a cura di Andrea Lombardi
[Negli ultimi vent’anni il campo culturale italiano è cambiato profondamente. Alcuni dei mutamenti più radicali sono stati generati dalla rete. Dai primi forum ai blog fino ai social network, internet ha mostrato una grande vivacità letteraria e ha prodotto dei fenomeni che troppo spesso, per pregiudizio o timore, vengono ignorati. Oggi questo rapporto è giunto a una fase per così dire istituzionale, una fase che consente di definire o quantomeno di interpretare aspetti che fino a poco tempo fa apparivano poco chiari. Di qui l’idea di un’inchiesta sul rapporto fra gli scrittori e Facebook, il social network più usato, quello che racchiude alcune peculiarità delle forme online sorte in precedenza, ma che ha prodotto tipi di scrittura e di interazione nuovi e dirompenti. Le interviste contengono domande fisse e domande legate all’attività specifica degli autori intervistati. Nelle settimane scorse abbiamo pubblicato le risposte di Francesco Pecoraro, Gilda Policastro, Vanni Santoni, Giuseppe Genna, Giulio Mozzi e Gherardo Bortolotti].
1) In che anno ti sei iscritta a Facebook e che cosa ti aspettavi quando l’hai fatto?
Mi sono iscritta verso la fine del 2008. Non sapevo bene cosa mi aspettavo: ero semplicemente curiosa di vedere come era fatto questo medium, di vedere cosa c’è dentro. Una possibilità che s’è subito appalesata è stata quella di mantenere i contatti con vecchi amici e parenti lontani, o in genere stabilire con grande facilità contatti utili; per quanto oggi sia una modalità di fruizione piuttosto marginale (anche perché si tratta di un numero esiguo di persone) continuo a percepirla come una delle più utili, meno intossicanti che il social metta a disposizione.
2) All’inizio hai pensato di dover gestire il tuo profilo tenendo conto del fatto di avere un’immagine pubblica in quanto scrittrice o non ti sei posta il problema?
Nel momento in cui ho deciso di concedere l’amicizia a persone di cui non sono amica nella vita reale, ho avuto ben chiaro che la mia bacheca è uno spazio pubblico; invece ho impiegato un po’ di tempo per capire che esiste una chat attraverso la quale possono tampinarti i tizi più improbabili, ma pure la possibilità di disattivarla. Questa, diciamo, è la nota comica. Il mondo della comunicazione in rete l’avevo già conosciuto e sperimentato attraverso post e commenti su Nazione Indiana, e sapevo che l’immediatezza inganna e proprio la “spontaneità” e interattività di una parola scritta che si propone tanto simile a quella orale, cela una marea di insidie.
3) Che tipo di materiale condividi nella tua bacheca? Quanto è riconducibile al tuo ruolo pubblico e quanto alla vita privata? Si può parlare, nel tuo caso, di una poetica di Facebook?
La mia vita privata si riduce a qualche foto di luoghi e paesaggi visitati, rigorosamente senza persone, me compresa. Non mi va di fornire informazioni troppo intime a persone che non conosco, neppure a tutte quelle che conosco, tantomeno ai signori Facebook. Però assecondo gli usi e costumi del social network facendo qualche rara eccezione per il mio gatto che, essendo un gran bel gatto, totalizza un numero di like impressionante. Della mia vita pubblica, da scrittrice, trascuro spesso di condividere gli inviti alla tal presentazione, non ricordo di aver mai postato delle recensioni ma forse mi sto sbagliando; le copertine di nuovi libri sì, però non sempre e non tutte. Mi annoierebbe pormi quasi da ufficio stampa di me stessa, quindi posto semplicemente le cose che mi va di condividere: gli articoli che ho scritto più o meno sempre, così come tutti quelli usciti su Nazione Indiana e altri lit-blog, trovati su Facebook, Twitter o altrove in rete che penso interessino a qualcun altro. Molto spesso, come approfondiamo sotto, questi articoli trattano tematiche politiche, sociali ecc. Ma dato che non sono una persona così pesante, non mi garba che il mio personaggio facebookiano possa apparire tanto tetragono e mi concedo volentieri qualche status più leggero, diaristico, ironico, “cazzaro”. È una linea di comunicazione piuttosto intuitiva, nient’affatto una poetica. Non ho mai provato a svilupparne una su Facebook.
4) Il tuo profilo si caratterizza soprattutto per la presenza di post dedicati a tematiche politiche e civili. Puoi approfondire questo aspetto, anche in relazione alla tua attività di autrice?
In realtà, quel che mi interessa maggiormente di Facebook è proprio il suo lato Hyde Park’s Corner, per quanto sappia che lo spostamento della discussione alla sfera virtuale assorbe a meraviglia eventuali spinte a portare quei dibattiti negli spazi pubblici reali. Ma ho stabilito contatti con svariate persone che con competenza e passione seguono argomenti poco trattati o trattati male sui giornali italiani – sai che scoperta! – e ne ho incontrate molte altre con delle belle teste che scrivono o condividono su Facebook cose che vale la pena di leggere. Twitter è ancora meglio per informarsi, però i 140 caratteri mi stanno stretti.
Facebook induce facilmente a una sorta di coazione a dire la propria su ogni tema del giorno e perdersi in una misura scriteriata nei dibattiti, tuttavia mi piace adoperarlo come un occhio sul mondo: un occhio limitato, mi rendo conto, perché l’algoritmo tende a uniformare lo spettro di quel che ti viene proposto più di quanto non vorresti. La voce che coltivo anche con i miei post è soprattutto una voce politico-civile, come hai rilevato, perché tra i vari argomenti che si addicono a uno spazio pubblico, queste sono le tematiche che mi vedono più coinvolta e interessata a uno scambio d’opinioni. Non sono così ingenua da pensare che le cose scritte su Facebook possano incidere non dico sulla realtà ma nemmeno più di tanto sul pensiero delle persone che leggono e interagiscono con quei status. Ma formulare un pensiero rivolgendolo a un lettore capace di dare dei feedback aiuta a fare più chiarezza, e visto che ho “amici” di cui stimo l’intelligenza, spesso ne viene fuori qualcosa di utile almeno per me stessa. Poi, sì, c’è anche il momento della stupida gratificazione dei tanti “mi piace”. Accade quasi sempre quando ti riesce un post univoco e sintetico, cosa che ti fa capire quanto Facebook sia un mezzo acchiappa-consensi che induce nella tentazione di produrre contenuti che esaudiscano quella richiesta, non importa se a proposito della morte di Giulio Regeni o della finale di Sanremo. Vorrei evitarlo o non assecondarlo troppo perché la dimensione comunicativa che serve soprattutto a rinforzare un’identità di nicchia (“quelli che la pensano come me/noi”) mi sembra una bella trappola. Ad ogni modo, non curo molto la forma di ciò che scrivo su Facebook. Lo considero un’attività separata dalla scrittura più elaborata e limata, persino da quella grosso modo giornalistica. Sono una persona cui per svariati motivi stanno a cuore certe tematiche e questo si riflette anche nei miei testi letterari, ma se scrivessi i miei libri come scrivo su Facebook sarei messa piuttosto male: non solo per la frettolosità formale e stilistica, ma anche – o soprattutto – perché la letteratura necessita di sfumature, prospettive oblique, maschere, infingimenti che io sui social adopero in misura trascurabile.
5) L’intromissione del privato quale conseguenze ha, a tuo parere, sui lettori? Lo scrittore perde l’autorevolezza che scaturisce da un rapporto fondato esclusivamente sulla lettura delle sue opere?
Come ho detto sopra, ho pochissima disponibilità a esibire una dimensione privata ma questo atteggiamento non deriva dall’esigenza di tutelare un’aura da scrittore. La perdita di status degli scrittori non nasce con i social e neanche con internet. La vita attaccata agli smartphone, tablet e computer rappresenta senza dubbio la più spietata concorrenza per la letteratura perché erode enormemente il tempo e l’interesse per i libri, ma è un altro discorso. Moltissime persone che ti chiedono l’amicizia su Facebook non hanno la minima idea che sei una scrittrice e, nel caso lo scoprissero, non gliene importerebbe nulla di leggere i tuoi libri. Poi c’è il fatto che il layout di questo social network uniforma tutti gli utenti, conferisce a tutti l’aspetto di una persona comune, di una persona come un’altra. E questo vale anche per chi, a differenza degli scrittori, gode ancora di un prestigio sociale o addirittura di potere: anche Mark Zuckerberg, per dire, ha postato le foto della sua bimba appena nata. È un passo in più rispetto ai rotocalchi che offrivano servizi esclusivi dalle case o luoghi di vacanze dei vip, un’evoluzione della finzione democratica che nasconde dei rapporti di potere che non sono paritetici per nulla. In questi casi, esibire foto private, scrivere qualche pensierino, insomma proporsi come “persona alla mano” è una strategia comunicativa che oggi s’è fatta quasi normativa. Noialtri scrittori, proprio perché contiamo come il due di picche, possiamo permetterci di pubblicare selfie, gattini, foto delle vacanze, decidere di non farlo, o tenerci alla lontana dai social media.
6) Il circuito di Internet prevede l’equivalenza degli utenti in quanto produttori di contenuti, il che mette in crisi la gerarchia autore-lettore ponendoli sullo stesso piano nelle sedi online. Come interpreti tale rapporto, anche alla luce della tua esperienza su Facebook?
Questo punto tocca uno dei motivi perché non ho tanta voglia di pormi su Facebook principalmente come scrittrice. La democrazia del mondo occidentale tardocapitalista interconnesso ci rende davvero persone simili che si incantano davanti a un paesaggio, sperimentano una nuova ricetta, s’incazzano per i disguidi di Trenitalia e mi sta bene. La democrazia ci concede inoltre il diritto se non addirittura il teoretico dovere di esprimerci sulle tematiche che ci concernono come cittadini. Ma la letteratura non è democratica; questo era già un problema con i blog, figurarsi con Facebook che ha un’utenza così ampia. Il problema non è la gerarchia autore-lettore, anzi la possibilità di contatti molto facili con i lettori è quasi sempre gratificante per entrambe le parti. È bello che un lettore possa raggiungere l’autore di un libro che gli è piaciuto, naturalmente è bello per l’autore. Il problema non sono affatto i lettori ma il dilagare di coloro che si sentono scrittori: gente che ti tagga delle poesie orrende, gente che ti manda via messaggio i suoi scritti non richiesti e esige una risposta immediata, valanghe di richieste d’amicizia di chi si definisce scrittore poeta e artista, ed è già pronto a appiopparti la sua produzione, o comunque ti cerca soltanto per ricevere conferme. Non è colpa della rete, ma sicuramente la rete ha molto diffuso e rafforzato questo tipo di rapporto. Però vengo da un decennio di esperienza con Nazione Indiana che continua a essere una piattaforma per pubblicare nuovi autori e quindi apprezzo quanto internet abbia facilitato i contatti tra aspiranti scrittori e autori già affermati. In quel caso, lo scrittore alle prime armi ha talento e ha cominciato a coltivarlo: possiede già qualche idea di che cos‘è la letteratura, si è forgiato qualche strumento, ha letto dei libri. Quindi puoi dargli una mano se ti ascolta, comunque parlarci nella stessa lingua. Non c’è nessuna differenza sostanziale tra gli interlocutori. Invece che puoi dire a chi non ha le basi minime? Questo problema si ripropone nel rapporto post (letterario) e commento, dove ciascuno si sente autorizzato a esprimere la propria opinione, anche se non ha la più vaga competenza: i gusti sono gusti, uno vale l’altro. Anche ai post su temi politici poi trovare dei commenti idioti, ma quasi sempre la concretezza dell’argomento limita un po’ il parlare a vanvera. Il giudizio estetico è una cosa complicata, difficile da articolare negli spazi e con i tempi dei social, e ridurlo a un “bello” “noioso”, “ma che palle”, o alle stelline di un voto lo trovo abbastanza deprimente. Non so se porrai queste domande anche a Tommaso Pincio che per un po’ ha selezionato su Facebook alcune chicche di commenti su Amazon che bocciavano in una riga, a volte una parola o due, dei capolavori per le ragioni più incredibili. Quindi esiste il problema dell’autorevolezza e attendibilità dei giudizi, per la letteratura, per le produzioni artistiche in generale, e non soltanto: prova a scegliere un ristorante su TripAdvisor, e t’accorgi che ci sono sempre due o tre commentatori che dicono malissimo di un posto di cui la maggior parte dei commenti parla bene. Spesso quel giudizio negativo sembra suggerito dal desiderio di distinguersi, darsi una certa importanza come bastian contrario, e purtroppo questo accade uguale con un libro.
7) Da tempo si dice che i social network abbiano aperto una nuova fase della storia del web letterario. Qual è la tua posizione a riguardo e come giudichi, in generale, la loro comparsa?
Come hanno già detto alcuni scrittori intervenuti prima di me, c’è chi ha fatto di Facebook un luogo di sperimentazione letteraria. Se non ricordo male è nato da una serie di post su Facebook l’ultimo libro di Christian Raimo, il Bar Porcacci di Francesco Pecoraro è un luogo letterario (del quale non vorremmo mai privarci), è letteraria la “persona” facebookiana di Teresa Ciabatti e anche quella di Gaja Cenciarelli. Tommaso Pincio, autore dello splendido romanzo “Panorama” che inventa un futuro leggermente distopico in cui tutti stanno su un social network ancora più invasivo e totalizzante, fa un uso di Facebook in buona parte artistico-artificiale, con un’attenzione particolare al versante iconico. Giuseppe Genna continua a adoperarlo in continuità con quello che postava sul suo blog, lo stile e la voce di Aldo Nove somigliano a quelli dei suoi libri. Probabilmente mi sfuggono diversi esempi, ma trovo positivo che gli scrittori sappiano appropriarsi del mezzo con questa grande consapevolezza, del resto tipica del mestiere, di trovarsi in un luogo artificiale, dove la messa in pubblico di parole e immagini altera i contenuti più privati, e che sappiano farlo in modi così distinti e vari.
[Immagine: Sede di Facebook, Menlo, California]
C’è un area culturale di riferimento su Facebook che non fa capo agli scrittori cosiddetti conosciuti…quella è l’area di indagine più interessante per capire ciò che si muove di valore, le esperienze delle piccole Case Editrici in questo campo, ecc.
Savino Carone.