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a cura di Andrea Lombardi

[Negli ultimi vent’anni il campo culturale italiano è cambiato profondamente. Alcuni dei mutamenti più radicali sono stati generati dalla rete. Dai primi forum ai blog fino ai social network, internet ha mostrato una grande vivacità letteraria e ha prodotto dei fenomeni che troppo spesso, per pregiudizio o timore, vengono ignorati. Oggi questo rapporto è giunto a una fase per così dire istituzionale, una fase che consente di definire o quantomeno di interpretare aspetti che fino a poco tempo fa apparivano poco chiari. Di qui l’idea di un’inchiesta sul rapporto fra gli scrittori e Facebook, il social network più usato, quello che racchiude alcune peculiarità delle forme online sorte in precedenza, ma che ha prodotto tipi di scrittura e di interazione nuovi e dirompenti. Le interviste contengono domande fisse e domande legate all’attività specifica degli autori intervistati. Nelle settimane scorse abbiamo pubblicato le risposte di Francesco Pecoraro, Gilda Policastro, Vanni SantoniGiuseppe Genna e Giulio Mozzi (Andrea Lombardi)]

1) In che anno ti sei iscritto a Facebook e che cosa ti aspettavi quando l’hai fatto?

Mi sono iscritto nel 2007, invitato credo da un autore USA che stavo traducendo (forse Kasey Mohammad ma non ne sono del tutto sicuro) e, infatti, ai tempi erano quasi tutti americani gli iscritti e c’era l’abitudine, anche per gli italiani, di scrivere gli status in inglese. Non è che mi aspettassi qualcosa in particolare. L’elemento ludico era ancora prevalente su FB: il tempo che ci passavi lo impegnavi principalmente a fare dei poke o a lanciare delle pecore (letteralmente: c’era questa applicazione che permetteva di “lanciare” sul profilo degli amici una pecora, una mucca, l’allora candidato Obama, etc.). C’era sì il senso di un luogo di scambio e la percezione di una comunità di pari con cui confrontarsi ma con molto understatement, con molta misura. In quegli anni la vera attività di networking era ancora negli spazi commenti dei blog.

2) All’inizio hai pensato di dover gestire il tuo profilo tenendo conto del fatto di avere un’immagine pubblica in quanto scrittore o non ti sei posto il problema?

No, assolutamente. Anche perché all’inizio tutti i miei contatti erano scrittori, poeti o amici che bene o male gravitavano intorno al mondo della scrittura e non c’era la percezione di un mondo di fuori, di un “pubblico” (ed è questo credo l’elemento forza di Facebook, ovvero il suo lavorare sulla comunità on line come luogo tra il pubblico ed il privato e né pubblico né privato). Quando poi il social network ha iniziato a diventare popolare, attraendo più o meno tutte le mie conoscenze off line, e i suoi meccanismi neutralizzanti dei ruoli e delle specificità dei discorsi sono andati a regime, suonava ancora più ridondante una preoccupazione di quel tipo (tutto questo non considerando il fatto che è davvero difficile, per un autore come me, immaginare di avere “un’immagine pubblica”).

 

3) Che tipo di materiale condividi nella tua bacheca? Quanto è riconducibile al tuo ruolo pubblico e quanto alla vita privata? Si può parlare, nel tuo caso, di una poetica di Facebook?

Fatto salvo che, sui social network (ma solo sui social network?), una vera distinzione tra ruolo pubblico e vita privata non si dà, dato che ogni contenuto condiviso fa parte di una strategia conscia o inconscia di autorappresentazione e di potenziamento della propria soggettività in una comunità di soggetti prossimi, devo dire che tendo a usare FB come bacheca dove mettere spunti e suggestioni. Prima postavo linee di canzoni che mi venivano in mente o piccoli flash rispetto a quello che stavo facendo (anche perché, ai tempi, gli status erano sempre introdotti da un “is” e quindi potevi solo scrivere al present continuous cose tipo “Gherardo is watching television”). Poi ho iniziato a postare video che mappavano i miei gusti musicali di quel periodo (principalmente gruppi post-punk più o meno oscuri). Oggi non posto quasi niente direttamente ma condivido le foto che faccio su Instagram e i pochi tweet che pubblico (quasi sempre link ad articoli o a siti e servizi on line che mi sembrano particolarmente emblematici). Non parlerei di una mia poetica di Facebook. Piuttosto mi interrogherei in termini generali sulla relazione della scrittura con il meccanismo totalizzante che è la produzione di contenuti on line, di cui Facebook è solo un’istanziazione.

 

4) Nel tuo profilo condividi molto spesso fotografie, vere e proprie istantanee che hanno come soggetto elementi del paesaggio urbano, in particolare edifici e palazzi. Quale valore ha questo aspetto della tua attività su Facebook? C’è una relazione col fatto che la tua opera si caratterizza anche per l’ibridazione con la fotografia?

Alla fine la cosa rientra nell’idea di bacheca come luogo di suggestioni. Non credo di fare un lavoro da fotografo e sicuramente non rientra nelle mie intenzioni. Diciamo piuttosto che uso la fotografia come strumento di blogging alternativo. Fotografare, in questo senso, è fissare un dato punto nello spazio-tempo, da aggiungere agli istanti/istantanee già registrati. Negli effetti però questo accumulo di immagini non è necessariamente un aspetto della mia attività su FB. Anzi: FB è un canale di condivisione di materiale che ha una sua piattaforma nativa, ovvero Instagram. Questo per dire che forse più che sul singolo social network andrebbe fatto un ragionamento su come la nostra soggettività e le nostre operazioni di registrazione (“Archiving is the new Folk Art” dice Rick Prelinger, citato da Kenneth Goldsmith) si dissipano su reti di reti, lungo comunità più o meno intersecate e sovrapposte.

 

5) L’intromissione del privato quale conseguenze ha, a tuo parere, sui lettori? Lo scrittore perde l’autorevolezza che scaturisce da un rapporto fondato esclusivamente sulla lettura delle sue opere?

Questa domanda contiene delle petizioni di principio non banali, su cui vorrei attirare l’attenzione. Da una parte l’idea che la lettura dei testi generi necessariamente relazioni basate sull’autorevolezza e su dinamiche dall’alto verso il basso (scordando come il fruitore tenda all’uso/abuso del prodotto estetico); dall’altra che l’intromissione del privato sia una novità da registrare ora, quando sappiamo che è da parecchio che la dimensione esistenziale degli autori gioca un ruolo chiave nella sua relazione con il pubblico (e con il mercato); dall’altra ancora che sui social network la distinzione tra lettori e scrittori abbia ancora una tenuta che non sia funzionale. Fatto salvo questo, la mia risposta (la risposta di un autore che ha una relazione un po’ più che marginale con il costrutto “pubblico della letteratura”) è che no e che l’autorevolezza che posso avere ce l’ho in forza di testi che reggono la realtà della rete e non viceversa.

 

6) Il circuito di Internet prevede l’equivalenza degli utenti in quanto produttori di contenuti, il che mette in crisi la gerarchia autore-lettore ponendoli sullo stesso piano nelle sedi online. Come interpreti tale rapporto, anche alla luce della tua esperienza su Facebook?

Sono tra quelli che hanno messo in luce quel meccanismo ma credo che Facebook illustri soprattutto il fenomeno gemello di quell’equivalenza, ovvero la proliferazione di comunità generate dall’utente e dalla sua connessione alla rete. Ora siamo tutti attratti dal fenomeno dei contenuti generati dagli utenti o UGC ma non dimentichiamo il loro contesto nativo, ovvero quei set di contatti a cui ognuno di noi dà luogo quando si connette a un social network, lungo le cui linee instrada i propri contenuti, non sapendo poi in quali comunità vengano ricevuti, essendo ognuno dei contatti a sua volta generatore di una comunità in cui noi, nostro malgrado, veniamo iscritti. È un meccanismo polimorfo e affascinante e credo che FB, anche con i suoi barocchi meccanismi di banning e di livelli di privacy, possa illustrare in modo emblematico.

 

7) Da tempo si dice che i social network abbiano aperto una nuova fase della storia del web letterario. Qual è la tua posizione a riguardo e come giudichi, in generale, la loro comparsa?

I social network hanno solo dato luogo a forme particolarmente esplicite di fenomeni già consolidati nel blogging e nella pubblicazione on line in genere. Mi sembra che sia una fase unica, declinata in momenti specifici ma omogenei. Ho un’idea abbastanza precisa e credo sufficientemente complessa del fenomeno “letteratura e passaggio alla rete” ma non una in particolare per FB e gli altri social network. Ho l’impressione per altro che FB, come tutti i fenomeni macroscopici, sfalsi le prospettive. Da una parte, credo che il fenomeno dei social network sia entrato in una sua parabola discendente (e questo sembra confermarlo la demografia degli iscritti a Facebook, per esempio), dall’altra, si continua a dimenticare che il social networking è solo uno degli universi che compongono internet e che la nostra relazione con la condivisione e le comunità on line è molto più complessa e ramificata, soprattutto ora, che la computazione in mobilità, diffusa in modo capillare, genera uno strano spazio intermedio tra le infrastrutture di rete, i contenuti che vi facciamo circolare e il territorio che attraversiamo, in modo sempre più nomadico.

[Immagine: Sé lo que haces, Street Art, Buenos Aires (gm)]

2 thoughts on “Scrittori e Facebook/6. Gherardo Bortolotti

  1. Posso domandare che cosa sono le “linee di canzoni”? Forse i versi? (ammesso che si possano equiparare le canzoni alle poesie). In tal caso perché questo anglicismo?
    Grazie

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