comune. Il progetto lo riempiranno le parti, cioè la società con la sua pluralita di prospettive, e non il monologo totalitario dello stato.
Caro Piras,
non avevo dubbi in proposito, nè ambizioni di farle cambiare opinione, le stavo solo comunicando che trovo le sue motivazioni autocontraddittorie, tutte basate su una presunta discriminazione iniziale, ma che poi approdano al risultato paradossale di aggiungere a quella che lei presume perchè come lei dice non la elimina, un’ulteriore discriminazione.
Che logica c’è nel promuovere una legge che ha la finalità di eliminare una presunta discriminazione se il risultato è di duplicarla?
Mi colpisce (e lo stupore è riemerso già leggendo il titolo di questo post, così tranchant nel dichiarare che un problema non esiste) la nettezza delle contrapposizioni che nell’Italia di questi giorni si producono anche tra gl’intellettuali, cioè tra coloro che forse più di altri potrebbero tener conto della complessità dei problemi e affrancarsi dalla tendenza – che nei politici è, forse, talora necessaria – ad esprimersi con certezza su questioni che sono oggettivamente (cioè : storicamente, statisticamente, geo-culturalmente) controverse.
Nonostante l’eleganza e la perizia con cui sono disposte, in effetti, alcune delle argomentazioni di questo post potrebbero utilmente temperarsi combinando i diritti di chi rivendica l’adozione del figliastro da parte di persone dello stesso sesso da un lato, e da un altro gli diritti dei bambini a potersi orientare nel proprio panorama familiare e sociale.
Beninteso: non voglio affermare con sempiterna certezza – perché non dispongo di sempiterne certezze – che ogni bambino (anzi, ogni individuo) ha in linea di massima diritto a poter riconoscere un padre e a una madre. Giacché la società cambia, e la mentalità degli uomini pure (molto meno o molto più lentamente, sospetto, quella dei bambini). Ma che tale eventuale diritto meriti ancora di essere preso in considerazione, alla luce della conoscenza della storia occidentale, della tragedia greca e delle favole dei Grimm (intese come prodotto letterario di un sedimento antropologico di assai lungo periodo), nonché dell’esperienza quotidiana di genitore del ventunesimo secolo, mi pare come minimo consigliabile.
A meno, naturalmente, di non considerare ininfluenti o inattingibili le aspettative dei bambini o in generale dei figli, anche adulti – col che tuttavia si aprirebbe la strada, credo, a una pericolosa serie di conseguenze logiche.
So bene che, come l’autore del post ricorda giustamente nel post, molti Paesi hanno già preso decisioni nette su questo che egli chiama in un suo intervento qui sopra « piano inclinato » (inclinato verso dove? mi vien da chiedermi, serenamente, e con quale percentuale di pendenza? Quella di un dolce scivolo o quella di un precipizio?).
Ma ciò che – di nuovo – in Italia non viene sempre ricordato, forse per amor di semplificazione, è che esistono pur sempre molti Paesi nel mondo, anche molto avanzati da tanti punti di vista (ad esempio quello in cui vivo, la Svizzera) in cui non solo la genitorialità surrogata è una pratica illegale, vietata financo – seppure obliquamente – da una recentissima Costituzione; ma per conseguenza la possibilità di riconoscimento posteriore a situazioni che ne discendano è di solito negata in sede giudiziaria. Un principio che la legge in discussione in Italia rovescia semplicemente, stabilendo in sede legislativa la sanzione posteriore di una pratica sulla quale la legge stessa non si esprime, e facendo prevalere i diritti dello status quo su quelli che si possono discutere in principio.
Che il riconoscimento giuridico della possibilità di adottare figli ottenuti con tali pratiche rappresenti un’indiretta, e piuttosto ipocrita, legittimazione di esse, sembra evidente a molti. E qui non è questione di quantità: se anche la maternità surrogata non fosse statisticamente incentivata da questa legge, è chiaro che essa ne verrebbe coonestata nei risultati.
Dico questo per dire che accanto al comprensibile riconoscimento di modelli familiari e parentali i più svariati, non mi pare si ponga, nel post, il problema dell’altrettanto legittimo riconoscimento di modelli sociali distinti, rispettosi delle differenze di storia e cultura, dei quali gli ordinamenti statali sono, o cercano di essere, il coerente riflesso (proprio per questo, tra parentesi, non è affatto detto che tutti gli ordinamenti debbano necessariamente regolarsi nello stesso modo): gli Stati Uniti, spesso menzionati come Paese ultraliberale in fatto di pratiche genitoriali, si dividono notoriamente tra Stati in cui le pratiche in questione sono possibili, e Stati in cui sono vietate. Non me la sentirei davvero, in questo come in molti altri casi, di distribuire o di negare patenti di civiltà o di progresso.
Sarà forse un problema mal posto, insomma, ma l’adozione da parte di coppie omosessuali del figlio biologico di uno dei due sposi (vogliamo chiamarli così?) che, se la logica vale ancora, è necessariamente frutto di una pratica giuridicamente controversa a livello globale (a meno di trascorsi eterosessuali di almeno uno dei due componenti della coppia), a me pare un problema vero. Magari risolvibile col tempo (molto tempo), ma forse non liquidabile come un “falso problema”, a pochi anni di distanza dall’introduzione di tecniche che per millenni sono state semplicemente impensabili. Affidarsi, per la sua risposta, alla caratura media della classe politica dell’Italia e ai ritmi di un disegno di legge – o di un blog – mi sembra come minimo rischioso.
P.S. Vorrei precisare che, pur essendo cristiano, non sono cattolico e che nel paese in cui vivo la confessione religiosa è registrata all’anagrafe, come la residenza o lo stato di famiglia: sono protestante, e anche per questo non posso che riguardare con perplessità al fatto che il dibattito su questi temi continua a svolgersi in Italia richiamandosi a categorie quali il cattolicesimo o la laicità. Posso assicurare che, riguardati da certe latitudini, cattolicesimo e laicità (o laicismo) appaiono, nella loro declinazione italiana, tipici esemplari di macchia mediterranea perfettamente omogenei – per forma mentis e costumi argomentativi – nella loro solo apparente discordia interna.
Riconosco, Mauro, che tu hai approfondito molto di più il problema, anche se non sono convinto che si debba affrontare tutto esclusivamente in termini di diritti individuali degli adulti.
Aggiungo qualche mia considerazione e riflessione successiva al dibattito svoltosi al PD l’altra settimana sul DDL Cirinnà.
Innanzitutto ho apprezzato della serata il taglio serio, misurato e problematico che si é dato alla questione, a partire dall’introduzione.
Sono d’accordo come sostenuto nell’introduzione alla serata che il DDL é un tentativo di mediazione fatta anche alla luce del buon senso.
Pur apprezzando la chiarezza della Saraceno, mi pare insufficiente la sua tesi che siccome le relazioni umane etero e omo sono ormai solo più basate sull’affetto, devono essere considerate tutte equivalenti. Su questo si basa il diritto ad omologare i matrimonio e le relazioni omo. Credo che in questo modo venga sottovalutato il fatto che il matrimonio tradizionale conserva anche una funzione sociale non trascurabile; infatti ha oggi una prima finalità affettiva certamente, ma ha anche una finalità pur secondaria di riproduzione, che non può essere trascurata. Il che non deve comportare che la società e lo stato non debba riconoscere anche giuridicamente tutte le relazioni affettive e sessuali, ma non dimenticare che finché la riproduzione non diventerrà un fatto puramente tecnico, é bene non dimenticare che il matrimonio tradizionale conserva tuttora anche una funzione sociale, senza che con questo lo stato debba imporre ovviamente alcun obbligo sociale a chicchessia.
Del resto se riconosciamo una funzione sociale all’impresa privata, sarebbe ben strano non riconoscere una funzione sociale al matrimonio, e non solo la soddisfazione di sacrosante esigenze affettive individuali.
E quindi io condivido il riconoscimento dei diritti alle relazioni omo con tutti i conseguenti benefici economici sostenibili, ma non la totale equiparazione al matrimonio. E questo almeno fin quando non sarà affidato alla tecnica il problema della riproduzione, ma allora (e forse ci siamo anche vicini) altri scenari più complessi si apriranno.
Più nello specifico del DDL Cirinnà, e a proposito delle adozioni, sono dell’avviso che le adozioni vanno fatte nell’esclusivo interesse di bambine e bambini. E quindi non possono essere fatte in modo automatico fra coppie omo come diritto alla genitorialità, ma solo con un percorso specifico che valuti tutti gli aspetti (a partire dal fatto che il bimbo non venga abbandonato) e che abbia di mira solo il bene e l’interesse del bambino.
Inoltre, considerando che già le adozioni nell’ambito delle “coppie ordinarie” presentano molte difficoltà ad avere degli esiti positivi e richiedono quindi molta attenzione, a maggior ragione io ritengo che si debba avere molta prudenza e attenzione nei casi di coppie omo, senza parlare poi del rischio di favorire l’utero in affitto e la mercificazione delle nascite.
Nell’ottica comunque che bisogna favorire una saggia evoluzione dei diritti degli adulti, senza rendere una variabile del tutto subordinata i diritti dei bambini.
@ Buffagni
Io sono per la vulgata: ad essere entrati nel mito sono i “Marò” e non i “fucilieri della marina”, e preferisco il mito alla nomenclatura. Per il resto, ho letto i suoi interventi nel post di Buffoni e ho tutto più chiaro. Credo sia inutile discuterne, io negherei il fondamento delle sue opinioni e lei negherebbe il fondamento delle mie. A me niente pare evidente e pacifico, non ho fede né in Dio né nella Natura né nella Ragione né nel Progresso. Non ho alcun interesse a difendere l’istituzione del matrimonio, etero o omosessuale, monogamo o poligamo che sia. A fini giuridici, non reputo necessario stabilire se l’omosessualità (o la bisessualità, la pansessualità ecc.) siano giustificabili per via naturale o culturale (ammesso sia mai possibile); vedo solo una forza sociale che preme per ottenere una parificazione nel diritto, e decido di schierarmi con questa forza. Troppo facile, mi dirà, ma non ho il tempo e la voglia per entrare nel merito, e non credo che questa sia la sede adatta. Naturalmente m’interessa conoscere le ragioni del partito avverso, e per questo le ho chiesto chiarificazioni. Le ho avute, la ringrazio.
@ .dp.
Si è letto tutti i pistolotti di Buffagni?
Complimenti.
Caro Giorgio,
grazie per l’apprezzamento. Purtroppo i fatti stanno dimostrando che più della zavorra cattolica del Pd può la bassa tattica politica del M5S.
Caro Cucinotta,
questo Ddl diminuisce la discriminazione, per quanto solo parzialmente, e questo è meglio che lasciare le cose come stanno. Questo è il fatto, al di là dei suoi ragionamenti che non riesco a seguire.
Caro “papà perplesso”,
da qualche tempo non rispondo più ai commenti non firmati. Farò un’eccezione per lei, visto il tono garbato delle sue critiche.
Non si soffermi sul titolo, l’ho messo di fretta, e forse volendo provocare; del resto non rende giustizia all’articolo, perché invece analizzo il problema della “stepchild adoption”, dimostrando così che non è un falso problema.
Quanto alla sostanza.
Più volte ho sottolineato nel testo che il problema, per me, non sono i diritti degli adulti, ma quelli dei bambini: se esistono già dei bambini nelle coppie omosessuali dobbiamo negargli i diritti solo perché sono nati in quelle coppie? E questo vale anche se i loro “genitori” li hanno avuto con pratiche illegali: i figli dunque dovrebbero pagare le colpe dei padri?
Ho detto che parto dall’assunto che la maternità surrogata sia illegale, non la difendo. Ma ho cercato di mostrare che anche così non si vede perché si debbano ledere i diritti dei bambini nati nelle coppie omosessuali. Sottolineo comunque che circa l’80% delle coppie che ricorrono alla maternità surrogata sono eterosessuali.
Il mio ragionamento non esclude che ci possano essere ordinamenti diversi nei diversi stati, legati a tradizioni nazionali ecc. In fondo, il ddl Cirinnà è una forma di adattamento di questo tipo. Tuttavia, se un ordinamento vuole essere democratico, ci sono principi di eguaglianza che non si possono violare. Altrimenti non è democratico; non è un dramma, si possono scegliere ordinamenti politici diversi, bisogna solo esserne consapevoli.
Sul rapporto con la religione in questo terreno concordo con lei: la laicità è una condizione condivisa da cittadini credenti e non credenti, non è la linea di confine di un conflitto (ormai vecchio e dannoso) tra coscienze religiose e non.
Caro Buffagni,
ho dimenticato la questione della poligamia. Mi permetta di dire che non c’entra niente. Non è un argomento razionale dire al proprio interlocutore: se difendi x allora poi difenderai anche y. E’ un modo per non argomentare contro x.
In ogni caso: la questione delle coppie omosessuali ora si pone concretamente, quella della poligamia no. Non si pone perché ovviamente l’unica poligamia di cui si potrebbe discutere in una democrazia sarebbe quella egualitaria, in cui sia uomini che donne possono avere più coniugi. Se fosse asimmetrica, cioè garantita solo agli uomini, sarebbe esclusa a priori. Non mi sembra che ci siano movimenti che reclamano il primo tipo di poligamia. Quando capiterà, la analizzeremo. Ho dei dubbi che sia difendibile. (Tra parentesi io ho anche dei dubbi seri sulla maternità surrogata, quindi come vede dalla mia difesa del matrimonio gay non discendono necessariamente altre cose.)
Caro Renato,
grazie per queste osservazioni.
Ti rispondo sui singoli punti.
1) Io non credo come Chiara Saraceno che i matrimoni gay vadano concessi perché il legame di coppia si basa solo sull’affetto; io credo che la ragione sia la necessità di preservare la condizione di eguaglianza dei cittadini, che invece viene violata se alcuni cittadini, solo perché hanno un certo orientamento sessuale, non possono accedere a certe istituzioni; non penso cha la “funzione sociale del matrimonio”, cioè la riproduzione, possa essere una ragione contro i matrimoni gay, perché questa funzione sociale è solo un modo di interpretare il matrimonio, e quindi una scelta di vita, e lo stato non può imporre questa scelta di vita; lo stato può promuovere la famiglia e la generazione dei figli, ma non può imporre come unico modo di vedere il matrimonio la funzione riproduttiva, perché altrimenti potrebbe imporre dei fini sociali a qualsiasi scelta individuale.
2) Anche io penso che il punto di partenza deve essere il diritto del minore. E’ proprio per questo che la stepchild adoption deve essere estesa anche alle unioni civili: se questo non accadesse, tutti i figli presenti in coppie omosessuali sarebbero meno tutelati, proprio in questo caso rischierebbero di essere abbandonati almeno da una delle persone con cui vivono, dal momento che il genitore non biologico non ha nessun obbligo giuridico nei loro confronti. Questo vale in primo luogo per bambini nati da precedenti relazioni eterosessuali. Se poi parliamo di bambini generati da coppie omosessuali, in diversi modi, legali o illegali, il principio vale lo stesso: questi bambini non dovrebbero avere diritti perché i loro genitori hanno adottato una pratica illegale per farli? e poi alcune di queste pratiche possono essere legali. Togliere i diritti ai bambini non impedirà alle coppie omosessuali di avere comunque un figlio; avrà il solo risultato di togliere i diritti ai bambini. Il problema non è il “diritto alla genitorialità”, ma gli eguali diritti delle persone adulte (eguale diritto a unirsi in vincoli stabili, anche matrimoniali) e dei minori (eguali diritto, comunque si sia nati, ad avere dei genitori che abbiano degli obblighi nei confronti dei minori stessi).
comunque non abbiamo nulla da nascondere, intellettualmente parlando, e dunque sì, non ci sono obiezioni razionali né costituzionali alla poligamia.
Inserisco solo una briciola nella discussione: le donne lesbiche non hanno bisogno dell’utero in affitto. Però è importantissimo che il figlio biologico di una donna lesbica legata ad un’altra non perda la famiglia in cui è cresciuto (con due donne) in caso di perdita della madre biologica. E poi, se in una coppia di lesbiche avvenisse una separazione, la madre biologica avrebbe tutti i diritti sul figlio da lei nato, mentre l’altra, che magari lo ha ugualmente desiderato, allevato e amato, potrebbe essere messa fuori campo senza far rumore.
Una briciola per dire che la questione riguarda anche le donne e i loro diritti, e la storia di questi loro diritti.
Aggiungo una briciola sui bambini per introdurre un punto di vista forse troppo ‘emotivo’ per chi qui discute, ma che mi impegna personalmente, da tempo, in una forte militanza a favore del riconoscimento giuridico e sociale delle coppie omosessuali e del loro diritto di adottare bambini. Certamente l’immagine sociale della famiglia omosessuale in cui i bambini vengono allevati può diventare problematica per loro; ma questo si diceva un tempo anche dei figli dei separati, dei figli di N.N., eccetera, situazioni a cui oggi siamo ampiamente abituati. Oggi per un bambino dire che i genitori sono separati, e che magari la loro è una famiglia ricomposta, è quasi come dire “io ho la macchina rossa e tu ce l’hai blu”. Per un bambino è invece un problema, un vero problema, non avere un tetto, non avere un letto, non avere cibo, non sentire intorno una presenza adulta che veglia su di lui con tutte le sue forze, fisiche e mentali. Come e con chi fa sesso questo adulto, il bambino arriva a capirlo solo dopo, dopo che ha stretto la mano di quell’adulto per strada, o prima di addormentarsi, insomma dopo mille gesti che hanno significato per lui stare in un luogo sicuro, che avrà imparato a chiamare ‘famiglia’.
@ Ares
No, ho letto solo il necessario per capire. Grazie, comunque.
Caro Piras,
una discussione razionale su questione etica esigerebbe un accordo di fondo in merito a ciò che è bene per gli esseri umani, come una discussione razionale su questione scientifica esige un accordo di fondo in merito a che cosa sono la pratica scientifica e una definizione scientifica.
Questo accordo di fondo non c’è. Per molti versi, il mondo moderno è definito proprio dall’assenza di questo accordo di fondo. Conseguenza uno: le discussioni razionali sull’etica sono impossibili; nessuno può perderle o vincerle sul piano razionale (neanche quando discute con se stesso). Conseguenza due: se ogni giudizio di valore è NIENT’ALTRO che l’espressione di una preferenza individuale, ogni scelta etica è insieme arbitraria e valida quanto le altre (a patto, naturalmente, che la sua scelta non danneggi altri: e qui però si apre il dibattito su che cosa significhi “danneggiare”, che in caso di danni fisici è facile, in caso di danni morali o sociali impossibile perchè se manca l’accordo di fondo su cosa è bene manca anche l’accordo di fondo su che cosa è male). Conseguenza tre: se le discussioni razionali sull’etica sono impossibili è impossibile persuadere, e dunque si deve coartare, con la forza e/o con l’inganno e la manipolazione.
Il liberalismo asserisce che ognuno ha il diritto di perseguire la felicità a modo suo; e siccome le versioni di felicità dei vari individui sono incompatibili (a qualcuno piace il matrimonio omosessuale e la maternità surrogata, a qualcun altro no, qualcuno vuole la tassazione progressiva, qualcun altro no, qualcuno dice aborto legale sì, qualcuno dice aborto legale no, etc.) la vita politica ordinaria diventa una guerra civile a bassa intensità. Poi a volte scappa la mano, e diventa una guerra civile vera e propria.
Lascio quindi perdere la discussione nel merito, che vista l’incompatibilità dei rispettivi principi è effettivamente impossibile, e mi limito a un invito: stiamo attenti a non farci scappare la mano.
Nella fattispecie, un modo di farsi scappare la mano sarebbe il seguente. Si legalizza il matrimonio omosessuale, con o senza utero in affitto, poligamia, etc. C’è parecchia gente (non solo i cristiani) secondo la quale questa cosa non va affatto bene. Lasciamo perdere se abbia torto o ragione, visto che è impossibile determinarlo razionalmente.
Dopo il varo della legge, questa gente a cui non va affatto bene non può più sostenere pubblicamente quel che pensa, e agire di conseguenza.
Certo, non sarà obbligata a sposare persone del proprio sesso. Però non potrà più insegnare a scuola e all’università che questa cosa non va bene e perchè, sennò viola il diritto di chi la pensa diversamente, che ha dalla sua una legge dello Stato. Se pensa a una carriera accademica, giornalistica, scolastica, dovrà nascondere quel che pensa in merito, altrimenti la terminerà prima ancora di iniziarla, e quindi o dovrà rinunciare a quel mestiere, o condannarsi a una vita di impostura. Potrà forse (forse) dirlo in chiesa o nel suo circolo del bridge, ma non potrà pubblicarlo neanche sul bollettino parrocchiale senza rischiare una querela (garantita se passano le leggi “antiomofobia”). Non potrà rifiutarsi di collaborare alle pratiche connesse con il matrimonio omosessuale etc. (per esempio, se possiede un ristorante non potrà rifiutarsi di accogliere il pranzo di nozze di una coppia same sex, la festa per l’arrivo della cicogna in affitto, etc.; se è medico o infermiere, non potrà rifiutarsi di cooperare alle gravidanze a noleggio). Eccetera. Queste conseguenze non me le invento io, sono già tranquillamente operanti negli Stati Uniti, se si vuole verificare basta fare una ricerca su internet.
In buona sostanza, questa gente che per ragioni sue, giuste o sbagliate che siano, trova sbagliate e cattive le suddette pratiche verrà posta di fronte alle seguenti alternative: allinearsi, autoesiliarsi da una parte molto rilevante della vita pubblica, reagire. E siccome reagire con gli argomenti razionali non serve a niente perchè è impossibile persuadersi reciprocamente senza un accordo di fondo sui principi, dovrà reagire con altri mezzi. Specifico che questa non è una minaccia, non minaccio nessuno. E’ una semplice previsione, corroborata da fatti.
@Buffagni,
ha proprio finito gli argomenti..
Comunque si, gli omofobi, così come i razzisti e i sessisti devono nascondersi e vergognarsi.
Caro Ares,
se anche esistesse, nel nostro mondo, un accordo di fondo su che cosa è bene e male per gli esseri umani, con persone come lei sarebbe vano discutere.
Ringrazio Piras per il post. Troppo spesso si racconta che i diritti sarebbero in contrasto con tradizioni e modi di comportarsi che sarebbero radicati nella storia della (nostra?) civilta’. E’ un argomento che non mi ha mai convinto. Sulla storia del matrimionio e delle pratiche coniugali, vorrei segnare il lavoro dello storico Faramerz Dabhoiwala, che mostra bene come le tradizioni e la storia di questa istituzione racchiudano quella diversita’ che spesso si sente attribuire alla condizione (post-)moderna:
http://www.theguardian.com/books/2015/jan/23/-sp-secret-history-same-sex-marriage
http://www.dabhoiwala.com/Faramerz_Dabhoiwala_-_Home.html
http://www.theguardian.com/books/2012/feb/10/origins-of-sex-faramerz-dabhoiwala-review
In realta’ i diritti servono proprio a permettere a diverse tradizioni e modi di vita di continuare a esistere nel rispetto reciproco – e’ il tema della tolleranza.
Carissimi tutti, e soprattutto caro Buffagni,
ero indeciso se intervenire — sostanzialmente perché mi pare di aver già parlato abbastanza in momenti precedenti (sapete, io mi stanco prima di tutto di me stesso che degli altri, una sindrome non diffusissima…). Ma poi, di fronte alle paure di Buffagni, non ho resistito. Carissimo Buffagni, dicevo, se non ci sono criteri oggettivi sull’etica, perché dovrebbero esserci criteri oggettivi sulle previsioni di guerra civile che la ossessionano da un po’? Sa, queste sono le cosette che insegno ai miei studenti i primi giorni: le argomentazioni scettiche, ovunque vengano proposte, si autoconfutano. Quindi, delle due l’una: 1. o ci sono criteri oggettivi su che cosa è bene e male per gli esseri umani (e magari non sono i suoi), e c’è un progresso morale, e prima o poi ci arriveremo, non con la persuasione a lei cara, ma con la discussione ragionevole (di cui l’intervento di Mauro, che ringrazio, fa parte); 2. oppure, non ci sono criteri oggettivi su niente, e quindi chissà se ci sarà la guerra civile se si approva la Cirinnà, oppure non ci sarà, oppure diventeremo tutti poligami, o appassionati di backgammon, o di Perec, o ci estingueremo senza saperlo. O forse, in realtà, ci siamo già estinti, e questo è un sogno….
Si confronti su questa argomentazione, dal momento che si appassiona.
Consideri queste tre affermazioni:
1. Esisterà prima o poi un’intelligenza capace di produrre una simulazione virtuale completa del mondo;
2. Quest’intelligenza avrà un qualche motivo per farlo;
3. In questo momento, noi viviamo dentro una simulazione virtuale, che riproduce tutto — compresi i nostri cervelli e le nostre idee –, prodotta dai nostri lontani discendenti.
Se 1. e 2. sono anche minimamente probabili, allora 3. ha qualche probabilità. Ma se 3. ha anche una minima probabilità, la mia credenza adesso che 1. e 2. siano anche minimamente probabili, o improbabili, non può essere, letteralmente, vera. Perché è prodotta dall’illusione. Ma in effetti, se siamo dentro una realtà virtuale, come possiamo essere sicuri che 1. e 2. abbiano qualche probabilità? E allora, e così via.
La preferivo quando faceva il razionalista teologizzante….
Caro Pellegrino,
Q.E.D.: guardi che la mia NON è un’argomentazione scettica, semmai l’esatto contrario.
E’ semplicemente una constatazione. In altri momenti storici, c’è effettivamente stato un accordo di fondo su che cosa è bene per gli esseri umani (con differenze anche molto importanti, certo, e i conflitti che ne conseguivano). Adesso, no.
Se può essere utile un riferimento bibliografico, una constatazione simile la fa Alasdair MacIntyre in apertura di “After Virtue” (1981). E’ un testo che ha venduto centinaia di migliaia di copie, e che ha prodotto una letteratura secondaria enorme: quindi non si tratta di un parere clandestino, esoterico o esclusivamente personale.
Aggiungo che “persuasione”, almeno nel vocabolario che uso io, è il risultato di una discussione razionale. Partiamo da un accordo di fondo su qualcosa (che può essere “che cosa è bene per gli esseri umani”, ma anche “come funziona il gioco degli scacchi”). Tu pensi una cosa, io ne penso un’altra, discutiamo razionalmente, e alla fine della discussione, è possibile che tu resti persuaso che ho ragione io, o viceversa (o magari ci accorgiamo di avere torto entrambi).
Se invece partiamo da un disaccordo di fondo – se per esempio tu presupponi che la scacchiera ha 64 caselle e che la torre si muove in linea retta, io presuppongo che ne ha 328 e che la torre si muove in diagonale – ci sarà impossibile discutere razionalmente e persuaderci reciprocamente di qualcosa.
Spero di essere stato chiaro.
Lei poi mi invita al confronto con la sua argomentazione in tre punti. Be’, se i ricordi del liceo non mi ingannano, va confrontata con l’argomentazione cartesiana delle “Meditazioni metafisiche”, che lei ha digitalizzato e aggiornato. Risultato: trovo più stimolante l’originale.
Quanto alle previsioni di conflitto sociale e discriminazione dei dissenzienti dal politically correct imposto per legge che derivano da questa situazione: visto che lei insegna, le cito alcuni casi USA in ambito scolastico e uiniversitario. Come vedrà, anche qui non mi invento niente. Si metta nei panni di chi la pensa diversamente da lei, e veda un po’ come reagirebbe.
http://www.theamericanconservative.com/dreher/note-from-the-academic-christian-underground/
http://www.theamericanconservative.com/dreher/emory-faculty-thoughtcrime-tribunals/
http://www.buzzfeed.com/chrisgeidner/massachusetts-court-catholic-school-cant-refuse-to-hire-marr#.mjRp6GEM7O
http://www.theamericanconservative.com/dreher/erroneous-christian-schools-have-no-rights/
http://www.firstthings.com/web-exclusives/2014/10/a-tale-of-targeting
http://www.thepublicdiscourse.com/2015/07/15381/
http://www.theamericanconservative.com/dreher/agreement-conformity-virtue-signaling/
Quest’ultima è particolarmente interessante. Parla un professore ordinario di giurisprudenza di una delle maggiori università americane: “a practicing Christian, deeply closeted in the workplace; he is convinced that if his colleagues in academia knew of his faith, they would make it very hard for him.”
http://www.theamericanconservative.com/dreher/the-post-indiana-future-christian-religious-liberty-gay-rights/
“…A college professor who is already tenured is probably safe. Those who aren’t tenured, are in danger. Those who are believed to be religious, or at least religious in ways the legal overculture believes constitutes bigotry, will likely never be hired. For example, the professor said, he was privy to the debate within a faculty hiring meeting in which the candidacy of a liberal Christian was discussed. Though the candidate appeared in every sense to be quite liberal in her views, the fact that she was an open Christian prompted discussion as to whether or not the university would be hiring a “fundamentalist.”
“I think in terms of hiring people [within the academy], that’s quite acceptable in people’s minds,” said Kingsfield. (And, I would add, not just within the academy.)…”
Negli interventi di Gianfranco Pellegrino, che sono stati e sono ammirevoli per la perseveranza e l’impassibilità con cui riesce a incassare e neutralizzare i colpi che gli assesta l’ottimo Buffagni, ricorrevano assai spesso, quando doveva dare delle risposte, gli avverbi della procrastinazione, come “tardi”, “più tardi”, “dopo” ecc. Questo profluvio di avverbi temporali, del quale anch’io ho fatto le spese, non avendo Pellegrino ritenuto né opportuno né doveroso rispondere al mio intervento, mi fa pensare che il sullodato risponda dall’al di là e che sia dunque, in un certo senso, prepostero a se stesso. Nulla di male; ciascuno è libero di scegliersi il tempo in cui situare i ritmi e le cadenze del suo discorrere, del suo dialogare, del suo replicare. In effetti, per chiunque abbia avuto la pazienza di seguire questa discussione (siamo già alla seconda puntata e Piras ha dato il cambio a Pellegrino) non vi è alcun dubbio che, sotto l’aspetto del ‘logos’ e del ‘pathos’, qualcuno è stato “asfaltato” (come è stato detto con un vocabolo desunto dal fine idioma renziano) e qualcun altro è prevalso. Ciò detto, siccome il tema è stato ampiamente sviscerato e il saggio ammonimento che “contra negantes principia non est disputandum” è sempre valido, sarebbe una buona cosa voltare pagina e passare ad altri argomenti.
Anche perché non ci vuol molto a capire quanto sia politicamente strumentale e socialmente supervacanea la bagarre parlamentare sul ddl Cirinnà che dovrebbe regolare le “unioni civili”: una vera e propria strategia della “distrazione di massa”, fedelmente echeggiata ed amplificata per settimane e settimane, “usque ad nauseam”, dai principali ‘mass media’. In realtà, il governo Renzi e le forze politiche che lo sostengono hanno sollevato un gran polverone su una proposta di legge che, al di là dell’affermazione di alcuni “diritti civili”, non rappresenta alcuna alternativa sociale e non attenua minimamente le devastanti politiche antioperaie e antipopolari, la cancellazione dei diritti politici, economici e sociali (si pensi all’art. 18), che lo stesso governo attua secondo le direttive dell’Unione Europea e gli imperativi dei monopoli capitalistici. Una nube di polvere che serve sia a nascondere la drammatica realtà economica e sociale (di cui pagano il costo anche quelli che dovrebbero beneficiare delle “novità” della legge Cirinnà), sia a proseguire sulla strada delle controriforme e della demolizione delle conquiste dei lavoratori (strada sulla quale, a differenza che nel dibattito sul ddl Cirinnà, il Pd procede monolitico e compatto come un carro armato).
Due esempi bastano ad illustrare questo equivalente parlamentaristico della ‘drôle de guerre’: con una mano si agita il diritto del convivente a sostenere nelle cure mediche il proprio partner e con l’altra si continua a tagliare la sanità pubblica; con una mano si stabilisce la pensione di reversibilità per il partner superstite e con l’altra si propone di tagliarla per chi ha perso il coniuge. È del tutto evidente che il governo Renzi fa molta propaganda, ma non svolge alcun ruolo che meriti di essere definito “progressista” o “sociale”. Del resto, le forze liberal-riformiste non si propongono di trasformare radicalmente i presenti assetti sociali, ma si limitano a prospettare “libertà individuali” che nove volte su dieci sono le libertà dei ricchi. La verità è che nel quadro del sistema capitalistico l’uguaglianza e l’emancipazione sociale delle donne e degli uomini non possono essere realizzate, poiché le lavoratrici e i lavoratori sono schiacciati economicamente, politicamente e culturalmente. Ma questo significa, per converso, che la liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento capitalistico, da tutti quegli ostacoli che mutilano le capacità delle lavoratrici e dei lavoratori, impedendo la loro attiva partecipazione alla vita sociale e alla produzione, potrà realizzarsi integralmente solo in una società nella quale sia abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione, nonché riconosciuto e garantito ad ogni essere umano il diritto al lavoro.
Buffagni, che ammirazione ho io per il suo tempo, per il tempo che ha, e la pazienza — dovevo dirglielo la volta scorsa, poi sono stato preso dall’inizio del semestre.
Allora, grazie per quei casi, me li guardo, anche se sospetto che se ne possano trovare di contrari, in altre parti del mondo. Ma me li guardo con calma.
Ma la sua è un argomentazione scettica. Perché, se uno non è scettico, che non ci sia accordo — non c’è mai stato sulle questioni morali — non sarebbe troppo rilevante, né impedirebbe una discussione razionale. Perché non c’è mai disaccordo completo, se uno non è scettico, su tutti i presupposti. E, inoltre, anche se ci fosse un disaccordo completo a un certo momento, c’è un progresso morale, le persone cambiano idea — e il disaccordo non è l’incomunicabilità, ché senno’ non è disaccordo, è parlarsi addosso senza capirsi.
MacIntyre, del cui libro ho anch’io una copia (deve stare da qualche parte, in soffitta, l’edizione italiana; l’inglese ce l’ho in file), e che è sopravvalutato, prende quella cosa dalla Anscombe (Modern Moral Philosophy, ha presente?), e non la capisce. La Anscombe si riferiva al venir meno delle premesse teologiche di un certo uso di concetti morali tipicamente giusnaturalistici, come dovere e diritto. E, dato il venir meno di quelle premesse teologiche — o meglio dell’accordo su quelle premesse — invitava più o meno a rinvigorire una diversa teologia, e a ritornare alla nozione di virtù. Anscombe come MacIntyre pensavano che questa cosa fosse tutta colpa dell’illuminismo. MacIntyre non è del tutto scettico, anche se ci si avvicina, perché con quella storia delle tradizioni — è un libro che viene dopo, meno venduto, anche perché in Italia tradotto da casa editrice minore — pasticcia con l’idea che ogni tradizione abbia la sua verità.
Ma a me interessa la sua di argomentazione, non quella degli altri. E lei sembra dire che, dato che manca l’accordo, non si può discutere, e che c’è il rischio di una nuova ortodossia censoria del politicamente corretto. Sempre semplificando alla buona, ché io sono meno sofisticato di lei. E io rispondo che se c’è una verità morale — per esempio alcune di quelle che lei nei suoi precedenti interventi usava come premesse — prima o poi viene alla luce, e s’impone, senza censura.
Sarà che sono ottimista. Ma sono questioni generali, in realtà, rispetto all’intervento di Mauro.
Grazie dell’elenco, molto interessante. Stia sereno… ops…
Barone, abbia pazienza, e mi scusi se la disturbo in qualche modo. Lei ha ragione, dico spesso più tardi, e poi non rispondo, ad alcune cose, non a tutte. Ma il fatto è che non scrivo dall’al di là di cui parla lei. E’ che l’al di qua è incasinato assai di incombenze. Sa, la prosa della vita quotidiana.
Abbia pazienza, ripeto. Come ce l’ha, mi pare, l’ottimo Buffagni. Sa, questo è un caffè letterario, non un lavoro a tempo pieno. E io ho la pressione alta, non posso prendere troppi caffè.
Sull’asfaltato, e il Bachtin di Rignano sull’Arno che ormai abita stabilmente nelle nostre teste, ho già dato anch’io, nel precedente commento.
Caro Pellegrino,
si vede che oltre ad avere presupposti diversi, abbiamo anche un diverso senso dell’umorismo.
Lei fa lo spigliato, suggerisce che ho tempo da buttare, dice che MacIntyre è un poveraccio sopravvalutato, porta zero argomenti, butta lì qualche spiritosaggine che non mi fa sorridere, e poi conclude con una vera e propria presa per il culo: “io rispondo che se c’è una verità morale — per esempio alcune di quelle che lei nei suoi precedenti interventi usava come premesse — prima o poi viene alla luce, e s’impone, senza censura.”
Questa presa per il culo significa: “Vi censurano sui media, vi chiamano in tribunale se esprimete le vostre opinioni, vi escludono dalla scuola e da altri settori della vita pubblica? State sereni, il tempo è galantuomo, se avete ragione ve la darà.”
Complimenti, è un vero filosofo lei: la sua filosofia si riassume nell’aurea massima: “Hai perso? e allora hai torto. Quando vincerai avrai ragione. Ma non te la prendere, il mondo gira, verrà anche il tuo turno.”
E quando gli attuali perdenti vinceranno, se ne desume che lei sarà più che lieto di cambiare opinione.
E’ la più antica scuola filosofica del mondo, caro Pellegrino.
Buffagni, uffa, che tetro che è lei, sempre pronto a quasi-offendersi, a impettirsi. Le ho già risposto una volta su questi temi del tono, e dell’umorismo. E l’ho anche invitata a riflettere meglio su quel che scrivo, per quanto sia di fretta, e a non sperare che m’innervosisca più di tanto. Allora, vuole la serietà. Ecco, gliela dò.
1. Legga meglio MacIntyre. Non l’ha capito.
2. Non faccia il paranoico. Non mi pare che quelli che la pensano come lei si debbano nascondere. Al netto dei casi che menziona. Che, proprio dal momento che vengono menzionati, non sono nascosti.
3. Le ho detto che la verità trionfa, sì certo. Non ho detto che trionferà la mia. Può anche essere la sua. Ma ci vogliono argomenti. E i suoi, mi scuserà, parere opinabile, non mi paiono robusti.
4. Sono libero, si ricorda la risposta a Barone, di discutere le argomentazioni e le osservazioni che voglio, come e quando voglio, e se voglio. Siamo in questo tipo di sede, qui. Se non le va, mi ignori, o mi sfidi a duello, all’arma bianca, a mani nude o con un fucile a canne mozze, se proprio le preme. Chissà che non ci si diverta di più, dato che l’invito a cena l’ha rifiutato.
Scelga lei quale dei punti precedenti era scherzoso.
Caro Pellegrino,
la chiudiamo qui che è meglio. Mi stia bene.
“Ce l’hai un fratellino o una sorellina?” gli aveva domandato.
“No, so’ sempre solo. Mamma dice che non c’abbiamo soldi per comprare altri bambini”
1960, Leonardo Colombati
Ciò che scrive Buffagni qui è fuorviante:
<>
Ovviamente se la discussione parte da idee condivise, tanto meglio. Ma nulla vieta che la condivisione di idee chiamiamole così ‘fondamentali’ avvenga attraverso la discussione. Non è nemmeno detto che la strada del ragionamento sia diciamo discenditiva, da un’idea generale a una particolare; è utile muoversi anche in senso inverso. E’ possibile persino argomentare su postulati. Per esempio nell’esposizione divulgativa della relatività, Einstein contestualizza i postulati della geometria euclidea e allo stesso tempo descrive l’universo attraverso proprietà geometriche differenti: alla fine si comprendono entrambe le cose. Ricordiamo anche che valori e fatti non sono una dicotomia, insomma l’argomentazione è sempre possibile.
Stiamo parlando di discussione ‘razionale’: ciò che è importante è che esista un accordo di fondo su principi logici basilari che permettono di stabilire quali mosse della conversazione sono corrette o scorrette.
Non sarebbe il caso di far passare delle mosse scorrette, dei ragionamenti insistentemente fallaci, delle ignoratio elenchi, delle impertinenze, degli scivolamenti e svisature dei significati, degli abusi nel principio di precauzione, delle analogie inesistenti, eccetera come disaccordo su fondamenti. Si dovrebbe parlare di disonestà intellettuale oppure ignoranza.
La citazione saltata di Buffagni è questa:
“una discussione razionale su questione etica esigerebbe un accordo di fondo in merito a ciò che è bene per gli esseri umani, come una discussione razionale su questione scientifica esige un accordo di fondo in merito a che cosa sono la pratica scientifica e una definizione scientifica”
Del suo pezzo mi ha colpita, poi non sono riuscita a legger molto di più, questa frase: Quindi Lei plaude all’egemonia di una “minoranza morale” che possa, quella sì, imporre agli altri il suo modo di vedere.
Quanto all’eguaglianza, poi, già sancita, degli uomini e delle donne che senza bisogno di sbandierarlo, in quanto coperto da privacy, ma con la possibilità di farlo, vogliono dedicarsi alle attività sessuali a loro più aggradanti, perché intaccarla?
Perché cercare di creare un popolo di diversi, di “terzo sesso”, quasi di handicappati, con leggi compensative su misura per loro, quando non ci sono certificati medici per giustificare certe particolari richieste alla asl, e, soprattutto, si andrebbe contro a tutta una lotta di anni per dire che gli omosessuali non sono “diversi”?
E’ poi nella libertà di ognuno scegliere se sposarsi e concepire, mia e sua inclusa, stando non tanto alle leggi vigenti che definiscono l’istituto del matrimonio, quanto alla “ovvietà” di cosa siano due coniugi in grado di farlo (concepire, intendo, quintessenza dell’essere coniugi è infatti legare due esseri di sesso diverso che per questo siano quindi strutturati). Tutto il resto ricade nelle più ampie libertà invidiuali, fintanto che una “minoranza morale” non volesse imporre al resto del mondo una discutibilissima interpretazione di ogni cosa normale.
Poi d’accordissimo: se ci fosse una legge di tre righe che consente a due gay di andare alla Als e dichiarsi vicendevolmente vincolati all’assistenza medica e carceraria finchè morte, o giudice, non intervenga, sarei ben felice per i gay e per Scialpi, ultimo caso che ricordo che lo chiese a gran voce.