di Samuel Beckett
[La capitale delle rovine è un testo di Samuel Beckett pubblicato per la prima volta in Italia sul numero 8 del trimestrale “il Reportage”, attualmente in libreria. Beckett vi racconta la sua esperienza di volontario della Croce Rossa nell’ospedale di Saint Lô tra il maggio e l’ottobre 1945. Ne riportiamo qui alcuni stralci. La traduzione è di Luigi Toni e Michele Zaffarano].
Nel luogo in cui un anno fa c’era un pendio d’erba, all’angolo formato dall’incontro delle strade di Vire e di Bayeux all’entrata della città, di fronte a quel che resta della seconda più importante scuderia di Francia, sorge ora un ospedale. È l’ospedale della Croce Rossa Irlandese a Saint-Lô o, come lo chiamano gli abitanti della città, l’Ospedale Irlandese. L’ospedale è composto da venticinque edifici prefabbricati di legno. In termini generali, sono di qualità superiore rispetto a quelle costruzioni prefabbricate messe in così scarsa quantità a disposizione dei più ricchi fra tutti quelli a cui i bombardamenti hanno ridotto le casa in macerie, o dei più raccomandati, o dei più scaltri, o anche di chi dimostra di possedere le ragioni più evidenti per meritarsela. La rifinitura di queste costruzioni, sia fuori che dentro, è la migliore possibile, considerate le misure d’urgenza. Sono foderate di lana di vetro e ricoperte da isorel, una strana sostanza disponibile solo in quantità molto limitate. Alle finestre c’è vetro autentico. L’atmosfera che ne risulta è areata e luminosa, confortevole per i malati come per il personale esausto. I pavimenti, dove le esigenze igieniche sono fondamentali, sono ricoperti di linoleum. Non era c’era abbastanza linoleum in Francia per riuscire a fare più di così. Il soffitto e i muri della sala operatoria sono rivestiti da placche d’alluminio d’origine aeronautica, una soluzione pratica e decorativa per risolvere un vecchio problema, una variante spiritosa alla metamorfosi della spada nel vomere d’aratro. […] Tra i malati assistiti ambulatorialmente, ce ne sono parecchi che soffrono di scabbia o d’altre malattie della pelle, dovute senza dubbio alla malnutrizione o al regime alimentare poco equilibrato. Gli incidenti sono frequenti. Crollano pezzi di muro quando uno meno se l’aspetta, i bambini giocano coi detonatori e il lavoro di sminamento è continuo. […]
Quello che era importante, non era che noi avessimo la penicillina mentre loro non ne avevano, non era la generosa liberalità del ministro francese della Ricostruzione (come lo si chiamava allora), ma che si riuscisse, a volte, a intravedere noi in loro e – chissà (visto che è un popolo dotato d’immaginazione) – loro in noi, quel sorriso che compare quando si pensa alla condizione umana, un sorriso che nemmeno le bombe sono in grado di cancellare, non più di quanto gli elisir di Burroughes e possano farlo diventare più grande, – un sorriso che, fra le altre cose, rovescia in derisione gli abbienti e i non abbienti, quelli che danno e quelli che prendono, la malattia e la salute. […]
Oggi, quando penso ai problemi ricorrenti in quel periodo, periodo che, in tutta modestia, potrebbe essere definito eroico, quando penso in particolare a un problema tanto arduo e senza soluzione da non poter essere letteralmente neanche formulato, sospetto che i nostri sforzi fossero quelli inerenti a questa semplice e necessaria constatazione, a cui tuttavia era così difficile arrivare, e cioè che il loro modo d’essere noi non era il nostro e che il nostro modo d’essere loro non era il loro. A essere giusti, bisogna anche dire che molti di noi non erano mai stati all’estero prima d’allora.
I bombardamenti hanno cancellato Saint-Lô in una notte. I prigionieri di guerra tedeschi, insieme agli occasionali sterratori attirati dalla relativamente abbondante razione alimentare, e presto però scoraggiati dalle condizioni degli alloggi, a due anni dalla liberazione continuano a sgombrare macerie letteralmente a mano. Le loro anime non sono ancora state illuminate dalle benedizioni di Gallup, e la loro carne non ha ancora scoperto i benefici del bulldozer. Ecco perché saremo senza dubbio scusati se dubitiamo dell’opinione generale secondo la quale dieci anni basteranno a ricostruire completamente Saint-Lô. […] L’ospedale continuerà a svolgere la propria funzione anche molto tempo dopo che gli irlandesi saranno ripartiti e i loro nomi dimenticati. Tuttavia, mi viene da pensare che lo chiameranno l’ospedale irlandese fino a quando esisterà in quanto ospedale, e che in seguito, quando i fabbricati saranno stati trasformati in alloggi, saranno sempre chiamati i fabbricati irlandesi. Evoco questa eventualità nella speranza che la cosa potrà far piacere a tutti. Detto questo, posso forse avanzare un’altra ipotesi, più remota ma probabilmente di portata più grande in certi ambienti, intendo l’eventualità che tra quelli che sono stati a Saint-Lô, qualcuno ritorni a casa rendendosi conto di aver ricevuto per lo meno nella stessa misura di quello che ha dato, e di aver in realtà ricevuto quello che difficilmente sarebbe stato in grado di dare: la visione e il senso immemorabile d’un concetto d’umanità in rovina, e di essere forse riusciti persino a intravedere i termini entro cui dovrebbe essere ripensata la nostra condizione umana. Questi sono gli uomini che sono stati in Francia.
un Beckett stilisticamente inedito, diaristico e votato alla grigiosa cronaca ospedaliera in un loculo di guerra.
non c’è mezza eco di Molloy, né tantomeno di Malone. o di Murphy…
qui ha annullato tutto lo spesso (e caduco) schermo beckettiano. insomma, sto testo non è di “Beckett”… è del suo prestanome irlandese. potere della penna!
Se qualcuno tra i nostri lettori desidera “collaudare” anche Samuel Beckett, magari proponendo qualche correzione nei commenti, eventualmente per renderlo più beckettiano, faccia pure – noi non ci stupiamo più di niente
@Le parole e le cose
Ho solo detto che non è beckettiano, il testo, non metto in dubbio però che questo testo e Molloy (per dirne uno) siano usciti dalla stessa persona fisica, il Beckett; ma non sono usciti dalla stessa persona letteraria.
Va bene così?
E’ più chiaro?
Effettivamente, questo testo di Samuel Beckett che certifica il suo impegno sociale, ha lasciato perplesso anche me, quando stamattina l’ho letto. In questo contesto, in questo blog che si definisce di letteratura e realtà, cosa mi starebbe a significare?
@Seligneri @ Von Massino
Questo è il massimo! Per favore, continuate, sto lacrimando, sto morendo dal ridere. Anzi no, ritrattate, ditemi che lo fate apposta per favore, che avete uno straordinario gusto dell’autoparodia, un indomito sprezzo del grottesco, vi prego ditelo, oppure mi verrà una sincope da eccesso di risate.
Per Larry Massino
“Tutta la vita le stesse domande, le stesse risposte” (S. Beckett, Finale di partita).
leparoleelecose, questa tua ultima affermazione è decisamente di un beckett “di maniera”, poco sincero, inautentico.
si sente davvero il bisogno di posts simili? a questo tipo di irrelatezze aspirate?
C’è una cosa che non capisco: la diffidenza, quasi la paura verso una forma di scrittura che possa rivelare qualcosa di diverso, di nuovo, sulla “persona letteraria” che siamo abituati a leggere.
Che poi si tratta davvero di irrelatezza?
A ben cercare un comune denominatore tra manifestazioni letterarie così distanti credo che si possano trovare e che non siano nemmeno così nascoste, unite da ” la visione e il senso immemorabile d’un concetto d’umanità in rovina, e di essere forse riusciti persino a intravedere i termini entro cui dovrebbe essere ripensata la nostra condizione umana. “
Ah, ah, ah… mi sto facendo un sacco di risate anch’io. Però guardate, un aggettivo beckettiano c’è, quell’ “esausto” che compare a un certo punto. E anche “linoleum” è molto più beckettiano di “parquet”.
http://www.youtube.com/watch?v=OpIYz8tfGjY
sul web e la ‘libertà’ d’opinione
@Seligneri
Ho sentito cosa ha detto. Lei non sa niente del mio lavoro.
( « Ragazzi, se la realtà fosse sempre così! » http://www.youtube.com/watch?v=bjlddjfw27g )
Non ci posso credere, ci aveva già pensato Baldi!
Per quella scena Woody Allen avrebbe voluto Fellini, ma Fellini declinò elegantemente. Allora Woody Allen pensò a Marshall McLuhan che soleva dire un po’ a tutti che il suo lavoro non lo capivano.
Grazie del link, Annie Hall è uno dei miei film preferiti.
Invece Beckett estimava Buster Keaton, ma pare che Buster Keaton considerasse Beckett un idiota… Io più modestamente rispetto a chi mi ha preceduto linko il loro Film: http://www.youtube.com/watch?v=wMURNmKsy84
Da noi in Italia, Landolfi, parlando della Trilogia beckettiana, disse che era roba per gli strizzacervelli…
Io invece credo che Beckett, quando è Beckett, è un artista eccezionale, uno importante come Shakespeare per il teatro, ed un fulgido innovatore, ma di una ricerca eccessivamente autoreferenziale, per quanto riguarda la narrativa. Diciamo che lo spettro che lo ossessionò quando faceva letteratura, Joyce, fu scacciato definitivamente col grande teatro.
Postilla: va da sé che Molloy e Malone muore, ma anche il kafkiano Watt, sono tra le cose che ho letto con maggior goduria.
Saint-Lô
Vire serpeggerà in altre ombre
non nato tremerà per le vie lucide
e la vecchia mente dimenticata dallo spirito
sprofonderà nel suo disastro.
“ Perché questa commedia tutti i santi giorni? “ (B. Fin de Partie)
Cara redazione, io non sto sindacando su quello che dovete o non dovete pubblicare, ci mancherebbe. Mi permisi solo, ieri pomeriggio, di esprimere perplessità sulla scelta di presentare Beckett come un uomo impegnato socialmente, ciò che in un blog di esimi letterati si presta a interpretazioni malandrine della sua opera. Opera, lo sapete bene, che già dovette subire l’onta della cooptazione tra gli esistenziali (e tra gli assurdi…). Ora che facciamo, gli vogliamo dare il retrogusto social-realista? Questo quanto alla mia composta perplessità.
Quanto a McLuhan, evocato per sbeffeggiare, qui ci sta benissimo. Perché anche lui veniva sbeffeggiato dai suoi contemporanei più titolati, per via che le sue teorie venivano ritenute bizzarre e infondate, eccentriche e spiritualiste, da alcuni fetida spazzatura…. Invece i suoi ragionamenti sui medium, caldi e freddi, i primi escludenti e i secondi includenti la partecipazione, si potrebbe dire “ creatività “ del fruitore, ci stanno benissimo, qui, e ci avvicinano alla sostanza di Beckett. McLuhan sosteneva che il telefono è la tv sono medium freddi, perché ci includerebbero, costringendoci a completare il processo comunicativo; mentre la scrittura, la fotografia e il cinema sono medium caldi, che ci renderebbero fruitori passivi. Mica ci interessa soffermarci sulla discutibilissima suddivisione dei medium, né sulla concezione in fondo positiva che McLuhan aveva del medium TV… Ci interessa Samuel Beckett.
Gabriele Frasca, eccellente traduttore e studioso di Beckett, fa un ragionamento sull’oralità molto vicino a quello del sociologo canadese. Sostiene più o meno (io capisco e non capisco, non è che mi permetto di dire che sono capace di capire quello che sostiene un altro), che la nostra civiltà è nonostante tutto uditiva, che l’oralità ci accomuna tutti, in quanto esseri umani, al contrario della grafia e dell’immagine; sostiene Frasca che noi siamo esseri del sonoro, in ascolto, che il predominio della grafia, in epoca moderna, è andato di pari passo con il predominio di una certa classe di esseri, in qualche modo “ padrona “ dello stesso concetto di moderno; arriva a sostenere, Frasca, più o meno tra le righe, che noi non abbiamo ancora gli “ enzimi “ per digerire la grafia e l’immagine, che il gioco della comunicazione e dell’arte ci diviene indigesto se non lo riportiamo nell’ambito biologico e antropologico del sonoro, della ” fonosfera “, delle nostre più sviluppate qualità sensoriali, per l’appunto uditive.
Per dire che se vogliamo capire (sarebbe meglio dire se vogliamo “ vivere “ Beckett) al suo lavoro sul sonoro bisogna riferirsi, sulle sue forme sonore e sul ritmo, per esempio (B. è l’unico che quando scrive pausa, nei testi teatrali, la pausa funziona sempre); e che di questo passo, invece, a forza di metterci sopra veli e doppi veli sociologici e contenutistici… ci vorranno millenni…
@ex gnicòsa:
Effettivamente sono cose buffe. Vuoi che facciamo una bella risata a crepapelle insieme? (B. Fin de Partie)
E intanto si va avanti (pausa). Si piange, si piange, per niente, per non ridere, e a poco a poco… vi prende una vera tristezza. (B. Fin de Partie)
@Le parole e le cose;
Io mi dico… qualche volta, Clov, bisogna che tu riesca a soffrire meglio di così, se vuoi che si stanchino di punirti… un giorno. Mi dico… qualche volta , Clov, bisogna che tu sia presente meglio di così, se vuoi che ti lascino partire… un giorno. Ma mi sento troppo vecchio, e troppo lontano, per poter formare nuove abitudini. (B. Fin de Partie)
@per i seccati: citazioni da Fin de Partie per offendere pesantemente (evocanti pulizia etnica nei litblog, o quantomeno restrizione temporanea dei soggetti inquieti nei litblog di rieducazione):
Puzzi da far paura.
Il mio regno per un netturbino
Ah, la vecchiaia moderna! Mangiare, mangiare, non pensano ad altro.
Nessuno al mondo ha mai avuto pensieri sballati come i nostri.
Non c’è niente di più comico dell’infelicità.
@Citazioni da Fin de Partie dimostranti umorismo raffinato inglese:
(voce del sarto, scandalizzato)
Hamm: Non può darsi che noi… che noi… si abbia un qualche significato?
Clov: Un Significato? Noi un significato! (breve risata) Ah, questa è buona!
Nella parte finale del commento era saltata una parte, non so perché:
@Citazioni da Fin de Partie dimostranti umorismo raffinato inglese:
(voce del sarto, scandalizzato)
Hamm: Non può darsi che noi… che noi… si abbia un qualche significato?
Clov: Un Significato? Noi un significato! (breve risata) Ah, questa è buona!
Ps: dato che coi sono correggo anche un errore: ” sulle sue forme sonore e sul ritmo ” è da intendere ” alle sue forme sonore a al suo ritmo “.
Risaltata, riprovo:
” Godman, sir, ma dove andiamo a finire, è una cosa indecente, alla fine alla fine. In sei giorni, ha capito, in sei giorni Dio ha fatto il mondo. Proprio così, caro signore, il mondo! E lei non è stato capace di fare un paio di pantaloni in tre mesi! ” (voce del sarto, scandalizzato) ” Ma milord! Ma Milord! Guardi… (gesto di disprezzo, con disgusto)… il mondo… (pausa) … e guardi… (gesto amorevole, con orgoglio)… i miei pantaloni! “
Per Larry Massino
Non ci sarebbe nemmeno bisogno di precisarlo, ma visto che insiste ci tocca sottolineare che nessuno qui ha presentato Beckett come “un uomo impegnato socialmente”. Questa di un Beckett “social-realista” è un’illusione ottica sua che lei ci attribuisce solo per poter poi dire che non va bene. Ci scuserà se non la seguiamo in questo circolo vizioso.
Ricordo un cane, nel giardino di un’amica, che faceva mostra di forti disturbi. Era un pastore tedesco, adulto, probabilmente traumatizzato da bambino. Correva senza tregua da una parte all’altra del giardino, guaiva incontrollabilmente, saltava senza motivo. Cercava l’uomo con nervosa prostrazione, si avvicinava col muso abbassato e una palla sgonfiata in bocca, la coda in piena frenesia, e se accennavi a calare la mano in un gesto di pietà, quello ringhiava e saltava via tutto sgraziato, lanciava lontano la palla e correva subito a recuperarla. E poi ci riprovava ancora, tutto tremante e piangente e ringhiante, scodinzolante, in un commovente tentativo di contatto che il suo sistema nervoso non riusciva a sostenere. Forse era malato di troppa gioia e di troppa rabbia per se stesso. Mi capitò una volta di osservarlo dalla finestra di casa, di soppiatto, che seguitava a guaire nella solitudine delle sue corse insensate, poi si fermava di botto, cominciava a girare furiosamente in cerchio, faceva scattare le mandibole nell’aria, verso la coda che eternamente mancava. Credo che nessuno, mai, avrebbe potuto guarirlo, lenire il suo bisogno di affetto, il suo desiderio di preda.
per Le parole e le cose
Non ci sarebbe nemmeno bisogno di precisarlo, ma visto che insistete mi tocca sottolineare che ho soltanto espresso una legittimità perplessità circa la scelta di pubblicare dal nulla un testo del genere su un autore così particolare come Samuel Beckett, scelta che potrebbe risultare fuorviante per lettori poco smagati. Però, la mia era una semplice perplessità. Mi sono sbagliato ad averla? Può darsi, ma non me ne pento, visto che la madre dei social realisti, con rispetto parlando, è sempre incinta (per non dire di quell’altra più nota che diceva Flaiano…). Il resto, permettetemi, è illusione ottica vostra. Direi anche necessità di vedere nei vostri commentatori quasi degli antagonisti, necessità per me del tutto inspiegabile. Se non siete interessati alle discussioni e alle osservazioni critiche, perché tenete aperti i commenti?
Per Larry Massino
Ci interessano le discussioni, le osservazioni, le provocazioni intelligenti, o almeno sensate (e per fortuna sono la grande maggioranza). Non ci interessano le polemiche inutili (e autoalimentate). Questa sta diventando una polemica inutile: dunque per quanto ci riguarda la chiudiamo qui.
mi diverte molto il corto circuito che si è creato su questa pagina: tra samuel beckett e larry “pubblicare dal nulla” massino c’è l’intera umanità di grandi scrittori, scrittori, scrittorucoli e scriventi, accomunati naturalmente solo dall’uso della penna o della tastiera. la probabilità che un giorno i due nomi, sì distanti, finissero vicini era infinitesimale, ma questo – nostro malgrado – è avvenuto. d’altronde, da tempo, la letteratura, qualora esista ancora, è scesa al livello del campionato di calcio: siamo tutti allenatori, siamo tutti critici letterari. sopporteremo anche questo.
Solo per ammettere a capachina che i miei enunciati teppistici sull’opera di Samuel Beckett non sono certo all’altezza di quelli educatamente espressi da Riccardo de Gennaro qui sopra. Buon Natale a tutti.
Mi scusi, Massino, se infierisco, ma ho una irresistibile curiosità: il blog a cui si accede cliccando sul suo nick è tutta fioritura del suo stilo? Non vorrei tacciarla inutilmente di analfabetismo. Bau
@le parole e le cose
cara redazione, i commenti appena sopra sono gli esempi delle ” discussioni, le osservazioni, le provocazioni intelligenti, o almeno sensate (e per fortuna sono la grande maggioranza) ” che piacciono a voi? A me sembrano esempi di squadrismo, del peggior fascismo culturale possibile, ma sono un analfabeta da emendare, non abbastanza colto per produrre enunciazioni così raffinate come certi/e evidentemente aspiranti membri del mondo accademico e culturale in genere. Certo che quando c’è la cultura c’è tutto…
Ps: mi sembrano anche esempi della peggiore frustrazione.
Suvvia, la cultura non c’entra niente, Massino, e nemmeno lo squadrismo. Il problema grave, qui, è la sintassi – del discorso e cioè del pensiero. Mi riesce solo un po’ difficile dare credibilità critica a chi scrive interi post di tortuosissime infilate ipotattiche, manco fosse Proust, in cui il senso si smarrisce nell’ingolfo di lancinanti ammiccamenti tra il grottesco e il provocatorio. Ma potrei benissimo sbagliarmi, e lei potrebbe essere un novello Joyce – perfino a quella testa fredda della Woolf capitò di liquidare l’Ulisse definendolo una cagata pazzesca.
@giustizia
La invitiamo a restare sul pezzo. E a non trascendere sul piano personale.
Grazie.
In effetti (e vale per tutti, compresa la Redazione) non capisco perché qui si mostrino atteggiamenti fra lo snobismo e il “muscolare”. Sul lungo corso, si perde mordente, viene a noia, ed è un peccato perché l’idea di partenza, il livello culturale di chi l’ha concepita e di chi vi partecipa sono alti. Forse in alcuni casi, però, sono così alti da sconfinare nella superbia.
Un saluto (schietto).
@giustizia
La invitiamo a restare sul pezzo. E a non trascendere sul piano personale.
Grazie.
Siete dei miseri pagliacci.
fm
Condivido Marotta. Lo scemino anonimo e’ molto probabile che sia uno dei vostri in libera uscita, il che rende la situazione ancora piu’ grottesca. Pagliacci.
Ricordo alla Redazione che di ascensioni nel “trascendente personale e nel derisorio” è venuto in primis a essa medesima di farne giacché a un mio semplicissimo e per nulla polemico (colla Redazione e con nessuno) commento ha iniziato a invitare il commentario a “collaudare Beckett”… e il commentario ha deciso invece, perché più comodo, di collaudare i commentatori un po’ più scettici di loro.
I signori “Beckett” (il nick del commentatore) e il signor Valentino Baldi mi hanno dedicato il video di uno spezzone di Allen che è tuttodire su come si “trascenda sul personale”…
oppure quel video era inerente al post perché il professorone in coda sparla di Beckett?
tra l’altro il signor Baldi ha dedicato il post anche alla(evidentemente) troppa “Libertà” che circola in rete; certo signor Baldi, bisogna limitarla la libertà, in ogni caso, in rete e in società, sono proprio d’accordo colla sua destromania.
“Giustizia chicchessia” ha riso dal primo commento del sovrascritto e di Larry Massino, che, mi pare, abbiamo cercato, nonostante gli sputazzi, di parlare del contenuto del post nonostante gli attacchi personali, abbiamo parlato esclusivamente del contenuto del post.
La redazione, quindi, non scarichi sulla “giustizia” tutte le responsabilità perché alla base c’è stata una propria chiusura al confronto sugli argomenti trattati e di avversione incomprensibile contro un mio parere; la vostra chiusura, un po’ sfottente un po’ fottete, ha finito per fottere e, naturalmente, sparpagliare una discussione che poteva essere interessante.
Niente di male, ma è un peccato.
Cari lettori,
potete crederci: la nostra più grande ambizione sarebbe quella di non moderare affatto e di non intervenire mai nello spazio dei commenti. Purtroppo negli ultimi giorni abbiamo dovuto registrare alcuni interventi aggressivi, che non desideriamo incoraggiare. Ci interessa il dialogo con i lettori e la libera circolazione delle idee, ma non ci va di trasformare lo spazio dei commenti in un circo dove ciascuno si senta autorizzato a scrivere qualsiasi cosa e tantomeno ad attaccare il prossimo (incluso LPLC). Chi ci dà il diritto di decidere cosa è accettabile, cosa è troppo aggressivo, cosa non va? Nessuno. E’ un diritto che ci prendiamo da soli, e che non intendiamo negoziare. Diciamo semplicemente che ci aspettiamo da tutti un minimo di autocontrollo e di buon senso. Se queste qualità elementari venissero a nostro avviso a mancare, saremmo costretti a valutare una registrazione più rigorosa, una moderazione più intensa, se non addirittura la chiusura dello spazio dei commenti.
E ora qualche risposta nel merito.
@Fiorella D’Errico
La ringraziamo per il suo suggerimento. Ne terremo conto.
@Seligneri e Massino. Vi è stato fatto notare, da parte nostra con ironia e senza attacchi personali, l’aspetto paradossale di alcuni vostri interventi, implicitamente o esplicitamente polemici verso LPLC. Siamo contenti che ci leggiate e che interveniate. Pensiamo di aver avuto nei vostri confronti un atteggiamento reattivo, ma civile e dialogante, simmetrico al vostro verso di noi.
@Il FuGiusCo e fm. Dovremmo censurare i vostri insulti. Invece li lasciamo, in modo che i lettori possano giudicare chi sono i veri pagliacci. Precisiamo solo che Giustizia eccetera NON è uno dei “nostri” – il che rende l’intervento di GiusCo particolarmente stupido. Se desiderate andare altrove a depositare le vostre “idee”, non sentiremo la vostra mancanza.
Grazie a tutti.
La discussione è andata chiaramente degradando, grazie anche al mio attivo supporto, e me ne scuso. Soprattutto per la noia inflitta a chi sia interessato alla materia del post, costretto a sorbirsi polemiche fuori tema. Giusto due precisazioni: che io non abbia rapporti con la redazione di LPLC l’ho già specificato, in altro post, agli stessi commentatori che già mi accusavano di inconsulti mascheramenti, ma pare che capiscano solo ciò che vogliono, in un’ansia da totalizzazione del “nemico” che non mi spiego – dunque ripeto che sono uno studente, che non ho contatti con la redazione, che la mia offesa e difesa non ha nulla di corporativo, è solo una risposta alla rabbia e al disgusto che mi sono scaturiti spontanei per certa cecità e narcisimo qui sfoggiati; secondo: la mia aggressività e il mio scendere sul personale, nei confronti in particolare del sig. Massino, volevano essere una risposta alla sua simmetrica aggressività, dato che in un qualche post precedente ha preso a darmi del fascista e continua a farlo, perché osavo mettere in dubbio il valore della sua “rivolta”; ho purtroppo scarsa dimestichezza con i blog e probabilmente mi sono fatto trascinare dall’impeto, ma solo ora, dopo accurata ricerca, rilevo che i signori con cui ho polemizzato sono personaggi ricorrenti della Rete e dei Blog Letterari, che da anni intervengono ovunque con gli stessi toni e le stesse obiezioni. Deduco quindi, con costernazione, di essere stato trascinato nell’arena a fare il loro stesso gioco, che è quello di gettare fumo e fare chiasso dove capiti a mo’ di rappresaglia (non so bene contro quale oppressiva istituzione). Non avendo alcun desiderio di essere accostato alla patetica trafila dei “disturbatori” di questo blog – che reputo più che interessante sotto molti punti di vista, e di cui apprezzo il valore di punto d’incontro aperto a tutti – d’ora in poi non risponderò più ai sassi che vi vengono puntualmente, direi meccanicamente, lanciati. E per rispondere alla redazione, io ho continuato a intervenire perché questo blog a me interessa e piace, e non riuscivo a darmi pace del fatto che ci fossero dei così duri – e gratuiti – detrattori a inquinarlo passo passo, ad ogni post, con le loro assurdità. Purtroppo non ho fatto che soffiare sul fuoco. Dall’altro lato non c’è interlocuzione, ormai è chiaro. Me ne tiro fuori, affinché le braci dei loro fuochi di paglia possano spegnersi e lasciare spazio a chi abbia qualcosa di intelligente da scrivere.
A me sembra che ci sia una precisione estrema in questa pagina di Beckett. In una qualche maniera la stessa del suo teatro. E insieme dell’altro ancora, come quando accosta quelle placche di alluminio alla spada nel vomere dell’aratro, oppure, ancora, quando osserva che “il loro modo d’essere noi non era il nostro e che il nostro modo d’essere loro non era il loro”, ma, poi, aggiunge, a essere giusti, “A essere giusti, bisogna anche dire che molti di noi non erano mai stati all’estero prima di allora.”. La traduzione mi sembra davvero bella e l’attacco memorabile: Nel luogo in cui un anno fa c’era un pendio d’erba, all’angolo formato…
Un saluto
Adelelmo Ruggieri
Ma no, restate tutti, quassù ci stiamo divertendo un sacco!
Anzi, volevo chiedere da parte di Gustave Flaubert, che ho appena incrociato a colazione, se i signori GiusCo e Massino sarebbero disponibili a figurare in uno dei suoi prossimi romanzi, magari in coppia, e al signor Seligneri se avrebbe un’oretta di tempo per correggere uno dei suoi manoscritti, come ha fatto con il mio.
With all good wishes,
Sam
Leggo post e commenti solo oggi e faccio notare che:
1. nel testo tradotto di Beckett mi pare di individuare refusi o incongruenze logiche in queste frasi: – *Non era c’era abbastanza linoleum in Francia per riuscire a fare più di così.*; * non più di quanto gli elisir di Burroughes e possano farlo diventare più grande*; * un sorriso che, fra le altre cose, rovescia in derisione gli abbienti e i non abbienti, quelli che danno e quelli che prendono, la malattia e la salute*[?];
2. Il testo di Beckett non eccezionale da un punto di vista esclusivamente letterario ha per me un valore sommesso e non trascurabile di richiamo alla realtà. Basterebbe magari pensare a quanto in questi tempi stanno vedendo e forse descrivendo in zone di guerra o post-guerra eventuali giovani volontari (in Libia ad es.);
3. da questa mia ottica ritengo snobistica, ingenerosa il primo giudizio da “purista letterario” di Seligneri (12 dic. 11,49): * grigiosa cronaca ospedaliera in un loculo di guerra* ;
4. (in merito all’avvitamento della discussione) mi pare che se Seligneri ha buttato il primo sasso, il secondo l’ha buttato proprio *le parole e le cose” (12 dic. 14,34), smentendo di fatto e da subito la buona intenzione dichiarata tardivamente:* la nostra più grande ambizione sarebbe quella di non moderare affatto e di non intervenire mai nello spazio dei commenti* (14 dic. 20,40) come si può vedere anche dai successivi interventi (13 dic. 15,33; 13 dic. 17,54); 14 dic. 14,26; 14 dic. 20,40)); il resto è venuto quasi “naturalmente”, come in una comune rissa, quando ai primi due contendenti se ne aggiungono altri presenti sul luogo dove scoppiano le prime scintille o attirati dalle scintille; e l’esibizione di muscolatura (intellettuale) o di ironia o di erudizione letteraria ha preso sempre più spazio nel pieno rispetto dello “stile blog” più tradizionale;
5. sono passati in secondo piano gli spunti secondo me interessanti e degni di approfondimento:
a. le * perplessità [con sospetto di “social-realismo]sulla scelta di presentare Beckett come un uomo impegnato socialmente* (Massino) o, comunque, la domanda legittima sul perché riproporre oggi su LPLC proprio questo testo di Beckett;
b. l’ipotesi che * se vogliamo capire [Beckett] (sarebbe meglio dire se vogliamo “ vivere “ Beckett) [dobbiamo guardare] al suo lavoro sul sonoro* (Massino);
6. così avvitata e bloccata la discussione si deve per forza approvare quanto affermato da Fiorella D’Errico (14 dic. 15,20);
A questo punto arriva la voce del *padrone di casa* (LPLC 14 dic. 20,40) che redarguisce i suoi ospiti ingrati e indisciplinati:
* Chi ci dà il diritto di decidere cosa è accettabile, cosa è troppo aggressivo, cosa non va? Nessuno. E’ un diritto che ci prendiamo da soli, e che non intendiamo negoziare. Diciamo semplicemente che ci aspettiamo da tutti un minimo di autocontrollo e di buon senso. Se queste qualità elementari venissero a nostro avviso a mancare, saremmo costretti a valutare una registrazione più rigorosa, una moderazione più intensa, se non addirittura la chiusura dello spazio dei commenti*
Mi chiedo seriamente da che pulpito arrivi una presa di posizione del genere.
A me pare ambivalente, imbarazzata, contraddittoria con il comportamento avuto in questo post ( e in altri precedenti), permalosa e politicamente debole.
Come si fa a minaccia “una moderazione più intensa* o * addirittura la chiusura dello spazio dei commenti*, quando il problema sarebbe quello di una moderazione più intelligente, generosa, aperta, problematica e – continuo a ripeterlo invano ma, chissà, gutta cavat lapidem – un confronto tra redattori e commentatori più paritario.
Ricordo che Lenin, come ricordato da Fortini, una volta disse che la libertà era un bene così grande che doveva anche essere razionato. Ma Lenin nel 1917 aveva in mente un’idea (o una scommessa) precisa sul *che fare* e la dichiarava. Non si prendeva un diritto di decidere *da solo* senza portare delle buone ragioni. Dove sono quelle di LPLC? Io le aspetto ancora.
Ennio Abate,
io ho solo detto che il testo non è beckettiano. Il fatto che un testo l’abbia scritto Beckett non vuol dire che è beckettiano, sono sicuro che è una cosa che lei può capire ad occhi chiusi. Non vedo allora perché deve evocare lo snobismo che non c’entra assolutamente nulla.
arrisentirsi
seligneri, personalmente ritengo che l’aggettivo “autore+-iano” possa usarsi con appropriatezza solo quando si vogliono attribuire caratteristiche frequenti di un autore a un altro autore, non quando si parla di un autore solo, perché in questo caso la notazione rischia di diventare insensata.
particolarmente insensata se si parla di beckett, un autore che, per dire, non ha scritto le sue opere usando sempre lo stesso stile e si è cimentato in tutti i generi. “beckettiana”, al massimo, potrebbe essere un’atmosfera, desunta da certe situazioni teatrali, che so.
@ Seligneri
Ritiro l’accusa di snobismo. Mi chiedo però: non c’è un Beckett pre-beckettiano? Non può avere un certo interesse magari pubblicare anche i suoi temi scolastici, ammesso che se ne trovassero?
Questo Beckett (questo del post) non ha nulla a che vedere con nessun testo beckettiano, è evidente. Io per beckettiano mi riferisco alla narrativa prodotta da Beckett diciamo dopo la fine del magistero joyciano, dopo la produzione letteraria alla maniera di Joyce.
Non è una mia scelta arbitraria, è semplicemente la presa d’atto che “quella narrativa” si è artisticamente imposta come “beckettiana”, per molti motivi, prima tra i quali la sua originalità. Ho spesso letto che la critica, tra i capolavori del novecento narrativo, annovera l’Ulisse, La ricerca proustiana e la Trilogia di Beckett.
C’è da aggiungere che i testi teatrali di Beckett hanno una dimensione generale similissima a quella della prosa, con altre caratteristiche ovviamente, ma una dimensione comune.
Il Beckett post-joyciano dovrebbe, secondo la leggenda tramandata dal suo autore, aver visto la luce la prima volta in una camerata d’ospedale, dove Beckett ebbe a suo dire la rivelazione di come avrebbe dovuto procedere il suo stile. Da lì nasce Molloy, e tra Malone e l’Innominabile, nelle pause, Aspettando Godot.
Lo stile invece di questo pezzo presentato è diaristico, una nuda cronaca. Può essere interessante tenerne conto, ma la ricerca di Beckett, la sua ispirazione artistica va da un’altra parte. Tutto qui.
@Ennio Abate
Scrivevamo in sincrono, però un po’ le ho risposto. Pre-Beckettiano è Beckett che maniera Joyce… se proprio vogliamo fare i superficiali, e sintetizzare al massimo, anche il “beckettiano” puro si misura e si costruisce su Joyce, contro-Joyce, in una sorta di antitesi costruttiva. Se Joyce è l’apoteosi della Parola che crea il mondo, il Beckettiano è l’apotesi del silenzio delle parole e della comunicazione.
Sono d’accordo che si debba pubblicare anche ciò che è laterale di un autore, se l’autore lo permette. Ma si dovrebbe anche contestualizzare le scelte, e per lo meno è quello che volevo dire io. Poi si sono un po’ risentiti…
grazie della ritirata snobistica, apprezzo.
Forse tante polemiche (tra cui l’affermazione veramente beckettiana che un testo di Beckett non sia beckettiano) e dissertazioni fuori luogo, nate dalla poca informazione, si sarebbero potute risparmiare se chi ha pubblicato il testo in questa sede si fosse premurato di premettere e ricordare che questo è un breve reportage che Becket scrisse, come membro della Croce Rossa per RTE Radio Eireann, cioè per la radio irlandese, in cui descrive la situazione dell’ospedale irlandese di St. Lô. Lo scrisse nel 1945, dopo essere tornato in Irlanda alla fine della guerra ed essere ripartito per la Francia. Tuttavia non andò in onda. E questo è molto significativo. La dice lunga sul contenuto e le prospettive che il testo apre.
Fu rinvenuto negli archivi di Radio Eireann e pubblicato solo nel 1986. Prende il titolo da una piccola pubblicazione del 1944 sulle devastazioni dei bombardamenti su St. Lo, definita “la capitale delle rovine”.
Il testo è immediatamente seguente alla “rivelazione di Dublino” (the Dublin revelation) in cui Beckett ebbe una visione di quello che sarebbe stato il suo futuro: di scrittore. Dunque è importantissimo e centrale, anche per il momento biografico in cui fu scritto.
Proprio in questo testo ci sono già le premesse per quello che in seguito diverrà il punto focale, il cuore della poetica di Beckett: l’umanità in rovina. E tuttavia, come anche in questo testo, la rovina non è vincitrice.
Senza le esperienze destabilizzanti della guerra, che lo segnarono in modo indelebile, Beckett non sarebbe divenuto Beckett, i suoi personaggi non sarebbero nati. Questo testo documenta un momento fondamentale per la nascita di Beckett scrittore. E’ quasi paradigmatico.
Dunque ha tutte le caratteristiche che un pezzo come questo è richiesto che debba avere.
Quanto al fatto che sia più o meno opportuno pubblicare qualcosa che non sia in linea con quello che alcuni lettori si aspettano da un autore, mi pare ovvio che qualunque pezzo, biglietto o pizzino inedito di un grande diventi un documento prezioso da studiare e analizzare.
Figurarsi un testo come questo, su cui moltissimo inchiostro è stato versato dal 1986 a oggi. In Italia arriva, come molte cose importanti, molto tardi.
E mi pare che qui Beckett si dimostri capace di uno stile secco, documentaristico e quindi drammatico, tanto quanto Orwell, forse uno dei più grandi inviati di guerra.
Beckett è dunque oltremodo beckettiano perfino quando manda un breve pezzo come inviato della radio su luoghi che furono di guerra.
E’ forse a St Lo che ha iniziato a cercare Godot.
Cari LE PAROLE E LE COSE, la diffamazione e la calunnia (ci siamo vicinissimi), in questo paese sono reati, non peccati veniali, come farebbe intendere la tolleranza che mostrate verso alcuni commentatori squadristi, sempre gli stessi, che sembrano presentarsi solo per fare pestaggio… Io la trovo strana, questa tolleranza, sebbene vi inviti, come già detto nella mail di risposta alla Vostra gentile offerta di emendare le parti a me avverse, a lasciare i testi al loro posto. O forse non è strana, è solo psicologicamente contigua allo STATO ETICO (oltre il giuridico) al quale in tanti stanno lavorando da anni, volontariamente o meno, approfittando di qualunque inciampo delle democrazie occidentali (inciampi a volte gravissimi, intendiamoci, come le guerre di sopraffazione o i patrioct act, o i CIE, che giustificano la detenzione dei SOSPETTI e dei CLANDESTINI… tutti fondati su principi etici, come la difesa delle popolazioni civili dagli attacchi dei BARBARI… talebani o lealisti), per calpestare il DIRITTO sul quale esse sono fondate.
Il DIRITTO – in questo caso dei sospetti e clandestini che si esprimono nello spazio dei commenti di alcuni vostri post – è, o dovrebbe essere, quello di avere opinioni circa i testi, a volte favorevoli a volte contrarie, a volte a ragione a volte a torto. E infatti sui testi bisognerebbe civilmente discutere, no sulle persone che li esprimono. Invece, non solo qui, i testi sembrano solo specchietti per allodole, per avvicinare quanti più adepti possibili a scrivere quanto è bravo questo quanto è bravo quello (ma succede poco… ci sarà un motivo?). L’atteggiamento è da setta, si potrebbe dire vetero-spiritualista. Mi dispiace usare questo grave termine, ma se non foste tendenzialmente spiritualisti sareste materialisti e dialettici… tendereste alla forma organizzativa GRUPPO APERTO, sulla quale vi invita da tanto tempo a riflettere una persona esperta come Ennio Abate (trattato da rompicoglioni), con il quale, del resto, raramente vado d’accordo, a partire dall’impianto ideologico. Al quale Abate, che non pare avere altri fini se non la ricerca di paradigmi includenti invece che escludenti, in definitiva rispondete: facciamo come ci pare, siamo a casa nostra… (ma i commenti aperti dovrebbero stare a indicare che è una casa in costruzione, che tanti mattoni non li possedete… che ve li fate portare da ESTRANEI, ai quali però non riconoscete altro diritto che quello di venir svillaneggiati da altrettanti ESTRANEI, da paria a paria).
Ancora una volta, a me sembra, tendete psicologicamente all’ETICO, contro lo STATO DI DIRITTO che a tanti, a troppi, non garba più. Tendete a dire: noialtri siamo buoni, quello che facciamo lo facciamo per il bene di tutti, perché ci contestate? Lo facciamo – almeno io così lo faccio, del tutto amabilmente – perché il bene di tutti, in questa nostra civiltà, non può che fondarsi sul DIRITTO di tutti (leggi e regole). Quando si fonda sulla bontà innata delle persone che lo propugnano è un guaio. Per esempio sulla bontà dei commentatori umanisti, sedicenti motivati dalla difesa della civiltà culturale di LPLC contro gli attacchi dei barbari; umanisti che per esprimere le proprie opinioni letterarie ricorrono ad espressioni di questo tipo, per etichettare e ridicolizzare il nemico: “ patetica trafila dei “disturbatori” di questo blog “ “ Me ne tiro fuori, affinché le braci dei loro fuochi di paglia possano spegnersi e lasciare spazio a chi abbia qualcosa di intelligente da scrivere “ ” ho continuato a intervenire perché questo blog a me interessa e piace, e non riuscivo a darmi pace del fatto che ci fossero dei così duri – e gratuiti – detrattori a inquinarlo passo passo, ad ogni post, con le loro assurdità “ “ Non vorrei tacciarla inutilmente di analfabetismo “. Spiace vedere che vi fate docilmente difendere da chi vi sta culturalmente sbranando e affossando: vi facevo meno ingenui.
Del resto io barbaro non sono. A questo proposito, per non INQUINARE oltre, nei prossimi giorni scriverò un post para tattico sul mio modesto blog, del quale vi renderò naturalmente conto.
Ps: Il/la Giustiziere/a Sommario/a, nel suo intervento ultimo, scrive: ” dopo accurata ricerca, rilevo che i signori con cui ho polemizzato sono personaggi ricorrenti della Rete e dei Blog Letterari, che da anni intervengono ovunque con gli stessi toni e le stesse obiezioni. Deduco quindi, con costernazione, di essere stato trascinato nell’arena a fare il loro stesso gioco, che è quello di gettare fumo e fare chiasso dove capiti a mo’ di rappresaglia (non so bene contro quale oppressiva istituzione) “. Qui l’umanista si porta al limite della diffamazione e della calunnia (di cui sopra), del resto non nuovi.
Giusto per precisare: il mio rapporto coi blog letterari italiani iniziò nell’aprile 2010, su Nazione Indiana, nella quale riserva ho esternato fino al luglio scorso, non senza ottenere consenso sia dai commentatori che dai proprietari del blog, dai quali ultimi ricevetti dissensi e consensi, ma fui spesso complimentato da primari editor delle primarie case editrici per contenuti e stile, infine addirittura invitato a pubblicare post (offerta che rifiutai per motivi mii); infine mi dimisi per protesta contro l’esclusione di un commentatore che, a torto o a ragione, ritenevo la voce più originale di tutta la rete, Sergio Soda Star. Da Nazione Indiana venni una prima volta censurato, a torto, per via che sostenevo cose contrarie alle tesi dell’articolista Andrea Inglese circa l’impegno politico sociale degli scrittori (fatto che motivò l’apertura del mio blog); una seconda volta fu censurato uno scritto che mandai mediante un mio “ MAGGIORDOMO “, come se ne dà conto qui: http://accademia-inaffidabili.blogspot.com/search/label/marco%20rovelli
A volte, ma molto raramente, commento su Minima & Moralia, senza irritare nessuno. Rare volte commentai su Vibrisse, ma smisi perché mi fu censurata una battuta di spirito assolutamente innocua sul partito del Padredimarina, in cerca di nuovo nome: “ Nemmeno Sforza Italia, Forca Italia, Sorca Italia, Zozza Italia sarebbero stati male “. Commentai qualche volta, del resto accolto benissimo, su Satisfiction, che però a me, almeno dal punto di vista etico, mi satisfiscia poco (sempre pe’ motivi mii). Commento poi su siti di “ amici “ poco banali, principalmente poeti e scrittori, tutti incontrati in rete, principalmente su Nazione Indiana.
C’è stato, per conchiudere, un caso di censura subita da Loredana Lipperini, la quale, non contenta di censurare, mi diffamò e calunniò, cosa che avrei potuto sfruttare a mio favore querelandola. Non lo feci, forse sbagliai. Ne dièdi conto qui: http://accademia-inaffidabili.blogspot.com/2010/11/ancora-ombrino-loredana-lipperini-e.html
Questi i fatti. Giudichino i lettori.
Per Francesca Diano.
Grazie del suo intervento chiarificatore. Beckett è un autore che solo molto lentamente ha trovato se stesso (il contrario di Rimbaud, per intenderci), dovendo sfuggire a Joyce e alla lingua inglese. Alla fine si è costruito uno stile tutto suo (anche se già “Watt” era un libro significativo). Dal punto di vista tematico, e da quello del vissuto personale, per Beckett l’esperienza della guerra è stata fondamentale. Solo chi non lo conosce, o non lo comprende, può pensare che questo articolo non sia beckettiano.
Ringrazio Francesca Diano per aver chiarito, incontrovertibilmente, come tutta l’annosa questione dell’appartenenza o meno del testo all’avatar di Beckett fosse inconsistente fin dall’inizio.
@ Francesca Diano
“Figurarsi un testo come questo, su cui moltissimo inchiostro è stato versato dal 1986 a oggi. In Italia arriva, come molte cose importanti, molto tardi”.
Se lei è al corrente della questione, le chiederei: nel “moltissimo inchiostro versato dal 1986 a oggi” qualcuno per caso ha fatto delle obiezioni che si possono avvicinare a quelle di Massino e Seligneri?
Che tristezza la gente che continua a polemizzare anche di sabato sera…
@ Rino Genovese e giustizia assurda.
Grazie a voi e a LPLC per avermi offerto l’opportunità di specificare e chiarire l’importanza di questo testo. Beckett è irlandese e tutto ciò che è irlandese mi è particolarmente caro, dato che l’Irlanda è al centro dei miei studi e interessi (e del mio cuore) da molti decenni. Autori come Joyce e Beckett poi non posso non amarli immensamente. Era un peccato che non si fosse colta la centralità del testo nell’opera di Beckett. Io ne avevo sentito parlare e poi lo lessi nel 1998 quando vivevo in Irlanda. Ne discutemmo molto e i miei amici irlandesi ne erano, giustamente, entusiasti ed emozionati. Qui, e in questa esperienza del dolore, che seguì la sua esperienza della guerra e della Resistenza, c’è già tutto il futuro Beckett.
Vorrei però precisare un’altra cosa a proposito di Joyce e Beckett. In modi e termini diversi, sia l’uno che l’altro si comprendono appieno solo conoscendo profondamente l’Irlanda, la sua storia, la sua cultura, l’animo della sua gente e le sue tradizioni. C’è in entrambi un lato che è universale e dunque esula dal loro appartenere a quella terra. Ma poi ci sono aspetti propri solo e unicamente dell’animo e della storia irlandese e, se si ha la possibilità di conoscerli profondamente, offrono una chiave di lettura unica sia per Joyce che per Beckett.
@Ennio Abate
So che in Irlanda e negli USA si è scritto molto su questo reportage, fin dalla sua pubblicazione, e io stessa lessi varie cose quando ero in Irlanda ma, a quanto ne sappia, se ne è parlato nei termini in cui ne parlo io, cioè come di un punto fondamentale della vita e della poetica di Beckett. Poi, credo che ciascuno sia libero di obiettare e discutere, ma forse sarebbe meglio farlo avendo sotto gli occhi un quadro completo della questione.
A me sembra chiaro che, come ci esterna Francesca Diano, commissionarono un reportage a Beckett, e Beckett scrisse questo reportage in un linguaggio giornalistico probabilmente per tirare su qualche soldarello. Comunque, anche se l’avesse fatto gratis, lo scrisse in gazzettese. E lo piantò lì.
Ci fa piacere leggerlo, almeno a me ha fatto piacere leggerlo, ma non c’è altro. Prendete in mano Molloy o Primo amore e confrontatelo con questo, e si capisce che è un testo marginale in Beckett, un autore completamente disimpegnato (a me infatti, per dirne un’altra, non mi pare che ne abbia fatti altri, dopo – il che, ad ogni modo, anche se ne avesse fatti, non sposterebbe le sue coordinate stilistiche).
(Il commento non vuole essere livoroso negli illustrevoli riguardi di nessuno, lo giuro su Babbo Natale, però vorrei dire a Rino Genovese che io di Beckett ne ho letto parecchio, quindi forse sono della categoria di quelli che non lo comprendono: voglia comprenderlo!).
Caro Seligneri, stiamo cercando di persuaderla, io e altri meglio di me, che questo testo è molto beckettiano anche se non è scritto “alla Beckett”. Che Beckett non sia un autore “impegnato” in senso sartriano è evidente, ma la sua opera ha implicazioni politiche, in senso lato, non indifferenti. Dietro, oltre all’angoscia teo
logica, c’è quella della catastrofe nucleare, per esempio. E Beckett non è Ionesco, com’è noto.
@Rino Genovese
Apprezzo lo sforzo, ma, non ce la fo davvero a (e)leggere beckettiano questo testo, sono di quelle teste dure come pigne.
Non vi leggo prevenuto, veramente, e ho trovato interessanti diversi interventi, ragionativi o di ricognizione storica, ma resto del mio avviso. Ci vorremo bene uguale.
Buona giornata a tutti