di Simone Arcagni
[È da poco uscito in libreria Visioni digitali. Video, web e nuove tecnologie (Einaudi) di Simone Arcagni. Qui proponiamo uno stralcio dall’Introduzione di questo volume che affronta il vario e ancora poco studiato mondo dell’audiovisivo nativo digitale. Il volume mappa e analizza le forme i modi, le pratiche e le tecnologie dei video che nascono e si sviluppano in Rete, sulle piattaforme e nei nuovi dispositivi tecnologici].
Antefatto.
Il fenomeno cinematografico del 2009, Avatar di James Cameron, costato 237 milioni di dollari, si posiziona tra i film di maggiore successo nella storia del cinema con un incasso di circa 3 miliardi di dollari. Il videogioco Grand Theft Auto V, uscito nel 2013 per PlayStation 3 e Xbox 360, è costato circa 256 milioni di dollari e ne ha guadagnati 815,7 solo nelle prime 24 ore, superando il miliardo nei primi 3 giorni e oltre 15 milioni di copie vendute.
Nel 2014 il MoMA di New York aggiunge alla sua collezione Biophilia della cantante islandese Björk. Per la prima volta un museo acquista come opera d’arte una app. Una app che parte dall’omonimo album della cantante e che viene elaborata come un vero e proprio universo fatto di musica, giochi, video, testi di diversa natura. Un universo dallo storytelling non lineare, personalizzabile, a cui si accede da smartphone e da tablet.
Nel 2011 il Tribeca, prestigioso festival cinematografico newyorkese fondato da Robert De Niro, seleziona (ed è la prima volta che accade) L.A. Noire, videogioco che si rifà ai classici dello hard boiled letterari e cinematografici. Mentre nel 2013 l’altrettanto celebre festival del cinema Sundance, fondato da Robert Redford, per la prima volta inaugura una selezione per piattaforma video, nello specifico YouTube.
Nel 2014 Google lancia Ingress, un videogioco che è anche un social network e che può essere esperito all’aperto attraverso la realtà aumentata che situa (attraverso la connessione e la geolocalizzazione) negli spazi reali contenuti virtuali, in tempo reale.
Un gioco e un’esperienza narrativa condivisa da sperimentare negli spazi reali attraverso apparecchi portatili, ma soprattutto con i Google Glass, gli occhiali smart che la famosa azienda di Mountain View commercializza proprio dal 2014.
Intanto l’industria cinematografica nigeriana, la cosiddetta Nollywood, si attesta definitivamente al terzo posto tra le produzioni nazionali (dopo Bollywood e Hollywood) con una politica che emargina la distribuzione in sala per favorire la circolazione dei film in Rete e in particolare – sfruttando le tecnologie dei torrent su quelle piattaforme che l’Occidente e il suo sistema industriale e commerciale bollano come «pirata».
Ma cosa diavolo sta succedendo?
C’è qualcosa di decisamente nuovo e spesso incredibilmente vitale nell’universo dell’audiovisivo che ha colonizzato i media digitali e la Rete negli ultimi dieci anni. Anni in cui sia come ricercatore che come giornalista ho avuto modo di osservare da vicino, analizzare, commentare forme nuove di audiovisivo, ma anche modi, pratiche, modelli di fruizione e, ovviamente, tecnologie, hardware e software. Mettendo assieme le mie analisi e i miei appunti la prima impressione è stata quella di un leggero stordimento: le forme che normalmente individuiamo come cinema, televisione, giornalismo, editoria, e che quindi situiamo in campi specifici, ora ai miei occhi non solo tendono a coesistere nello stesso ambiente mediale, ma si incrociano, si intersecano vicendevolmente e si ibridano le une con le altre, in maniere varie, inedite e profonde. La mia curiosità e sensibilità mi ha spinto a orientarmi in particolar modo proprio verso quelle forme espressive ibride, quei testi e quelle esperienze che si rifiutano di essere catalogati all’interno di un recinto ermeneutico tradizionale, nei confini stretti di cinema, televisione, giornalismo. Parlando con youtuber, registi di web documentari crossmediali, informatici della comunicazione, guru della Rete e programmatori di piattaforme, intuivo che era lì che c’era qualcosa di davvero originale e, cosa più importante, da lì si originavano nuovi immaginari.
Rifarsi ai codici interpretativi di ambiti come televisione e cinema, e quindi ai film studies e ai media studies si rivela sicuramente interessante, eppure, al contempo, mi pareva sempre più restrittivo, almeno per il tipo di approccio che volevo avere. Il fatto di rintracciare semplicemente elementi di continuità e discontinuità negli audiovisivi dei media digitali, ora come ora, rischia di farmi perdere il succo delle cose, la loro vera essenza. Mi rendo anche conto che l’attraversare territori cos. nuovi e profondamente ibridati mette a rischio la stessa pratica interpretativa, generando fraintendimenti continui, con il pericolo di rifarsi a linguaggi non adeguati a descrivere e interpretare i fenomeni emergenti. Trovo riduttivo provare a definire nuovi scenari unicamente attraverso l’uso di categorie che sono egregiamente servite a descrivere fenomeni mediali diversi da quello dei media digitali. Cioè: rimanere sempre e solo all’interno di cinema e TV per provare a descrivere l’universo di YouTube, Vine, Vimeo, o quello delle web TV, delle piattaforme e delle app è la scelta giusta?
In questo volume ho provato a mettere in pratica un’osservazione più ampia, servendomi di un approccio multidisciplinare a più vasto raggio, attingendo da campi di ricerca diversi: media studies, film studies, sociologia, studi su Internet e sul sistema informatico, design, architettura, game studies per sondare un universo dell’audiovisivo ancora fluido e spesso impalpabile.
[…]
Postcinema.
Il percorso di questo libro si conclude come una vera e propria mappa della galassia dell’audiovisivo nei media digitali che chiamiamo «postcinema» e degli scenari futuri della società «postmediale».
Affronteremo i caratteri del sistema postmediale registrando intanto come in esso i media tradizionali tendano a essere assunti all’interno delle nuove tecnologie digitali. Le tecnologie digitali colonizzano i sistemi tecnologici, i dispositivi e i sistemi economici e commerciali dei media tradizionali. Inoltre li inseriscono in un sistema più ampio e complesso in cui, come prima conseguenza, questi perdono la loro posizione predominante. Cinema, TV, editoria sono elementi di un sistema molto pi. vasto che tende all’entropia e quindi a un’ibridazione profonda. Noi spettatori guardiamo software, ci ha ricordato Lovink, e cos. a fianco della sopravvivenza di forme come programmi, notiziari e film si insinuano forme diverse generate dall’ibridazione. Forme che tendono a sovvertire i rapporti di potere, economico ma anche in termini di impatto, con immaginari nuovi come quelli di Assassin’s Creed e dei video di YouTube (ahimè! gattini compresi) che si impossessano del centro di questa galassia variegata. Netflix, Amazon Prime, iTunes e diverse altre piattaforme digitali connesse rappresentano bene questa fase in cui testi e contenuti molto diversi vengono condotti a un medesimo spazio di fruizione che si presenta come multiforme, variegato, fluido, partecipato e condiviso. Parliamo di piattaforme aperte ai flussi delle reti e dei network sociali che archiviano, dispongono e affiancano contenuti molto vari e li ibridano, li mixano, li inseriscono in contesti variabili, li predispongono per un pubblico di utenti che li riceve, li usa e li condivide in maniere e su device molto diversi e in tempi, luoghi e spazi molto differenti. In questo modo anche contenuti tradizionali come i film subiscono una trasformazione e si aprono a diversi tipi di manipolazione e di riscrittura. I contenuti dei media tradizionali vengono così sempre più rifatti, citati, parodiati, ne vengono estratti solo alcuni elementi che vengono fatti reagire con contenuti mediali di altra provenienza. Nascono i web doc seriali crossmediali, le web serie interattive, le appserie game… tutte definizioni un po’ complesse che per. rappresentano la maggior parte dei contenuti in cui ci imbattiamo tutte le volte che andiamo online. Sono questi, che lo vogliamo o meno (o meglio, che siamo capaci di definirli o meno), che stanno oggi imponendo i nostri immaginari e definendo le nostre pratiche e le nostre esperienze di comunicazione e informazione. Ci troviamo così nel bel mezzo di un vero e proprio laboratorio alchemico dove la mistura (leggi remix) è più importante dell’elemento originario, in quanto il fine a cui si tende è una trasformazione (leggi ibridazione) nuova e sempre più rispondente, non solo all’ibridazione dei media e dei device, ma anche all’abitudine (l’impatto degli immaginari!) delle persone a usarli in maniere diversa, in tempi e spazi differenti. Ed è proprio l’audiovisivo, come confermano tutte le analisi, il contenuto più utilizzato in Rete: Cisco nel suo Visual Networking Index prevede che tra quattro anni i video saranno l’80 per cento dell’offerta dati che circolerà nelle reti mobili. Mentre i dati di Cisco Italia indicano come nel nostro paese la maggior parte del traffico in Rete per i device portatili (tablet e smartphone) sia già composto di testi audiovisivi. In generale l’audiovisivo si sta attestando come il linguaggio più efficace della Rete sia nella comunicazione sia per l’offerta di spettacolo ed entertainment. Basta pensare al successo di YouTube o Vimeo, ma anche di social più recenti come Vine e Tout, per capire come sia proprio l’audiovisivo il sistema di comunicazione che sta dominando i media digitali. Un audiovisivo che, come vedremo, si definisce per una tendenza alla non linearità, alla partecipazione, all’interattività e all’immersione. Un audiovisivo che tende a ibridare comunicazione personale e istituzionale, informazione, intrattenimento e spettacolo. Che vaga nei flussi liquidi della Rete, che si diffonde a volte in maniera virale su piattaforme convergenti, che tende alla transmedialità e alla socializzazione, che si predispone a essere fruito su device diversi, con gradi di qualità diversi (dal low-fi all’HD), che è incorporato in un sistema di computerizzazione che si suole definire pervasivo, che attraverso la connessione può divenire ubiquo e attraverso la geolocalizzazione, locative. Un audiovisivo che ripesca da immaginari come quello televisivo, il documentario, l’animazione, il cortometraggio, il videoclip, lo spot, il videogame, la videoarte, il reportage, l’home movie, ma soprattutto il cinema. Il cinema inteso come grande archivio di forme, estetiche e immaginari: come primo linguaggio dell’audiovisivo, come linguaggio base per le ulteriori elaborazioni dell’audiovisivo.
Un audiovisivo fatto di recuperi e manipolazioni di forme, modi e pratiche del cinema (inteso come grande e basico database di testi audio e video) e che esplora campi e opzioni molto distanti da quanto normalmente si intende per cinema.
Mapperemo allora questa galassia di forme nuove costringendoci continuamente, da una parte, a trovare gli elementi comuni che permettono di far coabitare questi testi; dall’altra a sottolineare sempre come essi nascano dall’adozione di tecnologie, device e dispositivi e dall’uso che ne viene fatto da parte degli utenti. Tale mappa ci permetterà di visualizzare le forme che caratterizzano la galassia postcinema, prenderne in esame le caratteristiche e sottolinearne gli elementi comuni. Potremo allora esplorare mondi audiovisivi ancora ostici da definire come i video di design fiction (una definizione che dobbiamo a Bruce Sterling e che avremo modo di approfondire), ad esempio A Day Made of Glass, video promozionale diventato un fenomeno della Rete: un vero e proprio piccolo film di fantascienza a cui ha fatto persino seguito un episodio 2. O il film (?!) di Keiichi Matsuda Augmented City 3D: una sua visualizzazione della città del futuro, un ibrido tra reale e virtuale, reso accessibile attraverso le interfacce in realtà aumentata progettate dallo stesso videomaker, filmmaker, designer, artista e informatico giapponese. Ma questa è la fine della nostra storia. Per ora: abbiamo la mappa, abbiamo il percorso, e allora buon viaggio!
[Immagine: A Day Made of Glass]
La parola chiave è “parodia”. Nel laboratorio alchemico, i “nuovi” contenuti rifatti, più importanti degli originali, vengono appropriati anche dall’ex mondo coloniale Nollywood e Bollywood, e la stessa osservazione è stata fatta per i video dell’Isis.
L’effetto di padronanza che le nuove visioni digitali tentano di realizzare sui propri votanti occidentali, diventa in realtà un’arma da brandire come derisione e rivolta. Così i pezzenti, i sanculotti, i lazzaroni si erano impadroniti di quei termini sprezzanti per rivoltaglieli contro.