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di Mauro Piras

Perché vince il Movimento Cinque Stelle? E perché perde il Partito Democratico guidato da Renzi? I risultati di queste elezioni amministrative, al primo turno, erano piuttosto opachi. Da un lato, l’affermazione del M5S nelle grandi città è apparsa subito evidente, e ha denunciato la crisi del Pd e del renzismo in questa fase; i candidati scelti da Renzi hanno perso o sono restati indietro (Valente e Giachetti), oppure sono arrivati a un pareggio quando erano dati per avvantaggiati (Sala). Dall’altro, nella maggior parte dei comuni il Pd era arrivato primo, mentre il M5S si è presentato solo in un numero molto ristretto di amministrazioni. Anche il confronto con la situazione precedente non è, se fatto globalmente, a svantaggio del Pd: certo, se si guardano le amministrative del 2011 è un tracollo più o meno ovunque, ma questo confronto è improprio, perché all’epoca i grillini erano ancora una forza molto marginale e non era ancora esplosa la crisi finanziaria dello stato che avrebbe portato alla caduta di Berlusconi; il centrosinistra capitalizzava invece il fatto di essere all’opposizione. Più pertinente il confronto con le politiche del 2013, perché ci muoviamo ancora nel contesto politico creato da quelle elezioni: in questo caso il Pd cresce, in generale, per quanto non di molto, mentre è evidente che arretra rispetto alle Regionali e Europee del 2014. Un quadro contraddittorio, che forse si potrebbe riassumere così: al primo turno, questa tornata di elezioni amministrative è stata per il Pd una sconfitta sul piano della politica nazionale e una conferma solo parziale sul piano della politica locale.

I risultati dei ballottaggi confermano impietosamente questo verdetto: a Roma stravince Virginia Raggi, concentrando su di sé le ragioni tanto locali quanto nazionali di opposizione al Pd di Renzi; Napoli è stata vinta da Luigi De Magistris con una campagna elettorale antirenziana, benché anche qui non mancassero abbondanti motivi di disagio contro il Pd locale; ma soprattutto, contro tutte le aspettative precedenti al primo turno, Chiara Appendino vince a Torino, mostrando quanto gli elementi di politica nazionale determinino questo voto, al di là dei problemi locali. La vera vincitrice a Cinque Stelle di queste elezioni è lei, più di Virginia Raggi, perché la situazione di Roma era gravemente deteriorata e anzi è quasi un miracolo che Giachetti sia arrivato al secondo turno, mentre nessuno si aspettava un risultato così lusinghiero di Appendino a Torino. Le sconfitte del Pd in queste amministrative dipendono tutte non solo da fallimenti più o meno evidenti sul piano locale, ma da una crisi, se non un fallimento, della politica nazionale. La vittoria (di misura) di Beppe Sala sembra confermare che gli elettori puniscono, più ancora che il Pd, il renzismo, visto lo stile più “tradizionale” dell’alleanza di centrosinistra a Milano.

Questo aumento del consenso a favore dei grillini ha tre radici, semplificando: il disagio sociale causato dalla crisi economica; la delegittimazione della politica dei partiti; la politica di Renzi, e i conseguenti conflitti interni al Pd e al suo elettorato.

Il disagio sociale, in primo luogo. Il conflitto politico oggi in Europa non è tra destra e sinistra, ma tra forze interne al sistema liberaldemocratico e capitalistico, e forze antisistema. L’aumento delle diseguaglianze e l’indebolimento dei sistemi di protezione sociale, già avviati prima del 2008, sono esplosi con la crisi in tutta la loro gravità. Le democrazie non sono in alcun modo capaci di mantenere, neanche vagamente, le loro promesse di inclusione sotto i colpi della recessione economica. I partiti istituzionali, eredi delle tradizioni politiche moderne, non dispongono di nessuna risposta a questa domanda insoddisfatta di giustizia sociale: le destre e le sinistre tradizionali sono impotenti e si muovono entro margini di politica economica troppo stretti e troppo simili. Il prezzo è pagato soprattutto dai partiti della tradizione socialista, ridotti a uno pseudo riformismo di cortissime vedute. Infatti sono quelli che perdono più voti: si vedano i casi francese, spagnolo e greco, o anche quello tedesco. Le forze che raccolgono l’opposizione sociale, tuttavia, non vengono dall’alveo tradizionale della sinistra: un po’ ovunque in Europa le sinistre “antisistema” restano elettoralmente molto marginali. Questo perché anche l’altro lato della tradizione socialista, quello rivoluzionario, è del tutto screditato: perché non sa proporre un modello alternativo di società e perché paga il prezzo di essere stato troppo legato al soggetto rivoluzionario storico, il proletariato, a cui non si può però più ascrivere la centralità presunta dalla teoria. Le forze che raccolgono e canalizzano il disagio sociale o provengono dalla tradizionale destra antisistema (Le Pen, e altre destre simili), oppure sono forze nuove come Podemos o, da noi, M5S. Queste ultime sono antiliberiste, centrate sul primato dei beni comuni, fondate sull’ideale della partecipazione politica e della democrazia diretta e in lotta contro le classi politiche tradizionali in quanto tali (nel caso italiano, contro la corruzione di queste classi politiche).

Il disagio sociale viene raccolto da queste nuove forze antisistema. Il M5S in questo riesce mirabilmente, perché ha costruito nel tempo una visione coerente fondata su beni comuni, economia della decrescita, piccola impresa privata ecc. che diventa l’orizzonte politico di riferimento di chi contesta radicalmente il turbocapitalismo delle multinazionali. L’idea di un nuovo modello di società, regolato dalla democrazia diretta e dalla partecipazione politica attiva dei cittadini, si sposta così dalla tradizione socialista europea, ormai fallimentare su tutti i fronti, a questo nuovo tipo di alternativa politica.

In Italia, però, a questi motivi generali europei, si aggiungono delle specificità locali. La prima è il problema del ricambio della classe politica e della corruzione. Questo è il tema su cui si è creata l’identità del M5S all’inizio, almeno in apparenza (in realtà, anche gli altri temi sono sempre stati presenti). È però il tema che l’ha fatto esplodere, raccogliendo il massiccio disagio della cittadinanza contro una politica bloccata, in cui sempre gli stessi dirigenti, da una parte e dall’altra, sono stati incapaci per vent’anni di riformare il sistema, sia politicamente che economicamente. E questo sopra un dilagare della corruzione che, dopo Tangentopoli, ha ripreso il suo corso in modo ancora più incontrollato e parcellizzato. L’unione di questo fattore al primo ha determinato il grande successo del M5S nel febbraio del 2013. Ma forse all’epoca il secondo era più determinante, c’era il sentimento di dare una spallata al sistema politico, ormai marcio. Il fallimento di Bersani è stato causato dall’avere sottovalutato questa forza; e l’ascesa di Renzi, invece, dall’averla colta e cavalcata subito.

Il terzo fattore della crescita di consenso del M5S in queste ultime amministrative, però, deriva proprio dalla politica di Renzi. I grillini infatti hanno raccolto molto voti del Pd o comunque di sinistra perché hanno dato rappresentanza politica a tutte quelle voci che si sono opposte al renzismo ma non hanno trovato nessuna possibilità di incidere su o contro di esso. Questo terzo fattore si può scomporre a sua volta.

Da un lato, ci sono gli scontenti delle politiche economiche: la riforma del mercato del lavoro ecc. Poi ci sono gli oppositori alle riforme istituzionali: legge elettorale e riforma costituzionale. E inoltre ci sono gli scontenti delle altre riforme “di sistema”: scuola, pubblica amministrazione ecc. Queste tre tendenze, come è noto, si sono congiunte spesso nella cosiddetta “sinistra Dem”, così come in Sinistra italiana. Tuttavia, hanno trovato una rappresentanza politica più efficace, perché capace di intralciare davvero l’operato del governo, nel M5S.

A questo si aggiunge la delusione per l’inadeguatezza del ricambio politico e della lotta alla corruzione. Renzi è riuscito a contrastare Grillo perché, con il suo stesso metodo demagogico, ma in modo più rassicurante per il ceto medio, produttivo e non solo, ha fatto suo il messaggio dell’innovazione (la “rottamazione”) e della lotta alla corruzione. Su questo fronte ha perso però consensi a causa degli scandali in cui il Pd ha continuato a trovarsi coinvolto e della vischiosità delle classi dirigenti locali, nonostante un indubbio ricambio generazionale sia a livello centrale che locale. Inoltre, la sua scarsa attenzione alla macchina del partito ha giocato a suo svantaggio su questo fronte: il Pd in periferia è fuori controllo, e le scelte che Renzi cerca di imporgli dal centro sono spesso inadeguate.

Quest’ultimo elemento del disagio interno al Pd e alla sinistra è andato ben oltre le aree di riferimento tradizionali e si è riversato nel movimento di Grillo, trainando con sé anche quanto del disagio sociale e dell’aspirazione a una democrazia più partecipativa poteva restare nell’area della sinistra. In questo enorme flusso di spostamento del consenso molti giovani e non solo dell’area di sinistra hanno deciso di puntare sul M5S come reale alternativa non solo alla “vecchia politica” (come appariva all’inizio), ma al sistema sociale nel suo insieme, ai limiti della democrazia rappresentativa, agli effetti deleteri del mercato fuori controllo nel capitalismo globale. Ormai si tratta di una sfida tra due visioni della società, che ha rimpiazzato quella tra destra e sinistra. Non a caso il M5S non attecchisce a Milano dove prevale ancora il vecchio schema di gioco.

Adesso, dopo la vittoria dei candidati grillini nelle grandi città, si apre una nuova fase. La pratica politica del movimento si sposta da alcuni esperimenti locali circoscritti (Parma, Livorno) a amministrazioni locali la cui rilevanza nazionale è innegabile (Roma, Torino). Qui si vedrà dove può arrivare questo nuovo modello politico. Il nodo, infatti, è quello degli strumenti. La ragione della crisi delle sinistre è nell’inadeguatezza dello stato nazionale come strumento per contenere le forze distruttive del capitalismo. Qualsiasi nuova idea di socialismo resta puro dover essere se non è capace di proporre gli strumenti che possono fare questo al posto dello stato nazionale. Se non riesce, lascia il campo alle forze tradizionali e reazionarie, che propongono appunto la chiusura negli stati nazionali e i conflitti identitati. Le soluzioni “movimentiste”, invece, si affidano a strumenti diversi, “diffusi”: la partecipazione, la cittadinanza attiva, la democrazia diretta; la gestione pubblica dei beni comuni; il costante e ossessivo controllo sulla trasparenza della politica. Strumenti che richiedono una forte virtù civica e una diffusione capillare per ottenere dei risultati. Ma, soprattutto, strumenti che rischiano di essere totalmente inadeguati rispetto alle dinamiche globali del capitale. Una sinistra riformista, tuttavia, non potrà rispondere a queste sfide se non parte da questo livello. La sinistra riformista oppone un altro disegno di società: difende le strutture della democrazia rappresentativa e la gestione politica del mercato, nel rispetto della sua logica, come risposte adeguate al livello attuale della differenziazione sociale. Ma ne paga il prezzo: la democrazia rappresentativa non riesce ad alimentare l’ethos della partecipazione politica, e il mercato impone costi alti in termini tanto di efficienza quanto di equità quando si cerca di rispettarne la logica nelle riforme sociali.

A questi problemi il renzismo ha risposto con una massiccia iniezione di populismo: il rapporto carismatico del capo con il suo elettorato, che cerca di saltare i passaggi dei corpi intermedi, messo però al servizio di una politica riformista in fondo equilibrata, per quanto non del tutto allineata con le richieste dell’Unione europea. Questa formula adesso sembra al palo. Da un lato, come si diceva, il Pd di Renzi non ha convinto nel tentativo di rinnovare e “ripulire” la politica: per questa ragione, ha perso la forza propulsiva che gli derivava dal suo lato “populista”, l’appello diretto ai cittadini oltre le lentezze e le vischiosità della classe politica tradizionale. Dall’altro, ha scavato profonde divisioni in tutta l’area della sinistra, perché su una quantità di temi aperti da anni (il mercato del lavoro, la scuola, la riforma costituzionale, la legge elettorale, la riforma della pubblica amministrazione ecc.) ha preso delle posizioni nette, abbandonando le incertezze e i compromessi delle segreterie precedenti. Tuttavia, questa politica adesso scricchiola paurosamente. Renzi non sembra più riuscire, su questo fronte, nell’operazione di allearsi direttamente con i cittadini contro “gli apparati”, e quindi la sua tendenza a saltare i corpi intermedi causa solo gli effetti negativi del conflitto sempre aperto con essi. La sua situazione è piuttosto paradossale, ormai: non riesce più a convincere perché manca di forza propulsiva nelle riforme, perché le riforme deludono e perché il Pd sfugge al suo controllo nelle periferie; all’opposto, questa incapacità lo indebolisce nei confronti di tutti quei corpi intermedi che ha cercato di delegittimare, a partire dal proprio partito.

Siamo su un crinale pericoloso. Difficilmente le “vie alternative al socialismo” riusciranno a contenere le forze incontrollate del capitalismo globale. Dall’altro lato, l’esangue riformismo europeo riesce solo a inseguirle timidamente, quelle forze. Su scala italiana, difficilmente gli esperimenti locali, per quanto importanti, possono far nascere una vera alternativa politica nazionale, almeno nel breve periodo. Dall’altro lato, le riforme istituzionali ed economiche avviate dal Pd, che si attaccano a problemi strutturali, ventennali, non possono essere bloccate e basta, pena l’arresto definitivo del paese. Ma tanto nei contenuti quanto soprattutto nei metodi devono essere ripensate. Il Pd e Renzi si possono salvare se puntano più sui contenuti specifici delle riforme, e se cercano di costruire un nuovo consenso intorno a esse, anche smussando alcuni angoli e cedendo su alcuni punti apparsi finora irrinunciabili. Ma non è un’operazione ovvia: sappiamo che trattare, in Italia, può voler dire aprire di nuovo al “pluralismo degli interessi”, cioè alla composizione equilibrista di interessi corporativi, che ci sta tagliando fuori dalla modernità.

(Torino, 19-20 giugno 2016)

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[Immagine: Matteo Renzi]

 

19 thoughts on “Perché Renzi perde

  1. Una chiara questione di “strumenti” … “da adeguare”
    Peccato che il modo attuale di usarli renda impossibile anche il solo pensare a un “processo di adeguamento”

  2. Buongiorno Professore (lei era il mio professore al Gioberti, più di 10 anni fa ;) ).
    aggiungo un elemento all’analisi che, credo a Roma, ma forse più a Torino, sia stato decisivo ma non enfatizzato nel suo post. Il tutti contro Renzi.
    A Torino i m5s hanno raccolto sostanzialmente il consenso di tutti coloro a cui non piace il PD. Non credo quindi che abbiamo vinto sulla base di un programma, o di una visione, ma contro. Quelli lì non li vogliamo, va bene chiunque al loro posto.
    Persone che hanno votato la giunta Allemano, ora orgogliosamente hanno votato 5s.
    Che ne pensa? non crede sia un importante campanello di allarme in vista di ottobre?

    Saluti

  3. Sono molto d’accordo con lei su quasi tutta l’analisi, ma per nulla sulle conclusioni. Le trovo un po’ veloci, come se lo sguardo da insider al Partito Democratico fosse naturale per il lettore. Non sono nemmeno convinto che da quelle premesse si dovesse giungere a quelle conclusioni.

    (Mi spiace intervenire dopo il prode Alberto e la sua raffinatissima analisi. Spero che trovi consolazione in vista di ottobre.)

  4. ” anche l’altro lato della tradizione socialista, quello rivoluzionario, […] paga il prezzo di essere stato troppo legato al soggetto rivoluzionario storico, il proletariato, a cui non si può però più ascrivere la centralità presunta dalla teoria”. Per cortesia, qualcuno può tradurmi in italiano l’espressione “ascrivere la centralità presunta della teoria”?

  5. “Perché Renzi perde” è la domanda sbagliata in quanto lui non ha mai vinto niente
    il famoso 40% alle Europee è arrivato con un’affluenza di poco superiore al 50%, al di fuori dei media non c’è mai stato un grande consenso renziano
    il suo problema è che ha scambiato percezione e realtà, infatti è andato all’assalto di scuola, lavoro eccetera facendo incazzare un casino di gente pensando che ce ne fosse molta di più a sostenerlo, il “tutti contro Renzi” nasce da questo, pericolo che lui ha enormemente sottovalutato arrivando addirittura a promettere le sue dimissioni se dovesse perdere il referendum a ottobre (e già vedo la ditta affilare i coltelli)

  6. Buongiorno Alessandro,
    sono desolato che la mia analisi non l’abbia convinta. In cosa trova sia errata?
    A roma il 5 stelle hanno preso il 70% dei voti. praticamente 2 su 3.
    lei ritiene che 2 su 3 elettori si riconoscano nel programma di virginia raggi? che due su tre elettori non aspettassero altro che un candidato che proponesse loro la moneta complementare, la funivia, e le cooperative per lavare i pannolini?
    E perchè alle scorso elezioni, in fondo pochi anni fa, non raccolsero tutto questo consenso? in cosa li convinse invece Marino e la coalizione di centro sinistra?

    Oppure, come credo, erano più interessati a cambiare, tutto sommato non importa come?

    Attendo con ansia una sua risposta.

  7. Mi pare che l’articolo proponga un’analisi basate su categorie fumose, come ad esempio il populismo o roba così.
    A me pare che le cose siano molto più chiare. Renzi è l’ennesimo politico che propone la ricetta della competizione globale, che innesca un processo di deflazione salariale sempre più selvaggia, incartando così l’economia perchè la domanda si riduce quando si opera insensatamente sull’offerta.
    Che importa tutto il resto? Oggi, dobbiamo capire se la ricetta di FMI e UE sia adeguata o non lo sia, se le ricette che essi propongono come rimedi alla crisi non siano invece rafforzatori e cronicizzatori della crisi stessa.
    La logica è elementare perchè è binaria, o c’hanno ragione i tromboni che c’hanno governato in questo decennio, portandoci allo stadio a cui siamo, ed allora continuiamo a farci massacrare tra parametri rigoristi e selvaggia competizione globale, o essi hanno torto marcio, ed allora bisogna semplicemente mandarli a quel paese, e riprendersi la sovranità anche monetaria, praticando una politica redistributiva verso il basso, non verso l’alto come è stato negli ultimi anni.
    Io non so se ciò che dico è populista, ma sono convinto che corrisponda a verità, e se si tratta di una verità populista, pazienza, dovremo fare soffrire un po’ il nostro Piras che manifesta per essa una grave forma di allergia.

  8. Gentilissimo Professore non condivido pienamente quanto da lei scritto certo autocritica è necessaria ma credo che a Torino ci sia stato solo un tiro al bersaglio quindi non una questione politica mentre a Roma la distruzione è dovuta ai precedenti segretari Bersani D’Alema Veltroni e non certamente a giachetti o Renzi dubito che i 5 stelle abbiano la capacità di aggregare per finalizzare al bene comune è un movimento con vertice da monarchia patrimoniale grazie la saluto Salvatore ArcidiaconoI

  9. Buongiorno.
    Mi chiedo perché è così sicuro che le “vie alternative al socialismo” non riusciranno a contenere le forze incontrollate del capitalismo globale. Di sicuro è difficile, ma almeno c’è qualcuno che dice di volerci provare. E di questi tempi tanto basta.

  10. E comunque mi soffermo su altre due riflessioni. il Movimento 5 Stelle incarna la realtà fascio qualunquista che per tradizione ci portiamo dietro in Italia e inviterei a riflettere quindi su quanto scriveva Leopardi la fine 800 nel famoso saggio sul costume degli italiani. quella è la fotografia ancora attuale della nostra mancanza che porta al qualunquismo preponderante grazie
    Salvatore arcidiacono

  11. Vorrei intanto dire qualcosa su “Il Pd e Renzi si possono salvare se puntano più sui contenuti specifici delle riforme”. Non lo credo, mi pare che la necessaria complessità a fare buone riforme e a capirle da parte di noi cittadini non siano disponibili.
    Un’altra cosa particolare è che più la sinistra perde la capacità di immaginare e tentare di produrre un mondo migliore, più ci si sposta a destra.
    Poi ci sono molte altre cose nell’articolo che secondo me sono da discutere.

  12. Un dettaglio:
    “oppure sono forze nuove come Podemos o, da noi, M5S. Queste ultime sono antiliberiste, centrate sul primato dei beni comuni, fondate sull’ideale della partecipazione politica e della democrazia diretta e in lotta contro le classi politiche tradizionali in quanto tali (nel caso italiano, contro la corruzione di queste classi politiche).”

    Magari non ho capito il “o, da noi”. Credo non si possa assimilare ‘Podemos’ e il M5S.
    Il gruppo spagnolo nasce sì nella università ma è sostenuto dei diversi movimenti storici che da anni cercavamo “un posto” nella realtà politica… Nella realtà italica non c’è un posto “altro” da offrire se è vero che la Creazione degli stellati nasce da una SRL.

    Iglesias in Italia… o quasi http://ctxt.es/es/20160323/Politica/5015/Entrevista-Pablo-Iglesias-gobierno.htm

  13. Perché Renzi ha perso?
    In sintesi:

    1. Si è presentato come il nuovo: giovane, sveglio, dinamico, aria sbarazzina, il pollice sullo smartphone e un modo di comunicare elementare, basato su slogan a effetto. Ma dietro quest’aria innovativa, il premier ha gestito il potere con logiche antiche, limitandosi a sostituire, in parte, la vecchia casta con una nuova, più giovane, possibilmente toscana. Ha scambiato cioè il rinnovamento con il ringiovanimento.
    2. Come capitava a Berlusconi, Renzi è vittima dei suoi spot: crede in quello che racconta. Si è così illuso per davvero di aver fatto ripartire l’Italia.
    3. Convinto di poter gestire le cose importanti da solo, ha preferito circondarsi di quei pietosi yes men e yes women che vediamo in televisione. È legata a questa stessa logica la scelta di candidati incolori se non proprio modesti o modestissimi (come nel caso di Napoli).
    4. In 3/4 del Paese la disoccupazione giovanile è rimasta a livelli spaventosi.
    5. La sua politica fiscale non ha agevolato chi ha più bisogno. Anzi.
    6. Il Sud nella politica del governo semplicemente non esiste. E le mafie prosperano indisturbate.
    7. Nessun provvedimento è stato preso per contenere l’emigrazione all’estero, per aiutare le coppie con figli, per aumentare gli asili nido pubblici.
    8. La povertà aumenta. Mentre il mondo politico – che bene o male finisce per essere identificato con chi è al potere – non ha iniziato nessuna tangibile riduzione dei propri benefici.

  14. SEGNALAZIONE

    Ogni tanto è bene rileggere quello che si è scritto in passato:

    2034 ???


    di Paolo Pagani

    Stralcio:

    Concludo. Se si trattasse solo di Renzi come individuo, mi basterebbe aspettare sulla riva del fiume
    che passi il suo cadavere…e passerà, come passa quello di Berlusconi. Ma temo che sia una ben più insidiosa e contagiosa avanguardia storica, basta vedere quelli che gli scodinzolano intorno per sospettarlo: e allora, se non sarà oggi, sarà fra vent’anni. Quello che non si è realizzato nel 1984 di Orwell sarà, certo con modalità molto più sottili, suadenti, consensuali, per il 2034 ?

    I combattivi, i ribelli a questa prospettiva cerchino di mettergli in tutti i modi, con qualunque mezzo, i bastoni fra le ruote. “Gli andati, rassegnati, soddisfatti” ci si adattino o ci sguazzino, per illusione, autoinganno, salto opportunistico sul carro, gusto di stare comunque, o finalmente, dalla parte che vince. Per me, tento almeno di comprendere di che morte mi si vuole fare morire, senza farmi prendere in giro. Di disertare, perlomeno da quanto si celebra e mi si racconta.

    http://www.poliscritture.it/2014/04/29/2034/

  15. “ Venerdì 13 marzo 2009 – Intervistato da Annozero sulle baruffe nel Pd fiorentino, il disegnatore satirico Sergio Staino esprime il suo corrucciato parere: non gli piace la piega che hanno preso gli avvenimenti, la « mutazione » in corso nella Sinistra, che a Firenze ha la faccia un po’ troppo furbetta del « giovane » Matteo Renzi etc. Ma il « punctum » della sua apparizione televisiva è un altro: è che lo vediamo parlare in una stanza di quella che presumiamo sia la sua casa avendo alle spalle la foto di un tizio che non facciamo fatica a riconoscere. Perché la foto è quella del volto inconfondibilmente baffuto di Iosif Vissarionovič Džugašvili, alias Stalin, segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica, capo indiscusso del Comunismo mondiale negli anni più cruciali del secolo scorso etc. Il « punctum » del « punctum » è poi addirittura un altro. Perché, a guardare bene, quel ritratto non è che una copertina del settimanale «Vie nuove» edito dal Pci negli anni Cinquanta etc. Si potrebbe dunque affermare che, presentandosi in questo modo, Sergio Staino afferma innanzitutto di parlare a nome di un grande passato scomparso, anzi di un grande futuro, che è inesorabilmente – implacabilmente, irriducibilmente – alle nostre spalle, il futuro del Comunismo, l’addavenì Baffone che per tanti decenni ha alimentato le speranze del proletariato mondiale. A volere poi essere, come siamo, un po’ più analitici – fino alla meticolosità, alla malizia -, si potrebbe anche dire che, essendo ciò che si trova alle spalle di Staino la copertina di un settimanale, quello a nome del quale il disegnatore fiorentino parla è una copertina, cioè una superficie di carta occupata da qualche segno grafico, per esempio una foto, un ritratto, il ritratto di un uomo baffuto in divisa militare, nel caso in questione. Si potrebbe persino concludere che il futuro scomparso a nome del quale il padre di quel simpatico personaggio di nome Bobo che è sempre accompagnato da una graziosa bambina ci parla, è il futuro delle copertine, per esempio quelle, bellissime, datatissime, di «Vie nuove» – il ché, nel tempo atroce della « bellezza » televisiva, ci sembra ampiamente giustificato, perfettamente condivisibile etc. Detto questo, non abbiamo ancora detto quasi niente. Perché condividere un rimpianto, una nostalgia, a noi che, fra l’altro, non siamo disegnatori, non basta. A noi che non portiamo più i baffi da tanto tempo, e nemmeno la barba. Che senza baffi e barba ci sentiamo un po’ nudi, che con la faccia scoperta sentiamo di avere anche paura. Che ci pensiamo su, che non facciamo altro che pensarci: al Comunismo, ai baffi, alle copertine, soprattutto alle copertine… “.

  16. Caro Mauro, ottima analisi, ma sono d’accordo con Alessandro: dalle premesse non seguono le conclusioni, e seguirebbero meglio conclusioni molto diverse. Per quel che ne so, lo stile politico di Renzi – e di buona parte dei politici educati nell’Italia berlusconiana (forse in generale in Italia? forse ovunque?) – è semplicemente e banalmente sbagliato, e il fatto che quello stile perda è una buona notizia.
    A me personalmente Renzi non è simpatico, ma non è colpa sua. Si muove a partire da premesse culturali finite, di tipo oligarchico, che non funzionano più e non possono più funzionare.
    Ne segue che quel che ha proposto è una simil-novità, e le sue vittorie politiche sono simil-vittorie (ha ragione Axel). Il carattere fortemente democratico del metodo M5S fa pensare invece che siamo in bilico, ma perlomeno avremo veri fallimenti, vere novità e (se ci riusciremo) vere vittorie sociali.
    Che Appendino abbia vinto con i voti della destra, o comunque con voti “contro”, non mi sembra rilevante: che io sappia non ha fatto nessun “accordo” con la destra (cosa che invece Renzi ha fatto e fa spesso, e anche con la destra più corrotta). Guardiamo invece a quel che farà, se farà scelte “di destra” o meno la criticheremo di conseguenza, con le nostre ragioni.

  17. Non si risolve il disagio sociale con la proiezione di slide. Le slide si proiettono solo nelle banche “per fottere” i correntisti. Renzi è morto, la sinistra è oramai una categoria del paleolitico, muore l’arroganza che contraddistingue questi personaggetti e che si faccia ora governare i pentastellati, punto.

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