cropped-14.-Last-Supper-Double-Image-1986-1-1.jpgdi Francesco Pecoraro

Come ogni anno e per tutta l’estate (non che l’inverno sia da meno) un fenomeno ha costantemente minacciato le nostre vacanze. Ricche o povere, lunghe o corte, divertenti soddisfacenti noiose piacevoli rilassanti odiose che siano state, una piaga le ha quasi sicuramente sfregiate: la tavolata. Sembra che ogni forma di socialità, dunque di conoscenza amicizia amore, pregressa o meno che sia, simpatica sincera duratura che sia, abbia come scopo segreto quello di produrre tavolate. Di solito quella estiva è tavolata di pura aggregazione sociale. È come se sulle persone agisse una forza di attrazione simile a quella che agisce sulla materia e che questa forza produca la tavolata come culmine di un inevitabile processo di accorpamento: gli amici, gli amici degli amici, i sopravvenuti, le fottute nuove conoscenze, eccetera.

Esistono molti tipi di tavolata. Chi scrive ha una certa esperienza di tavolate post-convegno, post-presentazione, post-premio letterario, come forma di sbocco finale delle aggregazioni temporanee cui si dedica la società letteraria. In questi casi spesso ci si conosce di nome, ma non de visu: «Ciao io sono X…» «Ah… Ciao». Quell’«ah», che quando c’è significa «so chi sei», gratifica sommessamente i nostri tristi ego costretti in quel momento a una socialità forzata. Sottili le dinamiche antropologiche di approccio alla tavolata letteraria. Una tortura psichica nella tortura fisica già prevista nel pacchetto della forma conviviale rettangolare. È molto probabile che alcuni dei commensali non li rivedremo più: ma se dovesse accadere non li riconosceremmo, perché la tavolata è comunque un tritacarne che cancella tutto.

Eppure la convivialità, cioè il procedimento di consumazione collettiva del cibo, è antichissima, diffusa in ogni cultura, ed è una delle poche virtù della specie umana. Da cacciatori-raccoglitori ci sedevamo in cerchio attorno al fuoco per condividere, cuocere e mangiare tutti insieme il cibo che il gruppo si era procurato. Ma lo facevamo appunto in cerchio. Il cerchio, se di dimensioni ragionevoli, consente un’interazione collettiva perché tutti possono comunicare con tutti. La tavolata, che ha alla base lo stesso principio ancestrale, funziona in modo molto diverso. La differenza, apparentemente solo geometrica, è in realtà molto profonda. 

Quando attorno a un dispositivo antigravità rettangolare, di solito di legno e con gambe (il particolare delle gambe del rettangolo non è secondario, come vedremo), situato di norma a 78 centimetri da terra, si siedono 8 o più persone, allora è tavolata. Quindi un’innocua e all’apparenza piacevole cena di 8 persone attovagliate a un tavolo rettangolare – come si è detto, se il tavolo è rotondo la situazione è molto diversa – è già una tavolata: 3 commensali per lato e 2 a capotavola, bastano perché se ne comincino a verificare i fenomeni tipici.

In altre parole è tavolata quando la disposizione dei posti e il numero dei commensali produce automaticamente la frattura del discorso conviviale in n numero di pezzi ad andamento completamente autonomo. Più lunga è la tavolata, più alto e fratturato è il numero dei discorsi che vi si fanno, più inutile e fastidioso è prendervi parte. Ma questo dato, assolutamente evidente e noto a tutti, non impedisce la continua pervicace costruzione di tavolate.

La legge della frantumazione del discorso conviviale non è solo legata al numero dei commensali, all’eventuale presenza di eminenze (capaci da sole di capovolgere la fenomenologia corrente), ma anche alle condizioni di ambiente. Se c’è rumore, se nella stanza, sulla terrazza, nel patio, se nel dehors del locale c’è molta gente, se sono presenti addirittura due o più tavolate, la frantumazione può diventare totale, nel senso che ciascun commensale, impossibilitato a comprendere anche una sola parola del vicino/a se non urlata all’orecchio, viene ridotto a pura scheggia del mondo vivente e si ritira nel proprio monologo interiore concentrandosi sul cibo. Ammesso che stia riuscendo a mangiare e non è detto. Perché altra caratteristica della tavolata è l’attesa. Non è raro vedere tavolate di quindici persone in attesa da ore, dunque ridotte a uno stadio terminale di fame, dove si raccattano le palline di mollica di pane, confezionate nella noia assoluta dei discorsi, per divorarle senza parere.

Volendo modestamente porre qui alcune basi preliminari a una Teoria Generale della Tavolata (TGT), butto giù qualche primo appunto.

  • Innanzi tutto un consiglio: non partecipare mai a pranzi/cene su base rettangolare con più di 8 commensali.
  • Nel caso sia inevitabile (è sempre evitabile: in estremo si può fingere una colica, un malore, un attacco d’ansia e andarsene), non sedere mai al centro del lato lungo del tavolo, soprattutto per tavolate intorno alle 8-10 persone: in questi casi la tavolata si spezza inevitabilmente in due con voi al centro che non avete scelta che parlare con chi vi sta di fronte, il/la quale cercherà − come del resto farete voi − di partecipare, tendendo spasmodicamente l’orecchio, al fuoco discorsivo alla sua destra o alla sua sinistra. Quello al centro del lato lungo si chiama Posto della Solitudine ed è meglio evitarlo, a meno che non siate un asociale, oppure abbiate problemi di udito. Perché lì non vi filerà nessuno, dico nessuno, nemmeno il/la vicino/a che vi darà parzialmente le spalle perché a sua volta proteso verso uno dei due fuochi.
  • Se la tavolata è abbastanza numerosa, il discorso conviviale si spezzerà in tre o più parti, rimettendo in gioco i posti centrali, altrimenti negletti e consentendo ai commensali di quella zona di costruirsi, nel rumore assordante, una loro inutile faticosa frammentaria conversazione, mentre tutti terranno costantemente d’occhio il display dei loro cellulari (rapide digitazioni, tenui sorrisi allo schermo) e gli spostamenti delle bottiglie di vino, di solito scadente/molto scadente/pessimo, l’acqua gasata/naturale che sta finendo, la piattessa di antipasti che si allontana, il vicino che prende una fetta di pane, la spezza e ne rimette una metà nel cestino (cosa che odiate) e soprattutto quelli dell’altra estremità del tavolo, a sette otto metri di distanza che hanno già cominciato con i quattro assaggi di pasta del menu.
  • Non cercate di sedervi vicino a una/o che vi interessa o addirittura vi piace: non ci riuscirete. Fino a quel momento non ve ne siete accorti, ma la tavolata in formazione sta palesando dei competitor − vale a dire persone che durante metti la presentazione di cui la tavolata è l’inevitabile epilogo, hanno come voi individuato tra gli astanti un possibile oggetto del desiderio e vogliono giocarsi le loro carte – più abili di voi a guadagnarsi il posto vicino all’oggetto di interesse. Sappiate che se vi siederete in quella zona dovrete necessariamente competere, e duramente, nel chiasso e nell’incrociarsi dei discorsi. Se non siete bravi con battute, arguzie, aforismi e esibizioni di acculturazione andante (per di più urlati), cioè se avete sempre contato sulla vostra bravura nell’articolazione del discorso, potete tranquillamente rinunciare in partenza. La creatura cui puntate nemmeno si accorgerà della vostra esistenza.
  • «Non fa niente ci stringiamo» si deve dire quando una tavolata, già formata e compattata al limite, viene raggiunta da due o tre ritardatari i quali − invece di approfittare della circostanza e fuggire nel locale attiguo a farsi una cenetta tra pochi dove eventualmente conoscersi e discorrere in piena tranquillità – per qualche ragione desiderano unirsi al gruppo di disperati all’inizio della loro avventura conviviale. In quel momento la gamba del tavolo che supponevate esistere alla vostra destra o alla vostra sinistra si palesa in tutta la sua sorda indifferente datità. Nella costipazione generale le vostre cosce sono costrette a stare fortemente unite, con gravi conseguenze sul vostro benessere inguinale, che, come si sa, è premessa per ogni possibile attività umana.
  • Dato per assodato il principio di infinità comprimibilità della tavolata (a sua volta collegato all’immoralità di un rifiuto, del tipo «siamo già in troppi attorno a questo tavolo»), l’inserzione a zeppa di altri commensali lederà, anche solo parzialmente, i fuochi di discorso già in precedenza formati, che dovranno tener conto del nuovo arrivo. Se poi il/la sopravvenuto/a è anche sessualmente interessante, distoglierà da voi un’eventuale (duramente guadagnata) debole attenzione dei vostri vicini per accentrarla su di sé. A quel punto potrete tentare un recupero, ma è più probabile che cadiate in uno stato di solitudine conviviale e che finiate per gestire in silenzio il vostro calo di zuccheri mangiando compulsivamente pezzetti di pane.
  • (…)

Esempio: paradigma di tavolata è quella tenuta da Gesù di Nazareth prima del triste notissimo epilogo della sua traiettoria di profeta. Di questo evento è a sua volta paradigma iconico L’ultima cena di Leonardo, con i commensali seduti lungo tre lati del rettangolo d’ordinanza, dato che nessuno, nemmeno Leonardo, ha osato rappresentare di spalle i cinque o sei apostoli che ragionevolmente occuparono il quarto lato. Immaginandola come una tavolata normale, con le sue disfunzioni di default, metterei a capotavola da una parte Gesù e dall’altra la seconda figura eminente del gruppo, l’apostolo Pietro. Così disposta, la compagnia vede cinque apostoli seduti su un lato e sei dall’altro. Facile dunque immaginare che anche durante l’Ultima Cena la conversazione si frantumò in due o più tronconi. Mentre da un lato Gesù spezzava il pane, pronunciando le famose frasi, all’altro capo è lecito pensare che si parlasse d’altro, metti di attrezzerie da pesca, vista la professione di Pietro. Gli apostoli seduti al centro cercavano di seguire chi l’una chi l’altra conversazione. Tenendo d’occhio la posizione del vino, del pane, degli antipasti.

[Immagine: Andy Warhol, The Last Supper (gm)].

16 thoughts on “Elementi per una Teoria Generale della Tavolata (TGT)

  1. Mah…che brutta gente frequenta Francesco Pecoraro…sic ! Mi sono sempre divertito alle tavolate. Ed io mi son sempre seduto proprio lì al centro del tavolo lungo, conducendo le varie conversazioni e ricevendo discreti ascolti. Giù da noi ( in Puglia, al sud etc. ) se vuoi coinvolgere qualcuno lasciandogli abbandonare per un po’ Facebook :
    ” Metti Tavola ! ” si trova ancora qualche scampolo di convivialita’ e tentativi a volte appaganti di comunicazione. E il vino aiuta.
    Già negli anni novanta l’ artista finlandese Trikivanja recupero’ questi riti nelle sue opere con grande successo.
    Credo che l’ arte , la letteratura dovrebbero magari riconsiderare questi luoghi .
    Dunque più che di una TGT , avremmo bisogno di nuovi spunti e di nuove trovate anche letterarie per riaccendere qualche brace ormai spenta da tempo.
    Penso al cinema e ai buoni tentativi riusciti, sia dal film francese ” Cena tra amici ” che al recente ” perfetti sconosciuti ” .
    Laddove emerge che perché riescano queste tavolate, basta scrostare un po’ di ipocrisia…

  2. Viene qui giustamente evocato il cinema conviviale, che ha le sue vette in Buñuel e in Altman e i suoi punti più bassi nei tristi attovagliamenti generazionali del recente cinema italiano, dove però non si metteno in scena tavolate: secondo la TGT è tavolata solo quando i commensali superano il numero di 8. Direi che nelle commedie in questione di solito agiscono non più di 6 figure.

  3. Bene, allora è’ una questione di numero…il limite per una buona e collettiva comunicazione in una tavolata è’ il numero dei commensali. Come ovviare e ricavarne qualcosa di buono ? Suggerimenti cercasi ?
    Certamente attraverso strumenti e argomenti :
    Se non si è’ dotati di un megafono o di un microfono amplificato, bisogna alzare la voce, il rischio della maleducazione infrange la propria reputazione.
    Ecco che il dlin dlin della forchetta che martella il bicchiere è’ un espediente sufficientemente consolidato.
    A me la vostra attenzione dunque !
    Tirar fuori un argomento efficace ? :
    Fare outing non frega più a nessuno ; io sono , sono stato, adesso farò…men che meno.
    Cosa ne pensate di…scappano via tutti.
    Ci vuole un argomento shock, la strategia è’ la domanda.
    Non è’ con una domanda che il Messia attiro’ la sua attenzione ? ” questa sera chi di voi mi tradira’ ? ” Non credo che i discorsi sulle reti da pesca siano contemplati in una presunta storiografia.
    Penso alle rimpatriate delle quinte liceo dove basta tirar fuori le storie di bullismo ampiamente rimosse. E la lucina della candela lì in fondo, nasconde il mesto arrossamento. E le cene post sconfitta elettorale ? Chi ha sbagliato e come ? Le cene di lavoro dove il possibile leader deve offrire motivazioni e aspettative e puoi scordarti di salare l’insalata. Il cibo, il vino, mai parlarne. Ma non erano solo un pretesto ?
    Non dovevamo dirci che il tuo lavoro, lo può fare chiunque di noi e meglio ! Che tu non sei abbastanza sicuro di comprenderci, che io vorrei essere ognuno di voi ma non oso dirmelo.
    Non ho mai partecipato ad una tavolata post premio letterario. Ma non sarebbe difficile neanche qui individuare dei giochi, inclusioni, esclusioni, tradimenti e pagine che si rovesciano sulla tovaglia, la quale ringrazia con macchie geograficamente perfette !
    Lo so, lo so…è tutto così violento, scabroso, aggressivo e mi viene in aiuto ancora una bellissima e poetica immagine cinematografica ” Nino Manfredi che schiatta avvelenato con un succulenta pasta alla norma ”
    Qual’ è il confine tra la convivialita’ e la tragedia ?
    Indubbiamente in una di queste tavolate il “drop out ” sarà frequente.
    Io vado via, l’ aria si è fatta troppo pesante. Si è una questione di aria, il contrario della leggerezza calviniana, e chissà ancora se parafrasando Calvino, non si possano scrivere 6 racconti di tavolate esemplari che esprimano le relative qualità.
    Certo che se avessi la fortuna di avere tra i miei commensali uno scrittore come Francesco Pecoraro, non esiterei a provocarlo per consentirgli di misurarsi in una dissertazione orale. Per cui nutrirei la speranza che lasciasse da parte un qualche esprit de l’ escalier per urlare con me ” Viva le tavolate ! ”
    Riabilitiamo dunque la tavolata alla pari di convegni, congressi, conferenze, riunioni e magari piuttosto che elaborare una TGT, proviamo con una CePaT ( cose e parole attorno ad una tavolata )

  4. Ah….il mio esprit de l’ escalier :

    Chi non vorrebbe essere il messia almeno per una sera ? E se proprio abbiamo deciso per sempre di non accettare più inviti a delle tavolate con più di 8 persone. Be’ almeno che l’ ultima abbia un senso.

  5. A complemento, la fenomenologia delle posate di Susan Sontag (da Where the Stress Falls):
    1. “The fork is the youngest of the three eating utensils. The Last Supper was set with knives and spoons only”.
    2. “The spoon is not quite grownup in the way the knife and fork are. It doesn’t menace. It isn’t a tamed weapon.”
    3. “Only the knife is really necessary. The evolution of table manners is mainly about what to do with your knives.”

  6. Un fenomeno che costantemente minaccia i ristoranti, soprattutto sotto le feste e alla fine dell’estate è sicuramente la tavolata. Di solito la tavolata viene assortita perché ogni commensale possa avere un pubblico ristretto ma non troppo per narrarsi: le vacanze in Asia, la casa in montagna, i figli in giro, i cani, il lavoro, le macchine per andare a lavoro, le lezioni di spinning.
    Chiariamo subito una cosa: i tavoli rettangolari da 8+ non esistono, si assemblano (eccezioni: sagre, mense, taverne); possibili formazioni – in concezione figurale: tre tavoli da due con due capotavola, due tavoli da quattro senza capotavola, due tavoli da due più una prolunga.
    L’incubo inizia quando dall’altra parte del telefono una voce succube non sa dire:
    1. chi verrà (sette, otto… al massimo undici)
    2. quando verranno (alle 21, alle 22, è un post-convegno/concerto/meeting/evento)
    3. a nome di chi prenotare (metti Alberto, anzi, metti Antonio, anzi, scrivi *cognome indecifrabile*).
    La tavolata si prepara facendo attenzione a lasciare coperti cuscinetto intorno, così da evitare che in caso di ospiti in sovrannumero i paganti siano costretti a cenare abbarbicati alla gamba del tavolo, coi gomiti conficcati nello sterno.
    L’arrivo è a scaglioni, frantumato, continuato. Incapaci di percorrere l’infinito spazio tra la porta e il tavolo, i commensali si attarderanno lungo il tragitto per chiacchierare nel centro esatto della sala, nella peggiore delle ipotesi mettendosi a salutare improbabili conoscenze ritrovate mentre queste succhiano tagliatelle ai porcini con corredo di moglie, figlio sul seggiolone, cane incazzato nascosto sotto la sedia, telefono impazzito di notifiche.
    Prendono posto le donne, lasciano le borsette per stabilire confini. A gruppi di due vanno in bagno, mentre gli uomini fumano. Rientrano le donne, gli uomini vanno in bagno. Sono passati 40 minuti dall’arrivo della tavolata e ancora non si riesce a capire quante bottiglie di acqua portare (si opta per quattro, due naturali e due frizzanti); si tenta un approccio diretto per piazzare altre bevande, ma:
    1. il vino in bottiglia non lo volete perché poi pagate alla romana e gli astemi si incazzano
    2. la coca-cola non va bene perché siete adulti
    3. la birra in caraffa la rifiutate perché poi ne bevete troppa e si sgasa
    Soluzione: vino della casa, un litro rosso, uno bianco e sembrate tutti contenti e risparmiatori e politically correct.
    Il menu varia a seconda del tipo di tavolata. Se c’è un leader è fatta, siamo salvi: antipasto misto, tre primi al vassoio, un secondo di carne e due contorni (e vi amiamo già); ma i vuoti di potere si riscontrano anche nelle tavolate, e l’individualismo occidentale vi pervade anche quando c’avete fame, non dividerete niente (a meno che non ci siano due ragazze nel gruppo, che prenderanno un’insalata mista di cui una mangerà i pomodori e l’altra la lattuga e divideranno una focaccia senza sale). Scegliete dal menu ognuno cose diverse, beati combinate antipasti primi e secondi e chiedete:
    – Ce la facciamo a mangiare tutti insieme?
    …e in che modo pensate che questo sia possibile, visto che il locale è pieno e per bene che vi possa andare in una cucina ci sono quattro persone? Ma ci si prova. Presi dai vostri dialoghi monologici a coppie o a coppie doppie, non riuscite a vedere che l’acqua non è finita ma è a un braccio di distanza dal vostro bicchiere e tendenzialmente non ricordate cosa avete ordinato, facendo fare viaggi a vuoto ai camerieri e alle vostre pietanze.
    Passati gli antipasti, l’imprevisto: arrivano due ritardatari. Che bello, vi salutate con calore, meno male che ce l’avete fatta, ci mancavate, senza di voi impossibile andare avanti.
    Dove li mettiamo? Voi dissetati e accomodati non volete sbaraccare per aggiungere il tavolo di riserva, quindi giurate su vostra madre che vi stringerete e che starete bene lo stesso. Menzogne. I malcapitati che invece di scappare dalla tavolata di accontentano di mezzo coperto agiranno per il resto della cena in ritardo: vorranno stare al passo con gli altri, si strafogheranno o salteranno una portata, coveranno rancore per la cena pagata e non gustata.

    Ristorante vuoto, cuoco uscito dalla cucina, voi digerite beati convinti che nessuno abbia una casa a cui tornare e un locale intero da rimettere in ordine. Quando la musica/televisione viene consapevolmente spenta, chiedete il conto. Due tipologie di tavolate paganti:
    – i normali: la cena è un pretesto sociale, si paga alla romana e si arrotonda per eccesso;
    – i repressi: hanno mangiato meno, hanno bevuto meno, guadagnano meno, lavorano di più, non sono stati coinvolti, non vogliono pagare per quel vino che a stento hanno assaggiato. Si avvicinano furtivi e sofferenti alla cassa pretendendo di saldare mezza acqua, 7/9 di pizza, una forchettata di spaghetti. Tendenzialmente soffrono anche quando la cena finisce.

    Non importa chi ci sia alla tavolata, quanto abbiano mangiato, quanto abbiano speso: in ogni caso e configurazione la mancia sarà una vaneggiata speranza.

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