cropped-the-neon-demon-3.jpgdi Pietro Bianchi

[The Neon Demon esce oggi nelle sale italiane]

1.

Lo scriveva Lou-Andreas Salomé in una lettera a Sigmund Freud del 3 agosto 1924: “è un fatto squisitamente umano che l’uomo sia e insieme non sia il suo corpo, che cioè il suo corpo, nonostante tutto, sia una parte come ogni altra della realtà esterna”. E infatti noi il nostro corpo lo possiamo toccare proprio come se fosse una cosa. Eppure non ci è mai possibile renderlo completamente un oggetto perché ci rimane sempre troppo addosso: è troppo parte di noi stessi. Staccarsi dal proprio corpo non è possibile anche se sono tanti i momenti in cui ci sembra così estraneo da essere fuori dal nostro controllo: succede quando lo vediamo invecchiare, quando si ammala, durante l’eccitazione sessuale o anche in quell’esperienza così tipicamente maschile che è l’impotenza in cui il corpo pare dissociarsi e non rispondere più al proprio desiderio.

Che il corpo non possa diventare un oggetto è evidente anche dal fatto che per percepirlo dobbiamo comunque e sempre usarlo. La percezione del corpo è fatta dal corpo stesso: è lui che si auto-percepisce. Dal corpo insomma non ne usciamo mai. È come se fosse a metà strada tra l’avere e l’essere, ma non sia completamente né l’uno né l’altro. Non siamo mai il nostro corpo eppure non possiamo nemmeno possederlo fino in fondo. Non lo siamo, eppure non lo abbiamo nemmeno.

È per questo che Deleuze sosteneva che il corpo fosse una molteplicità o un infinito, perché non ha né un inizio né una fine. O per meglio dire, non è perimetrabile. Secondo Lacan un corpo può diventare Uno solo a una condizione: quando ha la consistenza di un’immagine. Questo fenomeno non avviene solo tra i 6 e i 18 mesi d’età, come recita il celebre “stadio dello specchio” lacaniano, ma continua ad accadere durante tutto il resto della nostra vita: quando vediamo le nostre fotografie; quando postiamo una foto su Instagram; quando la mattina ci guardiamo allo specchio, o quando qualcuno guardandoci ci dice “ti trovo proprio bene” (o “come sei sciupato”). Il corpo in questi casi viene “percepito” e considerato come se avesse la “stoffa” di un’immagine. Perché il nostro corpo diventi Uno non lo dobbiamo percepire o toccare: lo dobbiamo vedere.

2.

Quindi per la psicoanalisi il corpo – così come noi lo consideriamo normalmente – non ha niente di concreto o di palpabile ma ha lo statuto bidimensionale dell’immagine. La cosa diventa ancora più interessante all’altezza del contemporaneo dato che con i social network viviamo in una costante esposizione del nostro corpo sotto forma d’immagine. Eppure è proprio attraverso questi dispositivi che finiamo per credere all’idea che il nostro corpo sia perimetrabile e sia davvero Uno. È per questo che la figura della modella ha il valore di un paradigma: il suo ruolo è infatti proprio quello di “diventare un’immagine”, ovvero di diventare un Uno. Una modella deve prendere il proprio corpo e dargli la consistenza bidimensionale di un’immagine. Non è un caso che normalmente sia sempre contornata o di specchi o di fotografie. Deve credere – ma soprattutto deve farci credere – che il suo corpo sia un Uno. Ovvero che sia un’immagine.

Parla di questo The Neon Demon, l’ultimo bellissimo film di Nicholas Winding Refn – accolto tiepidamente in concorso al Festival di Cannes e in uscita nei cinema italiani l’8 giugno – e lo fa con un’ammirevole consapevolezza e lucidità. Siamo a Los Angeles nell’ambiente delle agenzie di modelle e dell’alta moda. Jesse (interpretata da Elle Fanning) ha 16 anni, anche se finge di averne 19, e come tantissime altre ragazze arriva a Los Angeles sperando di sbarcare il lunario nel mondo della moda. Si presenta in un’agenzia dove trova una Christina Hendricks cinica e realista che le dice: “Ogni giorno vedo venti o trenta ragazze venire qui con grandi sogni da piccole città di provincia. Sono tutte bellissime e molte di loro non resisteranno alla pressione. Ma tu invece, tu sarai grande”. Perché la storia di Jesse ci viene presentata da subito come qualcosa di diverso dal classico american dream dove chi riesce ad avere successo è solo grazie all’abnegazione e al duro lavoro. Il mondo di The Neon Demon è già in un certo senso oltre l’etica del capitalismo su cui da sempre si è basato il cinema americano. Jesse è da subito fuori dal comune. Non si tratta di premiare le azioni di un soggetto o l’etica del lavoro, ma quella cosa inafferrabile chiamata bellezza. Lei la è, senza dover far nulla, anzi rimanendo il più statica possibile. In una della prime scene vediamo una sfilata di prova di fronte al responsabile di una casa di moda: una serie di modelle bellissime camminano di fronte a lui (ed in un mondo così maschilista è comunque la presenza fallica che deve marcare chi è bella e chi no) e lui a malapena alza gli occhi dal cellulare. Ma quando passa Jesse, si fa il vuoto, e anche il maschio della situazione rimane sbalordito.

Che cos’è che tutti vedono in Jesse che lei ha più delle altre? È a tutti gli effetti un niente. È qualcosa di inafferrabile, un je-ne-sais-quoi impossibile da localizzare sul suo corpo. Qualcosa che è in lei più di lei stessa. “Che cosa si prova ad entrare in una stanza, ed è come se fosse l’inverno mentre tu gli porti il sole?” gli chiede una delle modelle sua collega-rivale. “È tutto” risponde lei. Jesse infatti non è un personaggio, non ha una psicologia proprio perché non è un soggetto. Lei è un’immagine, o meglio è soltanto la proiezione di quello che le altre modelle vorrebbero essere ma che non riusciranno mai a diventare. Il suo corpo non è fatto di carne ma ha la consistenza di un’immagine perfetta che si vede su un giornale di moda o in una fotografia. “Tu vuoi davvero diventare come loro?” le chiede a un certo punto il suo ragazzo, volendo forse stigmatizzare la frivolezza superficiale del mondo della moda losangelino. E lei gli risponde gelida: “Non sono io che voglio diventare come loro, sono loro che vogliono diventare come me”. Jesse non è nulla: non ha desiderio, non ha agency, non ha psicologia. È solo l’immagine del desiderio di essere delle altre modelle. E per questo rappresenta la ragione della loro frustrazione.

In tutta la prima parte del film noi vediamo solo la superficie immaginaria a due dimensioni del mondo delle modelle losangeline. Non c’è il corpo in carne ed ossa, c’è solo e soltanto l’immagine del corpo. Refn riesce a rendere perfettamente la proprietà immaginaria di questo mondo riducendo a zero la profondità di campo e bidimensionalizzando l’immagine. Le diagonali sono ridotte al minimo e viene prediletto un punto di vista perpendicolare all’oggetto guardato. L’impressione che abbiamo è quella di abitare in un mondo indistinguibile dalla carta patinata di una rivista di moda, come se la realtà fosse quella delle fotografie di David LaChapelle.

3.

Ma è proprio per questa consapevole rappresentazione della sostanza d’immagine del corpo della modella che The Neon Demon riesce a essere una riflessione così convincente sul corpo femminile contemporaneo e sui suoi cambiamenti. Tradizionalmente la psicoanalisi ha sempre visto nell’isteria la posizione soggettiva elettivamente femminile (ed è sempre importante ricordare, che quanto meno per Lacan, la posizione femminile non ha necessariamente un legame con l’anatomia dei corpi), e l’isteria si caratterizza soprattutto per la fedeltà al proprio desiderio inconscio senza se e senza ma, anche a costo di sacrificare sul suo altare l’equilibrio della realtà stessa. Essere fedeli al proprio desiderio vuol dire essere legati a una mancanza, a uno squilibrio, a una differenza che noi siamo nel momento in cui agiamo come dei soggetti. È per questo che spesso la clinica psicoanalitica mostra come le posizioni soggettive isteriche vedano l’immagine specularizzata del proprio corpo come de-totalizzata o mancante di qualcosa. Il corpo femminile reale è sempre in deficit rispetto all’immagine dello specchio esattamente come i corpi delle altre modelle sono in deficit rispetto all’immagine specularizzata di Jesse. Ed è dunque inevitabile che con l’immagine idealizzata che si vorrebbe diventare si instauri un rapporto antagonistico. Questo perché c’è una distanza incolmabile tra il corpo come infinito e non perimetrabile – così come lo pensava Deleuze – e il corpo ridotto a Uno come quando ha la pure “stoffa” di un’immagine.

I veri protagonisti di The Neon Demon sono infatti le modelle Sarah e Gigi e la make-up artist Ruby, cioè le “antagoniste” di Jesse, quelle che sono prese dall’invidia nei confronti di un’immagine di perfezione che loro non riusciranno mai a essere. Sarah e Gigi hanno un corpo che sembra non avere niente del fascino che tutti invece proiettano nel corpo di Jesse. Nonostante tentino in tutti i modi di colmare questa mancanza – attraverso continui interventi di chirurgia estetica – l’immagine di Jesse apparirà sempre “oltre”. Ma perché è impossibile colmare questa mancanza che le separa dall’immagine idealizzata del corpo di Jesse? Perché non è possibile avere a tutti gli effetti quel corpo?

Il corpo di Jesse sarà sempre irraggiungibile innanzitutto perché non è fatto di carne, ma ha la sostanza immateriale di un’immagine. Lacan ci dice che nonostante tutti gli sforzi coincidere con l’immaginario è un progetto impossibile. Il corpo insomma non è Uno, anche se la sua immagine fotografica ci illude così meravigliosamente che invece possa essere perimetrato e ridotto a cosa. E che quindi potremmo finalmente averlo proprio come se fosse un oggetto.

Il corpo della modella è allora il paradigma di una particolare deriva del contemporaneo: quella di un corpo che è possibile avere, controllare e ridurre a cosa. Si tratta di un corpo che proprio per la sua natura di immagine è sottratto allo scambio sessuale e non essere erotizzato. È semmai la proiezione di un desiderio di essere, ma non può essere l’oggetto di un desiderio (che invece è per sua natura differente e mancante rispetto all’Uno). Lo vediamo in una scena chiave del film in cui Ruby tenta di sedurre sessualmente Jesse ma viene inevitabilmente rifiutata (sarà mai possibile scopare un’immagine?). Ruby (interpretata da Jena Malone) è il contrario di un corpo fatto d’immagine: è tatuata, è presa da un’irrefrenabile desiderio erotico anche quando di fronte a sé ha dei cadaveri. Per nulla bella, è l’emblema di un corpo che non può farsi immagine. Lei infatti è una make-up artist, ovvero qualcuno che i corpi non li guarda ma semmai li tocca.

4.

Tra il corpo de-sessuato e fatto d’immagine di Jesse-Elle Fanning – che non possiamo che guardare – e il corpo reale e sessuato di Roby-Jena Malone – che invece non possiamo che toccare – non può che consumarsi uno scontro. Non c’è mediazione tra i due registri dell’esperienza: o l’immagine o il tocco; o lo specchio o la carne; o l’immaginario o il reale; o la bellezza o il sesso. La seconda parte del film è allora il passaggio dal mondo bidimensionale e asettico delle fotografie di David LaChapelle a quello fatto di carne e di sangue di un film horror. The Neon Demon si trasforma in un film di David Cronenberg dove il corpo non si può più guardare ma si può solo toccare, tagliare, dissanguare o persino mangiare. Il reale irrompe nell’immaginario, la vista perde la sua specularità e si trasforma nella concretezza dell’organo dell’occhio. Jesse non c’è più, così come non c’è più il mondo delle modelle e delle proiezioni immaginarie. Ci sono solo corpi che grondano sangue. Refn sembra dirci che il corpo dilaniato tra l’immagine e la carne non può trovare un punto d’equilibrio: scisso tra l’ossessione de-sessualizzata per l’immagine e quella per il reale distruttivo del taglio è destinato semplicemente alla sua distruzione.

The Neon Demon è allora implicitamente anche una riflessione sulla possibilità di rappresentare il corpo al cinema, e soprattutto su quella che è da sempre una sorta d’impasse dell’apparato cinematografico riguardo a questo problema: come è possibile rendere nel campo della visione qualcosa come il corpo reale che invece è per struttura riluttante a essere visto? Se il corpo reale non è Uno e non può essere perimetrato, com’è possibile ridurlo a un immagine? Se, come ci dice la psicoanalisi e come ci mostra Refn, il corpo pulsionale non può essere visto, com’è possibile trasportarlo nell’immaginario senza inevitabilmente ridurlo ad Uno? Il cinema, da Un Chien andalou a Videodrome, ci ha sempre mostrato il paradosso del non-rapporto tra l’ordine del visivo e l’ordine del reale del corpo pulsionale. E tuttavia l’impossibile mediazione tra i due potrebbe non essere l’ultima parola. Una strada percorribile invece c’è – anche se Refn pare non volerla intraprendere nella sua regia distaccata e glaciale – ed è una via che è stata già percorsa ampiamente nella storia del cinema: quella di vedere la pulsione non come esterna all’immaginario ma come qualcosa che ne sta al suo cuore. La pulsione insomma non è soltanto al di là dell’immagine ma ne è anche interna fino a squarciare quell’Uno che in realtà non è nient’altro che un’illusione. L’immagine insomma non è soltanto una “cosa” appropriabile perché ha anche una parte di sé che a volte, pur non palesandosi nell’immaginario, invece il corpo riesce a toccarlo e farlo godere. È quello che Lacan chiamerà sguardo.

[Immagine: Elle Fanning in The Neon Demon di Nicholas Winding Refn.]

6 thoughts on “L’erotica del corpo della modella. Note su The Neon Demon di Nicholas Winding Refn

  1. NUDO DI SEDIA – (da una mia immagine disegnata a matita )- Mi sono trovato a visitare una mostra di contemporaneo, e davanti ad un suo ready-made ed oggetti bisenso rivisitati, l’autore sfoggia fiero e compiaciuto, tutti i suoi elaborati. Quando il nostro cervello ha bisogno di spiegare con metafore, chissà perché, la sedia esce sempre. Riporterò altre cose più avanti in merito.
    Alla pronuncia “sedia”, io rivolto all’ artista: Sedia? – Pronto! Servito! Dico tra me e me! – Ed io ho fatto “Un nudo di sedia” – Co.. coco me?! Esclama lui, piegato in due dallo sgomento! – L’ho fatta tempo fa, in reazione a quel famoso quadro di Courbet, ma bisogna vederla. Morale della favola, ho prodotto più io in lui con una mia citazione, che ho comunque concepito ed eseguito nello spazio di un lampo, che lui con la lunga esposizione dei suoi elaborati presenti in mostra, nei miei confronti.

    Nella conversazione ha fatto irruzione una prospettiva altra. Si è trovato spiazzato e impreparato ad accogliere tale concetto; ho sconfinato. Col “Nudo di sedia” ho cortocicuitato la catena dei rimandi tra l’abitudine apollinea di percepire il corpo e le cose tra pittore e modella.
    Il corpo femminile è una macchina ctonia – indifferente allo spirito che lo abita – e molti uomini hanno il terrore di venirne irretiti –.L’artista che manca di conoscenza intuitiva, si piazza comodamente davanti alle forme di un corpo e lo colonizza – io offro un’altra direttrice senza fare un corpo – Interrompo la struttura sulla quale si sostengono azione del significante e suoi effetti di significazione senza corpi ( vedi disegno di tale sedia )

    Aneddoti interessanti sulla sedia: Franz Marc diceva che se una sedia non fosse tenuta dalla propria struttura si trasformerebbe in spirito. Carmelo Bene venne ad equiparare il carattere ad una seggiola per attori paralitici. Lacan (la suddetta tela di Courbet fu di sua proprietà per un po’ di tempo+) paragonò la dimensione pulsionale dell’economia – cinica individualista feticista – ad una seggiola a rotelle fatta viaggiare a una velocità folle. Una corsa senza principio, né legge, sostenuta da godimento avido e false promesse di redenzione prima o poi va a sbattere.Vedi disegno.

  2. Lo so che l’articolo è altro e ora leggo il resto che non ho potuto continuare, giuro, ma davquando l’impotenza è tipicamente maschile? Come la potenza (!), è femminile e maschile, e se l’autore del testo non l’ha mai provata questo non è un buon motivo per tacerla nel suo pezzo. Esiste, ne avranno parlato, donne qualunque o studiose, si può cercare. Lo scarto tra le voglie che hai in testa e la secchezza bloccante e dolorosa. Continuo a leggere…

  3. c’è un modo per contattare l’autore per avere informazioni di carattere bibliografico? grazie

  4. Ma che film ha visto Pietro Bianchi? per atmosfere e preteziosità siamo ai livelli di The Black Swan, e tutto è reso ancora più ridicolo dall’insulsaggine fisica di Elle Fanning.
    E poi, basta, basta Lacan ….

  5. Hanno ragione certi commentatori: Lacan è troppo complesso da capire nell’era del “tutto e subito”, “del qui ed ora”. Un’analisi centrata sull’immagine che non sia sintetica e condensata come l’immagine stessa, li confonde. Mentre l’analisi srotola la densità aggrovigliata nell’immagine, certi commentatori ne restano imprigionati, abbagliati e rifiutano ogni tentativo di cavarli fuori da lì.

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