di Emmanuela Carbé
[Il testo di Emmanuela Carbé fa parte di Con gli occhi aperti. 20 autori per 20 luoghi, da poco uscito per Exorma a cura di Andrea Cortellessa].
L’antropologo francese Marc Augé nel 1997 pubblicava L’impossible voyage. Le tourisme et ses images, in Italia tradotto due anni dopo col titolo Disneyland e altri nonluoghi. Il volume faceva seguito al suo studio appunto sui non luoghi del 1992, che teorizzava l’esistenza di spazi di transito, senza storia identità e relazione, in cui l’unico principio funzionale è spendere, consumare, vivere attraverso la transazione di denaro: aeroporti, stazioni, centri commerciali, parchi di divertimento. L’impossible voyage partiva da una visita a Disneyland Paris per tornare sul tema, immaginando la Parigi del 2020 data in gestione alla Disney Corporation.
L’Alcor Life Extension Foundation, Arizona, è una delle ormai numerose società che spara gli uomini nel futuro per qualche mila euro. Infila dentro silos i corpi di persone appena morte, li crioprotegge, li riempie di liquido criogenico e li immerge in nitrogeno liquido – 196 gradi celsius forever. Loro solo potranno ripartire dal via quando nel giorno del giudizio gli scienziati saranno capaci di resuscitare cellule, cuore, neuroni, fegato, milza, ricordi (forse), globuli bianchi, rossi, batteri, polmoni, saliva, organi riproduttivi che si spera possano riprodurre. I corpi di queste persone, che hanno speso una fortuna per entrare nei silos, sono oggi gli unici non luoghi esistenti al mondo.
La prima volta che andai a Gardaland da adulta mi resi conto di aver vissuto già tutto, morte, ibernazione e resurrezione, e seppi esattamente cosa proveranno i non luoghi quando ci sarà lo scioglimento dei ghiacci in Arizona.
La superstrada per il lago era piena di cartelli che presagivano l’esistenza del nuovo mondo: Caneva Aquapark, Cavour, Baia delle Sirene, Gardaland, Gardaland Sea Life, Movieland, Medioeval Times, Riovalli, Busatte Adventure, Natura Viva, Picoverde, Giardino Sigurtà, Jungle Adventure, South Garda Karting, Terme di Sirmione, Terme Villa dei Cedri. Molti di quei parchi, certo, c’erano già quando io ero bambina, ma nell’insieme, uno dopo l’altro, erano diventati un’enorme terra del divertimento senza soluzione di continuità. Nei pressi di Castelnuovo del Garda, in macchina per Gardaland, sulle stradine di collina, con cartelli «qui biglietti per Gardaland», «qui agriturismo notte più biglietto a Gardaland», io pensai davvero che nel 1983 nacqui nella terra del divertimento, e che non me ne ero mai accorta.
Nell’ottobre 1971 il veronese Livio Furini acquistò dei terreni nella località Ronchi di Castelnuovo, un’ampia lingua di novantamila metri quadri arroccati sul lago. Originario di Legnago, Furini era un musicista e compositore, un ingegnoso raccontatore di fiabe, ma era anche un piccolo imprenditore che aveva costruito il primo supermercato nella zona di Peschiera. Era un Walt Disney nato a Verona, e che proprio andando a Disneyland, California, ebbe l’idea di costruire «Gardaland la città dei divertimenti», messa in piedi in società con alcune famiglie del veronese e inaugurata nel 1975, con una cinquantina di dipendenti, davanti agli occhi estasiati di genitori e bambini. «E a Gàrdalend vi aspetto anche io, Febo Conti! Tuffati nel fantastico mondo di Gàrdalend!».
C’era una volta, e non c’è più, il tempo in cui si attraversava il castello per entrare nell’altro mondo, e poi si scendeva una delle due scalinate che abbracciano il maestoso orologio. L’orologio: su una distesa di erba e fiori, le enormi lancette scandivano il tempo riordinato. Più in là, nel Far West, il campanile della chiesa consacrata oggi non è più abbastanza alto, schiacciato da Raptor, il mostro montagna russa da venti milioni di euro, così mostro che i veicoli non si chiamano veicoli ma «creature»: sei pronto per salire sulla creatura? Sei abbastanza coraggioso per dominare la creatura? Non hai preso abbastanza colpi di frusta e sei apposto di cuore per correre a 90 km orari, torcerti su te stesso e cadere da una trentina di metri di altezza mezza bellezza?
Febo Conti, il comico del programma muto Ridolini, montatura occhiali, denti bianchissimi e sguardo divertito senza forzature, è seduto su un muretto di fronte al Castello di Gardaland, vestito di panna con un dolcevita bianco inarca il braccio sinistro svoltando ad ala e mostra alla macchina da presa tutto quel ben di Dio: «Gàrdalend!».
È il 1975. Conti spiega ai telespettatori l’esperienza. Accompagna la cinepresa sul treno per far vedere le meraviglie del parco: specchi deformanti, scivoli rossi e bianchi, giardini giapponesi, il villaggio Rio Bravo con il Saloon e i carri dei pionieri. Il treno continua e si arriva al Canyon, con le tende dei pellerossa:
guardate come perigliosamente il nostro sbuffante trenino supera il lungo ponte che unisce le due vallate. Altri giochi, altre attrattive si scorgono laggiù, ma noi continuiamo la corsa imboccando la galleria. I sette nani intenti a caricare preziosi minerali, Biancaneve vigila su di loro.
Il treno avanza ma un grande masso sembra che lo schiacci. Non lo schiaccia veramente, sempre che nel mondo di Gàrdalend esista una differenza tra il vero e il sembrare: il meccanismo fa risalire il sasso in attesa di una nuova finta e vera caduta. Si intravede il Florida Dolphin Show, con i delfini Giulietta e Romeo. Si intravedono le canoe che esplorano il villaggio africano, con sembra coccodrilli, sembra elefanti e sembra scimpanzé (gli spettatori non sanno nascondere il loro entusiasmo e stupore). Più in là in un laghetto un disco volante gira su sé stesso. Ma ecco, dei terribili veri cowboy cavallomuniti si avvicinano a noi con fare minaccioso: il treno viene assaltato / arrivano i nostri!
Il parco è esploso negli anni. Dal progetto iniziale, delimitato dai binari del Gardaland Express, si è avviata un’espansione non prevista: da un lato si costruiva su terreni circostanti e dall’altro si distruggevano attrazioni obsolete per lasciare spazio ad altre più moderne. Si assisteva cioè a una moderna urbanizzazione, con demolizioni e ricostruzioni, ristrutturazioni del centro storico, creazione di nuove periferie autosufficienti con i loro punti ristoro e bagni pubblici.
Mi sento di affermare che oggi il vecchio centro di Gardaland, pur mantenendo il suo fascino con l’antico carosello e il castello di Merlino, non è tra le parti più apprezzate del parco. Ci sono quartieri mozzafiato, e l’antica strada del Far West è solo un ponte che porta alla Valle dei Re, pieno di giochi a pagamento in cui devi tirare palline per rompere piatti e avere il peluche in regalo, cercare pepite in mezzo all’acqua, per due euro, in cambio di una medaglia da appendere al collo. Non c’è nessuna polemica in questa constatazione. Gardaland è un mondo che si rinnova sperimentando nuove attrazioni e cercando di anticipare le necessità dei tempi. Se fosse rimasto il piccolo villaggio dei primi anni Ottanta, se non fosse arrivato il Raptor, oggi il parco sarebbe solo fotografia del mio album di famiglia. L’entrata storica è rimasta come reperto archeologico, ora una nuova colossale entrata con la mascotte del parco, Prezzemolo, statua altissima, gira su sé stessa sorridente. Alla vecchia piccola biglietteria si è sostituita un’efficientissima costruzione moderna con info-point e cartelli multilingua. Il trenino Gardaland Express può piacere ai neonati fino ai quindici mesi, poi diventa uno scherzettino per riposarsi da un’attrazione all’altra: fa sorridere con il suo minuscolo percorso che a malapena copre una piccola parte di tutta la superficie.
Molte attrazioni del mio tempo sono scomparse, seppellite in strati di divertimento che rimangono nel ricordo, talvolta neppure in quello, macerie mentali sottoterra, palazzi rasi al suolo sostituiti da altre mirabilia.
Al liceo era d’uso, forse lo è ancora, andare a Gardaland nelle prime settimane di giugno, appena dopo la fine dell’anno scolastico, per festeggiare la promozione all’anno successivo. Quelli formati a Kant e Siddharta da una certa età in poi disdegnavano l’apparente superficialità di Gardaland, e rifiutavano snob la nausea emozionante delle Kaffeetassen. Io mi allineai a loro.
Mettiamo invece Martina, capelli biondi cotonati e sogno erotico per molti ragazzi, avvisata della sua bocciatura mentre era in fila per Magic Mountain. Kant al liceo di fronte ai quadri si chiedeva se farglielo sapere subito o aspettare la sera, e come dirglielo; Siddharta diceva aspettare. La questione etica si risolse grazie alla telefonata di Martina, a cui comunicarono la bocciatura con la professionalità di un chirurgo uscito dalla sala operatoria, dritto verso i parenti del defunto con fare serio partecipato ma non drammatico o confuso. La notizia doveva essere data senza possibilità di infondere una minima speranza, il fatto era incontrovertibile, oggettivo, assicurato e comprovato da più persone e da più indici che scorrevano per non sbagliare riga: non c’era margine di errore, i fatti erano questi e basta, solidarietà sorella, non è la fine del mondo, goditi Gardaland e ne riparliamo domani. Come quando muore qualcuno, Kant e Siddharta avevano nei sotterranei il sollievo dei sopravvissuti. Dispiacere fuori e piacere dentro: un treno è stato preso d’assalto, non è il nostro.
Nel mio primo anno di vita Gardaland inaugurava Magic Mountain, strabilianti montagne russe all’avanguardia, e Colorado Boat, un percorso di tronchi che ha il suo culmine in una discesa da brivido schizza-acqua a chi sta in prima fila sopra il tronco. Nel 1987 arrivava la Valle dei Re, un percorso sotterraneo dentro un modello in scala 1:2 del tempio egiziano di Ramses II. «Sono arrivati i Corsari», diceva la pubblicità del 1992, «nessuno in Italia aveva mai osato tanto». Il principio dei Corsari non è poi così diverso dalla Valle dei Re: da un vascello dei pirati in superficie, in mezzo all’acqua, si accede ai sotterranei, dove delle navicelle ti conducono lungo un percorso pieno di colpi di scena. Da piccola aspettavo un anno intero per essere portata a Gardaland, con lo scopo principale di farmi ore di fila sotto il sole ed entrare nei Corsari.
Poi, crescendo, ho tentato stupidamente di dividere in giusto e sbagliato tutto il mondo, facendo finta di schierarmi nel giusto: centro commerciale sbagliato, negozietto di quartiere giusto; fiabe di Andersen giusto, Bim Bum Bam sbagliato. Rimini sbagliato, spiaggia no alpitour giusto. Televisione con soap opera sbagliato, fratelli Karamazov okkei. Il modo migliore per non capire il presente è ostinarsi a non attraversarlo, sforzarsi di ritagliare dalla contemporaneità i pezzi di ciò che si ritiene giusto facendo finta che il resto del mondo non ci sia, non sia nostra opera, non sia lì per colpa nostra. Io che mi piaccia o no sono anche Bim Bum Bam, sono la soap opera e sono l’Hotel Volanti di Rivazzurra di Rimini, sono il flipper della sala giochi e il lavoro dei progettisti che hanno disegnato i Corsari.
Hanno speso 60 miliardi di lire per scavare nel terreno melmoso e costruire i Corsari. Nel 1992 io ignoravo che ci volessero così tanti soldi per realizzare i miei sogni. Quelli erano molto banalmente i miei sogni: entrare nei Corsari, diventare un pericolosissimo pirata. Il villaggio inglese in cui si trova il vascello ha case a tetti spioventi con travi di legno, muri bianchi e vetri gialli smerigliati. La locanda dei Corsari ha i tavolini in una terrazza vista porto. Una stradina finto antica piena di negozi conduce al fast food il Covo dei Bucanieri.
Entrando nei Corsari si scende una lunga scala sostenuta da finta pietra e si arriva sottoterra, dove due tornelli scalano il numero dei visitatori che possono salire sulle barche.
Il percorso è molto articolato: un coccodrillo, il villaggio con locanda, brutti ceffi seduti ai tavoli, esterni e interni di case, panni stesi. I pirati ridacchiano sadici con un boccale di grog in mano e si muovono attaccati a una fune, appesi al soffitto. Le barche entrano nelle fognature (tombini sopra le teste da cui si infiltra la luce), si arriva in una palude, un mostro marino spunta dall’acqua, produce un rumore che fa paura, muove la bocca e ha i denti affilati, si innalza e si avvicina pericolosamente alle barche. Si entra in una grotta con stalattiti e stalagmiti, violacee, rosse e azzurre, e poi si arriva alla scena della battaglia. Scoppia una bomba sotterranea, un cannone, che spruzza getti d’acqua come geyser. Le barche affondano in mare, uno squalo gira su sé stesso appeso a un filo, fili muovono i tentacoli di un polpo gigante sopra i visitatori, che sono salvi, sono comunque salvi, le loro barche muovono verso l’alto sotto un fascio si lucine bianche. C’è una musica distensiva in chiusura dell’avventura, come dire ce l’hai fatta piccolo eroe, ringrazia il Corsaro nero, non sei stato ammazzato, almeno per questa volta.
Da piccola senza capire niente ricostruivo la storia passo dopo passo, ricollegavo i quadri narrativi a pezzi. Io godevo nei Corsari: lì ho imparato lo stupore, la mia bocca era ogni volta spalancata di fronte a una storia che già conoscevo ma che ogni anno si rinnovava e non smetteva di ricostruirsi nella mia immaginazione.
Proprio per questo, tornata nei Corsari da adulta, pensai che i bambini di oggi dovessero essere banditi dal regno o ancora meglio imprigionati. Quando la nostra barca venne fatta a pezzi e trascinata in mare, loro erano impassibili, io scossa per il ricordo del terrore. All’altezza dello squalo mi guardai intorno per cercare il mio gruppo, per trovare dei coetanei, qualcuno che parlasse la mia lingua.
I più giovani guardano con disincanto al vecchio. Affrontano i Corsari con simpatia ma fondamentalmente con noia. Non una smorfia sul loro volto quando scoppia la bomba sotto l’acqua; non sono spaventati, non sono niente, aspettano solo di andare sulle attrazioni più nuove, sul bellissimo Mammuth, su Fuga da Atlantide, Oblivion. La fila di attesa per i Corsari oggi non c’è più, si entra subito perché le file sono altrove. I Corsari sono reduci dall’ondata del contemporaneo, sono solo archeologia sopravvissuta che diventa monito per i bambini di oggi: c’era una volta un tempo lontano in cui addirittura ci si divertiva così.
Eppure, a fronte delle nuove opere colossali, altre attrazioni antiche hanno mantenuto la stessa funzione di un tempo. Colorado Boat e Magic Mountain vivono e prosperano. Loro sono come eterne. Perché? Perché a distanza di pochi decenni ci sono cose bellissime che muoiono, che si guardano magari con malinconia, ma che non funzionano più, e altre invece che si mantengono salde, senza bisogno di nuovi accorgimenti, che vanno bene solo perché stanno lì?
Chi poteva immaginare, pochi anni fa, che Colorado Boat sarebbe rimasto e l’attrazione vicina, il Corpo di Eva, in cui entravi dentro un enorme corpo di donna sdraiata, sarebbe stata un fallimento smantellato dopo pochissime stagioni; e qualcuno mi spieghi perché i Corsari, la mia attrazione preferita, che univa azione, storia, immaginazione e perfezione meccanica, violenza espressiva, rivoluzione, slancio, linguaggio, oggi non è che un reperto storico, amato dai nostalgici, ricordato affettuosamente dai vecchi bambini e oggi assolutamente frainteso. Dove abbiamo sbagliato. Cosa fa durare le cose nel tempo, e perché. Cosa ne sarà dei Corsari, come si vivrà senza quelle imbarcazioni quando saranno smantellate, quando al loro posto ci sarà un cinema milledimensioni. Che ne sarà di quelle storie raccontate nel sottosuolo, chi le ricorderà un giorno.
Cosa significa per me ridiscendere negli inferi dei Corsari? è un’operazione nostalgica senza alcun fine? è una riaffermazione della mia storia, del mio linguaggio? la ricerca del piacere, rocchetto; un’operazione storica, lo scavo nell’infanzia; è il disperato tentativo, con il mio ingresso che segna un più uno, di garantire la salvezza di quel luogo, la sua tutela nel tempo. Il tentativo di ricollocarmi dove dopo di me sono arrivate le invasioni barbariche e hanno costruito attorno il nuovo che non ha più il mio senso. Mi chiedo allora se io non abbia caricato troppo peso in quel vascello, se non abbia il diritto anche lui, come tutto il resto, di nascere e morire, perché non tutto ha la funzione di durare in eterno. Il Colorado Boat è almeno per il momento eterno. I Corsari no. Ma non importa. Io salverò i Corsari, perché i Corsari sono la possibilità della battaglia. È ciò che oggi io voglio salvare dal naufragio, nella perpetua distruzione e costruzione delle cose, e se il tentativo di salvataggio non funziona, non sarà né la prima né l’ultima nave affondata in mare, e non sarà male dubitare che sia disastro davvero.
[Immagine: Gardaland]
Mi permetto solo di rilevare che “l’unico principio funzionale” di aeroporti e stazioni non è “spendere, consumare” bensì prendere l’aereo, il treno…