cropped-CAMPORESI.jpga cura di Massimo Gezzi

[Dopo molti mesi di pausa, riprende la rubrica dei Nuovi poeti nati negli anni Ottanta e Novanta. Oggi presento sei testi di Marco Corsi, nato nel 1985 in provincia di Arezzo e già ricercatore all’Università di Firenze. Corsi ha pubblicato, oltre a diverse plaquettes, L’inverno del geco (Gazebo 2010) e Da un uomo a un altro uomo (in Poesia contemporanea. Dodicesimo quaderno italiano, Marcos y Marcos 2015). Nel 2015 ha vinto il premio Cetonaverde poesia. Delle sei poesie che seguono, le prime due sono inedite]. 

XII.

sbatte un po’ l’occhio come l’onda
contro il verde, l’ocra, l’azzurro…
siamo stati l’annuncio del santo,
soggetti sestanti, l’ombra di marco polo
lungo la via della seta, ma ora
più doloroso è l’attributo che s’appoggia
sul muro scistoso del vento
indorato a più livelli, come quel giorno
dei primi nomi complementari.

*

quale posizione mantiene il cielo
dentro le case? quale forma di te
traspare sopra la commode
di legno scuro, nero, striato?
dentro queste vene che ora diventano
più grosse, diventano
più dure delle ossa
dentro queste vene ci sono agitazioni
di massa, rivoluzioni copernicane,
le bombe, le riserve indiane
le nostre docili stelle ignare.

*

non per questo porteremo godimento
e non per questo avremo sentimenti
simili in tutto alle mummie di tollund
addormentate nella loro espressione
sopra un tenero strato di muschio
più o meno dall’età del ferro
quando qualcuno rimase digiuno
la notte precedente
per diventare un fatto di cenere.

*

lavorare traduce all’infinito un motivo
il prodotto interno capitale,
la somma dei nostri destini
desiderando in sé l’evoluzione.
e se tu davvero fossi zebra
o bestia da soma, licantropo
notturno, amico mio, fratello
della specie, lo so, ne dubito,
osserveresti tutti i turbamenti
chiamati ad essere rigore
un mattino di quasi marzo
tra bulbi e poche fioriture.

*

da qualcosa che sembra la neve

lavoriamo per giorni sopra le parole; da giorni lavoriamo silenziosi intorno al nero. componiamo saggiamente le immagini; disegniamo immagini nere e silenziose. lavoriamo di silenzio e di nero. un nero che sembra la notte. la notte di tutti i bambini neri e di noi dentro come una prigione: ossessiva prigione di parole. intanto, fuori da questo mattino, fuori dalle dita e dalla gola, lievemente, nei giorni di lavoro e di parole, la neve, da sola, trascolora.

*

oggetto delle tue perlustrazioni
tutto si allontana, diminuisce,
perde valore.
ora come sempre
il cielo concede a tratti l’azzurro
illimpidisce, arriva dentro le cose:
per quanto possiamo reggere
di fronte all’evidenza
per quanta ingenuità si dilati
nello spettro discreto dei colori,
le tue mani sono ancora nere
non c’è più nessuna remissione
abbiamo un freddo lungo di anni
e di anni una debole stagione.

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[Immagine: Silvia Camporesi, Il bosco bianco (gm)].

5 thoughts on “Nuovi poeti /17: Marco Corsi

  1. La delicatezza e compattezza del dettato, già evidente nei testi pubblicati due anni fa nel XII Quaderno, mi appare qui ancor più rafforzata. Maggiormente nutrita, come avrebbe scritto Raboni, di “quieta disperazione”. Bravo Marco.

  2. belle, con una loro classicità leggera, filone leopardiano.

    Gentile Massimo Gezzi,
    posso farle la domanda fatale: come si fa a mandarle delle poesie ?

  3. Belle.
    Ci leggo dentro l’uomo spiazzato da una dimensione dello spazio, del tempo e della storia che fa irruzione nel suo corpo e si libera in una presa di coscienza come una reazione, riconducendolo a una appartenenza ancestrale alla specie homo, più che a un “io” in grado di sostenerla (non c’è infatti la prima persona tanto caratterizzante la poesia lirica; c’è il “noi” o il “tu”). “Fratello della specie” ha lo stesso smarrimento della “parola tremante nella notte” dell’ “uomo presente alla sua fragilità” di Ungaretti.

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