cropped-The-Hunger.pngdi Marcel Aymé, traduzione di Carlo Mazza Galanti

[È uscito in questi giorni per L’orma editore Martin il romanziere. Contiene alcune delle migliori novelle di Marcel Aymé (1902-1967) scelte e tradotte da Carlo Mazza Galanti. La selezione ha privilegiato uno degli elementi più caratteristici della scrittura di Aymé: il fantastico, e in particolare un fantastico che tende facilmente verso la satira fantapolitica e fantasociologica. Quello che segue è il primo racconto dell’antologia. Ringraziamo L’orma editore per averci concesso di pubblicarlo]

10 febbraio. Nel quartiere corrono voci assurde a proposito di nuove restrizioni. Per far fronte alla carestia e ottimizzare il rendimento degli elementi industriosi della popolazione, si starebbe procedendo all’eliminazione fisica dei consumatori improduttivi: vecchi, pensionati, ereditieri, disoccupati e altre bocche inutili. Tutto sommato mi sembra che potrebbe essere una misura abbastanza giusta. Incontrato poco fa davanti casa il mio vicino Roquenton, quel focoso settuagenario che ha sposato, l’anno scorso, una giovane di ventiquattro anni. Era soffocato dall’indignazione: «Che importanza ha l’età» esclamava «se posso ancora rendere felice la mia bambolina!». Con parole elevate, gli ho suggerito di accettare con gioia e orgoglio il sacrificio della propria persona a favore della comunità.

 12 febbraio. Non c’è fumo senza arrosto. Oggi pranzato con il mio vecchio amico Maleffroi, consigliere alla prefettura della Senna. Me lo sono lavorato per bene dopo avergli sciolto la lingua con una bottiglia di Arbois. Naturalmente non si sta davvero parlando di mandare a morte gli inutili. Semplicemente verrà ridotto il loro tempo vitale. Maleffroi mi ha spiegato che avranno diritto a un certo numero di giorni di esistenza ogni mese, determinato secondo il loro grado di inutilità. Pare che le carte del tempo siano già state stampate. Ho trovato quest’idea allo stesso tempo felice e poetica. Credo di aver speso al riguardo parole deliziose. Probabilmente un po’ commosso dal vino, Maleffroi mi guardava con occhi benevoli, velati da un sentimento di amicizia.

 13 febbraio. È un’infamia! Un oltraggio alla giustizia! Un crimine mostruoso! Il decreto è stato pubblicato sui giornali e scopro che tra «i consumatori il cui mantenimento non è compensato da alcuna reale contropartita» figurano gli artisti e gli scrittori! Avrei anche capito se, al limite, la misura si fosse applicata a pittori, scultori e musicisti. Ma gli scrittori! Si tratta di un’incongruenza, di un’aberrazione che resterà come suprema onta della nostra epoca. L’utilità degli scrittori non è certo cosa che necessita di essere dimostrata, e in particolar modo la mia, me lo si lasci dire in tutta modestia. Tant’è, avrò diritto a soli quindici giorni di esistenza al mese.

16 febbraio. Il decreto entra in vigore dall’1 marzo e le iscrizioni vanno fatte a partire dal 18, di conseguenza le persone destinate a un’esistenza incompleta a causa della loro situazione sociale si danno un gran daffare per trovare un lavoro che consenta loro di entrare nella categoria dei vivi a tempo pieno. Ma l’amministrazione, con previdenza diabolica, ha vietato qualsiasi movimento del personale prima del 25 febbraio.

Mi è venuta l’idea di telefonare all’amico Maleffroi per farmi rimediare un impiego come portiere o guardiano di museo entro le prossime quarantott’ore. Arrivo troppo tardi. Ha appena assegnato l’ultimo posto di inserviente d’ufficio che aveva a disposizione.

«Ma perché diavolo ha aspettato fino a ora per chiedermi un posto?»

«Come avrei potuto immaginare che il provvedimento mi riguardasse? Quando abbiamo pranzato insieme non mi ha detto…»

«Eh no, abbia pazienza. Le ho specificato, nel modo più chiaro possibile, che la misura avrebbe riguardato tutti gli inutili.»

 

17 febbraio. È evidente che la mia portinaia mi considera già un mezzo-vivo, un fantasma, un’ombra che pena per emergere dagli inferi. Stamattina non si è neppure degnata di consegnarmi la posta. Quando sono sceso l’ho rimbrottata a dovere. Le ho detto: «È per ingrassare i nullafacenti della sua risma che un’élite sacrifica la propria vita». E, in fondo, è molto vero. Più ci penso, più il decreto mi sembra iniquo e ingiusto.

Incontrato poco fa Roquenton e la sua giovane moglie. Il poveretto mi ha fatto pena. In tutto avrà diritto a sei giorni di vita al mese, ma il peggio è che alla signora Roquenton, in virtù della sua giovinezza, ne spetteranno quindici. Questo divario getta l’anziano coniuge in uno stato di folle ansietà. La piccola pare accettare il proprio destino con più filosofia.

Nel corso della giornata ho incontrato diverse persone che non sono state colpite dal decreto. Trovo profondamente rivoltanti l’incomprensione e l’ingratitudine che manifestano nei confronti dei sacrificati. Non soltanto sembrano considerare questo iniquo provvedimento la cosa più naturale del mondo, ma danno persino l’impressione di rallegrarsene. L’egoismo umano non sarà mai abbastanza duramente stigmatizzato.

 

18 febbraio. Fatto tre ore in coda al diciottesimo municipio per ritirare la mia carta del tempo. Eravamo lì, distribuiti su una doppia fila, all’incirca due migliaia di miserabili immolati all’appetito delle masse lavoratrici. Ed era soltanto la prima infornata. I vecchi mi è parso che fossero circa la metà. C’erano giovani donne graziose dai volti illanguiditi dalla tristezza che sembravano sospirare il verso Ancor morir non voglio. Le professioniste dell’amore erano numerose. Il decreto le ha colpite severamente riducendone il tempo di vita a sette giorni al mese. Una di loro, davanti a me, si lamentava di essere condannata per sempre alla condizione di donna pubblica. In sette giorni, affermava, gli uomini non hanno il tempo di affezionarsi. Di questo non ero così sicuro. Tra le file in attesa ho riconosciuto non senza emozione, nonché, devo confessarlo, con una segreta soddisfazione, alcuni amici di Montmartre, scrittori e artisti: Céline, Gen Paul, Daragnès, Fauchois, Soupault, Tintin, d’Esparbès e altri ancora. Céline aveva un diavolo per capello. Diceva che era un’altra macchinazione degli ebrei, ma credo che a portarlo fuori strada, su questo punto specifico, fosse il suo cattivo umore. Di fatto il decreto concede agli ebrei, senza distinzione di età, sesso, o attività professionale, una mezza giornata di esistenza al mese. Nel complesso la folla era nervosa e agitata. I molti agenti preposti al servizio d’ordine ci trattavano con sommo disprezzo, evidentemente considerandoci alla stregua di scarti umani. In diverse occasioni, quando ci stancavamo della lunga attesa, hanno placato la nostra impazienza a colpi di calci nel sedere. Ho ingoiato l’umiliazione con muta dignità, però ho fissato negli occhi un brigadiere levando mentalmente un grido di rivolta. I dannati della terra siamo diventati noi.

Alla fine ho potuto ritirare la mia carta del tempo. I tagliandi allegati, ognuno dei quali vale ventiquattro ore di esistenza, sono di un azzurro molto tenue, color della pervinca, così delicato che mi sono venute le lacrime gli occhi.

 

24 febbraio. Circa otto giorni fa avevo scritto all’ufficio competente perché prendessero in considerazione il mio caso personale. Ho ottenuto un supplemento di ventiquattr’ore di esistenza al mese. Meglio di niente.

 

5 marzo. L’esistenza febbrile che conduco da una decina di giorni mi ha portato a trascurare il mio Diario. Per non perdere nulla di una vita tanto breve ho quasi rinunciato al riposo notturno. Negli ultimi quattro giorni ho riempito d’inchiostro più pagine che in tre settimane di vita normale, eppure il mio stile è brillante come sempre e i miei pensieri conservano la loro consueta profondità. Mi dedico ai piaceri con la stessa frenesia con cui scrivo. Vorrei che ogni donna avvenente fosse mia, ma ciò è impossibile. Con il medesimo desiderio di godere di ogni ora che passa, e forse anche animato da un certo spirito di vendetta, mi concedo ogni giorno due o tre pasti abbondanti al mercato nero. Mangiato a mezzogiorno tre dozzine di ostriche, due uova in camicia, un quarto d’oca, un trancio di filetto di manzo, verdure, insalata, diversi formaggi, una dolce al cioccolato, un pompelmo e tre mandarini. Bevendo il caffè, e sebbene il pensiero della mia triste sorte non mi avesse affatto abbandonato, provavo un vago sentimento di felicità. Diventerò uno stoico perfetto? Uscendo dal ristorante mi sono imbattuto nella coppia Roquenton. Il vecchio viveva oggi il suo ultimo giorno del mese di marzo. Questa sera, a mezzanotte, strappato il suo sesto tagliando, affonderà nel non-essere e vi resterà per venticinque giorni.

 

7 marzo. Fatto visita alla giovane signora Roquenton, temporaneamente vedova dalla mezzanotte. Mi ha accolto con una grazia resa ancora più incantevole dalla malinconia. Abbiamo parlato del più e del meno, e anche di suo marito. Mi ha raccontato di come sia svanito nel nulla. Erano a letto. A mezzanotte meno un minuto Roquenton stringeva la mano di sua moglie e le rivolgeva le ultime raccomandazioni. A mezzanotte in punto la ragazza ha sentito improvvisamente la mano del consorte sciogliersi nella sua. Accanto non le restava che un pigiama vuoto e una dentiera poggiata sul cuscino. A quell’immagine ci siamo entrambi commossi. Poiché Lucette Roquenton ha versato qualche lacrima, le ho offerto il mio abbraccio.

 

12 marzo. Ieri sera, alle sei, sono andato a bere un bicchiere da Perruque, il membro dell’Académie française. Com’è noto, l’amministrazione, per non smentire la reputazione d’immortalità di questi ruderi, accorda loro il privilegio di fare parte dei vivi a tempo pieno. Perruque si è dimostrato ignobilmente sprezzante, ipocrita e malvagio. In casa sua c’erano una quindicina di persone, tutti dei sacrificati come me, tutti impegnati a vivere i nostri ultimi tagliandi mensili. Ci ha trattato con benevolenza, come fossimo dei minorati, degli impotenti. Ci compiangeva con una luce perfida nello sguardo, promettendo di difendere i nostri interessi quando saremmo mancati. Godeva di essere, in un certo senso, qualcosa di più rispetto a noi. Mi sono trattenuto a stento dal dargli della rapa marcia e del ronzino decrepito. Ah, se soltanto non sperassi di prendere un giorno il suo posto!

 

13 marzo. Pranzato a mezzogiorno dai Dumont. Hanno litigato, come sempre, e si sono perfino insultati. Con una nota di sincerità inequivocabile, Dumont ha esclamato: «Se almeno potessi usare i miei tagliandi nelle ultime due settimane del mese, in modo da non vivere quando lo fai anche tu!». La signora Dumont ha pianto.

 

16 marzo. Lucette Roquenton è entrata nel nulla questa notte. Siccome aveva una gran paura, le sono stato vicino negli ultimi momenti. Era già coricata quando, alle nove e mezzo, sono salito a casa sua. Per risparmiarle i tormenti dell’ultimo minuto ho spostato indietro di un quarto d’ora l’orologio che si trovava sul comodino. Cinque minuti prima del salto ha avuto una crisi di pianto. Poi, pensando di avere ancora un margine di venti minuti, si è presa il tempo di rifarsi bella con una cura civettuola che mi è parsa abbastanza toccante. Al momento del passaggio ho cercato di guardarla negli occhi. Stava ridendo a una mia battuta di poco prima quando, d’un tratto, la sua risata si è interrotta e lei è svanita come se un illusionista l’avesse nascosta da qualche parte. Ho toccato il punto ancora caldo dove riposava il suo corpo e ho sentito calare in me quel silenzio che impone la presenza della morte. Mi ha fatto un’impressione piuttosto penosa. Anche stamattina, proprio mentre scrivo queste righe, provo angoscia. Da quando mi sono svegliato conto le ore che mi restano da vivere. Stasera, a mezzanotte, sarà il mio turno.

Riprendo il mio diario oggi stesso a mezzanotte meno un quarto. Mi sono appena messo a letto e desidero che la morte provvisoria mi colga con la penna in mano, nell’esercizio della mia professione. Mi sembra un atteggiamento piuttosto audace. Mi piace questa forma di coraggio, elegante e discreta. Alla fine la morte che mi attende sarà davvero provvisoria, o sarà invece una morte pura e semplice? Questa promessa di resurrezione non m’ispira nulla di buono. Al momento sono tentato di vedervi una maniera astuta di mascherarci la sinistra verità. Se tra quindici giorni nessuno dei sacrificati resusciterà, chi andrà a protestare per loro? Non di certo gli eredi! E, quand’anche lo facessero, che bella consolazione! Mi viene ora in mente che i sacrificati dovranno resuscitare in blocco, il primo giorno del mese prossimo, vale a dire l’1 di aprile. Potrebbe essere l’occasione per un bel pesce. Mi sento preso da un panico orribile e…

 

1 aprile. Rieccomi dunque vivo. Non era un pesce d’aprile. D’altronde non ho avuto alcuna percezione del tempo trascorso. Quando mi sono ritrovato nel letto, ero ancora in preda al panico che aveva preceduto la mia morte. Il diario era sempre lì, e volevo concludere la frase a cui il mio pensiero era rimasto sospeso, ma nella penna non c’era più inchiostro. Scoprendo che la pendola era ferma alle quattro e dieci ho cominciato a sospettare la verità. Anche il mio orologio era fermo. Ho pensato di chiamare Maleffroi per domandargli che giorno era. Non ha nascosto il fastidio di essere tirato giù dal letto in piena notte, e la mia gioia per il fatto di essere resuscitato lo ha a malapena sfiorato. E però avevo bisogno di sfogarmi.

«Ha visto,» ho detto «la distinzione tra tempo spaziale e tempo vissuto è soltanto una fantasia filosofica. Io ne sono la prova. In realtà, il tempo assoluto non esiste…»

«È possibile, ma è pur sempre mezzanotte e mezzo, credo che…»

«Badi che è qualcosa di molto consolatorio. Questi quindici giorni durante i quali non ho vissuto non sono tempo perduto. Conto di recuperarli più avanti.»

«Buona fortuna e buonanotte» ha tagliato corto Maleffroi.

Questa mattina, verso le nove, sono uscito e ho avuto la sensazione di un brusco cambiamento. Mi sembrava che la stagione avesse fatto un evidente salto in avanti. Effettivamente, gli alberi si erano già trasformati, l’aria era più leggera, la strada aveva un aspetto diverso. Anche le donne erano più primaverili. L’idea che il mondo abbia potuto vivere senza di me mi ha causato e mi causa ancora un certo fastidio. Viste diverse persone resuscitate questa notte. Scambio d’impressioni. La signora Bordier madre mi ha attaccato un bottone di venti minuti su come ha trascorso, staccata dal corpo, quindici giorni di gioie sublimi e paradisiache. L’incontro più divertente che ho fatto è stato senza dubbio quello con Bouchardon, in procinto di uscire di casa. La morte provvisoria l’ha colto durante il sonno, nella notte del 15 marzo. Si è svegliato stamattina del tutto convinto di essere scampato al suo destino. Ne approfittava per recarsi a un matrimonio che credeva essere oggi ma che, in realtà, dev’essere stato celebrato quindici giorni fa. Non l’ho disilluso.

 

2 aprile. Sono andato a prendere il tè dai Roquenton. Il vecchio è felicissimo. Non avendo percepito il tempo trascorso durante la sua assenza, nella sua mente gli avvenimenti accaduti nel mentre non possiedono alcuna realtà. L’idea che sua moglie possa averlo tradito durante i nove giorni in cui ha vissuto senza di lui gli sembra pura metafisica. Sono molto contento per lui. Lucette non ha smesso di fissarmi con occhi lucidi e languidi. Ho orrore di tali messaggi appassionati emessi all’insaputa di un terzo.

 

3 aprile. Sono furibondo da stamattina. Mentre ero morto Perruque ha brigato affinché l’inaugurazione del museo Mérimée si tenga il 18 aprile. In occasione di quest’evento, e la vecchia canaglia lo sa benissimo, avrei dovuto pronunciare un discorso molto importante che mi avrebbe aperto le porte dell’Académie. Ma il 18 aprile sarò nel limbo.

 

7 aprile. Roquenton è morto di nuovo. Questa volta ha accettato il suo destino di buon grado. Mi aveva pregato di cenare da lui e, a mezzanotte, eravamo in salotto a bere champagne. Nel momento del salto Roquenton si trovava in piedi, e abbiamo visto i suoi vestiti afflosciarsi all’improvviso sul tappeto. A dire il vero è stato abbastanza comico. Ciononostante l’accesso di allegria a cui Lucette si è abbandonata mi è parso fuori luogo.

 

12 aprile. Ricevuto stamattina una visita sconcertante, un uomo sulla quarantina, povero, timido, e in condizioni fisiche piuttosto malmesse. Era un operaio malato, sposato e padre di tre bambini, che voleva vendermi una parte dei suoi tagliandi di vita per sfamare la famiglia. Sua moglie malata, lui stesso troppo infiacchito dalle privazioni per sostenere un lavoro di fatica, ciò che guadagnava gli permetteva di mantenere i suoi cari in uno stato più prossimo alla morte che alla vita. La proposta di vendermi i tagliandi mi ha gettato nella confusione. Mi sembrava di essere un orco cattivo, uno di quei mostri delle vecchie favole che percepivano un tributo in carne umana. Ho balbettato qualche parola di protesta e, dopo aver rifiutato i tagliandi del visitatore, gli ho dato una somma di denaro senza pretendere nulla in cambio. L’uomo, consapevole della grandezza del proprio sacrificio, ne ha tratto motivo di legittimo orgoglio e non ha voluto lasciarmi senza ricambiare con uno o più giorni di esistenza. Non sono riuscito a convincerlo e alla fine ho accettato un tagliando. Dopo che se n’è andato l’ho infilato in un cassetto, ben deciso a non farne uso. Sottratto a una così misera esistenza, quel giorno supplementare mi sembrerebbe insopportabile.

 

14 aprile. Incontrato Maleffroi in metropolitana. Mi ha spiegato che il decreto sulla riduzione comincia a dare i suoi frutti. Le persone ricche sono tra le più colpite, di conseguenza il mercato nero ha perso sbocchi importanti e i prezzi si sono già sensibilmente abbassati. Nelle alte sfere ci si augura che si metta presto fine a questa piaga. Sembra che in generale la gente sia nutrita meglio, e Maleffroi mi ha fatto notare che i parigini hanno un aspetto migliore. Questa constatazione mi ha procurato una gioia amara.

«Non meno apprezzabile» ha continuato Maleffroi «è l’atmosfera di pace e leggerezza nella quale viviamo grazie a questo nuovo razionamento. Ci si rende finalmente conto di quanto i ricchi, i disoccupati, gli intellettuali e le donne di strada possano essere pericolosi in una società dove non portano altro che confusione, vana agitazione, sregolatezza e una nostalgia dell’impossibile.»

 

15 aprile. Declinato un invito per stasera dai Carteret, che mi pregavano di assistere alla loro «agonia». È una nuova moda delle persone swing, quella di riunire gli amici in occasione della propria morte provvisoria. A volte, mi è stato detto, queste riunioni sfociano in promiscuità orgiastiche. È rivoltante.

 

16 aprile. Muoio stasera. Nessuna apprensione.

 

1 maggio. Stanotte, tornando in vita, ho avuto una sorpresa. La morte relativa (è l’espressione che va di moda) mi aveva colto in piedi e i miei vestiti si erano afflosciati sul pavimento. Mi sono ritrovato completamente nudo. La stessa disavventura è capitata a casa del pittore Rondot, che aveva riunito una decina di invitati di entrambi i sessi, tutti candidati alla morte relativa. Dev’essere stato piuttosto divertente. Il mese di maggio si annuncia così bello che mi duole rinunciare agli ultimi quindici giorni.

 

5 maggio. Nel corso del mio ultimo spezzone di esistenza ho avuto l’impressione di un contrasto nascente tra i vivi a tempo pieno e gli altri. Mi sembra sempre più evidente e, in ogni caso, non è più possibile metterlo in dubbio. Anzitutto si tratta di una gelosia reciproca. Gelosia facilmente spiegabile nel caso delle persone dotate di una carta del tempo, e sarebbe perfino sorprendente se non fosse accompagnata da un vivo rancore nei confronti dei privilegiati. Tuttavia questi ultimi, ho occasione di rendermene conto di continuo, ci invidiano segretamente quali eroi del mistero e dell’ignoto, a maggior ragione in quanto essi sentono la barriera che ci separa in modo molto più marcato rispetto a noi, che non ne abbiamo alcuna percezione. La morte relativa appare ai loro occhi come una vacanza, e hanno l’impressione di essere condannati a restare per sempre incatenati al proprio posto. In generale hanno la tendenza a indulgere a una specie di pessimismo e di astio sgradevoli. Al contrario, il sentimento sempre presente della fuga del tempo, la necessità di adottare un ritmo di vita più spedito rendono la gente della mia categoria incline al buonumore. Riflettevo su tutto questo a mezzogiorno, mangiando con Maleffroi. A tratti ironico e disilluso, a tratti aggressivo, sembrava molto impegnato ad avvilirmi per la mia situazione, facendo valere la sua fortuna nel chiaro intento di convincersene lui stesso. Mi parlava come si potrebbe fare con un amico che appartenga a una nazione nemica.

 

8 maggio. Stamattina un tizio è venuto a propormi dei tagliandi di vita a duecento franchi l’uno. Ne aveva da piazzare una cinquantina. L’ho cacciato senza tante storie e deve solo ringraziare la sua grossa stazza se non si è beccato un calcio nel sedere.

 

10 maggio. Questa sera saranno quattro giorni da che Roquenton è entrato, per la terza volta, nella morte relativa. Non ho più rivisto Lucette, ma ho appena scoperto che si è infatuata di un biondo vagheggino. Mi sembra di vederlo, un giovane babbeo della specie swing. Ad ogni modo, me ne infischio. Quella sciacquetta non ha alcun gusto, non ho dovuto certo attendere oggi per capirlo.

 

12 maggio. Il mercato nero dei tagliandi si sta organizzando su vasta scala. Piazzisti bussano alle porte dei poveri e li convincono a vendere un po’ di giorni di vita per garantire ai loro famigliari qualche mezzo di sussistenza complementare. I vecchi in pensione e le mogli dei carcerati senza lavoro sono altre facili prede. Il valore dei tagliandi si attesta attualmente tra i duecento e i duecentocinquanta franchi. Non credo salirà di molto poiché la clientela delle persone ricche o anche solo benestanti è tutto sommato abbastanza esigua rispetto al numero dei poveri. Inoltre, in tanti si rifiutano di accettare che la vita umana venga trattata come vile mercanzia. Da parte mia, non ho intenzione di transigere ai dettami della mia coscienza.

 

14 maggio. La signora Dumont ha smarrito la sua carta del tempo. Una bella seccatura, poiché per averne un’altra bisogna aspettare almeno due mesi. Accusa suo marito di avergliela nascosta per sbarazzarsi di lei. Non credo che sia tanto meschino. La primavera non è mai stata bella come quest’anno. Che peccato morire dopodomani.

 

16 maggio. Cenato ieri dalla baronessa Klim. Tra gli invitati, monsignor Delabonne era l’unico vivo a tempo pieno. Quando qualcuno ha nominato il mercato nero dei tagliandi sono insorto contro una prassi che considero vergognosa. Non avrei potuto essere più sincero. Forse desideravo anche fare buona impressione sul vescovo, che dispone di diversi voti all’Académie. Ho sentito subito calare il gelo tra i presenti. Monsignore mi ha sorriso con gentilezza, come avrebbe fatto davanti alle confidenze di un giovane prete consumato da ardori apostolici. Si è parlato di altre cose. Dopo cena, in salotto, la baronessa mi ha intrattenuto, dapprima a tu per tu, sul mercato nero dei tagliandi di vita. Mi ha fatto presente che il mio immenso e incontestato talento di scrittore, la profondità delle mie vedute, il ruolo di primo piano che sono chiamato a ricoprire facevano sì che fosse doveroso, un obbligo morale, prolungare un’esistenza dedicata all’arricchimento del pensiero e alla grandezza della nazione. Vedendomi scosso, ha portato la questione di fronte agli invitati. Questi ultimi sono stati pressoché unanimi nel biasimare gli scrupoli che mi nascondevano, dietro un velo di falso sentimentalismo, le vere vie della giustizia. Monsignore, chiamato a intervenire, si è rifiutato di giudicare ma si è espresso con una parabola pregna di significato: un contadino laborioso dispone di poco terreno mentre i vicini lasciano i loro incolti. Allora compra una parte dei campi di questi vicini negligenti, la lavora, semina e miete un raccolto abbondante che giova a tutti.

Mi sono lasciato persuadere da quel brillante cenacolo, e stamattina mi restava ancora abbastanza convinzione da acquistare cinque tagliandi di vita. Per meritarmi questo supplemento di esistenza mi ritirerò in campagna dove lavorerò indefesso al mio libro.

 

20 maggio. In Normandia da quattro giorni. Salvo qualche passeggiata a piedi, il mio tempo è completamente dedicato al lavoro. Gli agricoltori non sanno molto della carta del tempo. Persino gli anziani hanno diritto a venticinque giorni al mese. Poiché avrei bisogno di un giorno supplementare per finire un capitolo, ho chiesto a un vecchio contadino di cedermi un tagliando. Interrogato al riguardo, ho detto che a Parigi il tagliando si compra per duecento franchi. «Vuole scherzare!» ha esclamato. «Con quello che ci pagano un maiale vivo, venire a offrirmi duecento franchi!» Di conseguenza non ho concluso l’affare. Prendo il treno domani pomeriggio per essere a Parigi in serata e morire a casa.

 

3 giugno. Che avventura! Il treno aveva un forte ritardo e la morte provvisoria mi ha colto qualche minuto prima di arrivare a Parigi. Sono tornato in vita nello stesso scompartimento, ma il vagone si trovava a Nantes, su un binario di stazionamento. E, naturalmente, ero completamente nudo. Quanti fastidi e vessazioni ho dovuto subire: ne sono ancora scosso. Per fortuna viaggiavo con un conoscente che mi ha fatto recapitare a casa i vestiti.

 

4 giugno. Incontrato Mélina Badin, l’attrice dell’Argos, che mi ha raccontato una storia assurda. Certi ammiratori hanno voluto regalarle una piccola parte della loro esistenza, e così il 15 maggio scorso si è ritrovata in possesso di ventuno tagliandi. Ora, lei sostiene di averli usati tutti al punto che in un mese avrebbe vissuto trentasei giorni. Ho ritenuto opportuno scherzarci sopra:

«È davvero un mese galante, questo maggio, che accetta di allungarsi di cinque giorni solo per il suo piacere» le ho detto.

Mélina sembrava sinceramente rattristata dal mio scetticismo. Tendo a credere che sia mezza matta.

 

11 giugno. Dramma in casa Roquenton. Sono venuto a conoscenza del fatto solo questo pomeriggio. Il quindici maggio scorso, Lucette stava ospitando il suo giovane zerbinotto dal pelo biondo quando, a mezzanotte, sono sprofondati nel nulla. Tornando in vita, hanno ripreso corpo nel letto dove si erano addormentati, ma non erano più soli poiché Roquenton era resuscitato tra i due. Lucette e il biondino hanno finto di non conoscersi, ma Roquenton lo ritiene decisamente inverosimile.

 

12 giugno. I tagliandi di vita si comprano a prezzi astronomici e non se ne trovano più a meno di cinquecento franchi. C’è da credere che, in quanto a esistenza, i poveri siano diventati via via più avari e i ricchi sempre più avidi. Ne ho comprati dieci all’inizio del mese, a duecento franchi l’uno, e il giorno dopo questo acquisto ho ricevuto da Orléans una lettera di mio zio Antoine che me ne allegava nove. Il poveretto soffre così tanto di reumatismi che preferisce aspettare nel nulla che le sue condizioni migliorino. Eccomi dunque in possesso di diciannove tagliandi. Considerato che il mese ha trenta giorni, ne ho cinque di troppo. Non mi sarà difficile rivenderli.

 

15 giugno. Ieri sera Maleffroi è salito a casa mia. Era di ottimo umore. Il fatto che certe persone siano disposte a sborsare grosse somme per vivere, come lui, un mese intero, gli ha restituito l’ottimismo. Era ciò di cui aveva bisogno per convincersi che la sorte dei vivi a tempo pieno è invidiabile.

 

20 giugno. Lavoro con accanimento. A prestar fede a certe voci, Mélina Badin non sarebbe così pazza come sembra. Molte persone in effetti si vantano di aver vissuto più di trentuno giorni lo scorso mese di maggio. Io stesso ne ho sentite diverse. Naturalmente non manca gente abbastanza ingenua da credere a queste favole.

 

22 giugno. Per vendicarsi di Lucette, Roquenton ha comprato al mercato nero circa diecimila franchi di tagliandi, che utilizza esclusivamente per se stesso. La moglie è nel nulla ormai da dieci giorni. Credo si sia pentito di essere stato tanto duro. La solitudine sembra pesargli crudelmente. Lo trovo cambiato, quasi irriconoscibile.

 

27 giugno. La storia secondo la quale per alcuni privilegiati il mese scorso si sarebbe allungato è sempre più solidamente accreditata. Laverdon, che pure è uomo degno di fede, mi ha detto di aver vissuto trentacinque giorni solo in questo mese di maggio. Temo che tutti questi razionamenti di tempo abbiano scombinato non pochi cervelli.

 

28 giugno. Roquenton è morto ieri mattina, verosimilmente di dispiacere. Non si tratta di morte relativa, ma di morte vera e propria. Verrà seppellito domani. L’1 luglio, tornando in vita, Lucette si ritroverà vedova.

 

32 giugno. Bisogna riconoscere che il tempo offre delle prospettive ancora sconosciute. Che rompicapo! Ieri mattina entro in un negozio per comprare un giornale. Portava la data del 31 giugno.

«Guarda un po’,» dico «il mese ha trentuno giorni?»

Il negoziante, che conosco da anni, mi fissa con uno sguardo interrogativo. Do un’occhiata ai titoli del giornale e leggo:

«Il signor Churchill sarà a New York tra il 39 e il 45 giugno.»

Per strada colgo un frammento di conversazione tra due uomini:

«Devo essere a Orléans il 37» dice uno dei due.

Un po’ più in là incontro Bonvirage che passeggia con un’aria stravolta. Mi comunica il suo sbigottimento. Cerco di confortarlo. Dobbiamo prendere le cose come vengono. Verso metà pomeriggio faccio la seguente considerazione: i vivi a tempo pieno non hanno la minima coscienza di un’anomalia nello scorrere del tempo. Quelli della mia categoria, che si sono introdotti in maniera fraudolenta in questo prolungamento del mese di giugno, sono gli unici a esserne sconcertati. Maleffroi, che ho messo a parte dei miei turbamenti, non ci ha capito nulla e mi ha preso per matto. Ma che importa, a me, se i giorni si mettono a proliferare! Da ieri sera sono innamorato pazzo. L’ho incontrata proprio da Maleffroi. Ci siamo visti e ci siamo amati al primo sguardo. Adorabile Elisa.

 

34 giugno. Rivisto Elisa ieri e oggi. Finalmente ho incontrato la donna della mia vita. Ci siamo fidanzati. Parte domani per un viaggio di tre settimane nella zona non occupata. Abbiamo deciso di sposarci al suo ritorno. Sono talmente felice che non riesco a esprimere la mia gioia nemmeno su questo Diario.

 

35 giugno. Accompagnato Elisa in stazione. Prima di salire nel suo scompartimento mi ha detto:

«Farò di tutto per essere di ritorno prima del 60 giugno.»

Ripensandoci, questa promessa mi preoccupa. Oggi uso il mio ultimo tagliando di vita. Domani, in quale data mi ritroverò?

 

1 luglio. Le persone a cui parlo del 35 giugno non capiscono nulla di quello che dico. Nessuna traccia di quei cinque giorni nella loro memoria. Per fortuna ho incontrato qualcuno che li ha vissuti di frodo e abbiamo potuto parlarne. Curiosa conversazione comunque. Per me, ieri era il 35 giugno. Per altri era il 32 o il 45. Al ristorante ho incontrato un uomo che ha vissuto fino al 66 di giugno, il che rappresenta una bella scorta di tagliandi.

 

2 luglio. Credendo Elisa in viaggio, non vedevo nessuna ragione di farmi vivo. Mi è venuto un dubbio e le ho fatto una telefonata. Elisa sostiene di non conoscermi, di non avermi mai visto. Ho fatto del mio meglio per spiegarle che ha vissuto, a sua insaputa, dei giorni inebrianti. Divertita, ma per nulla convinta, ha accettato di vedermi giovedì. Sono preoccupatissimo.

 

4 luglio. Sui giornali non si parla d’altro che del «caso dei tagliandi». Il traffico delle carte del tempo sarà il grande scandalo della stagione. A causa dell’accaparramento dei tagliandi di vita da parte dei ricchi, il risparmio realizzato sugli approvvigionamenti alimentari è pressoché nullo. Inoltre alcuni casi particolari suscitano enorme scalpore. Si cita, tra gli altri, quello del ricchissimo signor Wadé che avrebbe vissuto tra il 30 giugno e l’1 luglio millenovecentosessantasette giorni, ossia la bazzecola di cinque anni e quattro mesi. Incontrato anche Yves Mironneau, il celebre filosofo. Mi ha spiegato che ognuno vive miliardi di anni, ma di questo infinito la nostra coscienza recepisce soltanto brevi scorci intermittenti, la cui giustapposizione va a costituire ciò che è la nostra corta esistenza. Ha detto cose molto più acute, ma non ho capito granché. Devo dire che stavo pensando ad altro. Domani incontrerò Elisa.

 

5 luglio. Incontrato Elisa. Ahimè! Tutto è perduto e non ho niente da sperare. Del resto non ha dubitato della veridicità del mio racconto. Può anche darsi che quell’evocazione l’abbia commossa, ma senza risvegliare in lei alcun sentimento di tenerezza o simpatia. Mi è sembrato di capire che nutra un qualche sentimento per Maleffroi. In ogni caso la mia eloquenza è stata inutile. La scintilla che è scoccata tra noi due, la sera del 31 giugno, era solo un caso, un ghiribizzo del momento. Dopo tutto questo, che non mi si venga a parlare di affinità tra anime! Soffro come un dannato. Spero di ricavare dalla mia sofferenza un libro che si venderà bene.

6 luglio. Un decreto sopprime la carta del tempo. Mi è del tutto indifferente.

[Immagine: Tony Scott, The Hunger]

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