cropped-35e7f859f00f8809f48d2c4cfcbae373-1.jpgdi Luisa Lorenza Corna

[Ieri ha chiuso l’installazione The Floating Piers sul Lago d’Iseo]

Prologo

Alla fine degli anni Cinquanta, Christo, giovane artista bulgaro da poco trasferitosi a Parigi, realizza una serie di “superfici” stropicciando fogli di carta e tessuto che successivamente riveste di un abbondante strato di vernice.

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Come il nome delle opere suggerisce, le Surfaces d’Empaquetage riproducono la superfice corrugata degli imballaggi e anticipano quella che, a breve, diverrà la cifra stilistica dell’artista: il wrapping. Il nome di Christo e di Jeanne Claude, sua collaboratrice e compagna di vita scomparsa da qualche anno, richiama alla mente immagini di edifici avvolti da immensi teli di polipropilene, fissati meticolosamente con sistemi di corde e tiranti. Veri e propri imballaggi a dimensione urbana, che sottraggono alla vista porzioni di città per un tempo variabile, deciso dagli artisti. Christo collauda la tecnica del wrapping con barattoli di pittura e bottiglie, ma presto decide di rivolgersi ad oggetti più voluminosi ed irregolari. Una foto del 1963 lo ritrae, dall’alto, accanto ad un maggiolone Volkswagen completamente avvolto da tessuto e corde. Christo posa di fronte all’ennesima preda e guarda, sereno, verso l’obiettivo. Wrapped Car (Volkswagen) 1963 sarà uno degli ultimi oggetti imballati dall’artista prima di compiere un nuovo salto di scala e dedicarsi allo spazio urbano.

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Spazio-Tempo

Nel 1971 lo storico dell’arte Michael Cullen propose a Christo e Jeanne Claude di imballare il palazzo del Reichstag a Berlino. Il progetto non riuscì ad ottenere i permessi necessari; vide la luce solo ventiquattro anni dopo, quando la Germania fu riunificata.

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Sebbene l’enorme scarto temporale tra concepimento e realizzazione dell’opera per Berlino fosse riconducibile allo specifico scenario politico di quegli anni, gli impedimenti burocratici e logistici costellano buona parte dei progetti intrapresi dai due artisti. Christo e Jeanne Claude attesero quasi venticinque anni prima di ottenere il permesso per installare The Gates a Central Park, e dieci perché le autorità francesi gli concedessero di ricoprire il Pont Neuf con più di quattrocentomila metri di telo color ocra. La durata lunga ed imprevedibile della fase di produzione dell’opera, contrasta tuttavia con quella del suo consumo, spesso limitato a poche settimane. Le mura di via Veneto a Roma rimasero ricoperte per quaranta giorni, il Reichstag per dodici e The Floating Piers sul Lago d’Iseo ha chiuso ieri, dopo solo diciotto giorni dall’inaugurazione. Christo e Jeanne Claude concepiscono le proprie installazioni come grandiose intrusioni temporanee nell’ambiente naturale ed urbano, destinate a lasciare traccia nella memoria di chi le vede e attraversa, più che nel contesto che le ospita. Ma le dimensioni titaniche dei progetti, e la mobilitazione di forze richiesta, difficilmente lascia i luoghi inalterati.

Scala ed accesso

Nelle descrizioni dei progetti consultabili sul sito personale di Christo e Jean Claude, ampio spazio è dedicato agli aspetti quantitativi. Per ogni lavoro vengono specificati la lunghezza del tessuto impiegato, l’estensione delle superfici ricoperte, il numero di rinforzi metallici necessari a sorreggere le strutture e, spesso, quello dei lavoratori che hanno contribuito alla realizzazione. La scala, sempre colossale, costituisce la caratteristica primaria dei progetti e sembra decretarne inequivocabilmente il valore. I volantini distribuiti ai punti d’accesso di The Floating Piers riportano, nella prima facciata, una serie di numeri relativi all’installazione. La passerella che unisce Montisola con il paese di Sulzano e con l’isola privata di San Paolo è scomposta nelle sue parti costitutive e trasformata in una lista di dati sensazionalistici: “220 mila cubi creano i 3 chilometri di The Floating Piers, 200 perni tengono insieme i cubi e 200 ancore, dal peso di 5,5 tonnellate l’una, mantengono i 16 metri di larghezza del pontile in posizione”.

            Già negli anni settanta, con Wrapped walk ways, Christo aveva utilizzato il tessuto di polipropilene, suo materiale d’elezione, per creare dei percorsi all’interno del parco di Jacob Loose a Kansas City, ma in The Floating Piers l’artista alza la posta in gioco e progetta una passerella che permette di “camminare” sull’acqua. L’elemento di discontinuità più forte di questo lavoro, rispetto ai precedenti, risiede nella duplice funzione del wrapping che, al tempo stesso, nasconde e rende accessibile una porzione di spazio. Tra queste due funzioni prevale però la seconda, a discapito dell’effetto estraniante generato dalla temporanea cancellazione di elementi del paesaggio presente in altre opere firmate dalla coppia di artisti. The Floating Piers, come suggeriscono le dichiarazioni del curatore Germano Celant e dello steso Christo, promuove un un’idea di arte pubblica finalizzata all’attivazione di nuovi spazi nel tessuto sociale e urbano. Il congestionamento e il disservizio dei trasporti, causati dall’enorme affluenza dei visitatori, sembrano però revocare le buone intenzioni del progetto.

 

Materiali

Delle centinaia di visitatori che ogni giorno affollano la passerella, solo una minima parte si reca alla mostra Water Project curata da Celant e Christo al museo Santa Giulia di Brescia in concomitanza con l’istallazione. L’esposizione comprende un’ampia collezione di disegni, modelli e fotografie di sette opere di Christo e Jeanne-Claude legati all’elemento acqua. Ampio spazio è dedicato ai disegni preparatori per The Floating Piers, tramite i quali è possibile avere una visione complessiva delle forme geometriche del progetto. In una serie di tavole bipartite, per esempio, Christo accosta rappresentazioni in prospettiva ed in pianta della passerella, rivelando come la forma irregolare del tracciato concorra ad indirizzare lo sguardo dei visitatori verso punti diversi del paesaggio circostante.

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Le viste dall’alto, invece, mostrano come la struttura geometrica del percorso, spesso unico elemento a colori, si inscriva nelle insenature della costa.

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Nella pagina del sito di Christo, dedicata al progetto per il lago di Iseo, i disegni preparatori si alternano ad immagini della lunga fase realizzativa. Parte delle fotografie sono state scattate lontano dal sito scelto per l’installazione, nei luoghi dove i materiali impiegati sono stati prodotti o collaudati. Una delle immagini della selezione ritrae stock di tessuto all’interno di una fabbrica tessile a Greven; in un’altra, un lavoratore posiziona ordinatamente cubi di polipropilene che verranno utilizzati per costruire lo scheletro della passarella.

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Numerose sono le fotografie che documentano i momenti cruciali dell’installazione, come l’ancoraggio della struttura sul fondo del lago ad opera di un team di sommozzatori. L’inclusione di queste immagini nel sito sembra essere mossa dall’intento di celebrare l’enorme mobilitazione di forze, e la perizia tecnica e logistica richiesti dall’opera. Ma al contempo, sebbene senza un preciso intento critico, questa scelta rende visibile il lavoro “non artistico” sulla quale poggia la produzione di un’opera come The Floating Piers, riproponendo, obliquamente, il problema del mandato dell’artista contemporaneo e della presunta eccezionalità del suo lavoro. Potrebbe essere questo, forse, lo spunto di riflessione che sopravvivrà all’evanescenza programmata dell’opera, una volta che l’ultima passerella gialla sarà smontata, abbandonando il lago al suo malinconico incanto.

[Immagine: Christo, Progetti per “The Floating Piers”]

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