di Cristina Annino
[È uscito da poco il nuovo libro di Cristina Annino, Anatomie in fuga (Donzelli, collana di poesia, 59)]
Lasciare un ospedale con un lento
giro di umidità, poi le finestre
senza uccelli, in una mattina
fredda, dicembre 21, desiderare
te all’uscita che risolvi ogni frase maledetta,
col cappotto e le giarrettiere indorate,
feroce dolce scandalo! il tuo corpo
invade la cinta dei muri.
Ma non ci sei.
ti ricompongo allora:
le mani fuori che saluti sul cappotto duro,
cara presenza di questa radice
comune in cui si salta, buffi addendi
o ruote secolari. Ecco,
fuori dai vetri, aria fredda e lo spavento
che senti ti si ghiaccia negli occhi
dove saggiamente sbatti, e non lo sai,
il tuo modo di sorridere
rapido fisso come i gufi.
Tralasciare oggi pensieri muti
eppure vivi in qualche nervo gonfiato,
vuoti come vuote stanze di ospedale,
in una mattina senza ali, che pensi
la nebbia sale via da ogni densità
e ci fa meno densi,
passare dalla portineria…
Il Tritacarne
Io mi addormento con difficoltà. Devo prima fumare molte sigarette, poi camminare un bel po’ all’aperto, quindi tornato al chiuso, discutere con il sonno e fargli qualche buona proposta. Solo allora, se la posta è abbastanza alta, lui decide di stendersi accanto a me. E inizia così il nostro dialogo come iniziassero dei racconti. Gli unici racconti solo miei, cioè offerti dalla ditta; e garantisco che sono i migliori racconti che uno potrebbe mai scrivere.
Ogni notte io sono un grande autore, perché appunto tale tecnica mi costa sempre molta fatica e disciplina. Se sono arrivato a immagini essenziali e pulite; se i sogni barocchi di quando ricordo d’aver iniziato a sognare sono partiti da bravi verso notti altrui, è perché con il tempo, i miei patti si facevano più risoluti. Allo stesso modo che sempre più stentavo ad addormentarmi. Ma così sono passato –come dire- dalla poesia alla prosa e poi sono giunto a quella autentica poesia ch’è solo un certo tipo di prosa.
Ora, la validità maggiore del mio sonno sta nel fatto che mi corregge la vita. Non la consola, la corregge. Tutti sappiamo che la vita è abbastanza retorica. Vi si consumano molti macelli soprattutto in nome della speranza. L’origine dei nostri mali, per me, è la speranza che è cieca, mentre definiamo cieca la fortuna che invece è, al massimo, originale o sciocca.
Non sostengo che la vita sia apparenza. La vita concede delle verità, come i miei sogni, solo che questi tolgono il refuso clamorosamente più umano e in buona fede. Cancellano insomma la speranza, cioè quel tipo di bellezza solo retorica che è il condizionale. Quello per cui tanti corrono felicemente al macello con l’illusione che il meccanismo potrebbe all’improvviso incepparsi. Prima della fine. La chiamano il senso dell’esistenza; e beati se s’accontentano.
Io sono il più bastardo, freddo tranquillo organismo vivente. Essere il peso straordinario d’un uomo e compiere l’azione esterna di trasportare se stesso nel buco nero della verità con la massima leggerezza. M’è costato, riuscire a crederci; m’è costato il prezzo di capire che la verità non è mai mortale quanto invece lo è la bellezza o la felicità. M’è costato come spengermi. Perché questo è il rigore dei miei sogni: mi tolgono il senso della morte e il senso della speranza, e ogni volta mi risveglio più freddo. Ma non credo ci sia altra tecnica.
Il Panda
Senza pace, con pena e senza girarmi
mai, pestando
non pepe o caffè ma gardenie, io amo
la mamma e i topi; li metto insieme chissà
perché. O ancora perché voler bene a quel
modo spezzato così in due, collo in giù,
polvere senza cerniere, bottone, qualcosa.
Sempre
senza girarmi. I perché chiarendo la vita
ai tram, alle piante. Lei, pura, mi dà
questa riserva di bambù. Nient’altro.
Poi via. Io su
che l’ho addosso oramai e non posso
schivarla, pestarla nemmeno, mettendo
con cura ogni piede tra l’erba.
Lei ora elegante
Lei ora elegante,
vistosa come le madri,
si stacca dal niente e ride. Qualcosa
dei venti, d’urgente, una fuga,
un ritorno, mi lega
a lei che darei
tutto il corpo per quella risata.
È salita
col petto in su verso l’estasi delle nubi
a quella distanza più nere che altro; poi
è scesa; pioveva. Ha saltato la corda
coi piedi fiammanti di santa e al collo
perle vere.
[Immagine: Brigitte Kowanz, Another Place, Another Time (gm)]
” Io mi addormento con difficoltà. Devo prima fumare molte sigarette, poi camminare un bel po’ all’aperto, quindi tornato al chiuso, discutere con il sonno e fargli qualche buona proposta. ” L’uscita della nuova raccolta di Cristina Annino è sempre un evento importante per la poesia italiana, un libro da cercare, toccare e leggere. Un po’ come tutta la poesia di questa immensa autrice, che apprezzo e “ascolto” leggendola, fin dai tempi di Madrid.
sono anni che sempre attendo ogni anno un nuovo libro di Cristina, che so che sarà una novità a conferma della sua splendida unica cifra.
che altro dire, se non ritornare a leggerla…
La prima poesia non l’avevo mai letta prima. E così il racconto. Trovo che Annino stia sciogliendo gli attriti fecondi del sincopato, ben visibili nelle altre poesie qui postate, per una nuova comunicabilità modernissima, che ha fatto tesoro delle lacune dei viventi, dei vuoti della comunicazione, ma che non rinuncia a ricomporre il frammento in un un’unità fortemente tensiva eppure capace di veicolare senso compiuto.
Anche il racconto tenta questa scommessa, a partire dall’inevitabile entropia che ci accompagna e che ci fa svegliare ogni giorno più freddi, ma non per questo infelici.
Sto leggendo il libro di Cristina, arrivatomi da qualche giorno, e mi sorprendo come, sia nelle poesie che già conoscevo che in quelle nuove, io trovi sempre spunti differenti, dei compositi oserei dire “organici” del pensiero e dell’azione, uniti al fiato del ritmo – triade imprescindibile nella ricerca della Annino – questa fusione tra pensiero-azione-respiro, dunque tra significante-significato-ritmo. Il tutto, definito qui organico, proprio perché talmente pregno della materia vitale, da rendere il suo continuo “collage” un’esperienza, sì sonora, ma soprattutto visiva. E mi sorprende la continua novità che la nostra riesce ad offrire, la freschezza e la ferrea struttura ritmica, che ormai sono un suo connotato preciso, sempre rinnovato, ma saldo e ben distinguibile come voce – una tra le più importanti di casa nostra – originalissima e potente. E mi continua a sorprendere come queste poesie siano così feroci e scaturite da un vasto quotidiano che è catturato da questo occhio clinico e sagace, che tutto il mondo vi è rappresentato, finanche il vuoto, con una perizia geniale e una fantasia quasi “chimica”, aderente alla realtà dell’uomo e alla sua estraneità, nell’eterna commistione tra reale e metafisico. Complimenti, dunque, a Cristina, per questa sua ennesima, e importantissima, come evidenzia Cucchi nella sua introduzione, prova poetica, che ci conferma il carattere unico e grande di Cristina, voce autentica e primeggiante nel panorama della nostra poesia contemporanea.
Un caro saluto,
Finalmente. Ogni “strada” di Annino è sorpresa, la sua poesia – il suo stare non “tra”, forse neppure “in” – magari “fuori da” – potrebbe anche essere un “non starci”, fuori da ogni regola, diciamo così – e adesso in un nuovo libro – quale migliore occasione per desiderare di andarlo a comprare, e poi andarci davvero, in libreria – e non sapere davvero cosa ci aspetti all’apertura dello stesso. Non è questo che dovrebbe riservarci, già e di per sé, la poesia? Grazie all’editore, e soprattutto alla sorprendente autrice.
Saluti,
Giampaolo Dp
Cristina Annino – che ho avuto il piacere di conoscere dal vivo – e’ uno dei pochissimi autori che non sembrano portare sulle spalle il peso di una tradizione; la poesia che scrive incarna lei ed e’ assolutamente riconoscibile senza nessuna ansia di essere riconosciuta a livello istituzionale – un lavoro poetico serissimo ma senza mai traccia di seriosita’ austera. “E'”, semplicemente e con precisione, e in questa postura di liberta’ sta parte del suo fascino e della sua attrattiva, specialmente – mi viene di rimarcare – presso le generazioni piu’ giovani (di cui faccio ancora parte!). E’ strano e interessante questo fatto, visto che Cristina e’ stata sostenuta da Fortini, Pagliarani e altri maestri del ‘900. Questo forse da’ una misura del fatto che i suoi versi si sottraggono a tradizioni e linee riconosciute, e sono quindi ritenuti ugualmente validi e meritevoli da autori di generazioni molto lontane tra loro.
Dopo questo preambolo, diro’ due cose sui testi qui scelti, in attesa di leggere il libro per intero, e di scriverne diffiusamente, come ho intenzione di fare. La prima poesia e’ riuscita a sorprendermi per l’aver smussato gli spigoli tipicissimi di Annino, i suoi repentini cambi di marcia, di registro e i fortissimi enjambment presenti in altre poesie. C’e’ una narrativita’ sempre ellittica ma piu’ distesa, l’intimo appello a un tu, O la sintassi sinuosa dell’ultima poesia, che a suo modo riesce a essere una poesia d’amore (‘a lei che darei / tutto il corpo per quella risata’) senza sovrattoni o svenevolezza, ma in modo ancora una volta deciso, vitale, per non dire delle rime al mezzo, naturali, battenti come una pioggerella sottile. Forse parte dell’attrattiva sta anche in quell’alternanza fra la presenza preponderante di un ‘io’ (non propriamente lirico ne’ autobiografico o confessionale, forse un io psichico-percettivo) e passaggi extradiegetici quasi oggettivi.
La prosa ‘Il tritacarne’ e’ stata una bella sopresa, Va nella direzione di quella maggiore distensione di cui dicevo prima, non rinuncia a rime interne (proposta-posta), a un’ironia sorniona (‘i racconti sono miei, cioe’ offerti dalla ditta). C’e’ anche un divertito riprendere le proposizioni generiche di certi romanzi ottocenteschi, offrendo delle verita’ comuni (‘tutti sappiamo che la vita e’ abbastanza retorica’), cosi’ che arriva saggezza divertita ma senza supponenza. Insomma, la poesia di Annino e’ una poesia che nutre, e che mentre la leggi non ha bisogno di dirti “guarda, io sono una poesia”. Non e’ un traguardo scontato, questo.
Che dire, quando un testo ci attrae e vogliamo rileggerlo, e a ogni (ri)lettura ci fa respirare ossigeno, stiamo tra la tossicodipendenza e l’esultanza. “Non c’è altra tecnica.” Come siamo fortunati, come ce la meritiamo, la Annino. In un tempo in cui le notizie ci dicono quanto pessimi siano gli altri umani, ecco un umano come ce ne sono pochi e pochi ma buoni, i suoi testi tengono viva la speranza, cieca ma dura a morire.
Trovo che la scrittura di Cristina Annino possegga indubbie qualità psicotrope, confermi l’idea di Brodskij che la poesia sia un potente acceleratore mentale. Proprietà eccitanti che derivano dalla scoperta della libertà totale, da un improvviso eccesso di ossigeno, dall’assenza della gravità, ci si muove di colpo leggeri, si perde il peso dei vincoli e delle regole. Sono anni che i versi – io amo / la mamma e i topi; li metto insieme chissà / perché. – mi accompagnano come una felice ossessione. Come certi quesiti zen ai quali non è possibile dare una risposta e che diventano fedeli compagni di strada, a volte ingombranti, ma più spesso creditori della gioia di allargare uno spazio di creatività. La poesia dell’invenzione è questo individuare una strada mai percorsa, che restituisca l’ossigeno che rigenera. Un libro di cui mettersi subito in caccia!
Quanto è raro, e prezioso, l’atteggiamento (stilistico e testuale, ma non solo) di Cristina Annino: un’autoironia senza sussiego, senza mediazioni che la rivolgano nel suo contrario (è evidente dalla prosa); l’umiltà di usare, seppur nelle traiettorie lucide e selezionatrici del suo sguardo, tanti mozziconi di registri diversi (dal melodrammatico «feroce dolce scandalo» al minuetto ritmico dell’ultima poesia, passando per l’allegoria autobiografica della prosa), e non per qualche programmatico cut-up, ma per una reale curiosità, per il desiderio di usare brani di mondo per crearne un altro, di mondo, che non consoli ma corregga. Complimenti a Cristina per questo nuovo libro, che leggerò con grande interesse.
Io che non amo intervenire per una sorta di discrezione e lo faccio solo in caso di domande sui miei testi, non posso non ringraziare i commentatori per le loro “forti” parole.
Grazie di nuovo, Cristina.
Fantastico!
Leggo che è uscita la nuova raccolta di testi di Cristina Annino, – Anatomie in fuga per Donzelli -,
che vedo si annuncia “intensamente sconveniente”.
– Questa Annino che ci accompagna dal mattino alla sera…- con tutta la potenza dell’ordinario…
Prenderò subito il libro, mi sentirò così, più diversamente, solo.
Che cosa preluda questa ampia narratività improvvisa nella poesia di Cristina Annino, non so dire; e certo senza una vera lettura del libro, è impossibile parlarne solo per sineddoche: tuttavia da alcune poesie e dalla prosa, si avverto uno stacco dalle stagioni piu aspre, insurrezionali della sua scrittura, come un ragionato spazio di frescura che, mischiato alle tradizioni del suo pensiero, puo ‘da solo portare a cambiamenti. “Ah, avere la leggerezza della prosa ” scriveva Amelia Ropsselli, e starci bene dentro, e abitarla sono forse un quid che ogni poeta desidera, sempre senza dismettere l’ abito di poeta, Quindi aspettiamo : un nuovo corso e nuovi versi?
Che già viaggiano nel suo universo
Grazie, Cristina di essere tu.
D