cropped-069_Greater_London_neon-orange-bark_detail_04_highres.jpga cura di Massimo Gezzi

[Domani, a Bellinzona, inizia l’XI edizione del Festival di letteratura e traduzione Babel. Ho chiesto al direttore artistico, Vanni Bianconi, di illustrarne i contenuti e le novità].

Quest’anno il Festival è dedicato alla “Greater London”: cos’è, esattamente?

“Greater London” è un termine tecnico per l’autorità comunale di Londra, con i suoi nove milioni di abitanti e il sindaco musulmano Sadiq Khan – ma “Greater London” designa anche la contea di Londra, composta da tutti i quartieri di Londra eccetto la city, la cittadella della finanza con le sue leggi medievali e i suoi privilegi impossibili, e in questo senso già si avvicina di più ai nostri interessi. Abbiamo intitolato “Greater London” questa edizione di Babel per sottolineare come Londra sia superiore alla somma delle sue parti: Londra è un flusso costante di migrazioni e trasformazioni, di culture diverse che si avvicinano, sfiorano, evitano, respingono e toccano ancora. Questo risulta in tensioni costanti, che però infondono alla città la sua forza e la sua vitalità complessa, e le sue innumerevoli contraddizioni.

Per dirne una, il giugno scorso abbiamo curato un’edizione di Babel a Londra, invitando scrittori che hanno adottato l’inglese come lingua di scrittura (Aleksandar Hemon, Xiaolu Guo, Chloe Aridjis ecc.). Una grande sorpresa è stata osservare che, se Londra è estremamente multiculturale, la sua cultura in generale, e quella letteraria in particolare, sono monolingui. Le altre lingue e le altre tradizioni non hanno un valore reale, devono essenzialmente conformarsi all’establishment. Così ora a Bellinzona abbiamo invitato quegli scrittori londinesi a cui viene detto di rendere più “occidentali” i loro libri, di spiegare di più per il lettore inglese: li abbiamo invitati perché sono loro i veri londinesi, gli scrittori che rappresentano questa città vibrante e onnivora, molto di più di quanto non faccia l’uniforme élite di Oxbridge che dirige l’industria culturale, e in larga misura il paese.

Quali sono gli autori più importanti dell’undicesima edizione?

La gran parte degli scrittori invitati stanno pubblicando adesso i loro primi libri, perché la nostra intenzione è di cogliere il rinnovamento della letteratura londinese in tempo reale. Molti degli scrittori invitati sono stati tradotti in italiano per la prima volta da Babel – ma nel frattempo sono stati contattati da media e editori italiani. Siamo un festival di traduzione, e nel migliore dei casi questo vuol dire portare al pubblico le parole che stanno per essere pronunciate. (E le cose che stanno per essere pubblicate). Mi limito a due accostamenti molto diversi tra loro.

Uno è quello tra due fratelli, Saleh e Sulaiman Addonia, di madre eritrea e padre etiope, cresciuti in un campo rifugiati in Sudan, poi emigrati in Arabia Saudita da adolescenti e infine a Londra vent’anni fa. Sulaiman ha pubblicato un romanzo di successo, tradotto in molte lingue, Le conseguenze dell’amore (Sperling & Kupfer), e ha appena concluso il suo nuovo romanzo. Saleh invece sta per finire ora la sua prima raccolta di racconti, che quindi è ancora inedita anche in inglese. Partendo da vissuti e ricordi simili, i due Addonia creano letterature antitetiche, quasi inconciliabili. A Babel si confronteranno sul rapporto tra tempo e memoria, astrazione e confessione, differenza e ripetizione.

Questo incontro, che echeggia migrazioni distanti, si lega a diversi altri incontri, come quello con Leogrande e Fessaha di sabato mattina, o quello con Annie Holmes e Meike Ziervogel su Breech e Calais domenica pomeriggio.

L’altro è quello tra due esuli cinesi, Xiaolu Guo e Ma Jian, un accostamento che racchiude un mondo intero, o meglio i mondi possibili che si aprono quando si perde una patria. Per Xiaolu l’inglese, i suoi tempi verbali, le sue forme di cortesia e le sue forme di ipocrisia, sono mattoni o lamiere per costruirsi un nuovo riparo, da conquistare con rabbia o insofferenza, ma ad ogni modo utili per costruirsi qualcosa attorno. Che diventerà una casa. E così tutti gli altri aspetti, locali o cosmopoliti, di una nuova realtà, interrogata, accusata, condannata e amata. Allo stesso modo Xiaolu fa cinema – e vince il Pardo d’oro a Locarno – scrive in cinese e in inglese, narrativa e saggistica, con un’inesauribile sete di vita e di presente prossimo.

Per Ma Jian, a Londra da una decina d’anni, padre di quattro figli inglesi, l’inglese è una lingua sconosciuta, Londra una città remota: tutta la sua attenzione, tutta la sua immaginazione, tutta la sua cura linguistica sono orientate verso la Cina in cui non può più tornare, per via dell’esilio e perché la Cina in cui ha vissuto, e che nel frattempo il tempo e il governo hanno trasformato. Lui si fa custode di fantasmi scomodi, e come uno di loro vive tra mondi che non può toccare.

Invitando Kate Clanchy, la scrittrice che ha promosso The Very Quiet Foreign Girl Group, un laboratorio di poesia per ragazze immigrate, Babel si apre anche al mondo della scuola, favorendo progetti di integrazione dei migranti. Credi che sia importante operare in questo senso, in Svizzera e altrove?

Credo proprio di sì. L’esperienza di Clanchy mostra come la poesia possa fornire strumenti capaci di reggere sotto pressione, che possono essere di grande aiuto per chi ha vissuti troppo traumatici per essere raccontati in modo diretto, oppure per chi semplicemente non si sente legittimato a raccontare le proprie vicissitudini. In questo periodo di intensi flussi migratori, progetti simili possono dimostrarsi necessari. E questo è un altro dei motivi che ci hanno portati a concentrarci sulla Greater London, vale a dire un contesto che è intrinsecamente migrazione e integrazione.

Un’altra novità legata al festival è la nascita di una nuova rivista, Specimen: di cosa si tratta?

“Specimen. The Babel Review of Translations” è una rivista letteraria on-line interamente multilingue: ogni testo potrà venire pubblicato in qualsiasi lingua e qualsiasi alfabeto, e essere tradotto in qualsiasi altra lingua o alfabeto, in modo non sistematico. Specimen nasce dall’esperienza di Babel, e quindi da un lato si dipana sul filo di amicizie e legami intessuti a livello mondiale in dieci anni di attività, e dall’altro muove da un’apertura alle altre lingue, alle traduzioni, ai meticciati linguistici che forse è intrinsecamente svizzera. Inoltre, Specimen vuole portare sul web le sensibilità tipografiche dell’editoria cartacea, e allo stesso tempo sfruttare le potenzialità del digitale, con tutta una serie di accorgimenti tipografici interattivi e personalizzabili. Una correlata propensione per le intercapedini, ibridazioni e cose miste connota le scelte editoriali: la rivista si apre con commissioni e testi inediti di Derek Walcott, Aleksandar Hemon, Enrique Vila Matas, Jhumpa Lahiri, giovani voci palestinesi a cura di Adania Shibli, Xiaolu Guo, Giorgio Orelli.

Ma forse è arrivato il momento in cui posso smettere di raccontare queste cose, e posso iniziare a rispondere semplicemente con un link: www.specimen.press

[Immagine: Ursula Hitz, Map of Greater London, particolare (mg)].

 

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