di Franco Buffoni
Erano bianche rosse allineate
Le macchinine nel cortile,
Ci giocavo d’estate all’ombra
Col pensiero, le spostavo di nascosto
Ogni giorno anche in vetrina.
Finalmente a natale ne ebbi sei
Tre rosse tre bianche tutte in fila
Da spostare a mia voglia
Sul balcone, ma le dimenticai
Abbastanza presto, e l’anno dopo
Le regalai a un bambino vero.
Ora qui sopra Linate nel sole
In fase di attesa d’atterraggio
Mi sembra di toccarle e di giocarci
Bianche e rosse tra i tetti
Piatti e pochi platani
Due pini, una vetrina dall’alto
Terzo giro e subito riprende quota
Le regalo anche queste
Me le scordo
Sono grande non gioco.
*
La nebbia era un panno logorato
Una ragnatela tra le nostre case,
Ma vedevo ugualmente la luce del bagno
Di là della stradina
E persino distinguevo la tua sagoma
Da quella di tuo padre
Di là del vetro smerigliato.
*
Di quando mi chiedevo quante volte
Dovrò farlo salir su
Tirando forte il filo di plastica
Questo elicotterino
Per poi correre a raccoglierlo
Fin quasi nella neve
Perché lui pensi che sono contento.
*
Dulcissima
Quando non ci saranno più le mie chiamate
Tra le sette e le otto
E se ritardo un labbro che leggermente trema.
Quando non sarai più una vecchia sola
E io al ritorno non dovrò più correre
Per te giù in farmacia
Prazene e Lexotan
Con la ricetta ripetibile
Il Karvezide con la ricetta nuova
E già che ci sei un Benagol
E la Borocillina.
Quando non dovrò più tenerti
Bassa la pressione
Quanto tempo che avrò
Per scrivere di te.
*
Mancava solo che per compiacermi
Mancava solo che per compiacermi
Ti alzassi a fare colazione
E poi tornassi a letto a finire di morire
La mattina del 27 di dicembre.
Respiro lungo da sonno imbronciato,
Gentilezze da figlio a casa per le feste
“Ti preparo il tè”, e la convinzione
Di avere udito un grugnito di assenso.
Invece il coma ti aveva già saldato
Il respiro ai sensi: “Il tè si fredda”
Mentre guardavo le mail…
“Brava! Sei stata brava!”,
Te lo dissi subito, tenendoti la mano
Appena smettesti con quel soffio leggero.
Tu che di lodi ne avevi ricevute
Sempre poche. “Beh, almeno i figli
Li ho fatti intelligenti!”, dicevi alle sue spalle
Dopo l’ennesima tirata sulla tua
Superficialità.
Magari incapaci di distinguere
Chi sogna da chi è in coma.
*
Arrivederci, Morte
Di quando ci incrociammo nel 2001.
Ti offrii anche un caffè
All’oncologico di via Ripamonti,
Sussurrasti: ripasso
Con tatto
E l’accento straniero.
*
Per Eugenio Montale
Aveva il sorriso di K
L’amico di Gianni Testori,
Proprio per ciò ne scansasti
La mano. Guardando fuori.
K, il dedicatario in Ossi di seppia della lirica Ripenso il tuo sorriso…, è lo stupendo ballerino russo Boris Kniaseff, da Montale conosciuto a casa dell’amico scultore Francesco Messina, per il quale aveva posato.
Qualche decennio più tardi, alla Scala, Montale volge le spalle – rifiutando di stringergli la mano – ad Alain, il bellissimo giovane francese, amico di Gianni Testori.
Una poesia “chiara”, poesia dei ricordi e delle cose concrete (in linea con lo spirito di questo blog); il linguaggio che serve a trasmettere, non a compiacersi di sé.
Ha il suo fascino, quello del mettersi a nudo, scoprirsi interamente all’occhio che legge e vede.
poche parole, e molte cose… bellissime…
Infanzia, morte: continua la “quieta tragedia” (Raboni) dei nitidi versi di Franco Buffoni, che già ci ha educato con i bambini in transito nelle fauci, negli “ambulatori degli occhi”, coi bambini “dagli zigomi rubizzi”, oppure registrando e sfidando la “vita-peste”…Grazie.
Bei versi, splendido ritmo.
gent.mi Signori,
io non so, forse sono l’ultimo dei lettori, ma forse abbiamo letto (io e voi) poesie diverse. Non dubito che l’autore di questi «versi» abbia qualche generale e genericizzante cognizione di versificazione ma quello di cui non dubito è che voi scambiate l’aspetto “gastronomico”, amicale, clientelare, in una parola “turistico” di questi versi, con la poesia.
Il che mi spinge a chiedermi se davvero Voi credete che la poesia oggi sia questa che scrive il signor Buffoni con il suo armamentario di banalità, truismi e genericizzazioni, con la sua filosofia spicciola (la tematica della morte, il tè a buon mercato, l’ironia, facile e scontata che tutto appiattisce…), con il suo bordeggiare pallido e assorto presso una rovente stagnazione morale, stilistica e politica.
Ringrazio per questi interventi. Quanto all’ultimo è bene si sappia che il suo estensore – dopo avere scritto benissimo di me per anni:
http://www.francobuffoni.it/upload/document/linguaglossa_rammendi_cotone_arancione.pdf
http://www.francobuffoni.it/upload/document/profilo_rosa_linguaglossa.pdf
http://www.francobuffoni.it/upload/document/suora_carmelitana_linguaglossa.pdf
da qualche tempo mi odia. Da quando ritirai un mio pezzo da una pubblicazione affinché non apparisse accanto al suo, pieno di insulti nei confronti di Vivian Lamarque.
“bordeggiare pallido e assorto presso una rovente stagnazione politica” è pura poesia, sublime, cognitiva, con la sua citazione sottilmente politica, il suo rigetto oltranzistico di ogni qualsivoglia truismo, la sua filosofia da conto in svizzera. Perché linguaglossa non si mette in proprio? Scriverebbe splendidi libri di poesia, sublimi, cognitivi, pieni si citazioni politiche, di moralità, e potrebbe perfino autoprefarsi, postfarsi, cavillarsi finalmente soddisfatto di aver dato voce allo Spirito del Modernismo Italiano, quello che i migliori poeti di domani, di dopodomani, sapranno evocare tutti seduti al loro tavolino spiritico nel buon salotto dell’opposizione radicale, le mani giunte, la sfera di cristallo, il teschio evocativo, un vaso di estenuate violaciocche ad omaggiare i fantasmi di trascendenti grandiosità passate.
Domanda a Franco. Secondo te perché molto spesso i poeti tra loro si detestano? È una vecchia storia, lo so: ma in un mondo come quello attuale in cui le condizioni per la poesia sono sempre più difficili, sarebbe più naturale aspettarsi che i poeti fossero alleati e amici. Nella filosofia la disputa dovrebbe prevalere (solo una certa “miseria” della filosofia la lascia da parte): perché se la mia filosofia è vera, la tua dev’essere falsa, e viceversa. Ma la poesia? Se svincolata da scuole e poetiche, sembrerebbe prevedere la coesistenza tra le diverse opzioni.
“Con la loro coesistenza [le opere d’arte] peccano l’una contro l’altra. Se ciascuna di loro, senza che l’autore abbia dovuto volerlo, vuole l’estremo, allora nessuna propriamente sopporta di averne accanto un’altra” (T. W. Adorno, Impegno, 1962).
Questo per la sostanza, ovviamente, non per i comportamenti (ovviamente non pretende di essere una risposta a Genovese, solo una riflessione suscitata dalla sua domanda).
La quarta e la quinta poesia sono molto belle.
Piuttosto che proseguire in beghe inutili, che rischiano di rovinare questo ottimo luogo di confronto, in cui persone note e persone ignote come il sottoscritto potrebbero dialogare portando le reciproche esperienze, vorrei notare due cose: la prima, è che Linguaglossa non ha criticato il poeta Buffoni in toto ma queste poesie e quindi non credo ci sia da parte sua un odio vendicativo verso l’autore, che mi dicono essere persona molto gentile; la seconda, è che uno studioso che stimo molto come Emanuele Zinato apprezza queste poesie e ciò è sufficiente, io credo, per porsi di fronte ad esse con più attenzione.
Effettivamente anch’io penso come Linguaglossa che queste poesie siano, almeno apparentemente, scontate, ma mi rendo conto che questo non può più essere un giudizio critico, in quanto occorre sapere, oltre alle tante cose che un critico dovrebbe prendere in considerazione, se siamo di fronte ad un poeta il cui atto compositivo è immediato o progettuale. Nel secondo caso l’assimilazione della storia espressiva potrebbe essere volutamente ripudiata a favore di una poesia naif, che però anch’io, come Linguaglossa, ritengo non possa più avere, oggi, non dico una funzione civile o politica o ideologica ma neppure estetica.
Ecco, su questo potrebbe nascere il confronto, anche se alla fine io considero il discorso superfluo, almeno in ambito critico se non teorico, in quanto sono contrario a progetti creativi che mettano in primo piano le scelte stilistiche.
I “nitidi versi”, come dice bene Zinato, di Franco Buffoni possono comunque avere lettori non compiacenti che li apprezzano, ci sono poesie e lettori per tutti, la grandezza reale o presunta di un libro, in fondo, è la misura del cuore e dell’intelligenza di chi lo giudica.
Caro Franco, quando ho letto “Mancava solo per compiacermi” su Atelier ho avuto un sussulto, una voce che mi diceva “ecco, sono queste le parole giuste, in questi casi, in queste perdite”. Ora te lo dico, e ti dico che per me, ma non solo, come sai, sei un maestro. Le parole sono pure, sono quelle che servono, senza scomodare vecchi dizionari, sono quelle e basta.
Per il resto non ti curar di lor ma guarda e passa.
Oltre al grande poeta c’è il grande uomo. Il resto sono ciàcoe.
Un caro abbraccio. FF
Quoto Fabio Franzin.
Un grande poeta e un grande signore, Franco Buffoni. E queste poesie, soprattutto quelle dedicate alla madre, non fanno che confermarlo. Purtroppo viviamo nell’età del risentimento e nessuno ne è immune.
gp
Gent.mo Franco Buffoni,
innanzitutto non nutro nessun «odio» nei confronti della Sua persona, come lei afferma, nulla di ciò che lei mi attribuisce inficia il mio giudizio critico nei confronti dei suoi testi. Non ho nulla contro di lei come persona né contro le sue poesie come possono confermarlo i giudizi non negativi che nel passato avevo espresso sulla sua poesia (come ben annota Buffoni con ottima memoria). Il fatto è che con il passare degli anni le sue poesie sono diventate facili e scontate: prevedibili; l’istinto autocritico del suo autore deve essersi nel frattempo affievolito…
Che dire? il risentimento di Buffoni lo posso capire, è umano, è il risentimento di chi è abituato alle facili adulazioni e agli apprezzamenti e mal sopporta o non sopporta affatto le critiche nei confronti del suo operato poetico, e le attribuisce ad «odio» personale.
Buffoni cita un episodio che io sconoscevo: che lui abbia ritirato un suo pezzo affinché non comparisse accanto al mio nome; ebbene, tale antefatto qualifica piuttosto lui come persona che nutre verso chi lo critica una avversione pregiudiziale.
Riguardo all’ultimo punto del post di Buffoni, cioè che io avrei scritto un pezzo «pieno di insulti nei confronti di Vivian Lamarque», lo invito pubblicamente a citare lo scritto in questione o a fare ammenda di questa sua affermazione diffamatoria: sia ben chiaro che non è mio costume scrivere «insulti» nei confronti di nessuno (anche perché gli «insulti» sono vietati dal codice penale del nostro paese), i miei scritti sono pubblici e ciascuno può controllare di persona la correttezza e la liceità (sul piano letterario) delle mie argomentazioni.
Infine, che dire? il Sig. Buffoni vuole solo adulazioni e applausi. Ma per il fatto di aver reso pubbliche le sue composizioni, a proposito, vista l’ingente quantità di poesie in circolazione, penso che ne scriva almeno una al giorno!
Dovrebbe, il Signor Buffoni se fosse più accorto, stare più attento a scrivere versi più pensati, più ponderati, dovrebbe lasciarli in «anticamera» (come diceva Adorno) almeno una decina d’anni, dovrebbe, insomma, farli maturare. Insomma, voglio dire che le composizioni di Buffoni sono troppo facili, scontate, prevedibili, ciclostilabili all’infinito, di questo passo può scrivere davvero una poesia al giorno che si toglie il medico di torno.
Insomma, al di là della facile ironia (di cui mi scuso), dò un consiglio a Buffoni: scriva di meno e scriva cose più pensate, ponderate…
Come critico di poesia faccio cacare, perché paragono quello che scrivono i miei contemporanei a quello che fu scritto prima, del resto quel poco che ho letto io e che mi ha colpito, Benn, Michaux, Char, Frost, Campana, Rilke, Yeats, Rimbaud, Lautréamont e pochi altri. Quindi non mi esprimo sui versi in questione, se non dicendo che non mi colpiscono (sperando che il professor Buffoni non tiri fuori che lo dico perché ha respinto da qualche parte un mio pezzo, o che ce l’ho con lui perché al liceo mi fregò una fidanzata, o mi vendico per aver perso a rubamazzo durante una festicciola, o perché mi ha schernito appena pochi giorni fa ritenendo le mie fondate argomentazioni spazzatura ecc ).
Certo, se le cose stanno come dice Buffoni, Linguaglossa non ci fa una bella figura. Ma è così evidente, dagli articoli riportati, la sua colpevolezza? A me pare di no. Infatti, quello che è da vero intellettualmente debole (e mi fermo qui) è la concezione della giustizia contenuta nell’atto di rivelare vecchi elogi al fine di denigrare colui che oggi dice di trovare (se la poteva comunque risparmiare la sequela di improperi che rivela, denegativamente, a mo’ di psicanalisi da crocicchio del ” se lo neghi così pesantemente ho
ragione di pensare che lo fai per trasmettere una certa dose di amore “; lo stesso, del resto, rivela la risposta di Buffoni)… Buffoni dice, in sostanza: ” se questo una volta mi elogiava, è oggi in malafede a denigrarmi “. Il sillogismo è mancante… Ma manca di che cosa? Manca prima di tutto di tolleranza verso il caposaldo della critica, quel famoso non sono d’accordo ma mi batterò perché tu possa esprimerlo. Appunto, dati per fondanti i valori della civiltà illuministica che Buffoni quando fa l’opinionista difende con le unghie e coi (fen)denti, perché io dovrei sempre parlar bene dei versi di un autore? Non potrebbe essere che mi sono piaciuti certi versi e altri mi fanno…
Quello che stupisce ancora di più è che Buffoni, chiedendo ai passanti di schierarsi tra due persone (passanti che se non ci sono camarille, come sostenete sempre, e non c’è motivo di dubitarne, dovrebbero essere estranei l’uno all’altro), non ne fa una questione di concezione poetica, ma, invece, una questione giudiziaria da corte d’assise. La condanna dell’empio Linguaglossa è pronta…
Fortuna che al potere non ci siete voi, ma gente nonostante tutto temperata, altrimenti si vedrebbero le esecuzioni in piazza. Dei colpevoli di efferati delitti? No, dei vostri nemici, se non, addirittura, di chi vi sta antipatico.
Intervengo ancora perché vorrei capire come funziona questa faccenda dei giudizi intorno alle poesie… Piras, citando Adorno, fa pensare che si tratti di una disputa intorno al bello, che non accetta paragoni: l’opera d’arte pone se stessa come una regina di Biancaneve, vuole essere la più bella del reame. È un’ipotesi da non scartare… Ma poi ci sono i contesti culturali e storici: che senso avrebbe paragonare Omero e Dante, per esempio, e dire che Omero è meglio di Dante, o viceversa? Ora, anche scontando il fatto che Linguaglossa e Buffoni siano in lite per qualche motivo, bisogna considerare che ambedue fanno parte di questo stesso mondo e che, magari, Linguaglossa si consideri migliore poeta e/o critico di Buffoni. Ciò si può ancora comprendere. Quello che non capisco, invece, è l’argomento di Linguaglossa riguardo alla “facilità” con cui Buffoni comporrebbe i suoi versi. Da cosa si ricaverebbe questo? Perché non dovremmo pensare, piuttosto, che Buffoni abbia tenuto in “anticamera” i suoi componimenti proprio per una decina d’anni o giù di lì, che li abbia limati a lungo?
Versi di una bellezza disarmata, di cui provo una profonda nostalgia, la stessa bellezza che sfiorai verso le cinque della sera, molti anni fa, leggendo Flaubert o Keats o Poe o non ricordo cosa che ora non leggo più e c’erano degli odori che ora non ci sono più e delle porte verniciate di bianco che assomigliavano alla panna zuccherata che ora non si aprono più, delle cole di vernice lucida scolpite da sempre e che mettevano fame che ora non trovo più.
Anche allora si stava consumando qualcosa di prezioso ed infermo, tra il tavolo tarlato abitato da ricette mediche, gli specchi macchiati, la credenza opaca, il silenzio scandito dai movimenti delle ultime timorose cortesie. Questo spazio superlativo e precario che Franco fa abitare, l’ambigua enormità che la più comune occasione quotidiana può spalancare come una Rosa, è la cifra più forte di questi frammenti lirici e sentimentali.
Dulcissima è la mia più amata.
Grazie, Davide
…ma Massino è il di Linguaglossa mastino? E perché, secondo lui, l’illuministica tolleranza voltairiana andrebbe esercitata solo dal lato Buffoni verso Linguaglossa, e non l’inverso? Non crede violenta e demolitrice l’opinione del suo padrone? E anche legittima, si dirà, purché non si lagni se arriva qualcuno ad attaccarlo a sua volta con violenza e demolizione. Altrimenti, che indomiti guerriglieri sareste?
Dice Rino Genovese:
“Ma poi ci sono i contesti culturali e storici: che senso avrebbe paragonare Omero e Dante, per esempio, e dire che Omero è meglio di Dante, o viceversa?”
Questo è un vecchio e serio problema. L’autore prescinde o no dal contesto? Secondo me se è davvero grande sì, infatti paragonare Dante a Sandro Penna oppure Omero a Laforgue (dico tanto per dire) ha senso: Dante e Omero sono incomparabilmente più grandi. Paragonare invece due grandezze assolute (Dante e Omero, Kant e Nietzsche, Caravaggio e Cezanne) può non avere senso – per quanto non ne sia del tutto convinto.
E’ interessante a tal riguardo l’ultimo libro di Harold Bloom, Anatomia dell’influenza. Secondo lui il genio trascende epoche e storicizzazioni – e cioè ne risente, è chiaro, ma poi va oltre, le marchia più di quanto esse marchino lui, e infatti si protende nel futuro, è contaminante, è ovunque.
Sono anch’io rimasta colpita, sia dalla virulenza con cui Linguaglossa ha demolito la poesia di Buffoni, sia – forse ancor di più – dalla risposta dell’autore. Il primo ha mancato di tatto, a mio avviso, che sempre va adoperato quando si va a esprimere il giudizio su un prodotto artistico frutto in larga parte del bagaglio sentimentale ed esistenziale di qualcuno. Insomma, le stesse cose potrebbero essere espresse con maggior diplomazia (?). Ma l’autore: se si pubblica, bisogna saper accettare le critiche; o è meglio tenere le proprie cose in un cassetto. Pubblicare, editare (nel senso etimologico di “svelare, rendere aperto”) qualcosa del proprioo ingegno, prevede la lettura e il giudizio altrui. E, si sa, il concetto di bello e di arte non sono universali, ma passibili della soggettività di chi legge. Non si può pretendere che tutti apprezzino. Se poi l’origine dello “sgarbo” è proprio quella indicata da Buffoni, a maggior ragione è più elegante applicare il dantesco “non ti curar di lor ma guarda e passa”: se ne guadagna in immagine e in serenità personale.
Un saluto.
@giustizia sommaria (strikes back!)
se legge bene vedrà che rimprovero anche Linguaglossa, mi pare anche pesantemente. Quindi direi che in questo caso si dimostra più lei il mastino di Buffoni che io il mastino di Linguaglossa. La saluto permettendomi di insegnarle che storpiare i nomi a fini denigratori è pratica abbastanza fascista (in ogni caso idiota), con la quale hanno dimestichezza cultori della tolleranza e della critica come Emilio Fede, Maurizio Belpietro, Vittorio Feltri, Marco Travaglio e il comico in declino Beppe Grillo.
Che roba triste
Secondo me queste poesie (per ritmica, tematica, e registro) sono modeste, anche se non fossero di Franco Buffoni, con il quale non sono praticamente mai d’accordo su nulla – per limiti miei.
Penso, in subordine, che pubblicare delle poesie su un blog (l’ho fatto una volta anche io sul mio) abbia poco senso, ma è assolutamente fuori luogo quando pur di non accettare giudizi negativi si deborda dalla critica all’attacco personale come fa Buffoni…
Guardi, Massino, che io la chiamo col suo cognome preciso preciso, e quella che uso è semmai una rima ricca, non “storpio il nome” ma le associo un epiteto, un procedimento antico quanto il mondo, cfr. Omero (c’è pure l’anastrofe classicheggiante!). Pazienza che a lei ricordi un espediente fascista, ognuno fa quel che può col catalogo delle sue frequentazioni – Ezra Pound tra l’altro diceva di Mussolini che fosse un gran retore, e non è detto che il miglior fabbro si sbagliasse del tutto, almeno su questo. Quanto al merito, la trovo di nuovo, spesso e volentieri, al seguito del Linguaglossa, e la cosa mi pare simpatica e gaglioffa, da immaginarmi una coppia in stile Gatto e Volpe, niente più. Non se la prenda dunque troppo a male, ché sono poco serio, di serietà ne ho spesa fin troppa per contestarvi la parola. Ma basta con queste cazzate e due parole su Buffoni, almeno: neanche a me queste poesie entusiasmano, ma ci vedo un lavoro sincero, che non merita le parole velenose e pregiudizievoli che gli sono state indirizzate. Tanto più non sopporto che il bue, come si suol dire, dica cornuto all’asino. Non esiste alcuna Poetica Aristotelica del Novecento e Oltre che prescriva, mi pare, di dover puntare alla memorabilità di Montale a ogni sillaba che si pronuncia – ammesso sempre che Montale non sia troppo prosaico per voialtri. Tanto che spesso i progetti di recupero e classicizzazione, così come le mille neoavanguardie con le loro iperpoetiche preconfezionate, nascondono cupi risvolti mortuari, che alla poesia non fanno granché bene. La cautela, in ogni caso, rimane: altre cose lette in passato di Buffoni mi hanno convinto di più, ma conosco poco la totalità dell’opera per poter dare un giudizio serio. Certo, è un traduttore bravissimo, e questo posso dirlo senza timore di essere smentito dai fatti.
testi che mi sembrano, all’interno dell’opus ormai magnum dell’autore, particolarmente riusciti. seppure “SOLO” tessere di un mosaico futuro di cui già può intravedersi il disegno (il libro, obiettivo dichiarato da anni della poetica buffoniana), ne trovo alcune già sfavillanti nella propria autosufficienza. in particolare le prime sulla giocattoleria infantile (e forse “virile”), in cui in un verso come “sono grande non gioco”, quasi un lapsus in cui la voce del poeta ridiventa linguisticamente infantile (un adulto non lo direbbe mai, un bambino che sta crescendo sì), si consegue il risultato di un azzeramento della distanza temporale e l’effetto di una controllatissima (e questa sì, virilissima) nostalgia. quelle sulla morte, recente, della madre, sono tra le sue più toccanti che abbia mai letto. poesia raffinata che ha bisogno di palati raffinati, comunque.
@giustizia sommaria (strikes back!)
guardi, giustizia sommaria (strikes back!) – ché il nome se l’è scelto bene! – mi dispiace per le sue frequentazioni, e anche, retrospettivamente, per quelle di Ezra Pound. Io intervengo qui dall’inizio del blog. Se questo a lei non piace, se non piace ad altri camerati, non posso farci nulla, ne avete tutto il diritto. Linguaglossa è intervenuto in una discussione mi pare sul premio Dedalus, nella quale si erano creati due fronti, di cui uno molto critico, forse capitanato da me, o del cui numeroso fronte facevo comunque parte di comprimario. Io, insomma, Linguaglossa non lo conosco, l’ho letto qui per la prima volta: vedo che a volte le sue posizioni non sono lontane dalle mie, e viceversa, tutto qui.
Continuo invece a pensare, in generale, che nei blog letterari principali si è spontaneamente formato un fronte vitalista composto probabilmente da studenti della gioventù universitaria, se si preferisce da giovani italiani, un fronte di arditi fiancheggiatori, che si comportano spesso da franchi tiratori, aggredendo le persone e facendo lavoro di pestaggio virtuale, che secondo me nuocciono ai blog. Nel mio ho un intero reparto dedicato al recupero dei commentatori abituali in difficoltà, diretto dal professor Maurizio Milani, che fa miracoli
http://accademia-inaffidabili.blogspot.com/2011/06/corsi-di-recupero-collettivo-per.html
Tanto il titanismo di Macioci quanto la liquidativita’ di Linguaglossa mi sembrano fuori contesto rispetto alla poetica espressa da queste ed altre prove di Buffoni, che e’ appunto *disarmata*. Va anche notata anche la transitorieta’ del mezzo telematico, in questo caso il blog, che si presta al semilavorato in divenire o al collaudo, alla maniera usata anche qui ad esempio da Franco Arminio. Resta l’impressione che molto spesso i giudizi rispetto a questa poesia soffrano del confronto rispetto all’assoluta eccellenza del Buffoni operatore culturale: teoria e pratica della traduzione, attenzione verso i giovani, battaglia su alcune tematiche civili e sociali molto calde in Italia.
In queste poesie io vedo i seguenti versi poetici: «La nebbia era un panno logorato»; «il coma aveva già saldato / il respiro ai sensi» (verso che ritengo stupendo nella sua terribilità, per il dolore che evoca); «e poi tornassi a letto a finire di morire» (verso crudelmente bello, riguardo i sentimenti del poeta); «Quando non dovrò più tenerti / Bassa la pressione / Quanto tempo che avrò / Per scrivere di te» (dolcissimo doloroso finale).
Il resto è prosa modellata con qualche sapiente uso di iperbati e allitterazioni e, la prima, con una costruzione interessante.
Questo è un fatto, ovviamente alla luce del mio punto di vista teorico (qui esprimibile solo operativamente). Però un fatto non è ancora un giudizio, per divenirlo deve, come minimo, confrontarsi con la verbalizzazione (la necessità espressiva di sentimenti, concetti, pensieri, immagini). E può essere storico, di gusto, d’empatia, di necessità civile, etica, spirituale, ecc. Se ritengo queste poesie naif, come ho detto in un precedente intervento, questo può essere un fatto ma se penso che il naif oggi sia in linea con la letteratura di consumo do un giudizio, sotto l’aspetto storico negativo. Con ciò posso giudicare comunque belle le poesie. Ecc.
Sotto un altro aspetto, penso che le poesie di Buffoni qui riportate più che di “palati raffinati”, come dice Luigi Socci, abbiano bisogno di uomini sensibili, che sappiano sentire il dramma di certe situazioni.
Tuttavia quando una poesia viene edita, non ce ne deve fregare più niente dell’autore, se è uno di potere o se è un povero diavolo. Parliamo delle poesie e, possibilmente, scoprendo le carte circa la nostra posizione teorica. Per esempio, se qualcuno non è d’accordo con il mio criterio di valutazione, ovviamente non sarà d’accordo con il mio giudizio. Ma il giudizio non può fermarsi a questo, deve mettere in gioco la “situazione” (e in questo sí, ci rientra l’autore, ma le altre sue opere, la sua ideologia, ecc., non lui e l’utilità che gli si abbina), e iniziare un dialogo critico.
Sempre come esempio, penso a ciò che scrive Davide Nota su queste poesie. Non lo condivido, ma è un commento chiaro, documentato (sia pure, come il mio, con i limiti di un blog). I commenti come quelli di Fabio Franzin, invece, pur essendo altrettanto importanti, sono attestati di ammirazione, non giudizi più o meno documentati da cui possa nascere uno scambio critico (e in questo caso non lo vogliono).
Penso che ad un autore interessino più i commenti critici degli attestati di stima; ma allo stesso tempo dei giudizi altrui, positivi o negativi, penso debba importargli poco, anzi nulla, perché in ogni caso tali giudizi risentono dell’intelligenza, della sensibilità e della cultura di chi li emette. Piuttosto li deve ascoltare e vagliare per capire la motivazione e poi proseguire per la sua strada, possibilmente dettatagli più (ma è solo un mio discutibilissimo punto di vista) dalla creatività che da un qualche progetto. Una volta ad una presentazione un’astante mi disse: “I suoi versi sono brutti” e non era il giudizio positivo del critico che ritiene la dissonanza di oggi l’assonanza di domani. Poiché ho la fortuna di non essere permaloso (e perché poi? quale lesa maestà può esserci senza maestà?), ascoltai con interesse e scoprii che mi rimproverava di non usare le rime, senza le quali, a suo parere, non esiste la poesia. Per me, il giudizio di questa donna era corretto: partiva da un’assunzione chiara e, con essa, non poteva certo giudicare belle le mie poesie.
Tuttavia, ad un livello più profondo, la logica, entrando a contatto con la “situazione”, non può più essere così puramente deduttiva ed è per questo che la correttezza di una conclusione analitica non corrisponde alla sua validità. A salvaguardia dell’ego dei poeti e con buona pace dei critici.
… certo, come no, il pestaggio virtuale è fatto solo CONTRO di voi, mai DA voi… insomma, la parabola evangelica della trave e della pagliuzza, niente da fare, tutti la citano ma nessuno se ne appropria. Non ce l’ho granché con lei, Massino, che tutto sommato pare abbastanza mansueto, ma le ricordo, anche dalla campagna contra Dedalum (è a quello che infatti facevo riferimento), che la violenza è stata usata fin da subito e con molto gusto, ma non da me: bensì dagli arditi contestatori con cui faceva gruppo allora, e senza esclusione di colpi (bassissimi, spesso, visto che accusavano, senza uno straccio di prova, di complottismo e mafiosità). Io rispondo solo a tono, e il fatto di essere piuttosto bravo ad attaccare mi fa solo onore, data l’arena di basso livello. Le polemiche a parole hanno questa splendida virtù, d’altronde, che ci si può demolire i concetti a vicenda, ma il corpo e la libertà di replica dei contendenti non ne risentono mai. Ma forse gli unici a cui è rilasciata la patente di aggressori e demistificatori siete lei, Linguaglossa e chi vi segue?? Non ne ero al corrente! Per concludere, dia pure del fascista a chi le buca le ruote della macchina, se può aiutarla a sfogarsi, ma non a me, che non farei del male a una mosca neanche se mi puntassero una pistola alla tempia. Accusare l’avversario di una vituperata appartenenza politica – del tutto infondata, per quanto mi riguarda, visto che la mia ironica virulenza è sempre nell’ordine di rendere pan per focaccia a chi attacca senza mediazioni – è costume “politico” molto recente ed efficace, oltre che misteriosamente trasversale. Ha mai sentito un certo milanese gridare tutt’attorno: “comunisti!”, mentre in Italia vallo a trovare oggi, uno che abbia il coraggio di dirsi comunista? Ecco, bene.
@ fu giusco
“Tanto il titanismo di Macioci quanto la liquidativita’ di Linguaglossa mi sembrano fuori contesto rispetto alla poetica espressa da queste ed altre prove di Buffoni, che e’ appunto *disarmata*.”
Ma:
– io non ho espresso alcun giudizio sulle liriche di Buffoni
– io non sono un titanista (qualunque cosa voglia dire)
– io mi rifacevo a una frase di Rino Genovese, il quale sosteneva l’impossibilità, la gratuità in fondo di qualunque paragone; frase da cui dissento, così come dissento dai paragoni a oltranza di Harold Bloom
Caro Genovese,
credo che la frase di Adorno vada riferita a opere contemporanee tra loro (anche se i confini della “contemporaneità” sono problematici da pensare, e “fluidi”). Ogni opera, con la particolarità della sua configurazione formale (sensibile), cerca di portare alla luce il senso generale di una esperienza, sempre particolare. Così innalza il particolare all’universale e il sensibile all’intellegibile. Ma lo fa con i mezzi del sensibile, quindi in una forma non scioglibile senza resti dal discorso astratto; il generale che viene esplicitato è sempre “individuato”. Altrimenti sarebbe filosofia. Da qui la difficoltà e l'”infinità” della critica. E da qui anche la tendenza all’unilateralità del singolo artista: la poetica (quella reale, incarnata, non la teoria) è, per chi compone, la chiave di accesso alla realtà. L’unica valida, perché passa per l’individualità dello stile; un altro stile ne nega il contenuto di verità. La scommessa, per l’artista, è che il suo stile sia quello che fa accedere all’esperienza, e che questo venga riconosciuto, da un pubblico che, si suppone, coglie l’universale anche nella particolarità. Se chi legge coglie solo la particolarità, l’operazione è fallita.
Chi compone, nella contemporaneità della composizione, non può sfuggire a questa unilateralità. Lo sguardo del critico, con un certo distacco non solo temporale, ma nei confronti delle singole esperienze, può cogliere un quadro più ampio, in cui sono collocabili diversi “accessi alla verità”: Fortini poteva trovare poco consistente un certo Bertolucci, e forse Bertolucci non si trovava molto con le poesie di Fortini. Il critico può attribuire il posto giusto a entrambi, in una lettura del rapporto tra letteratura ed esperienza che non è legato al resto non interamente mediabile della forma, ma si esprime in termini più astratti. Questo però non vale per “ogni” espressione letteraria, solo per alcune. Molte falliscono il loro tentativo di dire l’esperienza, semplicemente.
Un caro saluto,
mp
Con quanto scrive Piras, qui sopra, concordo pienamente. Nella discussione serpeggia però un’altra posizione, quella che fa del genio qualcosa più o meno di assoluto (vedi Macioci). E tra gli amici che intervengono su “Le parole e le cose” ci sono anche coloro che stilano le “classifiche”… Poi, altro livello della questione, ci sono le antipatie reciproche tra gli scrittori. Insomma tutto si mescola, com’è ovvio, d’altra parte, e io mi sforzo di capire. Secondo me – ora la getto lì – una lobby dei poeti che cercasse di premere perché alla poesia fosse dato spazio nella tv pubblica (magari nelle ore notturne…) avrebbe un senso; le liti su è meglio tizio o è meglio caio molto meno.
Aggirando certi avvitamenti polemici di questa discussione, mi porrei una domanda: al quotidiano – privatizzato, malinconico, dolente, catturato nel corto circuito tra epifanie d’infanzia e languori di adulti -, che queste poche poesie inedite di Buffoni esprimono, cosa succede quando arriva oggi “in poesia” a un pubblico (e, per essere precisi, al pubblico di LPLC)?
Ho l’impressione che Buffoni tende ad esporlo come fosse un tesoro dissotterrato…
Da donare? Da riscattare, strappandolo alle penombre delle pieghe esistenziali (sue e di altri/e)? E quindi caricando la pubblicazione con una forte aspettativa di “compartecipazione”?
Non escludo, però, non trattandosi di un esordiente alle prime armi, che esse vengano collocate su LPLC con le intenzioni indicate da il fu GiusCo quando dice: «in questo caso il blog […] si presta al semilavorato in divenire o al collaudo, alla maniera usata anche qui ad esempio da Franco Arminio».
In tal caso, i modi della pubblicazione sono meno disarmati o ingenui o “autentici” di quanto si creda; e ben consapevoli, invece, di intervenire sulla funzione pubblica, istituzionale della poesia d’oggi (e in una fase, come questa, di crisi), spingendo, come altri, in una certa direzione piuttosto che in un’altra.
Buffoni sa, dunque, che quel contenuto “privato” messo “in poesia” verrà categorizzato almeno da una parte più “navigata” o critica del pubblico in un genere (“poesia del privato”), che viene anche così valorizzato e tende, oggi specialmente, a passare per *poesia tout court” e a non essere più – freddamente, razionalmente, pubblicamente, politicamente e con minor convocazione di sentimenti – valutato (e non più solo sentito).
Pertanto ho una serie di obiezioni rispetto ad alcuni commenti qui inseriti e in successione provo a chiedere:
– Che cosa si mette poi davvero *a nudo* in questa poesia (di Buffoni), Fiorella (D’Errico)? Quello che serve per autocompiacersi (o persino a frenare, ma in modi convenzionali, il proprio autocompiacimento) – così restando nel campo della soggettività e delle psicologie – o quello che serve a un io/noi che come “pubblico” si tenta (o si dovrebbe tentare) di costruire oggi, in tempi di crisi generale di questo Paese, anche attraverso un luogo virtuale di discussione pubblica come questo di LPLC?
– Di quali registrazioni abbiamo oggi necessità, Emanuele (Zinato)? Quelle di Buffoni che peso hanno rispetto a tante altre che i molti “scriventi” d’oggi, sempre in questo nostro Paese, producono?
– Come si fa a credere ancora oggi, se non astraendosi dal mondo circostante, che «le parole sono pure, sono quelle che servono, senza scomodare vecchi dizionari, sono quelle e basta», Fabio (Franzin)?
– E perché, invece di guardare proprio alla “questione pubblica”( o addirittura politica, secondo me) della poesia, impelagarsi negli aspetti più psicologici del contrasto Buffoni-Linguaglossa, Larry (Massino), pur avendo chiaro che non se ne può fare « una questione giudiziaria da corte d’assise»?
Insomma, della poesia che continua a essere scritta sin troppo abbondantemente in Italia oggi quale viene valorizzata su LPLC? E perché? E possiamo essere soddisfatti delle proposte? Sono argomentate criticamente a sufficienza? Possiamo, comunque, discuterle, sia pur dalla posizione di commentatori-“plebei”?
Certo, quando Linguaglossa, irrompe quasi come un Cristo nel tempio dei mercanti gridando :«Voi credete che la poesia oggi sia [ questo…] bordeggiare pallido e assorto presso una rovente stagnazione morale, stilistica e politica», un po’ di scandalo ancora lo fa (magari solo nel bicchier d’acqua di LPLC), ma perché non cogliere la domanda seria e urgente che pone e che ben può essere colta, malgrado la «liquidatività» del suo intervento?
La cosa più facile è buttarla, più o meno sorpresi o inviperiti o imbarazzati, sul personale (“ sarà invidioso, è contraddittorio, mostrasse lui cosa sa fare..” oppure “ perché molti spesso i poeti tra loro si detestano”), e rimuovere il vero problema: quale poesia oggi…ci sarebbe da fare (o si va facendo, mentre noi parliamo solo di questa che appare su LPLC…).
O, in altri termini, fino a che punto ci dobbiamo arrendere alla soggettività del giudizio più capriccioso o arbitrario o contingente di chi ha per collocazione di potere voce in capitolo? Non si deve, forse, cercare se non un canone, un mezzo canone, un quarto di canone o comunque non berci la solita acqua che passa il convento editoriale alto-medio-basso? (Che era poi il problema affacciatosi nella discussione sul post “Assiomi/1. La critica e il giudizio di valore” (http://www.leparoleelecose.it/?p=2125) improvvisamente e stranamente arenatasi…
Pur cautamente escludendo «progetti creativi che mettano in primo piano le scelte stilistiche», mi pare che questo problema se lo ponga Bertoldo, quando chiede, nel caso di Buffoni, di indagare «se siamo di fronte ad un poeta il cui atto compositivo è immediato o progettuale» o quando esclude che una risposta adeguata possa essere oggi ripudiare una «storia espressiva» per un ritorno a «una poesia naif». Ma poi anche lui sembra arretrare su una posizione conciliante («ci sono poesie e lettori per tutti, la grandezza reale o presunta di un libro, in fondo, è la misura del cuore e dell’intelligenza di chi lo giudica»), Pur cauta, però la posizione di Bertoldo è comunque chiara (come quella di F. D’Errico): «Tuttavia quando una poesia viene edita, non ce ne deve fregare più niente dell’autore, se è uno di potere o se è un povero diavolo. Parliamo delle poesie e, possibilmente, scoprendo le carte circa la nostra posizione teorica».
Perché non continuare da questi punti fermi?…
Rispondo alla gentile domanda di Abate per quello che mi sembra di capirne: io non so, perché nessuno può saperlo, se il contenuto di queste poesie in particolare è realmente e profondamente sentito, o se frutto di autocompiacimento o se, ancora, confezionato per direzionare il gusto del pubblico. So che il processo alla base dell’arte consiste sempre nel sublimare – in toto o parzialmente – il proprio vissuto, e a costruire un “sé poetico”, un io narrante, ecc. che non corriponde realisticamente a chi scrive.
Riguardo al palesare la prorpia posizione teorica – che Lei auspica -, la mia è sottoposta al prodotto artistico in sé: qualsiasi arte, se mi tocca dentro, va apprezzata. Le poesie di Franco Buffoni hanno le caratteristiche che ho indicato nel primo commento; le ho trovate lontane dagli sperimentalismi linguistici (e spesso criptici) in corso oggi, e per questo le ho apprezzate (anche se in alcuni passaggi suggerirei un maggiore lirismo e allontanamento dalla prosa).
Questo il parere di una lettrice famelica di poesia e di una frequentatrice di blog poetici.
Buona domenica.
@ LPLC
faccio una proposta. Facciamo un gioco. Vediamo se la redazione di LPLC accetta.
Io propongo 5 poesie di un autore italiano (poco conosciuto in quanto ha pubblicato presso editori privi di distribuzione nazionale) che ha pubblicato negli ultimi 20 anni.
Un autore che, ovviamente, io considero di qualità (se mi è lecita la dizione), diciamo di valore (se mi è lecita la dizione). Solo che non ne dirò il nome né il cognome, dovrà rimanere anonimo, almeno fin quando qualcuno non lo riconoscerà e lo indicherà per nome.
L’invito è rivolto a tutti i lettori di questo blog ad esprimere il proprio parere liberamente (e magari anche ad argomentarlo brevemente).
Invece che pubblicare (per piaggeria, per cortigianeria, per compiacenza fate voi) poesie di autori molto noti e influenti, facciamo questo innocuo gioco, pubblicate un autore non noto (quindi non influente perché non conta niente). che ne pensate? non dovreste avere paura, in fondo è un gioco innocuo…
@Linguaglossa,
non sono di LPLC, ma appoggio da lettore la tua proposta.
Hai un aderito, nzomma.
Invece che pubblicare (per piaggeria, per cortigianeria, per compiacenza fate voi) poesie di autori molto noti e influenti, facciamo questo innocuo gioco, pubblicate un autore non noto (quindi non influente perché non conta niente). che ne pensate? non dovreste avere paura, in fondo è un gioco innocuo…
con quale autorità vuoi proporre un gioco “innocuo” quando le premesse da cui parti sono tutt’altro che innocue, per non dire proprio in malafede? mi riferisco alla prima parte della tua frase.
intendiamoci, la tua proposta può avere qualche attrattiva in sé, ma presentata in questa maniera, è come se si esponesse dicendo “rifiutatemi con sdegno”; ci sono, insomma, dei grossi difetti comunicativi alla base.
… io ci sto. Anzi, rilancio: perché 5 poesie di un solo poeta ignoto? Facciamo almeno 10 di due poeti ignoti, che siano sufficientemente diversi da poter escludere che l’eventuale entusiasmo o freddezza nei loro confronti siano imputabili a meri fattori di gusto.
“intendiamoci, la tua proposta può avere qualche attrattiva in sé, ma presentata in questa maniera, è come se si esponesse dicendo “rifiutatemi con sdegno”; ci sono, insomma, dei grossi difetti comunicativi alla base” (L. Marchese)
I “grossi difetti comunicativi” ci sono anche quando le poesie o le prose che appaino su LPLC sono scelte dalla redazione.
Il gioco proposto da Linguaglossa non è “innocuo”, ma è una buona provocazione, se la si assume seriamente. Permette di ampliare il confronto, di fare “gruppo aperto” ( o “più aperto”) invece che “chiuso”.
L’appoggio anch’io.
@ giustizia somma (ex sommaria)
Accetto le condizioni: 10 poesie di due poeti ignoti.
Però chiedo una risposta ufficiale della redazione.
La “qualità” ed il “valore” sono ipotesi suggestive e molto personali che non vanno necessariamente tacciate di capziosità o di partigianeria .
La proposta di Linguaglossa – la sua autonomia nelle eventuali scelte – va rispettata ; come andrebbe rispettata quella di ciascuno di noi . E basta con le riserve mentali e la malafede galoppante tipicamente italiana .
Vado al di la’ della provocazione di Linguaglossa: cinque poesie scelte bastano ad identificare una voce e spesso possono bastare anche a definirne la caratura. Per cui ben venga l’invito, in termini di *collaudo* telematico e di contributo alla eco-sostenibilita’ del nostro ambiente.
Ho proposto due giorni fa alla redazione di Le parole e le cose una lunga poesia del 1948 di Alfredo de Palchi (sto aspettando risposta), un quasi dimenticato sodale di Raboni, Zanzotto e Erba e a mio avviso più importante di loro. Avrei voluto confrontarmi con critici di fama sull’importanza storica di de Palchi, apprezzato moltissimo da Vittorio Sereni e da lui infatti pubblicato nella Mondadori di allora.
Voglio dire: non occorre che sia anonimo l’autore, credo e spero ancora nell’onestà del giudizio.
Caro Linguaglossa,
il gioco funziona così: lei spedisce le poesie che le interessano, sue o di chiunque altro, anche anonime, a uno qualsiasi dei collaboratori di LPLC (come ha fatto per esempio Roberto Bertoldo, al quale risponderemo appena possibile). Sono infatti i singoli collaboratori (tra cui anche Franco Buffoni, se per caso le fosse sfuggito) a decidere cosa pubblicare; è la regola che ci siamo dati, ed è anche una prassi consolidata nell’ambito delle riviste letterarie. Serve tra l’altro a impedire che chiunque possa imporci di pubblicare qualsiasi cosa – anche solo per gioco.
Cordialmente,
LPLC
Quando studiai ermeneutica a Cuneo, tre anni, per diventare un uomo di mondo, mi fu insegnato che bisogna leggere i testi, no le teste, né quelle degli scriventi né quelle dei lettori-commentatori. Mi fu insegnato anche a leggerli in maniera giuridica, perché i testi spesso contengono reati, quali la diffamazione a mezzo stampa e la calunnia. Quindi, VOCE DEL COMPLOTTO, di aver accusato chicche e sia di complottismo e mafiosità lo vada a dire a sua sorella; lo stesso che c’è un ENTITA’ carbonara avversa a questo blog, della quale io farei parte insieme a Linguaglossa e chi sta antipatico a lei, tutta gente che in ogni caso non conosco (volendo bene al mondo e tenendo tanto alla bellezza che c’è nel mondo, per non abbassarne il tasso, non esco di casa da anni. A proposito, lei cosa fa per mondo e bellezza?)
Io ho sostenuto, nell’ultimo anno, posizioni contrarie a quelle degli organizzatori del premio Dedalus, scontrandomi con loro a viso aperto, semmai ricevendo io ingiustificati improperi (Cortellessa, preso dalla foga(O) dialettica, un giorno mi mandò direttamente a pigliarmela nel culo ; scusandosi, va ammesso, il giorno successivo). Infatti, mai accusai nessuno né di complotto né di mafiosità. Io dissi e dico che la forma organizzativa del premio, tutta fondata sulla buona fede dei promotori e dei partecipanti, e non su regole veramente trasparenti e democratiche, rischia di essere controproducente. Dico pure che in modo assai preoccupante votanti e votati coincidono. Così come dico che il marchio di qualità, assegnato in modo arbitrario, rischia di portare più danno che beneficio ai segnalati, ulteriormente isolandosi (nello stesso tempo centralizzando i critici promotori?). Continuerei anche a sottolineare che 50 scelte a categoria sono deliranti, specie nella poesia, perché non è possibile che un paese piccolo come il nostro abbia 50 poeti di qualità vivi. La cosa più convinta che sostengo contro il premio Dedalus è che esso riduce di molto la propria credibilità per via del fatto che il voto non è segreto, ma viene espresso via mail, ed è quindi a conoscenza del triumvirato di organizzatori, più il segretario, che in linea del tutto teorica potrebbero risultare almeno psicologicamente influenti (potrebbe anche essere che io congiurato, per quieto vivere, voto ciò che è in linea…). In questo senso Andrea Inglese, autorevole firma di Nazione Indiana e socio di Cortellessa in varie iniziative, fra le quali Alfabeta2, ha pubblicamente annunciato, poche settimane fa, che abbandona la giuria, perché lo stesso Cortellessa, in una conversazione telefonica, gli aveva detto di considerare sbagliato il voto da lui espresso, ritenendosi in qualche maniera violato nel suo diritto di dare insindacabili giudizi. Lo stesso si è dimesso un’altra autorevole firma di Nazione Indiana, Gianni Biondillo, cercando di polemizzare il meno possibile, come mi pare sia nella sua indole. Peggio ancora, l’editore Carlo Cannella, concluse il secondo di due impietosi interventi scrivendo letteralmente CI HANNO TRUFFATO. Questo il link alla discussione sotto al post di Gianni Biondillo, che si chiama, guardi un po’, ” Fare Lobby ”
http://www.nazioneindiana.com/2011/11/15/fare-lobby/#comments
Di nuovo, dato che ci sono, aggiungo solo che a vedere i nomi della case editrici, soprattutto nella classifica delle poesie, si rimane assoluta mente impressionati; aggiungo nonché che i votanti sono 200, dunque i voti disponibili – 6 per giurato per ognuna delle classifiche – sono 1200 per classifica. Se si risulta primi con 60 70 punti, vuol dire che bastano dieci giurati d’accordo fra l’oro, e in ogni caso vuol dire che si vince con il 4 o 5 per cento dei voti potenziali; che è poco, troppo poco per essere considerato un dato interessante almeno per capire dove va a parare la letteratura diciamo alta. Secondo me.
Con questo, caro/a signor/a complotto, io con lei avrei chiuso. Mi aspetto altrettanto da lei.
Sono molto belle queste poesie, e dicono di un momento a dir poco difficilissimo, e allora mettono insieme, quasi inevitabilmente, un passato molto lontano a quel presente tanto doloroso. L’intelligenza, nei suoi molteplici aspetti, di sicuro aiuta molto, ma non è tutto, si sa, ma magari, in quel frangente, è quella stessa intelligenza a far sì che non si distingua un sonno dal saluto definitivo. Un grande abbraccio a Franco Buffoni in segno di vicinanza e di stima.
Adelelmo
Non mi correggo mai, perché lo trovo ridicolo, ma in questo caso lo ritengo importante: ulteriormente isolandoLI (gli autori), no ulteriormente isolandosi (i critici).
Massino, che spreco di tempo. Il quadro della situazione era già chiarissimo dai commenti all’altro post sul Dedalus, poteva anche evitare di ripetersi. Avevamo già capito tutti. Mio fratello non rinnega niente di quanto affermato: chi sappia “leggere i testi” capirà bene che la diffamazione non c’entra nulla, qui – ahi, l’ermeneutica… sempre più spesso mi sorprendo a rivalutare la sobrietà austera della formazione filologica – e il sentimento di ingiustizia che lei accusa ci sembra tanto l’effetto illusionistico di un delirio da lesa maestà. E poi, mi scusi, lei si lamenta di fantomatiche diffamazioni al suo indirizzo (???), e poi si può permettere di dare del fascista al mio povero fratello, anzi peggio, di coinvolgere me, fulgido specchio di virtù muliebri, in questa bagarre? Che gesto inelegante chiamare in causa una fanciulla di cui nemmeno conosce l’incarnato! Si calmi, che la sua prosa diventa rossa come un peperone e le si gonfiano le vene delle tempie, e non è un bello spettacolo. Torni a lavorare per il mondo e per la bellezza, come facciamo tutti, e ogni tanto esca di casa a respirare un refolo d’aria, vedrà che tutto assumerà più giuste proporzioni. Un augurio di serenità e conciliazione.
“è la regola che ci siamo dati, ed è anche una prassi consolidata nell’ambito delle riviste letterarie. Serve tra l’altro a impedire che chiunque possa imporci di pubblicare qualsiasi cosa – anche solo per gioco” (Le parole e le cose)
E’ la stessa cosa che mi sono sentito rispondere da quelli di Nazione Indiana quando gli ho mandato una riflessione politica difforme dalla vulgata “interventista” sulla guerra in Libia.
Come nella favole del lupo e dell’agnello sono i più “forti” con la loro “prassi consolidata” ad accusare i più “deboli” di voler IMPORRE “qualsiasi cosa”.
L’unico gioco permesso è il vostro. Altri giochi non si potranno mai pensare o praticare, perché voi IMPONETE il vostro consolidatissimo gioco di “gruppo chiuso”. La parità è *inter pares” (“Sono infatti i singoli collaboratori (tra cui anche Franco Buffoni, se per caso le fosse sfuggito) a decidere cosa pubblicare”). I “plebei” fuori o al massimo nei recinti-commenti.
Ecco la democrazia letteraria modellata su quella politica. Adesso vedremo un vostro imitatore, l’attuale presidente del Consiglio Mario Monti che accuserà i tartassati di volergli IMPORRE “qualsiasi cosa”.
Bella roba!
oddio, Ennio Abate riparte… invece che ripetere la stessa trita polemica per la ventesima volta (io ci sono entrato per caso alla diciottesima e già ne avverto lo strazio), suggerisco che chi appoggia l’esperimento Linguaglossa lo manifesti, in modo che la redazione o chi per essa, se perplessa, si convinca. Potrebbe essere il modo per mettere fine, una volta per tutte, a questa storia.
@Abate
noi non tartassiamo, non accusiamo, non imponiamo e soprattutto a differenza sua non sproloquiamo di democrazia. Gestiamo un sito, e desideriamo avere il controllo di quello che pubblichiamo, il che è perfettamente logico. In altre parole, non intendiamo pubblicare nulla a scatola chiusa – né per gioco, né per sfida, né per ricatto, e tantomeno per malinteso senso di colpa verso chi si sente “plebeo” e per questo in diritto di aggredire il prossimo. Se questo le sembra antidemocratico, ci consideri pure antidemocratici. Non c’è problema.
@il fratello (della sorella)
L’esperimento di Linguaglossa può aver luogo, anonimato compreso, ma l’iter da seguire è quello che abbiamo descritto prima.
Per inciso, quanto insinua Linguaglossa è falso (e non è la prima dichiarazione imprecisa che gli lasciamo passare nei commenti). E’ falso che ci interessino solo poesie di “di autori molto noti e influenti” (ammesso che questa definizione abbia un senso). Non abbiamo nessun problema a pubblicare autori esordienti o di fatto sconosciuti. Lo abbiamo già fatto e lo faremo ancora, e presto.
Sorella del fratello, che il rosso non vi piace si era capito benissimo, ma io non arrossisco per così poca sostanza. Mi parete volenterosi studenti che studiano che vi dovete prendere una laura, e finanche un dittatorato, ma se volete capirci qualcosa, studiate di meno. Bau.
@ leparoleelecose
che quanto sostenga Linguaglossa è falso, ho provato a dichiararlo anch’io da esterno per amore di evidenza, ma col solo effetto di aumentare il ringhio. A questo punto, per evitare di continuare a sorbirsi attacchi in astratto e per principio, credo che valga la pena testare sul campo l’alternativa che tanto rumorosamente propone. Così che tutti vedano se è un genio tragicamente incompreso o un venditore di fumo.
@ Massino
si sbaglia, il rosso ci piace un sacco, purché non venga sventolato da un melodrammatico torero per dileggiare la più innocua delle bestie cornute, in quella brutta parodia spagnola del cavaliere che pugna col drago.
la proposta di Giorgio mi sembra decisamente interessante. Leggerò volentieri se LPLC posteranno. Potrebbe essere divertente cercare di riconoscerlo/a.
Maurizio Alberto Molinari
“Gestiamo un sito, e desideriamo avere il controllo di quello che pubblichiamo, il che è perfettamente logico” (Le parole e le cose).
Non credo che pubblicare e permettere di discutere un testo di un autore che qualcuno non legato ai redattori di LPLC (Linguaglossa o altri) ritiene ignoto o meno noto o trascurato comporti alcuna perdita di controllo da parte dei gestori del sito. Secondo me, si può pubblicare anche un testo che uno a prima vista o per pregiudizio verso i proponenti considera errato o inopportuno o persino scadente prendendo contemporaneamente le distanze o accompagnandolo da una critica argomentata. E’ la diffidenza che non va. E’ la generosità nel confronto che anche qui su LPLC manca. Ed è una (piccolissima, se si vuole) questione di democrazia.
@ il fratello etc
Le polemiche se motivate non sono mai ‘trite’. Trite, diffidenti, risentite e con la coda di paglia sembrano più spesso le risposte che vengono date ai polemisti.
@ LPLC
invio (in visione) alcune brevissime composizioni di una poetessa tratte da un libro edito nel 1992 e morta nel 2002 con la quale (preciso) non sono legato né da vincoli di parentela né mai ho avuto rapporti se non epistolari, se non letterari.
*
Laetare et tu.
Quae est ista quae progreditur
ut blanca luna, pulchra ut virgo,
electa ut colomba?
*
Ego sum flor campi,
surgo pulchra tra i lampi
*
Castigo corpus meum in servitutem etterna
castigo mei oculis in aeterna culpa
vertigo meae membra in aeterna solitudinem
redigo meae scripta in turpitudine etterna.
Castigo et redigo, castigo et religo.
*
In mei oculi fragmenta et ferramenta
in mei auri tormenta et placenta
in mea vagina turpitudine et abstinentia
in meae tempie rumoresque et ciarpame.
*
Dalla intemperie dell’incontinenza
giunta sunt at paura et maledictione
tota pulchra mea bella inconscientia
toto amaro est desio et perdizione.
*
Oportet agere esperientia della corruptione
perdersi intra farsanti et servi della gleba
intra festanti de lo carnovale
romorio di fantocci, latroni et usurieri
*
Io etterna sono et etterna duro
fuggendo dal mar ruffiano e fuggendo piano
etterna in questo maladetto et etterno muro.
*
Quanto tempo di maschere et disordinanza
quando pulchro lo mio volto era
quanto tempo di nacchere et latronanza
quando pulchro lo mio volto era.
*
Dissoluta fu mia vita aperta e ria
dalla triste vedovanza alla bella libertà.
Dissoluta et maladetta fu mia vita.
*
Dicono i più che la poesia debba attingere
al dizionario delle parole morte.
Ecco, ci sono parole impossibili:
– difficili da pronunciare –
una di queste è anima
altre sono: amore, cuore, dolore
– con annesse rime –
altre ancora: bello, brutto, sole, primavera,
mare azzurro…
(con tutto ciò che di sordido
c’è al loro interno… )
e poi… numerose altre: infinito, empireo, angeli
cherubini farseschi, santità, diavoli…
ma sarebbe ben lungo l’elenco.
Se tu lettore vuoi sincerartene non c’è che aprire
a caso il dizionario delle parole morte
e gettarci un’occhiata.
*
Tutto questo favellare, tutto questo balbo
balbutire, mi è ostico – lo capisci?
La lingua dei famuli – lo capisci?
La detesto.
*
C’è chi dice che il mondo
sarà salvato dai ragazzini
c’è chi dice che sarà salvato dai santi
c’è chi dice che il mondo sarà
salvato da una poesia…
Io invece penso che il mondo non sarà
salvato affatto.
Non ci sarà nessuno a salvare il mondo.
E questa sarà la sua salvezza.
*
Gli angeli sono come gli uccellini
volano via al primo battere delle mani,
i dèmoni invece stanno immobili
appollaiati sui rami degli alberi
emettono il loro singhiozzo disperato.
Essi non possono fuggire… maledetti
dall’eternità sono condannati a star fermi.
Per sempre.
Mi colpisce la forza che traspare, molto fonda, come un suono prima ingolato nelle viscere e poi sempre più forte, verso l’alto, quasi lanciato contro il lettore (cfr. “lo capisci?”ripetuto due volte, e in genere il tono montante complessivo ) ma anche contro l’io poetico. C’è una rabbia che a stento si contiene, un fastidio nei confronti del mondo, del linguaggio, di se stessi. Mi ricorda una poetessa che ho letto, ma non importa l’identità. Ci sono dei passaggi o degli interi componimenti che sono troppo prosastici, secondo me, come riflessioni personali o a forismi (“C’è chi dice che il mondo”, per esempio; o “Dicono i più che la poesia debba attingere”, dove comunque sembra di leggere una riflessione dello Zibaldone leopardiano, quindi non scontata).
Ho apprezzato molto le prime nove poesie, con l’uso del latino; non è quest’ultimo il fattore discriminante (tale tipo di pastiche non una novità in letteratura) ma il contenuto. La vis dell’autrice è qui notevole, trasmette sensazioni quasi musicali, fra suoni dolci e improvvisamente cupi.
Che bello, comunque.
P. S. Non si potrebbe leggere anche qualcosa di uno/a “sconosciuto/a” (definizione orrenda ma funzionale a capirsi velocemente) ancora vivo/a? Grazie.
non per alimentare il flame, ma mi pare che l’uso di un linguaggio poetico “parlato” si esplichi in buffoni in maniera nettamente più efficace e densa, mentre nelle poesie dell’anonima rimane un po’ vuoto, perso anche nella forma sentenziosa e “definitiva” che ogni tanto, poco efficacemente, assume; si vedano a proposito le ultime due poesie dell’anonima, banali e poco efficaci nel tentativo di conferirsi un tono sentenzioso e “definitivo”
sull’uso del latino maccheronico, in questo caso grottesco, stravolto e “contro” una modernità scorrente, transitoria, volgare nella sua leggerezza, che dire: l’idea di partenza non è originale (e neanche il modo, la voce che fa poesia, devo dire), ma si legge con discreto piacere. da un quadro, a fortissimo tasso figurativo, di disfacimento personale, si passa all’italiano e alle considerazioni più ad ampio raggio sulla modernità. in mezzo, passaggi metapoetici di questo tipo mi paiono incongruamente sentenziosi, in sostanza stonano rispetto al resto:
Oportet agere esperientia della corruptione
perdersi intra farsanti et servi della gleba
intra festanti de lo carnovale
romorio di fantocci, latroni et usurieri
*
Io etterna sono et etterna duro
fuggendo dal mar ruffiano e fuggendo piano
etterna in questo maladetto et etterno muro.
(sugli inediti di F.B.)
Mi stupisce e conquista questa lingua densa e leggerissima, questo calibro che tiene insieme la quotidiana intimità con una miriade di cose, nomi, date, ricordi, voci, gesti, sguardi, e il loro disporsi perfettamente nello spazio nitido del verso. Mi ricorda l’agilità e la portata di Heaney, che sa far incontrare due vecchi compagni di scuola per strada, farli nominare il frustino della maestra e…già questo è tutto, solo questo è una poesia. Sembra facile.
Riuscire a dire certe cose, il rapido flash-back d’infanzia in attesa all’areoporto, con quel subitaneo compenetrarsi di gioco e serietà, la tristezza del giovane e il volo del grande, l’ingenuità del bambino e il senso di inappropriatezza, che non sai più, alla fine, a quale età appartengano; riuscire a dire di quel tè, della “convinzione / di avere udito un grugnito di assenso” (non già le ultime parole, non chissà quale rivelazione), del proprio essere ingenui, sì, ma resi maggiori dalla presenza; riuscire persino a condensare in una singola quartina le contraddizioni racchiuse in quel secondo (in quel mondo), ad assestare con un breve scatto, il volgere le spalle di Montale, un affondo netto, cristallino nel canone novecentesco – beh, riuscire a fare questo, senza retorica, né enfatica affabulazione, lavorando sul lato nascosto della lingua (ricorderete la lettera rubata di Poe: è quello davanti ai nostri occhi), a me sembra magistrale.
grazie davvero e un caro saluto
renata
Una piccola chiosa in ordine allo scambio di vedute tra LPLC e i suoi interlocutori .
A meno che si tratti della Vispa Teresa et similia , credo che qualunque testo possa trovare accoglienza – democraticamente – senza chiusure da parte di chi gestisce un blog .
Al limite , contestualmente alla pubblicazione , si possono esprimere riserve anche polemiche ( ben vengano ! ) , ma rispettose di un gusto , di una sensibilità , di una cultura ( etico / politica ecc. ) che possono non coincidere con le proprie .
Qui oltre che di democrazia si tratta di apertura intellettuale ; di confrontarsi se necessario ( e doverosamente ) con un diverso testimoniare e vivere la contemporaneità e la Storia .
La ” prassi consolidata nell’ambito delle riviste letterarie in ordine a cosa pubblicare ” si ispira giustamente a criteri di democrazia ( si decide a maggioranza ) ; se poi questa democrazia vuole “connotarsi” e sancire con precise scelte di campo la sua fisionomia , padronissima di farlo ; sarà ( magari in perfetta buonafede ) una rivista – un blog – di tendenza , un blog a senso unico . E amen .
I suoi frequentatori sapranno che non potranno esprimersi più di tanto ; il che , laddove dovrebbe esistere la libera circolazione delle idee , è francamente frustrante .
Grazie dell’ospitalità –
leopoldo attolico
@Attolico
La circolazione delle idee in questo sito è talmente libera che alcuni utenti possono accusarci di scarsa democraticità semplicemente perché ci riserviamo il diritto di non pubblicare testi a scatola chiusa.
Quanto alla sua chiosa, è evidente che pubblicare “qualunque testo”, come lei propone, sarebbe come non pubblicarne nessuno. Non si tratta di essere “a senso unico”, ma di dare senso a quello che si fa.
@ Le parole e le cose
Chiedo: la libera circolazione d’idee in questo sito si deve ridurre ad accuse da fare o da respingere?
Nessuno ha chiesto alla redazione di LPLC di pubblicare testi a scatola chiusa. Attolico ha precisato che in quel suo «qualunque testo» non rientrano «Vispa Teresa et similia». E’ ingiusto travisare le sue parole. E i testi della poetessa proposta in anonimato e in visione da Linguaglossa non sono “qualunquisti”: vengono da una sua( personale o di gruppo) selezione. E mi pare che, se collocati in un post e non infilati nello spazio commento, non sfigurerebbero rispetto a quelli finora selezionati dai redattori di LPLC e pubblicati. Poi si può discutere, come si è cominciato già a fare, se essi siano “migliori” o “peggiori” di quelli di Buffoni o di altri.
Il problema posto, dunque, da alcuni commentatori esterni alla redazione di LPLC è quello di dare spazio anche a testi, comunque di buon livello che sfuggono alla sua attenzione o non vengono presi in considerazione sulla base però di un pregiudizio verso proponenti esterni non conosciuti o di cui si diffida. Secondo me una maggiore sensibilità ad apporti esterni gioverebbe all’esercizio della critica sia da parte dei redattori di LPLC che dei commentatori: la gamma delle proposte sarebbe più ampia e le discussioni forse meno umorali e aggressive. Come praticare una tale apertura sul piano organizzativo è problema che lascio aperto.
@Ennio Abate
Lei sostiene che “nessuno ha chiesto alla redazione di LPLC di pubblicare testi a scatola chiusa”. E’ falso: Linguaglossa, di fatto, lo ha chiesto (per gioco). Sostiene che LPLC non prende in considerazione contributi esterni, o la fa con pregiudizio e diffidenza; falso anche questo; abbiamo pubblicato in questi mesi diversi “contributi esterni” – e altri ne abbiamo scartati, non per pregiudizio o diffidenza, ma in base a valutazioni specifiche (opinabili, ovviamente). Sostiene che fraintendiamo Attolico, secondo il quale, citiamo, qualunque testo può essere pubblicato, “a meno che si tratti della Vispa Teresa”. Ebbene, il diritto che ci riserviamo è appunto quello di decidere se un testo sia o meno, a nostro parere, “la Vispa Teresa”, per riprendere la formula di Attolico. Quindi i casi sono due: o Attolico ci suggerisce di pubblicare “qualunque testo”, eventualmente facendolo precedere dalle nostre riserve – il che è assai tortuoso, se non palesemente assurdo; oppure ci invita a scegliere cosa pubblicare in base alla nostra sensibilità – che è quello che già facciamo.
In conclusione: noi cercheremo in futuro di essere più ancora sensibili e aperti ai contributi esterni che ci sembrino meritevoli di pubblicazione. Chi ce li sottopone farebbe bene, in caso di rifiuto, ad essere meno aggressivo, meno paranoico e soprattutto meno retorico.
Grazie.
Va bene. Cercate di essere ancora più sensibili ed aperti ai contributi esterni che farà bene a voi e al sito. È una promessa, niente più che una promessa, ma non la disprezzo.
Vorrei, però, visto che siete dei retori raffinati, farvi notare che lo stile della vostra risposta al sottoscritto ( «Lei sostiene…È falso… Sostiene… falso anche questo… sostiene che… Ebbene») resta avvocatesca, da tribunale e di netta contrapposizione, incapace di mediazione e generosità.
Il gioco serio e provocatorio di Linguaglossa viene equiparato nuovamente a una richiesta di «pubblicare testi a scatola chiusa». Come se Linguaglossa avesse la password di amministratore di LPLC e potesse pubblicare un testo a vostra insaputa!
Avete pubblicato « in questi mesi diversi “contributi esterni” – e altri ne [avete] scartati, non per pregiudizio o diffidenza, ma in base a valutazioni specifiche (opinabili, ovviamente)»?
So per certo che avete negato la pubblicazione all’unico mio contributo da esterno che vi ho inviato (quello sulla guerra in Libia) e attendo ancora le valutazioni specifiche, opinabili ovviamente.
Spero che altri scartati siano stati trattati meglio e non invitati soltanto ad essere meno aggressivi etc.
Arzigogolato mi pare, infine, il modo con cui rispondete alla richiesta di Attolico. Concordate con lui che i testi da Vispa Teresa vanno esclusi. Evviva. Ma non spiegate perché sarebbe «assai tortuoso, se non palesemente assurdo» pubblicare un testo ( non “qualunque testo”!) facendolo precedere o seguire da vostre riserve?
Lo fanno vari siti, credo. E comunque io e gli altri redattori della rivista «Poliscritture» lo facciamo regolarmente dal 2005. E, come dicevo, con vantaggio per la libera ricorcolazione delle idee: dando spazio a una più vasta gamma delle campane che oggi suonano nel villaggio; sollecitando discussioni più intense anche con posizioni in parte antagoniste.
Comunque grazie della promessa e dello sforzo che fate di rispondermi.
Per tenere sempre coi piedi per terra la discussione di questo post mi permetto il copia/incolla di un brano da un commento di Zinato (8 dicembre 2011 alle 16:32) tratto da un altro post ( Dieci suggerimenti per la sopravvivenza della critica) sempre su LPLC :
“A ben guardare, tuttavia, i critici “barbuti” contro cui Fantozzi si rivoltava, definivano tautologicamente l’opera, ne proclamavano la “bellezza”, la “grandezza”, senza discuterla. Questa caricatura, penetrata nell’immaginario collettivo, è dotata dunque di una sua paradossale verità. Per sopravvivere, la critica letteraria dovrebbe affrontare invece pacatamente la questione del valore: dovrebbe cioè saper dire chiaramente perché un’opera è più degna di esser letta di un’altra. Dovrebbe poter formulare dei giudizi condivisi in un’epoca in cui tutte le gerarchie interne del sistema culturale (come, a esempio, le antitesi alto e basso, letteratura di ricerca e di consumo) sembrano inconsistenti, e in cui sembra ormai acquisita l’idea che la responsabilità di render letterario o estetico un oggetto testuale spetti alla situazione in cui viene percepito, cioè al mercato, all’appeal, alla godibilità diffusa, più che all’oggetto stesso.
La valorizzazione delle opere è oggi infatti, di necessità, interamente dominata dalla relatività. Ma appare un fatto del tutto arbitrario e irrilevante (il che toglie fiato, vitalità e credibilità alla funzione stessa della critica) per la scarsa propensione sia della critica che del senso comune a considerare la verità un processo argomentativo anziché un dato. Dar ascolto a una congettura è più faticoso (ma più fecondo quanto a esperienza e senso) che accettare o respingere una presunta Verità.”
Il contrabbandiere
@ LPLC
sia chiaro che:
1) io ho inviato le poesie della poetessa anonima dietro invito esplicito di uno dei redattori di LPLC;
2) senza un invito esplicito non mi sarei mai permesso di disturbare la redazione di LPLC;
3) non ritengo di riconoscere alla redazione di LPLC alcuna legittimità in sede critica;
4) stigmatizzo la redazione di LPLC che opera censure e interdetti privi di adeguata motivazione su autori che vengano proposti dall’esterno;
5) Rilevo però che la redazione di LPLC ha il diritto-dovere di motivare adeguatamente sia le censure che i consensi e che in caso di omissione-mancanza di adeguate motivazioni la conseguente proposta perde di credibilità e di legittimità (critica);
6) lascio volentieri ad alcuni redattori diLPLC la responsabilità di un linguaggio irto di locuzioni tribunalizie e inquisitorie tipico di guardiani del faro;
7) prendo atto della chiusura a riccio a difesa degli interessi corporativi di codesto blog che si è dimostrato incapace di operare un civile confronto tra posizioni critiche diverse;
8) prendo atto del concetto personalistico (e privatistico) che ha codesto blog dei principi della libertà del pensiero e del libero confronto intellettuale.
Per Linguaglossa
Lei non ha inviato le poesie in visione a un collaboratore di LPLC, come le veniva suggerito di fare – comunque DOPO che LEI aveva proposto al sito di pubblicarle – ma ha postato direttamente i testi nello spazio dei commenti. Niente di grave, per carità. Il fatto è che non riusciamo a capire se lei sia un semplice bugiardo o un vero e proprio mitomane – o se semplicemente non capisca l’italiano.
Quanto al resto del suoi “chiarimenti”, preferiamo per il momento non replicare nel merito, più che altro per non infierire. La invitiamo però a un minimo di coerenza: se non attribuisce al nostro sito “alcuna legittimità in sede critica”, perché ci tiene tanto a pubblicare con noi? Sarebbe logico proporre a riviste più autorevoli i testi che le stanno al cuore.
Grazie.