di Maurizio Bettini
[Mercoledì scorso LPLC ha pubblicato un articolo nel quale Walter Lapini attaccava il Centro di Antropologia del Mondo Antico (AMA) dell’Università di Siena e le sue posizioni sull’esame di maturità e sull’insegnamento delle lingue classiche. Oggi pubblichiamo la replica di Maurizio Bettini, direttore del Centro].
Del tutto inaspettatamente il Centro AMA (Antropologia e Mondo Antico) dell’Università di Siena, si è guadagnato un aedo. Proprio così, un aedo, come quelli che cantavano le imprese degli antichi eroi celebrandole in ogni piazza, perché di questi eroi tutto sapevano – passato, presente, futuro. Il nostro aedo si chiama Walter Lapini, professore di greco all’Università di Genova. Naturalmente il nostro aedo Lapini – d’ora in avanti lo chiameremo : l’AMAedo – anima le piazze virtuali, non quelle reali, è un aedo dei nostri tempi. Comunque non c’è incontro, convegno o altra iniziativa promossa dal Centro AMA, che non trovi l’AMAedo pronto a farne immediatamente rimbombare l’eco su tutti i blog o siti che gli vengano messi a disposizione. Solo che già lo diceva Solone (non a caso considerato uno dei sette saggi): πολλὰ ψεύδονται ἀοιδοί “molte cose false dicono gli aedi”. E in questo l’AMAedo conferma in pieno l’antica regola, purtroppo. La cosa va così.
Da alcuni anni il Centro AMA dell’Università di Siena sta promuovendo numerose iniziative nella direzione di un auspicabile (e auspicato) rinnovamento nell’insegnamento delle materie classiche nella scuola. Abbiamo già organizzato quattro Summer School, a Siena, cui hanno partecipato ogni volta sessanta e più insegnanti selezionati su oltre centocinquanta domande. Per ovviare ai notori e molteplici impegni dei docenti, la scuola si tiene ogni anno a fine Agosto, il che significa che (mentre l’AMAedo fa il bagno a Genova) i professori del Centro e tanti insegnanti appassionati discutono di Omero, di retorica antica, di linguistica latina, di “reception studies”, di antropologia del mondo antico e così via, a dispetto dei trenta gradi all’ombra. Oltre a ciò, anche quest’anno abbiamo promosso incontri in numerose città Italiane, del Nord, del Centro, e del Sud, seguiti da laboratori didattici in cui gli insegnanti di materie classiche discutono assieme dei loro progetti, dei loro problemi e delle soluzioni che hanno sperimentato: cosa che normalmente non hanno l’opportunità di fare. L’adesione a queste iniziative è stata sempre più massiccia: a Bologna (22 Settembre) abbiamo dovuto cambiare sede, perché l’aula da cento posti, inizialmente prevista, non bastava per gli oltre duecento docenti che chiedevano di partecipare; a Palermo (l’incontro si terrà il 29 – 30 – 1) dopo poche ore dall’apertura delle iscrizioni i posti erano andati già esauriti, gli insegnanti che chiedono di venire sono talmente tanti che anche qui abbiamo dovuto cambiare sede, per poi rassegnarci a chiudere comunque le iscrizioni. Ma non intendo certo enumerare le cose che abbiamo fatto e che facciamo, ce ne sarebbero in realtà molte altre. In ogni caso, tutte le nostre attività sono registrate sul sito del Centro AMA sul quale è attivo anche un “Blog della Summer School” in cui centinaia di docenti continuano a scambiarsi materiali, opinioni, esperienze.
Che il lettore lo sappia: nessuno ci chiederebbe di fare tutto ciò. Al Centro AMA abbiamo già i nostri doveri universitari da adempiere. Se dunque ci dedichiamo a queste attività, che portano via molto tempo e richiedono molta fatica, sia intellettuale che organizzativa, è soltanto per l’amore che nutriamo verso la scuola, gli studenti, l’insegnamento delle lingue classiche.
Ma lo abbiamo già detto: come sapeva Solone “molte cose false dicono gli aedi”. Ragion per cui l’AMAedo Walter Lapini non perde occasione, nei suoi numerosi e ripetuti interventi, di propalare un’immagine falsa e denigratoria di quanto facciamo, dipingendoci come un gruppo di presuntuosi “riformatori degli studi umanistici in Italia” in realtà intenzionati a provocare la rovina dell’insegnamento delle materie classiche. E’ tornato a farlo anche su questo Blog, con un pezzo uscito pochi giorni fa, in cui il molteplice impegno che sopra ho descritto – il lettore ricordi: nessuno ci chiederebbe di farlo – viene ridotto a questo: “zeloti che percorreranno lo Stivale scuola per scuola. Sarà come nelle primarie americane: la squadra arriva, si accampa, mette in scena il suo numero e riparte …”; mentre l’obiettivo dei nostri sforzi, ossia le Summer School, i laboratori didattici, gli incontri con i docenti di tutta Italia, il laboratorio teatrale, etc., secondo l’AMAedo Lapini sarebbe quello di ridurre l’antichità “a intrattenimento e aneddoto, a florilegio di mirabilia per gli «oh» e i «wow» di scolaresche mitridatizzate da un facilismo succhiato col latte …”. Roba di questo genere.
Gli antichi aedi, lo sa qualsiasi lettore di Omero, avevano una gran virtù: erano poeti meravigliosi. Hanno fatto scuola di poesia, di eleganza, di profondità, per i millenni a seguire. Purtroppo, da questo punto di vista, l’AMAedo Lapini fa eccezione. Di recente ha pubblicato un libretto che voleva essere un manifesto dell’importanza, e della bellezza, delle lingue classiche, in particolare del greco. Il libretto in questione ha il titolo seguente: Il culo non serve solo per andare di corpo. L’AMAedo lo ha pubblicato sotto pseudonimo, credo Alvaro Rissa, e si capisce perché. E’ apparso presso il Melangolo, in altri dì editore noto per aver tradotto e pubblicato opere di Walter Otto come Gli dèi della Grecia o Il mito. Per merito di Lapini, e del Melangolo, la Grecia è dunque passata dal neoumanesimo tedesco al Vernacoliere di Livorno: solo che quelli, essendo livornesi, almeno fanno ridere. Da un Walter all’altro le meraviglie del posteriore hanno preso il posto del miracolo greco. Un bel segno dei tempi.
Gli antichi aedi, lo sanno bene gli omeristi, si distinguevano anche per un’altra caratteristica: disponevano di un vasto repertorio di soggetti, cosa che permetteva loro di variare il canto quanto volevano. L’AMaedo Lapini, però, anche in questo fa eccezione. Se per quanto riguarda il rapporto fra verità e menzogna segue in pieno la regola aedica di Solone, nella scelta dei temi è invece decisamente monotono: dietro ogni ‘gesta’ del Centro AMA, infatti, egli denuncia sempre e comunque lo stesso (presunto) intento: abolire radicalmente l’insegnamento delle lingue classiche nei licei italiani. Cosa che nessuno di noi, all’AMA, si è mai sognato neppure di pensare; al contrario, molti dei nostri sforzi sono indirizzati proprio nella direzione contraria, come mostrano le nostre iniziative e possono testimoniare tutti i docenti che vi hanno partecipato. Ma si sa, “molte cose false dicono gli aedi”, e Lapini, l’AMAedo, continua a propalare questa falsità di blog in blog, di sito in sito. Come se non bastasse, il carattere monotematico, o meglio monotono, degli interventi di Lapini si manifesta in una ossessione ancora più ristretta: qualsiasi cosa facciamo, a suo dire, avrebbe sempre come intento, palese o celato, quello di modificare la seconda prova del Liceo Classico: sostituendo la versione ‘secca’ con una introdotta da una contestualizzazione e seguita da domande di vario contenuto, per permettere allo studente di articolare anche un discorso su quanto ha tradotto. Proposta che in effetti abbiamo più volte avanzato, peraltro in compagnia di tanti e tanti docenti italiani, convinti come noi che una versione ‘secca’ la si può sempre scaricare da internet (come ormai avviene in molti casi), mentre la necessità di comporre un testo argomentato, e approfondito, non solo rende molto difficile barare; ma soprattutto permette all’allievo di mettere in luce ciò che ha appreso (o non appreso) nei cinque anni precedenti. Lapini non ama questa proposta, lo si è capito: la critica, la sbeffeggia ogni volta che può. E’ ossessivamente convinto, e lo ripete, che si tratti solo di un abile pretesto per abolire l’insegnamento delle lingue classiche nella scuola, cosa che ovviamente noi non vogliamo affatto. Purtroppo non possiamo impedirgli di pensarlo. Ci stupisce però che egli riduca ossessivamente ogni nostra iniziativa – incontro, convegno, seminario o quel che sia – al tema della modifica della versione di maturità, come se ci interessasse solo questo: il che è assurdo, lo vede chiunque. Ma non c’è niente da fare, stando agli interventi dell’AMAedo noi non ci occuperemmo di altro se non della versione della maturità. Nei nostri incontri si ha un bel parlare dell’aspetto verbale, della retorica antica o delle tecniche scrittorie nel mondo antico: per Lapini, qualsiasi iniziativa dell’AMA converge in realtà verso l’eversione della versione. E’ diventata una mania. Ormai mi aspetto che, se faccio una lezione sull’Eneide, Lapini occupi immediatamente il primo Blog disponibile per gridare “Bettini sostiene che Enea era venuto in Italia per cambiare la versione della maturità!”
Ma fra tutti i loro meriti, gli antichi aedi uno ne ebbero di particolarmente prezioso. Non erano universitari, anzi, non erano accademici. Non potevano esserlo. L’AMAedo Lapini invece lo è. Ricordo che molti anni fa fece un concorso di ricercatore di Filologia Classica, a Siena. Ero membro interno di quella commissione. Non vinse lui, ma un altro candidato, che comunque non era nostro allievo, veniva da Milano. Niente di personale, semplicemente l’altro candidato fece la versione di greco meglio di Lapini. Sarà per questo che l’AMAedo è così ossessionato dalla versione?
[Immagine: Andy Warhol, Alexander the Great (gm)]
Taccio del tono polemico, dei giochi di parole travaglieschi sul cognome dell’interlocutore etc. Si tratta di un testo polemico, è anche comprensibile che l’autore ricorra a questi ritrovati; a me non piacciono, ma per carità.
Dico invece che trovo singolarmente non concludente, anzi irricevibile anche in linea di principio, questa parte dell’argomentazione a favore della proposta di modificare la seconda prova del Liceo Classico: “una versione ‘secca’ la si può sempre scaricare da internet (come ormai avviene in molti casi), mentre la necessità di comporre un testo argomentato, e approfondito, (…) rende molto difficile barare”. L’altra parte dell’argomentazione si può anche discutere, ma questa, davvero, mi sembra veramente sbagliata.
Ah, la stoccata conclusiva è teppistica, pollice verso. Se non altro per ragioni di stile.
Ringrazio il prof. Bettini per il denso e interessante articolo comparso oggi su LPLC e che mi riguarda da vicino. Essendomi consultato con membri di LPLC ed essendo stata giudicata inopportuna una continuazione del dibattito in questo blog, rinvio il collega Bettini (se vorrà), ed altri lettori (se vorranno), a una mia ulteriore replica (che sarà l’ultima e non personale) in una sede che mi premurerò di segnalare a tempo debito.
Tanta acredine (reciproca) tra stimati colleghi, professori di Humanae Litterae, mi amareggia non poco, dato che appartengo alla loro stessa categoria. Vorrei essere meglio informato dall’interno. So solo che partecipai al convegno sul Futuro del Classico al Politecnico di Milano e ne tornai con un’impressione sgradevole che assomiglia di più ai sospetti di Lapini che non alle certezze di Bettini. Spero di poter partecipare presto anche a una sessione di lavoro dell’AMA. Aspetto un cortese invito.
Sul commento di Di Benedetto:
sarà (forse) poco nobile, ma l’argomentazione riguardo alla facilità di scaricare la versione da internet mi sembra più che degna di considerazione, se non altro perché tale prassi, molto comune tra gli studenti, vanifica l’esercizio della versione “secca” (a meno di non immaginarsi gli studenti come giovani virtuosi pronti a rischiare il quattro pur di non servirsi degli strumenti del demonio…). La scuola è anche questo e dobbiamo fare i conti con forme di accesso alle informazioni che ormai sono entrate stabilmente nel modo di fare cultura e necessariamente cambiano anche la scuola (che non deve mica fare la guerra a internet!).
Aggiungo solo che io ho fatto il liceo classico quando internet non c’era e mettere uno studente di fronte a un testo del tutto decontestualizzato, per tradurlo, mi sembrava già allora ben poco sensato…
grazie Bettini!
Un dibattito, se mi è permesso, di livello abbastanza sconfortante. Entrambi gli accademici vorrebbero sostenere il classico, ma nel frattempo se le danno di santa ragione.
Entrambi i loro pezzi sono intrisi di una retorica classicista abbastanza stupefacente, pieni di riferimenti che da un lato sono triti e ritriti per i classicisti, dall’altro sono fastidiosamente oscuri per chi il classico non l’ha fatto. Lapini, davvero, ancora il salsicciaio aristofanesco per screditare i propri interlocutori? Bettini, ma era necessario portare avanti la spiritosaggine dell’AMAedo per tutto l’articolo?
Per essere entrambi dei sostenitori accesi del classico, avete regalato al pubblico un’immagine più vicina al Manfurio di Giordano Bruno o allo studente parigino di Rabelais che a Poliziano o a Valla. Se tra i lettori c’era qualche genitore che pensava di iscrivere al classico, credo gli abbiate chiarito definitivamente le idee.
Lapini, lei prenda atto del fatto che c’è gente che a questo mondo non la pensa come lei, e non è un complotto. Si adatti anche all’idea che se la gente non iscrive i propri figli alla scuola che piace a lei, non è perché la civiltà sta franando. Il regresso delle materie classiche è secolare. Non lo arresterà lei con l’invettiva contro altri classicisti.
Bettini, lei eviti le cadute di stile del tirare in ballo le sconfitte altrui: del curriculum di Lapini ai lettori non importa nulla. Importerebbe piuttosto capire cosa, secondo l’AMA, potrebbe finalmente rendere efficace l’insegnamento delle lettere classiche, e io dal blog non sono stato in grado di capirlo.
La didattica delle lingue classiche è oggi un disastro, tanto che io, dopo anni di insegnamento al classico, sono stato felice di sbarazzarmene, e approdare ad altre più interessanti cattedre. Idee forti per cambiare questo stato di cose, ammesso che valga la pena dedicarcisi, non ne vedo da parte di nessuno. Anche la modifica della maturità non mi attrae molto: il problema non è a valle, ma nelle enormi storture didattiche a monte. Ma non mi sembra che di questo si parli granché.
Ecco, ora fate come volete, ricominciate pure.
La chiusa è oscena
Intervento – al di là del contenuto effettivo, sul quale si può sempre discutere – di cattivo gusto. In particolar modo, il paragrafo finale mi sembra un vero colpo basso. Giudicando dal tono d’insieme, sembra che a Bettini non interessi tanto, o soltanto, entrare nel merito della questione, quanto vendicarsi di Lapini: il che è un suo diritto, ma tant’è.
Non voglio entrare nella questione e nemmeno commentare il tenore delle argomentazioni (stimo ed apprezzo sia il lavoro del prof. Bettini sia quello del prof. Lapini). Vorrei solo puntualizzare una cosa, in merito all’intervento del prof. Bettini. Un lettore non al corrente potrebbe credere che il prof. Lapini zoppichi in greco e pubblichi libri dove dà libero corso a un gusto perverso per il turpiloquio. Ebbene, il libro di Lapini “Il culo non esiste solo per andare di corpo”, nonostante il titolo, è una raccolta di pezzi in greco e latino, alcuni assai lunghi, in cui Lapini imita lo stile di Omero, Sofocle, Lisia, Platone, Catullo, Orazio, Tibullo. Non proprio una cosa che sanno fare tutti.
“La pire des décadences n’ est point celle qui naît d’ un excès de raffinement dans une élite, mais de la vulgarité et de la méchanceté générales.”
(Martin du Garde)
Ho seguito con interesse la polemica, che , per la verità, non è nuova, ma da un po’ di tempo si ripresenta. Non mi permetto di stigmatizzare la durezza della replica , che però forse tradisce l’esasperazione. Vorrei invece condividere con chi legge alcune riflessioni.
Ho recentemente partecipato alla Summer school organizzata dal Centro AMA e non ho mai avuto l’impressione che si tendesse all’ eliminazione delle lingue classiche. Abbiamo lavorato con serietà su testi classici, senza perdere di vista la declinazione didattica, ben attenti a non banalizzare la ricchezza del patrimonio che ci sforziamo di proporre ai nostri studenti. Per me, come credo per i colleghi che ho incontrato, è stata un ‘occasione di confronto produttivo, rara , perchè sono davvero pochi i momenti in cui l’accademia incontra la scuola e con essa cerca strade che possano portare a valorizzare il patrimonio della classicità. Forse sarebbe ora di far parlare di più chi lavora nella scuola e, dopo la riforma Gelmini, si trova ad avere orari polverizzati , ormai è sempre più difficile la felice combinazione di poter lavorare nella stessa classe sulle due lingue classiche. Vorrei che il dibattito sul futuro del classico prendesse in esame anche il presente della situazione nei licei.
@Alessandra Tacchini: giustissimo, anzi sacrosanto.
Prime semplicissime cose che spesso le scuole potrebbero già fare, e non vedo mai nemmeno discusse:
a) eliminare lo iato tra biennio e triennio, con un professore di latino e greco che segua la classe per cinque anni. Già questo farebbe molto. Se ne parla mai? No.
b) Cambiare l’ordine degli argomenti. Per il greco, gli argomenti sono distribuiti nel quinquennio in maniera che definire stupida è pietoso. Due anni di grammatica attica, poi al terzo un salto nello ionico e, sant’Iddio, nella lingua omerica, per poi continuare al quarto anno coi lirici (dorico e eolico, tanto per rendere tutto più logico!). Solo allora si giunge a Platone, che proprio una passeggiata non è, a meno che non si legga giusto qualche passaggio narrativo o qualche mito, ma almeno è attico. Attico cui si arriva a dedicarsi compiutamente, con retorica e tragedia, solo al quinto anno, quando ormai la testa degli studenti è ben confusa.
Quanti professori di greco ho visto mettere in discussione questo ordine di cose? Quattro gatti, in mezzo ad una folla di gente che continua a trovare tutto questo naturale e a guardarti con aria stupefatta quando gli fa qualche ragionamento del genere.
c) Chi si è preso la briga di vedere come si insegnano le lingue straniere in generale e adattare quel che si sa tutto questo a delle lingue morte? Orberg e seguaci, e basta, ma in Italia trovano forti resistenze. Anche sul blog AMA ho visto liquidata la questione in tre righe, per ritornare al vecchio approccio ottocentesco che è quello che segue anche Bettini nella sua grammatica (il cui eserciziario, visto che parliamo fuori dai denti, era imbarazzante).
Dove stanno queste riflessioni? Dove stanno i cambiamenti? Possiamo fare tutti i discorsi antropologici che vogliamo, immaginare tutti i progetti didattici più sfiziosi, nei quali indossare toghe e coturni a profusione, ma se non partiamo da questi problemi terra terra l’insegnamento del latino e del greco li possiamo anche buttare a mare, tanto sono inutili. Ma l’insipienza dei classicisti che invece strologano di sommi valori formativi e di tradizione mi fanno dubitare assai che possa venire qualcosa di buono da tutto questo.
Rispondendo un attimo a Alessandra Tacchini, mi chiedo se si debba proprio alla riforma Gelmini l’ormai acquisita polverizzazione dell’insegnamento delle lingue classiche nel quinquennio, o non piuttosto alla sciagurata aziendalizzazione delle scuole, che induce i dirigenti scolastici (sempre meno all’altezza delle necessità culturali inerenti al loro ruolo) ad un costante abbassamento dell’asticella degli obiettivi formativi e alla disperata ricerca di evitare in ogni modo la dispersione del patrimonio-utenza, molto spesso vitale per il mantenimento della loro titolarità d’Istituto. Affidare le cinque materie letterarie del ginnasio a tre, talora quattro docenti diversi è di grande “aiuto” in questo senso, perché depotenzia l’urto di una didattica più coesa e isola quei matti, ove ce ne fossero, che osassero continuare a insegnare con le metodiche e le aspettative dell’ancien régime. La collega saprà che, nel primo anno del liceo classico, ormai è normale svolgere un programma di greco che comprende le tre declinazioni, gli aggettivi di 1 classe, il presente attivo e mp senza congiuntivo e ottativo (la prop. finale si fa in 2°), più un accenno a qualche pronome. Ancora alla fine degli anni ’80 io insegnavo senza difficoltà, in quarta ginnasio, tutto il futuro e tutto l’aoristo. Poi ho preso a insegnare al triennio, dove vedo che gli studenti arrivano, di solito, in condizioni di semianalfabetismo, per quanto riguarda la conoscenza della morfologia del greco. Questi sono i problemi su cui discutere. Ovvio che, in questo modo, alla fine del triennio liceale gli studenti non sono assolutamente in grado di tradurre da soli un testo del tipo di quelli che il Ministero, nella sua svagatezza e disinformazione, assegna. Per mantenere – cosa sacrosanta – la prova di traduzione dal greco e dal latino all’esame, occorre modificare radicalmente le metodiche della didattica delle lingue classiche nel biennio.
La settimana scorsa, Walter Lapini ha pubblicato un articolo in aperto scontro con il centro di Antropologia e Mondo Antico di Siena. Io di certo sono solo una studentessa che ha avuto il privilegio di studiarci, per cui so che conto meno di 0, tuttavia vorrei condividere il mio pensiero, perché, in fondo, Lapini ha attaccato anche me.
Prima di tutto, vorrei dire che questo articolo rappresenta solo l’ultimo dei ripetuti e sgradevoli attacchi che Lapini ha rivolto direttamente o indirettamente al Prof. Maurizio Bettini, e ad altri docenti del centro e a tutti coloro che partecipano alle loro iniziative. Il problema è che chi legge non si prende mai la briga di documentarsi (sarebbe questo il giusto atteggiamento filologico, informarsi e poi, eventualmente, esprimere la propria opinione, o sbaglio?).
Per farsi un’idea di quanto siano produttivi i professori che lavorao al centro AMA, basta farsi un giro nel sito, sia quello istituzionale dell’Università di Siena, sia il blog dedicato alla Summer School (un evento che raccoglie decine di insegnanti alla fine di agosto, quando tecnicamente sarebbero in ferie…). Oggi il prof. Bettini ha risposto in modo ironico e acuto, ma le sue parole, come capita a volte, vengono un po’ fraintese o piegate rispetto a quanto si voglia capire. Io leggo semplicemente di una persona che, stanca di essere regolarmente insultata per qualcosa che non ha mai detto né pensato ( = tradurre è inutile, annulliamo la traduzione), e stanca di ripetere quali siano le sue reali posizioni, rende conto – con gli stessi mezzi ( = sullo stesso blog sul web, non, per dire, su Repubblica) – delle autentiche ragioni della sterile polemica: è che essere sbugiardati urbi et orbi fa male, e chi lo fa passa per ‘cattivo’, ma era anche ora di mettere un punto, o no?
Spiace leggere di colleghi che non colgono l’acume, la sottigliezza, la cultura e l’innegabile punta finale di verità che questa risposta contiene.
Ho letto di persone che, nella dichiarazione “nessuno ci chiederebbe di fare tutto ciò”, vedono un voler fare “beneficenza”: niente di più ingiusto! Chi ha percorso quei corridoi, e visto nella realtà concreta come questi uomini e queste donne lavorano, senza che ci sia un tornaconto personale, ma solo per amore e dedizione verso i loro studi (e, sotto sotto, credo, un certo amor patrio e democratico) in anni e in un Paese in cui questa non è la normalità, lui solo può davvero giudicare. Chiamarla “beneficenza” riduce tutto ad una triste banalità che contraddice ogni sforzo profuso dalle professoresse e dai professori del Centro AMA, e soprattutto offende profondamente me, e – credo – tutti i giovani che in quel posto hanno studiato e imparato, e che desidererebbero contribuire.
Molti dicono che Bettini, in questa sede, non si sia concentrato sul nocciolo della questione (ma sarà almeno la decima volta che gli è richiesto – inutilmente – di chiarire la sua posizione!): la seconda prova di maturità. L’ho già scritto, e mi ripeterò: lo scopo dell’attuale prova è tradurre un testo senza errori grammaticali, ma ciò non implica una vera comprensione: è semmai nel commento (che a me era richiesto, dopo la versione nei compiti in classe, e quella era la parte difficile… la versione potevo averla “confrontata” con i miei compagni, ma è solo dal commento che la professoressa capiva se io avevo “capito” davvero) che si dimostra quanto di quella cultura ci è rimasto, e se un aoristo si sbaglia non è la fine del mondo (si toglie un voto e si va avanti!). La traduzione deve essere il mezzo, non il fine: non si traduce per comprendere la consecutio temporum, si conosce quest’ultima per tradurre un testo e, in ultima analisi, capire ciò che si legge.
Confermerei poi l’argomento di Alessandra Tacchini rivolgendo la seguente domanda: quale altro ateneo italiano dedica alla didattica delle lingue classiche la stessa attenzione del centro AMA?
A Debora
L’argomentazione in questione non è “nobile” né “non nobile”, per la stessa ragione per la quale non è né profumata né non profumata, né in fa maggiore né non in fa maggiore. Le argomentazioni sono valide o non valide, conclusive o non conclusive. Io ho sostenuto che essa a) non è conclusiva (dalla possibilità di scaricare una versione da internet *non* si inferisce validamente che la versione non debba essere assegnata come prova); inoltre ho accennato anche al fatto che b) pure dal lato dei contenuti l’argomentazione non è accettabile, perché si fonda su premesse che esprimono una concezione della scuola e del suo governo che non condivido.
Ho poi scritto – e lo ripeto – che la parte didattica dell’argomentazione è almeno discutibile, anche se mi pare abbia ragione chi, come Lapini, insiste sul ruolo fondamentale della traduzione.
Sui passaggi poco nobili nell’articolo del prof. Bettini, ai quali anche altri hanno accennato, direi che sarebbe meglio non insistere; abbiamo tutti cose più importanti (si spera!) di cui occuparci, e poi si sa, anche Omero di tanto in tanto dormicchia.
La vicenda di Weimar è ancora lì, nella memoria storica, a testimoniare i disastri che provoca la delegittimazione dell’avversario. Ma non è questo il caso, perché la Repubblica (nel nostro caso, la res publica = la didattica) sulla quale si scontrano le ragioni del contendere è così traballante di per sé, che la vivacità della contrapposizione può solo tenerla ancora un po’ in vita.
Quindi, ben vengano gli scontri – di opinione e senza colpi troppo bassi – perché ci obbligano a non cambiare canale e interrogarci sul futuro delle lingue classiche. Venti anni fa, con i Prof. Danese, Questa e Canfora cominciammo a discutere di questi argomenti a Senigallia, in un Forum che si tenne per cinque anni di seguito.
Walter Lapini nel suo articolo
1. mette in evidenza i rischi di un abbassamento del livello di preparazione nelle lingue classiche che si nasconderebbero dietro progetti di riforma delle prove di maturità (proposti in numerosi convegni organizzati fra l’altro dal Centro AMA di Siena), ove la traduzione – e quindi la comprensione di un testo attraverso la lingua – passasse in secondo piano rispetto ad un altro genere di comprensione, favorita da contestualizzazioni, domande e paratesti, dove la conoscenza della lingua non sarebbe più né centrale, né indispensabile, né verificabile;
2. spiega come un certo genere di riforma dell’esame di maturità classica vada secondo lui nel solco di un progetto generale di riforma del liceo classico, oggi in discussione, che mira a depotenziare lo studio di latino e greco in favore della lettura dei testi in traduzione, individuando nella difficoltà delle lingue antiche la causa del calo delle iscrizioni a vantaggio di altri indirizzi;
3. calo che Lapini imputa invece a un clima culturale complessivo, da anni avverso a un certo tipo di studio, considerato improduttivo, quasi uno svago inutile rispetto alle cogenti necessità dei tempi, la cui miopia andrebbe a suo avviso combattuta proprio per salvaguardare capacità critica, flessibilità mentale e allargamento degli orizzonti culturali che questo indirizzo di studi, di cui latino e greco costituiscono l’asse portante, ha da sempre garantito.
Maurizio Bettini risponde
1. confezionando uno spot sull’attività del Centro AMA di Siena, cui evidentemente appartiene e con cui si identifica parlando in prima persona;
2. irridendo Lapini per aver pubblicato sotto pseudonimo il libro “Il culo non esiste soltanto per andare di corpo”, con vari ammiccamenti sulla particolarità del titolo (riportato peraltro in maniera errata – “serve” invece di “esiste” – e involgarito così nel valore ontologico ed estetico del suo oggetto, ridotto alla dimensione di ben più triti e inconfessabili utilizzi), ma senza neppure un motto sul fatto che si tratta di una satira di costume, scritta in latino e in greco ad imitazione dello stile di autori classici, che può piacere o non piacere, ma che presuppone conoscenza e capacità di cui è difficile trovare o immaginare un analogo, all’interno o fuori del mondo accademico;
3. ribadendo la posizione dell’AMA (e quindi la sua) riguardo alla riforma criticata da Lapini, trattato quasi come un monomaniaco, senza però rispondere minimamente nel merito ai suoi dubbi sui rischi che ne deriverebbero;
4. raccontando di essere stato membro interno nella commissione di un concorso per ricercatore in Filologia classica, dove Lapini non vinse perché altri era stato giudicato un traduttore migliore, e lasciando così che i rilievi di Lapini appaiano come una sorta di ritorsione livorosa per lo smacco subito a suo tempo.
Ora, a parte la considerazione che lo stile non dipende dalle scelte lessicali, e che a volte nella rappresentazione letteraria di un culo può esserci più classe che nel ricordo immaginifico di un concorso accademico, il merito della questione sollevata da Lapini è completamente assente nella risposta di Bettini. Nessuno è obbligato a esser d’accordo con nessuno, ed è lecito che si creino scontri, anche aspri. Tuttavia dagli studiosi, che dovrebbero essere la coscienza critica del paese, ci si aspetterebbe almeno una capacità di analisi e uno sforzo argomentativo che non si riducessero alla denigrazione personale dell’avversario o ad altri mezzucci degni di un talk show di quart’ordine. Ma visto l’odierno scadimento del livello intellettuale, forse, è chiedere troppo.
Sara Bonechi: splendida risposta. Tanto più che – come ho già accennato in altro intervento – più che gli scripta talora sono rivelatori i verba, e al convegno al Politecnico di Milano “Il futuro del classico” ho sentito con le mie orecchie Bettini fare affermazioni sproporzionate e terroristiche sul carattere punitivo della semplice traduzione dal greco. Ora, rinunciare a far tradurre dal greco è un passo indietro rispetto alla conoscenza della lingua. Punto. Non si discute. Quel che Bettini e i suoi collaboratori propongono è un cavallo di Troia che inevitabilmente porterà, in seguito, alla semi-sparizione della didattica del greco nel liceo classico: quali docenti continueranno, e a che titolo, a far studiare la severa sintassi greca, se tanto all’esame non ne è più richiesta la conoscenza? Aggiungo che Bettini contempla l’AMA come si potrebbe contemplare il proprio ombelico: il centro del mondo. Cosa che proprio non è. O meglio: lo ha fatto diventare tale la compiacenza del Ministero, che anche per affinità ideologiche lo coltiva e lo coccola facendone il suo interlocutore privilegiato. E’ certo che nell’esame di Stato 2017 o 2018, se il governo Renzi sarà ancora in piedi, verranno apportate alla seconda prova le modifiche proposte dall’AMA. E non sarà una cosa bella, anche perché non saranno state ascoltate con sufficiente serietà e umiltà le idee degli altri (Lapini in testa). Da cosa lo deduco? Dalla sprezzante risposta data a Lapini dall’AMAdux, segno certo che si sente difeso, protetto e sostenuto in alto loco.
“On things that are of higher quality and more demanding – those which are outside the scope of his sensitivity – he [he liberal-democratic citizen] willingly imposes limits and restraints. He will argue that they are excessively elitist and anachronistic (vulgarity is never treated by him as an anachronism but always as a harbinger of a new and better world), politically incorrect, impractical, etc. It is easier in today’s school curricula to introduce online shopping than to teach Latin; the former seems appealing to both students and teachers by its irresistible usefulness, the latter will necessarily turn them off with its overt impracticality. It is easier to introduce classes on how to use condoms than to restore the mandatory reading of the Romantic dramas; the former is believed to bring schoolchildren right into the heart of contemporary problems, the latter will, as it is claimed, separate them from the real world and condemn them to an inhuman boredom.”
[…]
“The new barbarians of liberal democracy, on the other hand, were the products of the West which at a certain stage of its history turned against its own culture; the respect for its achievements was gone, being replaced by contempt, and the rules of civility and propriety derided. To put it simply, the vulgarity of the communist system was pre-cultural while that of liberal democracy is post-cultural.”
Ryszard Legutko, “The Demon in Democracy”, Encounter Books 2016
Ho letto entrambi gli articoli, di Lapini e Bettini, su un argomento serio e di attualità come l’insegnamento delle materie classiche nella scuola (io preferirei parlare di insegnamento delle lingue classiche, in quanto di insegnare la lingua, latino e greco, e non latino o greco, si tratta!).
Capisco che un argomento del genere susciti in tutti noi, bene o male studiosi di retroguardia, una partigianeria al di sopra delle righe, per non dire della civile convivenza delle opinioni.
Che senso ha sbeffeggiare con nomignoli, per altro sempliciotti, o riferimenti a miserie accademiche come lontani corcorsi non vinti (quanti validi candidati non vincono i concorsoni !?) chi non la pensa allo stesso modo?
Sembra di essere tornati alla libellistica di Paul-Louis Courier, pamphlétaire, lui sì davvero sublime, contro il povero Francesco Del Furia, che oltre ad aver dovuto studiare, tratto fuori a forza dalle macchie del Casentino, greco, latino ed ebraico, per poter accedere alla Prefettura della Medicea Laurenziana, si trovò di fronte un arrogante, pur genialoide, ufficiale francese, che pensò bene di non far più leggere ad altri l’incipit del manoscritto di Longo, macchiandolo in modo irreparabile e per di più definendo bove, se non asino, il povero allievo del Bandini!
E tra gli argomenti che l’ufficiale-filologo adoperò contro il bibliotecario, per segnalarne l’incompetenza (aveva tenuto per anni in mano il codice senza accorgersi della sua unicità …) uno fu quello di metterne in ridicolo gli occhi, accostandoli a quelli di un bove, alludendo alla pia stupidità che a questo nobile animale anche gli uomini che se ne nutrono sono soliti rivolgersi.
Concludendo: si potrebbe avere un dibattito più consono all’importanza del contendere, e lasciare da parte gli aedi (senza i quali tra l’altro la nostra corporazione non esisterebbe), o quella verità che vivaddio non sta mai da una sola parte, così come le ossessioni ?
Visto che si fa un gran parlare di “bon ton” ed eleganza dell’argomentazione, di obiettività e alto senso del dovere, beh credo sia giusto allora per uno scrupolo ‘filologico’, è proprio il caso di dirlo, ricordare che prima dei due articoli apparsi qui ce n’è stato un’altro di uno dei due contendenti in cui l’eleganza è stata abbondemente superata dall’astio con tanto di chiusa finale, pensate un po’ anche in questo caso assai velenosa e poco degna dell’importanza del contendere…
a voi scoprire di chi si tratta: http://www.roars.it/online/isocrate-2016-e-la-grande-bellezza/
Saluti
Marco chi … ? Ma non sarebbe meglio indicare anche il proprio cognome, almeno in tali discussioni che si presuppone tra amici ? Ho letto lo Urtext ma non ci ho trovato niente di scandaloso, o tale da giustificare la scomposta piega dei commenti. Rosario Pintaudi
Solo per dire (agli eventuali interessati) che la replica da me annunciata il 24.09.16 uscirà cartaceamente entro ottobre su «Critica Liberale» 229 (autunno 2016). Seguirà a ruota la versione online. Il testo è stato inviato a «Critica Liberale» in data 03.10.16.
La replica di cui al precedente commento è uscita sul fascicolo cartaceo di «Critica Liberale» nr. 229, pp. 175-176 (www.criticaliberale.it), il giorno 7 novembre 2016 (il termine di ottobre non è stato rispettato per motivi indipendenti dalla volontà della rivista). Comunque dal giorno 8 novembre l’articolo è disponibile anche on line col titolo «Il facilismo malattia infantile» sulla rubrica «Arte e cultura» di «Economia Italiana» (http://economiaitaliana.it), periodico per nulla estraneo agli argomenti di cui trattiamo. Il mio testo non è mutato rispetto alla data di consegna (03.10.16), né c’era ragione che mutasse. Appena due le cose da annotare sul ‘diario’ di questi ultimi 30-40 giorni: (1) in data 29.09.16 il presidente dell’Associazione Italiana di Cultura Classica Mario Capasso invia una circolare ai suoi iscritti sulla questione-maturità (e altro). La circolare non incontra il gradimento di M. Bettini che minaccia il ricorso alle solite «sedi opportune» (non so poi cosa ne sia stato; penso niente); (2) in data 16.10.16 Luca Ricolfi in un articolo sul «Sole» ricorda che nel convegno milanese del 28-29 aprile u.s. l’ex ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer aveva proposto di abolire la versione dal latino o dal greco alla maturità. Nello stesso giorno un editoriale sulla pagina FB dell’AMA di Siena dichiara «falsa» la constatazione e invita garbatamente Ricolfi a informarsi («si informi, direbbe Totò, Luca Ricolfi, si informi»). Invece è vera; e anche le parole sono più o meno quelle che dice Ricolfi, come ha fatto notare la «Task Force per il Classico». Chi sia interessato può verificare su https://www.youtube.com/watch?v=HGIRurjmkks ai minuti da 1.53.59 a 1.54.50.
Grazie al prof. Lapini.
Ci risiamo, purtroppo, ma diciamo che ci stiamo abituando e riusciamo a sopportare con leggerezza (il plurale si riferisce all’Associazione AMA, di cui sono il Segretario). Quando il prof. Lapini, l’AICC, il prof. Ricolfi, la task force per la difesa del Liceo Classico ecc. troveranno un documento AMA o una proposta AMA che fa propria la frase esortativa (di questo si trattava) del Prof. Luigi Berlinguer al convegno di Milano, o quando troveranno nello Statuto dell’Associazione AMA o del Centro AMA una frase del tipo: siamo il prof. Luigi Berlinguer e siamo anche la sue parole, allora ci arrenderemo alla task force e alle falsità, inesattezze, deformazioni (si preferisca fra le parole indicate o si aggiunga quella che si vuole) che vengono diffuse a proposito della proposta del centro AMA (non le critiche argomentate, naturalmente, ma la deformazione di quella proposta). Fino ad allora saremo costretti a ripetere la domanda: l’appello della task force firmato per ultimo dal prof. Ricolfi è contro la proposta del Centro AMA o contro una frase esortativa del Prof. Luigi Berlinguer, mai diventata mozione conclusiva del convegno, posizione ufficiale di qualche associazione, istanza rivolta al Ministro ecc ecc.?