di Gianluigi Rossini
[Esce in questi giorni il saggio Le serie TV (Il Mulino) di Gianluigi Rossini. Il libro è una storia e un’interpretazione della serialità televisiva come forma d’arte e di intrattenimento. Questo pomeriggio Rossini sarà ospite di Fahrenheit su Radio3. Presentiamo un brano tratto dal terzo capitolo del saggio. Si parla della moltiplicazione delle serie televisive che ha avuto luogo a partire dalla seconda metà degli anni Novanta]
HBO non è stato l’unico canale via cavo ad aver intrapreso la via della serialità nella seconda metà degli anni ’90, ma gli altri si erano limitati per lo più alla comedy o a generi specifici: Showtime, ad esempio, mise in piedi numerose serie a tema fantascientifico tra il 1996 il 1999. Nessuno aveva ancora tentato l’impresa di battere i grandi network sul loro stesso terreno con l’ambizione e la forza innovativa di HBO. E soprattutto, nessuno aveva previsto gli spettacolari risultati che ne sono seguiti. È probabile che molto dell’entusiasmo generato da HBO alla fine degli anni ‘90 provenisse dal fatto che una scelta di qualità così rischiosa sia stata premiata oltre ogni aspettativa, convogliando verso un canale a sottoscrizione platee di dimensioni paragonabili a quelle dei grandi network. Nella stagione 2001-2002 i programmi di maggior successo erano Friends su NBC, con una media di 24 milioni di spettatori a episodio, CSI su CBS, con 23,7 milioni, e ER sempre su NBC, con 22,1 milioni. The Sopranos, alla terza stagione, raggiunse la media di 14 milioni di spettatori a episodio, un numero realmente impressionante se si considera il bacino ristretto di HBO. Certo, i numeri dei Sopranos sono un caso eccezionale: solo Sex and the City ha conquistato cifre simili, e in una fase successiva True Blood, Game of Thrones e pochi altri. Altri titoli erano considerati un successo già quando raggiungevano i 3-5 milioni di spettatori a serata. Ma gli ascolti, per un canale pay, sono un aspetto secondario: nel 2004 e nel 2005 il complesso di entrate dato da abbonati, product placement, vendita dei DVD, vendita di diritti, merchandising e così via ha generato per HBO un margine operativo record di 1,1 miliardi di dollari, l’introito annuale più alto mai registrato da un network nella storia della televisione [Edgerton 2009, 11–12].
Si capisce quindi come HBO abbia provocato un terremoto sistemico, stimolando una stagione di esplosione creativa: tutti gli altri canali hanno dovuto rivedere le proprie strategie, innalzando il livello della produzione seriale. I più rapidi a lanciarsi all’inseguimento furono Showtime, il maggior concorrente diretto di HBO, e FX, il primo canale basic a entrare nella nuova fase della produzione seriale di prestigio. Per fare qualche esempio, considerando solo quei titoli che hanno totalizzato almeno due stagioni, il primo produsse Queer as Folk (2000-05), adattamento dell’omonima e scandalosa serie inglese, Soul Food (2000-04), Dead Like Me (2003-04), The L World (2004-09), Weeds (2005-12), Dexter (2006-13), Brotherhood (2006-08) Californication (2007-14); il secondo The Shield (2002-08), Nip/Tuck (2003-10), Rescue Me (2004-11), It’s Always Sunny in Philadelphia (2005-), Damages (2007-12), The Riches (2007-08). Tutte queste serie abbracciavano lo schema del superamento dei limiti del mostrabile muovendosi tra violenza, politicamente scorretto, ritratto delle contraddizioni sociali e sovvertimento delle convenzioni narrative. Adottano, inoltre, la pratica di scegliere protagonisti prima impensabili: non solo antieroi, ma veri e propri eroi negativi, per lo più maschi, come Vic Mackey, il poliziotto corrotto e violento di The Shield che nel pilot uccide un collega che aveva scoperto i suoi traffici, o come la madre-spacciatrice Nancy Botwin, di Weeds, o il serial killer (che uccide solo assassini) Dexter, incapace di provare empatia umana[1].
Molto presto anche i network generalisti furono costretti a reagire. Il presidente della NBC Bob Wright inviò una lettera aperta ai dirigenti dell’azienda, nella quale chiedeva quale fosse la lezione da trarre dal successo dei Sopranos, e come si potesse competere di fronte alla maggiore libertà espressiva di cui godevano i canali via cavo [Carter 2001]. Un tentativo fu Kingpin (NBC, 2003) da molti considerato una copia malriuscita della serie HBO, cancellato dopo soli sei episodi. Riuscì a interpretare meglio il cambiamento Fox, che già partiva da una posizione meno tradizionalista, con 24 (2001-10) e House (2004-2012). ABC trovò presto la sua strada, prima con Alias (2001-06) e poi con Desperate Housewives (ABC, 2004-12)[2] e Lost (ABC, 2004-10), che hanno impostato due possibili vie generaliste alla nuova serialità: da un lato il ritorno sfacciato ai fasti della prime time soap, ma genericamente ibridata, contaminata con il noir, il crime, la comedy; dall’altro la pirotecnia narrativa, che stimolava la risposta dei fan attraverso internet. Nel frattempo CBS era tornato in cima alle classifiche degli ascolti, in parte grazie al successo monstre di quella che senza dubbio può essere considerata una delle serie più influenti di sempre, C.S.I. (2000-15), la cui struttura narrativa era non solo molto tradizionale, ma anche conservatrice ideologicamente [Izzo 2008]: tutta incentrata sulla risoluzione del crimine e sullo svolgimento procedurale, lasciava pochissimo spazio allo sviluppo dei personaggi. CSI però è riuscita ad aggiornare il paradigma della serialità network da un lato sposando il procedurale classico con il tempo narrativo accelerato della flexinarrative e un cast relativamente ampio, dall’altro inventando uno stile televisuale caratteristico e innovativo, che fondeva una cinematografia estremamente elaborata con gli effetti speciali in videografica. Le sequenze in grafica computerizzata che penetrano il corpo della vittima, mostrando l’impatto di un proiettile o visualizzando l’analisi del patologo forense, i cosiddetti «CSI shot» [Turnbull 2007], rappresentano un’interpretazione visuale del potere della tecnologia entrata a far parte non solo della grammatica di molte altre serie televisive, ma anche dell’immaginazione diffusa.
Nella seconda metà degli anni Zero, un numero crescente di canali via cavo è entrato nel mercato della serialità, portando l’offerta di titoli a livelli senza precedenti. Un caso particolarmente interessante, che dimostra i profondi cambiamenti dell’ambiente televisivo, è quello di AMC[3], American Movie Classics, un canale premium nato nel 1984 e passato al pacchetto basic tre anni dopo, la cui programmazione iniziale rappresentava perfettamente il narrowcasting dell’età multicanale: solo film degli anni d’oro di Hollywood, dagli anni ’30 ai ’60, reimpacchettati in un palinsesto che li valorizzava appieno recuperando gli originali senza tagli, organizzando rassegne tematiche e trasmissioni di approfondimento per contestualizzare e punteggiare. Un paradiso per gli appassionati, che per lungo tempo riuscì a permettersi di sopravvivere senza pubblicità. Negli anni ’90 le cose iniziarono a complicarsi: il progressivo incremento dei costi per l’acquisizione dei diritti e soprattutto la concorrenza con TCM (Turner Classic Movies) che offriva una programmazione simile, costrinse AMC ad accettare la pubblicità, innescando una reazione a catena: gli inserzionisti spingevano perché l’offerta venisse ringiovanita in modo da attrarre il target 18-49 anni, il che significava acquistare film più recenti e più costosi. Progressivamente l’identità del canale si era annacquata sempre più: nel 2002 il numero di film antecedenti il 1960 si era ridotto a meno di un quinto della programmazione, tanto che Time Warner Cable, uno dei più grandi distributori statunitensi, intentò una causa contro AMC per violazione di contratto [Jaramillo 2013, 176]. Grazie all’enorme espansione del cavo in quegli anni, nel 2002 AMC non era in evidente crisi, raggiungendo un bacino di 83 milioni di abitazioni. Tuttavia, la sua posizione si era fatta pericolosa: da un lato aveva un’immagine talmente ben definita da impedire qualsiasi innovazione, dall’altro l’innovazione si faceva sempre più necessaria. Il compenso pagato dai distributori era sceso a 20 centesimi ad abitazione, gli inserzionisti erano sempre più difficili da attrarre.
Tra le varie strategie tentate nel corso degli anni ’90 c’era stata anche quella della produzione originale, senza troppa convinzione e restando all’interno dell’immaginario prebellico: due sole serie, Remember WENN (1996-98), un dramedy ambientato negli anni ’30, in una stazione radio, e The Lot (1999-2001), stesso periodo storico, ma stavolta ambientato nello studio system di Hollywood. Nel ricordare questi primi tentativi molti anni dopo, un executive di AMC rilevava quanto fosse diverso il mercato del cavo prima dell’esplosione di FX: «i canali basic non cercavano ancora tutti di fare Nip/Tuck. Erano piccoli show, ingenui e carini» [Jaramillo 2013, 174].
Nel 2006, il nuovo general manager Chris Collier decise che era arrivato il momento di fare il vero salto nella programmazione originale, prendendo esplicitamente come riferimento il modello HBO. Tanto che, dopo la miniserie western in due parti Broken Trail (2006), la prima proposta accettata arrivò da un veterano dei Sopranos, Matthew Weiner, che aveva da tempo scritto proprio per HBO la sceneggiatura di un pilota dal titolo «Smoke Gets in Your Eyes», ambientato negli anni ’60, coraggioso e provocatorio. HBO non aveva mostrato interesse per il progetto, nonostante la raccomandazione di David Chase, AMC lo approvò immediatamente. E fu un’ottima idea, perché Mad Men (2007-2015), diventerà una delle serie più ammirate, e cambierà il destino dell’intero canale. Negli anni successivi, con l’uscita di The Walking Dead (2010-) The Killing (2011-14), e soprattutto Breaking Bad (2008-13), AMC entrò definitivamente nell’olimpo dei grandi produttori di serialità. All’esordio di Halt and Catch Fire (2014-), di nuovo un period drama, stavolta ambientato nei primi anni ’80 dell’inizio della rivoluzione informatica, un recensore poteva scrivere che la serie era riconoscibilmente AMC per il suo particolare stile visivo, «cinematografico» ed «elegante».
Al di là dell’incredibile fortuna avuta nell’affilare nel giro di pochi anni due capolavori del calibro di Mad Men e Breaking Bad più una hit epocale come The Walking Dead, quale strategia ha seguito AMC per trasformarsi dal canale che trasmetteva film in bianco a nero a uno dei centri della nuova arte seriale? Anthony Smith (2013) ipotizza un tratto comune dei primi show AMC: il ritmo lento e compassato, qualcosa che salta immediatamente all’occhio al confronto con The Shield, Battlestar Galactica (SyFy, 2004-09) o The Closer (TNT, 2005-12), prodotti coevi di canali basic, e ancora di più con le serie dei grandi network. Lo ‘stile HBO’ viene spesso associato a sesso, violenza e linguaggio esplicito, ma una caratteristica altrettanto importante dei Sopranos o di The Wire era il rallentamento: mentre i network riducevano sempre più il minutaggio del singolo episodio (in media 42 minuti su un’ora di palinsesto) e incrementavano il ritmo della flexinarrative mettendo in scena solo lo stretto indispensabile, le produzioni HBO duravano anche 55 minuti a episodio e potevano concedersi il lusso di momenti di pausa, inquadrature lunghe e tagli allungati. Secondo David Chase la differenza più importante tra produrre uno show per HBO e produrlo per un altro canale consisteva proprio nel fatto che con il primo «potevi farlo a un passo più lento, un più graduale rilascio delle informazioni. Silenzi più lunghi. Momenti in cui non succede nulla. È uno stile di montaggio diverso, l’opposto di bang-bang-bang tutto il tempo» [cit. in Smith 2013, 152].
Mad Men fa del rallentamento ritmico una delle sue cifre stilistiche: nei dialoghi, che molto spesso non sono i tipici botta e risposta ma vengono punteggiati da silenzi e sguardi non immediatamente funzionali al racconto; nel montaggio, con tagli ritardati e inquadrature che si dilungano sulle scene anche quando il picco drammatico è passato; nella stessa struttura narrativa interepisodica, che prende lunghe pause fino a sembrare assente. Breaking Bad gestisce con maestria l’alternanza tra momenti isterici e momenti di totale stallo, con il suo concentrarsi sul processo piuttosto che sui risultati. The Killing si dilunga voluttuosamente sui paesaggi piovosi di Seattle. Perfino The Walking Dead, pur essendo un postapocalittico, sceglie spesso di allontanarsi dal pericolo incombente sui personaggi per farli dialogare profusamente. Il contraltare necessario di questa strategia narrativa è l’aumento della densità visiva, la potenza della fotografia, la ricchezza visuale di ogni singola scena.
L’accelerazione del tempo narrativo, come abbiamo visto nel capitolo precedente, è una delle caratteristiche tipiche della nuova serialità degli anni ’80 e ’90, funzionale soprattutto agli ambienti che dipendono dalla pubblicità: i continui picchi drammatici e la compressione dell’esposizione sono necessarie a mantenere l’attenzione costante in un ambiente a fortissima competizione ed evitare il cambio di canale. La strada scelta da AMC era quindi estremamente rischiosa per un canale basic, per quanto perfettamente in linea con una politica editoriale da sempre orientata alla celebrazione della cinematografia. In effetti, tanto Mad Men quanto Breaking Bad sono diventate dei successi di pubblico soltanto nelle ultime stagioni, viaggiando su ascolti medi molto più bassi rispetto a quanto la loro influenza culturale potrebbe far pensare. Addirittura, il loro bilancio è stato spesso in perdita: a fronte di una spesa di circa 3 milioni di dollari a episodio, le entrate dirette generate da Mad Men nella terza stagione erano scese sotto i due milioni [Smith 2013, 160]. Come nota Smith, queste serie funzionano da loss leaders[4]: gli ascolti sono secondari rispetto al portato di prestigio, notorietà e rafforzamento della brand identity. La natura del ‘successo’ televisivo è profondamente cambiata.
Note
[1] La proliferazione degli antieroi negativi è stata molto discussa, cfr. almeno Kotsko 2012; Martin 2013; Lotz 2014, e in italiano Bernardelli 2012.
[2] Nelle intenzioni del creatore Marc Cherry, Desperate Housevives doveva essere proprio un «HBO show» concepito in maniera ricombinante come «Sex and the City incontra Six Feet Under». Cfr. Billy Carter, Desperate Networks, cit. in Edgerton 2009, 13.
[3] Per una breve storia di AMC cfr. Edgerton 2011; Jaramillo 2013; Checcaglini 2015.
[4] Semplificando, nel gergo commerciale i loss leaders sono articoli venduti a un prezzo inferiore al loro valore, con la funzione di attrarre clienti che si suppone compreranno altri beni. Anche Caldwell 1995 ha parlato di loss leaders televisivi, riferendosi però in particolare alle miniserie ad alto budget prodotte dai network.
Bibliografia
Bernardelli, A. [2012] (a cura di), Il trionfo dell’antieroe nelle serie televisive, Perugia, Morlacchi.
Caldwell, J.T. [1995], Televisuality. Style, Crisis, and Authority in American Television, New Brunswick, NJ, Rutgers University Press.
Carter, B. [2001], NBC Searching For Lessons In «The Sopranos», in «The New York Times», 2 maggio, par. Business
Checcaglini, C. [2015], Breaking Bad. La chimica del male. Storia, temi, stile, Milano, Mimesis.
Edgerton, G. R. [2009], Introduction: A Brief History of HBO», in G. R. Edgerton, J. P. Jones (a cura di), The Essential HBO Reader, Lexington, University Press of Kentucky.
Edgerton, G.R. [2011], The Selling of Mad Men. A Production History, in Id. (a cura di), Mad Men. Dream TV Come True, London, I.B. Tauris, pp. 3-24.
Izzo, D. [2008], Crime Scene Do Not Cross. I limiti della giustizia in CSI, in «Ácoma», XV, 36, pp. 40-51.
Kotsko, A. [2012], Why We Love Sociopaths. A Guide to Late Capitalist Television, Alresford, John Hunt.
Jaramillo, D.L. [2013], AMC. Stumbling toward a New Television Canon, in «Television & New Media», 14, 2, marzo, pp. 167-183.
Lotz, A.D. [2014], Cable Guys. Television and Masculinities in the 21st Century, New York, New York University Press.
Martin, B. [2013], Difficult Men. Behind the Scenes of a Creative Revolution. From The Sopranos and The Wire to Mad Men and Breaking Bad, New York, Penguin.
Smith, A.N. [2013], Putting the Premium into Basic. Slow-Burn Narratives and the Loss-Leader Function of AMC’s Original Drama Series, in «Television & New Media», 14, 2, marzo, pp. 150-166.
Turnbull, S. [2007], The Hook and the Look. CSI and the Aesthetics of the Television Crime Series, in M. Allen (a cura di), Reading CSI. Crime TV Under the Microscope, London, I.B Tauris, pp. 15-32.
[Immagine: Mad Men].