di Massimo Fusillo
Ho frequentato il liceo classico, ho studiato Lettere classiche alla Scuola Normale di Pisa, e per una prima breve parte della mia carriera accademica e scientifica sono anche stato un classicista, per poi passare alle letterature comparate. Tutta questa reboante campagna in difesa del liceo classico però non mi convince: vi ritrovo i difetti peggiori della nostra cultura, la retorica dell’eccellenza italiana, l’esaltazione acritica di tutto ciò che è antico e originario come automaticamente superiore, il rifiuto caparbio di ogni cambiamento. Finora non sono intervenuto, mi sono limitato solo a declinare l’invito a sottoscrivere un appello un po’ bizzarro perché il liceo classico fosse riconosciuto bene immateriale dell’umanità. Ma dopo aver letto l’intervento insopportabilmente enfatico di Nicola Gardini sul Supplemento domenicale del Sole 24 Ore mi sento in dovere di dire qualcosa.
Gardini scrive che chi esce dal liceo classico «sa parlare, sa scrivere, sa pensare, ma soprattutto sa interpretare, mettere in rapporto, relativizzare, confrontare, distinguere, riconoscere il duraturo e l’effimero, dare un nome a fatti diversi, capire la libertà, la bellezza, la varietà e la concordia». Caspita!! Se veramente fosse così, dovremmo chiedere al governo di renderlo obbligatorio per tutti, e allora potremmo vivere nel migliore dei mondi possibili. Queste osservazioni sono un po’ offensive verso chi non ha fatto il classico (e fra di loro conosco ottimi intellettuali e studiosi), e soprattutto molto sganciate dalla realtà (nella mia esperienza didattica all’Università non ho mai trovato grandi differenze fra gli studenti provenienti dal classico e quelli provenienti dallo scientifico, ad esempio). Sono d’accordo che la traduzione sia un esercizio mentale di straordinario valore formativo, che educa alla ricerca scientifica, come sostiene il fisico Guido Tonelli nello stesso numero del Domenicale; ma questo vale per ogni traduzione da lingue complesse; varrebbe anche per il tedesco, l’arabo, il cinese.
Certo, da noi si è deciso di far studiare il greco e il latino perché sarebbero le nostre radici, e non propongo certo di smantellare tutto ciò: penso però che vada ripensato radicalmente, senza esaltazioni acritiche. Ricorderei innanzitutto che un latinista e antropologo di grande intelligenza come Maurizio Bettini ci ha mostrato, in Contro le radici, quanto questo concetto sia pericoloso (e basta guardarsi un po’ intorno…), così come ha fatto capire in alcuni articoli su Repubblica quanto la versione della maturità sia una prova priva di senso, perché propone brani sganciati dal contesto culturale che li ha prodotti. Un liceo in cui si passa molto tempo a studiare la grammatica, gli aoristi e le perifrastiche, senza capire molto della cultura che vi è dietro, non esalta la memoria del classico, la uccide. I licei italiani, non solo il classico, sono frutto di una cultura terribilmente logocentrica: per statuto si passano mesi su Foscolo, pochi minuti su Caravaggio, e nulla su Mozart o Verdi, su Orson Welles o su Rossellini (eppure la pittura, il melodramma e il cinema sono i tre campi per cui la cultura italiana è più famosa all’estero). Nel nostro mondo intermediale tutto questo ha poco senso. E in effetti le cose sono già cambiate: sono stato invitato spesso in vari licei classici d’Italia a parlare dei rapporti fra la tragedia greca e il cinema, e ho constatato di persona come tanti insegnanti bravissimi pratichino già un diverso modello di liceo classico, in cui si mostra agli studenti come i miti antichi si siano irradiati in tutte le arti e in tutte le epoche. Gardini ha una scarsissima esperienza degli studenti italiani: non sa che anche quelli che vengono dal classico oggi capiscono pochissimo il greco e il latino, e praticamente iniziano da zero se scelgono lettere classiche (come è sempre successo in America, che ha prodotto comunque bravissimi classicisti).
Le proposte di legge non fanno che prendere atto di una situazione che già esiste e che non è detto sia così negativa. Tradurre Shakespeare è formativo quanto tradurre Virgilio: secondo me è giusto far esercitare le capacità linguistiche e traduttive sulle lingue moderne, soprattutto sull’inglese, una lingua che oggi non si può non conoscere (purtroppo su questo gli studenti italiani sono molto indietro rispetto ai loro colleghi europei), e su un’altra lingua europea a scelta (magari non per forza europea: se avessi un figlio gli suggerirei di studiare il cinese…). A questo si può affiancare uno studio della cultura antica (in traduzione, perché no? Non leggiamo forse così Dostoevskij, che non è secondo a nessuno?), mostrando come si sia propagata nell’arte, nella musica, nel cinema, nei videogames, nei teatri di tutto il mondo. Questo è per me un modello di liceo classico che potrebbe avere successo. Forse è meglio essere meno apocalittici e meno vittimisti: e cercare di capire invece come tutto il sapere umanistico (non solo quello classico) possa dialogare con un mondo contemporaneo sempre più polimorfico.
[Immagine: Giulio Paolini, L’altra figura (gm].
A parte la lingua europea, sono globalmente d’accordo. Senza esagerare, tuttavia, la conoscenza logocentrica la si può avere solo a scuola, l’intermedialità ci aspetta nel ben più vasto e cronologicamente lungo mondo di fuori. Ho ascoltato tante opere, visto tanti film, letto tanti libri in inglese da solo e con grande piacere; dubito mi sarei messo a tradurre Cicerone per un paio d’ore. E credo che ora rimpiangerei di non averlo potuto fare.
Ottimo intervento, concordo su tutto.
Tutti ottimi discorsi caro Massimo (mi permetto di darti del tu in ricordo della tua parentesi messinese di molti anni fa), però il problema di fondo rimane, ed è quello dell’insegnamento delle lingue, classiche o moderne che siano. Se non si insegnano con “sacrificio” degli studenti e prima ancora dei docenti è del tutto inutile fare discorsi sulle letterature o le società che tali letterature hanno prodotto.
Certo dai nostri licei classici anche noi, vecchi d’età ma freschi di ricordi, non si usciva sapendo tradurre Tucidide od Orazio così a prima vista (a parte eccezioni che in molti casi non hanno seguito studi classici all’università); ma almeno le basi linguistiche ci erano state date o presentate in quei mesi di studio della grammatica e sintassi greca e latina al ginnasio. Mesi di studio che potevano produrre conoscenze vere o semplice informazione: ma conoscenza ed informazione ci erano permesse !
Tu parli di conoscenza della cultura antica attraverso le traduzioni e citi un autore russo tra i sommi, che quasi tutti abbiamo letto proprio in traduzione, senza intenderne neppure la scrittura. Hai ragione: anche io per rapidità e pigrizia mi leggo la Guerra dei Goti tradotta da Comparetti (ben più avanti di noi in queste discussioni), ma se voglio controllarne il testo dato dal traduttore, spesso traditore, ne ho la possibilità.
Quindi perché, se esiste ancora in Italia una scuola che ci permette (con tutti i difetti che gli riconosciamo, attribuendogliene anche altri che non ha) di leggere Virgilio od Omero in traduzione consapevole, non poterziarla tale scuola, anziché demolirla con le discussioni capziose e financo velenose nelle quali siamo coinvolti nostro malgrado! Con un saluto affettuoso Rosario
Veramente d’accordo. Sull’utilità, anzi insostituibilità dello studio delle lingue antiche, si dicono un sacco di stupidaggini, che vengono ripetute a pappagallo almeno dall’epoca delle discussioni sulla riforma della scuola media (1960). Questo scimmiottamento basta a dimostrare la falsità della tesi che chi esce dal liceo classico “sa pensare, ma soprattutto sa interpretare, mettere in rapporto, relativizzare, confrontare”. Su effetti come “capire la libertà, la bellezza, la varietà e la concordia” (argomentazioni più nuove), basi pensare ai tanti politici che sono stati ai vertici tra gli anni ’50 e ’90 e ai molti terroristi di sinistra e di destra che avevano fatto il leceo classico. Potrei apportare come acqua al mulino di chi pensa che lo studio del latino e del greco non abbiano nessuna part5icolare virtù pedagogica, la qualità dei ricercatori che escono dalle università inglesi, statunitensi e canadesi. Solo una piccolissima minoranza di loro ha studiato greco e latino a scuola.
Ma hanno avuto una scuola meno logocentrica, hanno approfondito, a scelta, chi la storia dell’arte, chi la pratica dell’arte, chi la storia del cinema, chi la pratica del cinema, chi l’uso dei computer, chi la costruzione di computer e la programmazione. Non hanno imparato un’enciclopedia dei filosofi, come quells che si studia da noi sotto il nome di filosofia, ma hanno imparato a imitare, riprodurre e infine a fare in modo originale dei ragionamenti filosofici, o a praticare questo metodo e questa capacità nelle altre materie. Infatti la nostra scuola non ha solo il difetto di essere logocentrica, come dice Fusillo, bensì anche quello di avere un’impostazione enciclopedica e una limitazione di materie che andava bene in un’epoca in cui l’élite pensava che poche materie fossero veramente serie, in cui pensava che esse fossero utili a selezionare i più intelligenti e laboriosi dagli altri (era intenzione esplicita di Gentile, funzionale peraltro alla creazione di una classe dirigente), e faceva parte della tradizione che si era imposta nei sistemi scolastici di tutta europa.
Gli effetti dell’enciclopedismo li si vede tutti giorni, quando si chiacchiera con persone che hanno fatto gli stessi studi e, se successivamente hanno studiato lettere, architettura o ingegneria, non conoscono più la differenza tra un grasso e una proteina e hanno concezioni dietetiche assurde; oppure il fatto che chi ha studiato materie umanistiche, spessissimo, “lui di matematica non ha mai capito niente”. Mentre tutti coloro che non hanno studiato storia all’università non ne sanno più niente dopo qualche anno.
Quest sono mie critiche, che l’articolo di Fusisllo mi dà l’occasione di esprimere. Per tornare al suo articolo, concordo pienamente anche sul fatto che l’esercizio della traduzione sia interessante allenamento a risolvere problemi per esprimere il proprio pensiero – ma perchè, come Fusillo dice, avrebbe un tale effetto solo se fatto su testi greci e latini? L’importante sarebbe studiare a lungo e apporofonditamente una o due lingue, antiche o moderne, esotiche o anche vicine – persino il francese sarebbe adatto a questo scopo – altrettanto a lungo e approfonditamente come si studia il latino. E insegnare a insegnare agli insegnanti: dei metodi perché insegnino agli studenti ad esprimersi, oralmente e per scritto. Tutti gli insegnanti, in tutte le materie, non solo quelli di italiano.
Bella l’idea di una scuola superiore che insegni anche cinema, arte figurativa, musica, cinese e altro ancora: ma basteranno ventiquattr’ore al giorno per tutte queste cose, calcolando che comunque italiano, matematica, fisica, scienze, storia, filosofia eccetera bisognerà pur continuare a farle? Forse c’è troppa fiducia nella scuola, quasi che tutto quello che conta nella vita – anche da un punto di vista puramente culturale – lo si imparasse davvero nelle aule e non da soli in un cammino autonomo. Meglio allora una scuola che cerchi di insegnare bene – poi non sempre ci si riesce, è vero – non mille ma tre o quattro cose. Non vanno bene il greco e il latino? Certo, si può insegnare al loro posto anche il turco e il giapponese, volendo: grandi culture anche quelle, no?
Io mi domando, sulla scorta di Fusillo, perché non insegnare anche l’alta cucina. Voglio dire, cosa c’è di più contemporaneo, di più attuale, del rombo in crosta di quinoa su letto di rabarbaro e funghi, oggi che i maître à penser sono Cracco e Barbieri?
Quindi, via il greco e il latino, ma via anche l’inglese, ché tanto quella ciofeca indegna persino del TOEFL non serve a nulla se non a fare finta di capire i testi dei OneRepublic; introduciamo il cinema, l’impiattamento, il banjo tricorde, il Kali Yuga, facciamo spazio alle mille materie della scuola post-gentiliana! Che cento licei psicologico-coreutici-percorso Brocca sboccino!
Trovo molto interessanti le argomentazioni del professore e condivisibili in più punti.,ad es. Quando auspica lo studio della cultura classica attraverso testi tradotti ecc.Trovo molto suggestiva l’indicazione di focalizzare lo studio su come miti greci e la produzione culturale classica si siano irradiati nel corso dei secoli e ancora oggi sia in grado di dialogare con il polimorfo mondo contemporaneo.Se il professore potesse suggerire degli.scritti in tal senso sarei interessata ad approfondire.g
il mio commento è :boh
esiste il liceo linguistico infatti .
Concordo pienamente. Addirittura il titolo potrebbe/dovrebbe essere: Perché non difendo la scuola (così com’è). Fungendo, appunto, il liceo classico da emblema o coronamento di questa scuola tutta (fin dalla primaria, fin dall’infanzia).
Così ho rilanciato l’articolo su Facebook
Ma si. Lasciamo perdere i licei, le medie ( già malconce ) e anche la scuola elementare che in fondo ci insegna solo a leggere, scrivere e far di conto e impariamo da soli quello che ci piace, dove quando e quanto vogliamo senza alcuno che ci obblighi a studiare le nostre memorie. Andiamo per il mondo inventiamoci un nostro percorso tanto tutto fa cultura. Se poi dovessimo tornare in Italia che non riconosceremo più ci domanderemmo a che serve quel mastodonte malandato che chiamano Colosseo. Forse lo demoliremmo per costruire, avendone le competenze, il parcheggio più grande del mondo
Sebastiano Timpanaro (e Marx) la pensavano molto diversamente. Ecco in proposito un mio intervento sul Manifesto di ieri (2 ottobre):
Come difendere il liceo classico dai suoi nemici
di Tiziana Drago
«Tutte le volte che negli studi di antichità si fanno sentire esigenze di rinnovamento, tanto più è necessario, se non si vuole costruire sulla sabbia, mantenere l’esercizio del “mestiere”». D’altra parte, «senza il possesso della deprecata “tecnica” l’interesse storico rimane velleitario». Così un filologo materialista e ‘leopardiano’ come Sebastiano Timpanaro prendeva posizione, negli anni ’70, contro l’eclettica disponibilità con cui la filologia inglobava i nuovi strumenti strutturalistici e antropologici, spesso in nome di malcelate «civetterie interdisciplinari». Oggi, nel contesto duro e inasprito del declino italiano, in cui il diritto alla formazione è diventato un costo non più sostenibile, l’ipocrisia dilagante ammanta di ragionevolezza l’attacco portato al cuore delle discipline classiche sotto forma di auspicata amputazione della lingua greca e latina. L’argomentazione si sposta di volta in volta dall’ambito statistico (il calo di iscrizioni al liceo classico) a quello economico (i saperi improduttivi, la spesa senza ritorno immediato) a quello sociologico in versione falsamente egualitaria (gli studi classici come sacca di privilegio: è l’argomento di detrattori di comprovato egualitarismo quali Vespa, Ichino, Berlinguer). L’amorevole premura di preservare i più giovani dalla innegabile difficoltà di interpretare un testo antico è un regalo avvelenato che cela molti degli inquietanti propositi di trasformazione della scuola e dell’università che sono nell’aria e la volontà di sanzionare la colpevole distanza dal mercato dei saperi teorici. Tanto più autoritario questo intendimento, in un curioso connubio di liberismo selvaggio e controllo dei destini individuali e collettivi, quando nega la possibilità di studiare le lingue antiche nelle loro sfumature all’interno dell’unico curriculum scolastico pubblico in cui questo è ancora consentito. Quando questo progetto sarà compiuto, chi può avrà a disposizione il college privato in cui studiare a dovere le lingue classiche e chi annaspa capirà senza equivoci che il liceo classico è roba da ricchi e dovrà accontentarsi di qualche briciola di cultura dell’antico. Racconta Mehring (Vita di Marx, cap. 15) che Karl Marx «ogni anno leggeva Eschilo nel testo originale, restò sempre fedele ai suoi antichi greci e avrebbe voluto cacciare dal tempio con la verga quelle meschine anime di mercanti che volevano togliere agli operai l’interesse per la cultura antica».
Mio marito ha fatto il classico, io le magistrali. Un tempo chi frequentava il classico (ma forse anche ora) si riteneva depositario di un sapere superiore. .ma sinceramente spesso mi chiedo se sono stati 5 anni persi…in uno studio “matto e disperatissimo” fine a se stesso. Un esempio su tutti? Non saper riconoscere gli stili architettonici tipici dell’Italia centrale..
È un’analisi lucidissima.
Il liceo classico, oggi, non può essere quello di quaranta anni fa. Deve intercettare i cambiamenti in atto, e ripensarsi, altrimenti è ad elevato rischio fallimento.
Ottime riflessioni, quelle del professor Fusillo, che non nascono dalla querelle des anciens et de moderns sviluppatasi in questi mesi sul Domenicale, ma affondano (se ben ricordo) nei convincimenti che il professore già aveva da tempo (ricordo con piacere analoghi suoi ragionamenti, fatti al tempo del corso di Letterature comparate presso l’università de L’Aquila). Del resto Fusillo non è solo né primo nel difendere davvero la cultura classica, ma si inserisce a pieno titolo in quel filone di lotta che fa capo nel Novecento al sarcasmo di un Giorgio Pasquali contro la “congiuntivite” dei professori di latino o alle bellissime pagine di Guido Calogero contro l’analisi logica come arma di distruzione di massa degli allievi classicisti.
Quasi niente di condivisibile: per ribattere non si saprebbe da dove cominciare. Una cosa è comunque vera: il liceo non è più quello di 40 (e io direi anche 50) anni or sono. Certo le “nuove ” scuole medie e le elementari distrutte non dànno più la preparazione per un vero liceo, e cominciare da zero due lingue del calibro del Latino e del Greco impreparati e addirittura destrutturati non è il massimo. Dal 1972 (Valitutti) altri due fatti hanno ridotto di molto l’incidenza formativa del Liceo: l’abolizione della versione dall’Italiano, e la riduzione degli Autori a “materiali” che semplicemente accompagnano la storia letteraria.
Ottime anche le considerazioni di Piero Caracciolo, che aggiungono importanti elementi di analisi. Grazie.
Peccato che il liceo non sia più quello di una volta, vero? Anzi, peccato che non sia più quello degli anni Trenta, in cui alla maturità si portava il programma di tutti e tre gli anni. Peccato che gli studenti di oggi non imparino più a memoria quella specie di mezza enciclopedia di un centesimo del sapere! Peccato che abbiano tempo di imparare anche altre cose. Le carenze di stimolo che vengono loro da molti insegnanti e in certi casi anche dal loro ambiente familiare e sociale, per fortuna che mitigano queste possibilità offerte dalla scuola di oggi!
Già Timpanaro non la pensava come Fusillo e le altre persone che sono d’accordo con lui (con Fusillo, non con Timpanaro). Ma peccato che Timpanaro non abbia mai goduto della mia ammirazione. Ovvero, tanta per gli sforzi fatti, poca per i risultati ottenuti. Quanto a Marx, ne ha dette tante, di cose intelligenti e di cose cretine, che attribuirgliene una in più, in un senso o nell’altro, non cambia molto.
Potremmo aggiungere anche Gramsci, che però diceva che tutti, e in primis il proletariato, dovevano impadronirsi degli strumenti culturali delle classi dirigenti. Io non ipotizzerei un’identità tra cultura delle classi dirigenti e latinoeggreco. Non oggi. Non dappertutto (in Francia, per esempio, sono la matematica e il tedesco gli strumenti di selezione all’interno del liceo per chi vuole infilarsi nel cursus preparatorio delle classi dirigenti negli studi parauniversitari).
Invio quello che ha scritto una mia studentessa appena entrata il IV ginnasio. Forse ci può aiutare a capire meglio il senso del Liceo Classico oggi. Grazie a Massimo Fusillo. Annamaria Magi, Liceo Classico VARRONE Rieti
“Che cosa mi aspetto da questa scuola
Non ho scelto questa scuola per avere un futuro,non ho scelto questa scuola per questioni lavorative, non ho scelto questa scuola per, un domani,dire:”sono un avvocato,un magistrato,una professoressa…”
Non ho scelto questa scuola per “riempirmi la bocca”,dire dinanzi ad un gruppo di persone:”io faccio,oppure,ho fatto il liceo classico.”
Sono qui per piacere personale,sono qui per scoprire nuove cose,per trovare il libro della vita,per capire veramente chi sono e cosa vorrò essere.
Sono qui per godermi gli anni adolescenziali,i più belli,così si suol dire,sono qui per affezionarmi ai miei professori,all’ambiente stesso.
Ho scelto questa scuola,per viverla davvero,voglio dire alla fine di questi cinque anni di ESSERE stata qui,nel vero senso della parola.
Spero che il liceo classico,le sue materie,i professori mi facciano crescere, mi facciano diventare una persona migliore e mi rendano in grado di sapermi relazionare,un domani,in un mondo che mi aspetta,fuori da questo grande portone,nel quale sono entrata una bambina e uscirò un’adulta,grande e forte.”
Da insegnante di matematica alle scuole medie, che ha frequentato il liceo classico, constato, mio malgrado, che oggi molti di coloro che scelgono il classico lo fanno perché l’ambiente liceale è considerato migliore rispetto a quello delle scuole tecniche e professionali. Quindi non di sceglie il liceo classico perché si ama l’italiano o di è particolarmente bravi in grammatica o nelle materie umanistiche. Di conseguenza, il livello generale di preparazione si è abbassato di parecchio. Aggiungiamo anche che oggi i ragazzi fanno le versioni aiutandosi con le app o trovandole direttamente su internet, tanto che spesso i docenti rinunciano ad assegnare versioni e puntano solo sullo studio della grammatica.
Posso essere molto schietto e antipatico? Spero di non offendere nessuno, in particolare l’autore dell’intervento Fusillo.
A me pare che da questo dibattito sul classico non si caverà un ragno dal buco, se non ci chiariamo a quale contesto, di volta in volta, vanno riferite le parole scritte da ciascuno. A me i contesti paiono tre, quasi per nulla implicati l’uno nell’altro (così che può darsi che una cosa perfettamete sensata nell’uno sia una sonora sciocchezza nell’altro e viceversa).
1) La questione cultural-didattica. Quanto non funziona nella didattica troppo logocentrica, retorica, cristallizzata in modo museale sul passato è una questione che potremo risolvere, sul medio-lungo periodo, solo noi docenti delle superiori, insieme ai docenti dell’università. E’ una trasformazione culturale non da poco. Ci parliamo e incontriamo abbastanza per farlo? No, è forse questa è una delle ragioni del disastro prossimo venturo di cui al punto 2. Ma non apro qui la questione.
Io qui sarei molto spregiudicato e riformatore. Partirei da Pavese (cito malamente a memoria): “La cultura umanistica sbaglia perché parte dal monumento e arriva all’umano. Partire dall’umano e, se è il caso, arrivare al monumento”.
2) La questione cultural-epocale. Proprio oggi sono uscite le linee guida per la formazione obbligatoria per i docenti. Si pensa, non da oggi, e non solo in Italia, a un docente che non ha più nulla a che vedere mica con il grammaticalismo-traduttivo del classico, ma con la cultura tout court: un monstrum di fuffa pedagogica, bricolage culturale, isterismo dell’innovazione, buoni sentimenti, “autoriflessività” (eh?). E ormai è un dilagare di forme mentali e linguaggi abnormi. Ve ne siete resi conto?
Episodio realissimo, verissimo, giuro: c’ero. Presentazione dei percorsi di orientamento di un’università per i nostri studenti: “obiettivi: sviluppare spirito di imprenditorialità, soft skills, capacità di lavorare in team”.
Dunque difendere il liceo classico, in questo contesto, è solo una sineddoche. Noi in Italia abbiamo ancora un vago contatto con un’idea di sapere che presuppone il sedersi a un tavolo, leggere, studiare, tradurre, interiorizzare, senza necessariamente ricavarne un sapere operativo e applicativo, soft skills, imprenditorialità, lavoro in team (ne scrisse anni fa Gadamer. Chiedo scusa se mi autocito: http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/interpretazione-e-noi/346-insegnare-a-essere-umani-bildung-e-umanesimo-in-un-libro-di-hans-georg-gadamer.html).
Se sapremo ben operare al livello 1 potremo far sì che questo sapere si adatti a questo mondo senza stupide nostalgie. Ma se ci cancellano prima in quanto umanisti sarà inutile. Dunque qui forse un po’ più di conservatorismo non guasterebbe.
3) La questione freudiana. Per fortuna io ho fatto lo scientifico e insegno in un liceo delle scienze umane. Francamente a volte mi pare che queste schermaglie tra difensori e detrattori del classico assomiglino a una lotta fratricida tra chi vuole ripetere il padre perché l’ha introiettato e chi lo vuole uccidere perché gli ha rovinato la vita.
Senza offesa, ma forse fuori dalla famiglia non è un dibattito così interessante. Anzi, è pure suicida, oltre che fratricida, visto che la casa dei due fratelli è assediata (vedi punto 2).
Buon divertimento:
http://www.professionistiscuola.it/tfa-e-pas/2387-formazione-docenti-presentato-il-piano-aggiornamento-professionale-obbligatorio-per-750-mila.html
Sono del tutto d’accordo con Fusillo, ma credo anche che gli
aoristi e le perifrastiche siano già “cultura” di quei popoli, Per noi
oggi le lingue classiche sono i Greci e i Latini. Sono quello che ci resta
di loro per conoscerli.
E’ anche vero che ogni volta che ci accostiamo a loro ristudiamo
involontariamente le tradizione di millenni, cioè non li possiamo in
alcun modo studiare direttamente, ma sempre filtrati, contaminati,
riscritti. Per questo io faccio sempre lezioni di ricezione. Per esempio
quando spiego Saffo, spesso il primo impatto che propongo agli studenti è
“L’ultimo canto di Saffo” di Leopardi e “Solon” di Pascoli, poi la
traduzione di Quasimodo. Li commentiamo in classe e poi leggiamo Saffo.
Oppure faccio più canonicamente al contrario rispettando le cronologie
(esempio: Orestea Eschilo/Pilade Pasolini e visione degli Appunti per
un’Orestiade africana).
Be’: credo che sia un metodo efficace, ma i miei alunni mi dicono che
quello che a loro rimane di più è comunque l’immediatezza arcaica di
Saffo, in greco, però! E la forza di certe parole oscure e spaventose di
Eschilo. Sempre in greco.
E allora? E allora sì riformare il Liceo Classico e introdurre elementi
di raccordo con la contemporaneità “intermediale” come dice Fusillo, ma
facendo comunque sentire l’arcaicità misteriosa e archetipica degli
antichi. Non come “radici” di fascisteggiante memoria, ma come subconscio
collettivo, anche traumatico della nostra civiltà (Orlando docet),
non come unici e privilegiati fondatori del nostro essere, ma come respiro lontano delle
origini. Come dire: gli scienziati studiano con entusiasmo il suono
primordiale dell’universo ai tempi del Big Bang e cercano di captarne
anche i sospiri più lievi e non per questo tralasciano di studiare
l’attualità dei fenomeni astronomici. Perché noi dovremmo lasciare mute
le voci -nelle loro lingue- dei Greci e dei Latini!?
Trovo che queste discussioni sul liceo classico andrebbero contestualizzate (cosa che chi esce da scuole come… il liceo classico dovrebbe saper fare). E il contesto è un progetto che va avanti da molti anni: smantellare la scuola pubblica con la sua pretesa di formare cittadini più o meno forniti di cultura generale e capacità critiche e sostituirla con aziende private con lo scopo (oltre che di fare profitto) di fornire “competenze” da far fruttare sul mercato del lavoro… Qualunque critica alla vecchia, noiosa, burocratica scuola dei licei e del latino e greco dovrebbe prima chiarire i suoi obiettivi: vogliamo “quel” nuovo che avanza? Se così non è, allora prima si smantellano quei modelli e ci si schiera, e solo poi si dà via libera a tutte le legittime fantasie per migliorare la scuola esistente (a meno che non si pensi che solo una “modernizzazione” sia in grado di fermare l’offensiva, ma allora bisogna essere chiari, o si finirà per essere i funzionari e gestori delle strategie altrui – esattamente quello che da alcuni decenni sta facendo la sinistra moderata in generale con il neoliberismo).
Va be’, dico la mia. Credenziali: non insegno, non sono un antichista, ho frequentato il liceo classico tanti anni fa, ho due figli che ne sono usciti da poco.
1) Il liceo classico (non solo il classico, ma in particolare il classico) ha senso solo se si ritiene importante non recidere del tutto il legame tra la cultura greco-romana e cristiana e la cultura europea e occidentale odierna. Ha senso? Si/No.
2) l’insegnamento del latino (più il greco, nel caso del classico) ha senso solo se si risponde di sì alla domanda precedente. Se si risponde di no, buttare via tutto.
3) l’esercizio della traduzione, che è atto critico per eccellenza, è infatti senz’altro altamente formativo, ma si può tranquillamente eseguirlo per esempio dall’ungherese, che non è meno difficile del greco e serve per ordinare un gulasch a Budapest, o se si preferiscono le lingue morte, dal sanscrito vedico che neanche lui è una passeggiata e permette di accedere ai Veda, una raccolta di testi meravigliosi.
4) insegnare latino e greco in forma turistica (senza insegnare a tradurli), cioè copiare quel che si fa nell’anglosfera dove si insegna “Classics”, è interessante, comodo, e totalmente inutile. I classicisti di professione continueranno a formarsi all’Università come si formano gli studiosi di aramaico che pure non lo studiano al liceo, ma agli alunni e a tutti gli italiani sarà comunicata una notizia (forse gradita, non so): che secondo i powers that be, non vale la pena affaticarsi per accedere alla tradizione greco romana (e cristiana) europea. Si affaticheranno solo gli specialisti, che con quella fatica si guadagnano il pane. Gli specialisti fanno il viaggio, e poi fanno vedere le diapositive a noi che siamo rimasti comodi a casa. Risultato: civiltà classica=curiosità etnica.
5) quanto agli alunni del classico che non sanno tradurre, non so, non collima con la mia esperienza personale: i miei figli sanno tradurre. Certo, fanno errori, e non sono in grado di leggere a prima vista autori difficili, specie in greco che è più arduo del latino. Be’? Mi pare normale.
6) Sempre nella mia esperienza personale, invece, c’è questo dato: che alle scuole medie, tranne rare eccezioni dovute a questo o quell’insegnante molto bravo, NON si insegna l’italiano. Non si insegna la grammatica, non si insegna la sintassi, non si insegna neanche l’ortografia, e infatti una marea di ragazzi di oggi arriva all’università senza saper mettere insieme un semplice testo italiano in forma decente. Vorrei sapere per quale miracolo un ragazzino di 14 anni dovrebbe arrivare al ginnasio, e sulla base di una ignoranza abissale della grammatica italiana (e di ogni altra grammatica) dovrebbe cavarsela brillantemente con la grammatica latina e greca.
7) Infatti, il suddetto ragazzino non se la cava brillantemente. Così avviene quanto segue.
8) Prima della cura. La mia quarta ginnasio del 1969 era dominata da una maestra unica che ci insegnava italiano, latino, greco, storia e geografia. Il primo trimestre ci massacrò di traduzioni dall’italiano al latino e di compiti a sorpresa di verbi greci, un errore un voto in meno, si riusciva a prendere anche – 1, – 3, etc. Chi non ce la faceva a suo inappellabile giudizio, cambiava scuola (moral suasion su genitori che all’epoca non si appellavano al TAR per un brutto voto). Nella mia personale quarta ginnasio, partimmo in più di trenta e arrivammo in dodici o tredici. Oscurantismo? Forse, giudicate voi. Però poi al liceo si leggevano in classe (leggevano, non traducevano col vocabolario) in originale – certo, aiutati dal professore – testi come l’Odissea o Le Baccanti. il mio personale professore di greco e latino del liceo leggeva a prima vista Tacito e Tucidide, senza essersi preparato a casa. Io stesso, senza aver mai più studiato greco e latino, sono tuttora in grado di leggere, con qualche aiuto della traduzione, testi greci e latini difficili.
9) Dopo la cura. L’insegnante di greco e latino del ginnasio si ritrova ragazzi mediamente molto ignoranti salvo eccezioni (v. punto 6) e genitori spesso inclini al sindacalismo per conto del loro bambino, con punte di estremismo ingiustizialista tipo denuncia al TAR se gli dai 4. Lo Zeitgeist, per il tramite del dirigente scolastico, li informa che NON è opportuno selezionare pesantemente: nessuno deve rimanere indietro, sennò si violano i suoi diritti umani e Obama piange. L’oscurantismo dei compiti a sorpresa di verbi greci, delle bocciature, del dominio pieno e incontrollato delle prof di greco è finito per sempre, come il medioevo e l’inquisizione. Morale: l’insegnante mediocre, che magari neanche lui sa tanto bene le lingue classiche, con la situazione così com’è ci va a nozze: insegna il minimo di grammatica, non fa tradurre in classe, presenta simpatici moduli sul gatto nelle letteratura ellenistica, e via così, tutti contenti e tutti ignoranti. L’insegnante bravo, invece, quello che sa bene latino e greco e magari avrebbe voglia di insegnarli altrattanto bene, si comporta così: insegna bene, ma NON boccia MAI i più somari, NON seleziona MAI dal sette in giù. Seleziona solo dal sette in su, cioè a dire: con l’insegnante bravo, per prendere voti alti bisognerà sudare (e si impara), per vivacchiare basta fare molto, molto poco. Risultato: i più bravi effettivamente imparano, i meno bravi sprecano tempo e scaldano il banco (tanto la maturità la prendono comunque). Naturalmente, questo sistema ha tre effetti collaterali: a) svaluta il voto di maturità nonostante il complicato meccanismo economicista dei crediti b) abbassa il livello generale dell’insegnamento, perchè se non selezioni (= bocci, induci a cambiare scuola) i più somari, chiaro che in classe non puoi tenerti a un livello himalayano c) non selezionando, la scuola NON serve più a promuovere socialmente; la selezione la fanno solo il mercato e la posizione sociale delle famiglie.
10) Poi, se c’è un modo migliore del vecchio di insegnare a tradurre latino e greco io non lo so, non è il mio mestiere. Ci sarà senz’altro, se lo si adotta benissimo. Qui però con questa storia “il classico è antiquato” non si vuole dire “miglioriamo i metodi di insegnamento del latino e del greco”, si vuole dire “smettiamo di insegnare la lingua latina e la lingua greca perchè sono roba antiquata e inutile, meglio fare altro”. Non prendiamoci in giro, su.
11) La supercazzola “perchè sgobbare sugli aridi aoristi invece di leggere Dostoevskji, Shakespeare, Baudelaire” è, appunto, una supercazzola. A parte che la lettura scolastica obbligatoria di questi monumenti del pensiero e dell’arte è forse il metodo più sicuro per impedire ai quindicenni, sedicenni, etc. di farseli piacere, vedi che fine fanno Manzoni e Tasso (molto meglio leggerseli da soli sotto il banco, i capolavori della cultura europea) l’eventuale perchè dello sgobbo sugli aridi aoristi è descritto sinteticamente al punto 1: vogliamo mantenere un legame con la tradizione greco romana e cristiana europea? sì/no. Se sì, lo sgobbo vale la pena, e anzi vale la pena sgobbare molto meglio e molto di più. Se no, lasciamo perdere gli aoristi, e lasciamo perdere anche Shakespeare, Dostoevskji, Baudelaire & C., che qualche azione della suddetta tradizione greco romana e cristiana l’avevano comprata anche loro. Studiamo altro, di roba ce n’è tanta, dalla matematica ai media o ai videogames cari al noto pedagogista prof. Maragliano, che qui infatti non per caso approva incondizionatamente l’articolo di Fusillo e anzi lo incita a fare encore un effort per essere veramente moderno e innovativo.
12) Conclusione. Vale la pena mantenere il legame con la tradizione greco romana e cristiana europea se si pensa che l’idea di uomo e di mondo che essa ci propone sia sensata, utile e attuale anche oggi (magari anche per modificarla o respingerla in toto). Se invece si pensa che sia ormai una curiosità etnografica, di popoli e culture estinte ce ne sono tanti, perchè non studiare quelli? Anche per evitare l’eurocentrismo e il razzismo culturale, che ci fanno stare tanto in pensiero e incoraggiano i nazionalismi e i populismi.
conto poco ma sono completamente d’accordo con Massimo Fusillo.
Professionalmente mi occupo di risorse umane e capitale intellettuale e provengo da studi classici e da “tradizioni” classiche e mi ritrovo completamente nelle parole di Massimo che devono servire come spunto e confronto con paesi e culture che hanno avuto il coraggio di cambiare e riorganizzarsi nei modelli di insegnamento e che oggi piaccia o no sono avanti.
Non si butta il liceo classico ma……..
Beh, direi che Fusillo abbia molto da interrogarsi sul perché chi si occupa di “capitale intellettuale” (come vuole la neolingua neoliberista) concordi con lui…
Anch’io avrei preferito non entrare in questa discussione, condotta a volte con sciabolate sommarie e distruttive e con la spiacevole tendenza a rappresentare le opinioni altrui in forma caricaturale. Ma l’intervento di Massimo Fusillo, verso il quale ho sempre nutrito sincera ammirazione e con cui ho avuto proficue occasioni di incontro e di collaborazione, contro l’institutio culturale in cui si è brillantemente formato e di cui ha nutrito la sua evoluzione mi fa pensare che qualcosa, della posta in gioco o delle motivazioni profonde di tanto accanimento, mi sfugga. Fuoco amico? Capisco che un articolo più o meno enfatico possa aver suscitato qualche irritazione stilistica, anche se la cultura italiana soffre di ben altri mali che la retorica e il conservatorismo (primo fra tutti il salto sul carro dell’ultimo format), ma da qui a sostenere che lo studio delle lingue classiche sia una specie di sudoku utile solo come ginnastica mentale indifferente ai contenuti – e in quanto tale sostituibile con qualsiasi altra lingua di pari complessità – e che per un ragazzo italiano, che magari porta un nome latino (Massimo!), parla e scrive una lingua derivata dal latino e ogni volta che esce di casa inciampa in un’epigrafe latina, studiare latino o cinese a scuola sia la stessa cosa, c’è un salto logico che non si spiega se non con il gusto del paradosso. Mi sorprende un po’ anche il richiamo a “un liceo in cui si passa molto tempo a studiare la grammatica, gli aoristi e le perifrastiche, senza capire molto della cultura che vi è dietro”: ma esiste davvero questo liceo? Fusillo stesso racconta di aver conosciuto, nelle sue frequentazioni di classi liceali per conferenze, “tanti insegnanti bravissimi” che “praticano già un diverso modello di liceo classico”. La mia esperienza mi dice che quasi tutti gli insegnanti, specie delle ultime generazioni, praticano già un diverso modello didattico. Viene da pensare che la scuola arida dove si torturano gli studenti con declinazioni e coniugazioni di lingue senza contenuti sia, a parte sacche isolate di arretratezza, un idolo polemico immaginario, oppure coincida col ginnasio della nostra infanzia: che non esiste più, Massimo, è finito da tempo. Il Liceo che c’è ora, e che sotto alcuni aspetti è più avanzato del nostro, pare che sia ancora la scuola che dà la migliore formazione per lo studio universitario (e per la coscienza civile, oserei aggiungere: abituandoci a familiarizzare con paroline greche fragili fragili come “democrazia” e “teatro”, “musica”, o con concetti romani come “responsabilità giuridica personale” che purtroppo non sono patrimonio di tutte le civiltà e di tutte le epoche, ma solo di alcune): e non perché lo dicano Gardini o Settis o Dionigi o Laterza o altri cento intellettuali, pur rispettabilissimi e prestigiosi; lo dimostrano – se leggo bene – le classifiche della Fondazione Agnelli sul ranking delle scuole italiane in base alle prestazioni dei loro diplomati nelle università in cui si iscrivono. Chi ha fatto il liceo, soprattutto classico (*questo* classico) se la cava meglio, punto e basta. Anch’io ho frequenti occasioni di incontri in città e università straniere, e posso solo confermare che se c’è una cosa che dall’estero invidiano al nostro sistema formativo, oltre la scuola primaria di Reggio Emilia, è proprio il liceo (classico e scientifico-con-latino).
Ma su qualsiasi modello si può discutere e ben vengano le proposte di maggiore attenzione alla ricezione moderna in tutte le sue forme e alla contestualizzazione dell’esercizio traduttorio, che personalmente approvo e che peraltro vedo già applicate in molte scuole senza bisogno di riforme che la impongano. Quello che non può sfuggire a un intellettuale della finezza di Fusillo è che smantellare o annacquare il peso di questo nucleo forte – il rapporto con la storia da cui, piaccia o no, si proviene, con la storia della lingua e con la lingua della cultura in cui viviamo – è il cavallo di Troia per la cancellazione o marginalizzazione della scuola come istanza formativa e la definitiva resa alla professionalizzazione aziendalistica invocata da più alfieri del mercato come unico criterio del bene.
“Nella scuola attuale, per la crisi profonda della tradizione culturale e della concezione della vita e dell’uomo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata. L’aspetto più paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare e viene predicata come democratica, mentre invece essa non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle”. Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, XII, 29.
Premessa. Insegno nei licei da venti anni. Se volete rispondermi sarà bene che lo teniate presente.
1) Non è vero che i maturati del classico (tutti, come sembra pretendere Fusillo) non sappiano il latino e il greco. Dipende ovviamente da chi glielo ha insegnato e come: c’è gente che da questa scuola esce (come ricorda Pintaudi) con una preparazione anche imperfetta ma comunque tale da consentire un buon proseguimento negli studi classici. Il punto è un altro: la mia esperienza dice che la stragrande maggioranza dei maturati del classico ben preparati si guarda bene dall’iscriversi alla facoltà di lettere, e considerato come questa è andata riducendosi da un ventennio in qua (per innovazione, investimenti, offerta formativa, oltre ovviamente che per opportunità di lavoro) non posso dare loro torto. E così (troppo spesso) i docenti di quella facoltà si trovano di fronte, fra tutti gli ex-liceali, proprio i meno dotati e va a finire che attribuiscono abusivamente tale condizione all’intera popolazione scolastica
2) E’ un po’ surreale che sia uno come me a doverlo ricordare a Fusillo, ma il livello potenziale di competenze che si acquista praticando, studiando e traducendo le lingue classiche non è paragonabile a nessun altro. Il latino ha la straordinaria prerogativa di essere una lingua il cui sviluppo è ricostruibile per circa sette secoli, e di cui si possono poi seguire le trasformazioni fino ad arrivare a un complesso di lingue, quelle neolatine, che riguardano un miliardo di persone; una simile continuità documentata credo sia propria solo del cinese, ma si dà il caso che conoscere la civiltà della Cina aiuti poco a capire la nostra, che (ci piaccia o no) ha avuto l’antichità classica come riferimento principale praticamente fino a ieri. La civiltà greca, direttamente o indirettamente, ha dato i parametri di riferimento a gran parte della nostra vita culturale: ma per capirla, questa civiltà, tocca fare i conti coi testi originali. Perché tradurre correttamente si può solo conoscendo in modo non approssimativo il contesto di provenienza, e viceversa solo approfondendo quanto imparato col lavoro di traduzione si arriva a conoscere il contesto. Tralascio poi il fatto che il latino è stata lingua d’uso ben oltre la fine del mondo antico. Se non so il russo, egregio Fusillo, mi devo leggere in traduzione cento anni di eccellente narrativa e poesia e teatro. Se non so il latino mi devo leggere in traduzione milleottocento anni di capolavori. Non c’è partita.
3) Invece è vero che il modo attualmente più diffuso di insegnare le lingue antiche va ripensato. Gardini sarà anche retorico ma ha ragione quando fa notare che anche la linguistica è una scienza: ed è passando attraverso uno studio ragionato della morfologia e della sintassi che si può instillare anche a un ragazzo di quattordici anni il gusto per l’analisi scientifica di quel fatto, il linguaggio, che è un proprium dell’essere umano. Con tutta una serie di prerogative che le altre scienze non sempre offrono: mostrare la logica e la discontinuità di un fenomeno può essere più semplice ed immediato passando per le parole e per la loro storia, che enunciando teoremi o formule (ed è inoltre assai più economico). E io credo che, a livello liceale, solo studiando la struttura del linguaggio, con le sue ricorrenze e le sue continue eccezioni, l’allievo si abitui a non fidarsi delle soluzioni troppo semplici ma a fare i conti con le strutture complesse. Sul perché credo che ciò si impari meglio studiando latino e greco che arabo o cinese, vedi sopra al punto 2
Poscritto. Signor Buffagni, sulla cattiva preparazione offerta da tante scuole medie ha ragione. Sul resto un po’ meno. Per esempio se dà un’occhiatina alle statistiche del Ministero dell’Istruzione (sono gratis, si trovano facilmente in rete) si accorgerà che nonostante la sua percezione – sua e, purtroppo, anche di innumerevoli altri italiani- la scuola superiore nel nostro paese boccia moltissimo. La lamentela che tanto, in Italia, uno la maturità la prende comunque anche se non fa nulla è priva di fondamento, prima lo capiamo tutti e meglio è.
Dal suo curriculum vitae che, incuriosita, sono andate a leggere, penso che Lei abbia studiato al classico negli stessi anni in cui lo frequentavo io. Allora la lingua straniera era solo al biennio, prevalentemente insegnata con la stessa metodologia con cui si insegnavano le lingue classiche – tanta traduzione di opere letterarie, nessuna competenza di comunicazione. Le materie scientifiche erano pressoché ignorate. Malgrado ciò, evidentemente funzionava, visto che quasi tutti i miei compagni si laurearono senza problemi proprio su materie di ambito scientifico e io stessa scelsi di laurearmi in inglese, pur avendo studiato a scuola tedesco. Ciò mi porta a pensare che le nostre scelte in campo universitario furono possibili grazie a due aspetti dell’educazione scolastica ricevuta al classico: apprendimento di un metodo e capacità che questo indirizzo ha di suscitare interesse culturale. Lei cita la musica e il cinema, ma la scuola non può trasmettere conoscenze in tutti gli ambiti del sapere (oggi poi sarebbe davvero impossibile). Deve invece stimolare la voglia di apprendere, di scoprire nuovi mondi e nuove realtà. Ho la fortuna, e tale davvero la ritengo, di insegnare al liceo classico e posso garantire che l’immagine di liceo classico che può avere chi vi si è diplomato un po’ di anni fa non corrisponde alla realtà di oggi. L’inglese oggi si studia per cinque anni e già al quarto anno una buona parte degli studenti supera la certificazione di livello B2 – tutto ciò senza trascurare la cultura e la letteratura . Alle materie scientifiche si dà molta importanza, poiché siamo consapevoli che gli studenti dovranno passare i test di ingresso per accedere alla università. Ovviamente questo studio più completo comporta anche qualche penalizzazione sull’ambito delle competenze di traduzione delle lingue classiche, ed è vero che oggi gli studenti traducono forse peggio di un tempo, ma è ovvio che un impegno su più fronti va a discapito di competenze più raffinate in un numero ristretto di materie. Io, comunque, avendo studiato e insegnando inglese, non considero per nulla morte il greco e il latino. Ritengo che le grandi domande che l’uomo si pone siano le stesse di un tempo, che leggere un testo nella lingua originale aggiunga sensibilità per percepire il modo originale con cui cultura diverse cercano diverse soluzioni. La modernità si può trovare un un testo antico come in un editoriale di un quotidiano. Sa, dal mio punto di vista, cosa fa davvero la differenza? Non è quanti mesi si spenderanno su Foscolo o su Seneca, ma la capacità del docente di andare oltre. Pensi, solo.per fare un esempio, al tema dell’esilio:quali e quante riflessioni può aprire? E allora vuole che Le dica di cosa ha bisogna questa bellissima scuola? Di professori colti, di uomini e donne che siano appassionati amanti del sapere, che conoscano la loro.materia ma siano anche veri lettori, che frequentino teatri e cinema, e che sappiano spaziare su diversi campi culturali. Insomma, docenti che facciano venire la voglia agli studenti di ascoltare un concerto o di entrare in un museo, o ancora di ascoltare un dibattito di attualità. Invece, la pedagogia didattica ha relegato il docente al ruolo di ‘facilitatore’, ha immaginato che questo fosse un mestiere da imparare inseguendo qualche modello che nel mondo anglosassone è già obsoleto. E l’apertura culturale che alimenta qualsiasi buon insegnamento è diventata una sorta di Cenerentola di cui quasi vergognarsi. In conclusione, io ancora ritengo, con l’esperienza trentennale di insegnamento al classico, che questa sia una scuola moderna e un indirizzo che non deve sparire. Ma nella scuola la differenza è sempre determinata della qualità dell’insegnamento.
Caro Massimo,
ho letto con molto interesse il tuo articolo sul liceo classico, che mi è stato segnalato da mia figlia Agnese. Condivido molte delle tue affermazioni, ma non tutte. Condivido la tua avversione verso la retorica del liceo classico come percorso formativo per eccellenza, l’unico che “apre la mente e aiuta a ragionare”; ho trovato anch’io l’articolo di Gardini una maldestra accozzaglia di luoghi comuni, mentre mi è piaciuto l’articolo del fisico Tonelli, che ho sottoposto ai miei studenti del primo anno (il liceo dove insegno è uno dei pochi classici che ha abolito l’obsoleta distinzione fra ginnasio e liceo, incontrando la resistenza di parecchi colleghi, ma anche di parecchi studenti “perché così ci confondiamo con gli altri”). Condivido la necessità di una drastica riformulazione di metodi e contenuti dell’insegnamento delle discipline classiche, che privilegia lo studio della grammatica (grammatica, non lingua), spesso “senza capire molto la cultura che vi è dietro”, come affermi giustamente. E provo insofferenza nel proporre il duale in greco o tante particolarità delle declinazioni latine o della sintassi dei casi, ma devo adeguarmi a una programmazione d’istituto, anche per non mettere in difficoltà i miei studenti nell’eventualità che si trovino in seguito altri colleghi con un’impostazione diversa dalla mia.
Sono anche d’accordo che “tradurre Shakespeare è formativo quanto tradurre Virgilio”: mi permetto però di correggerti: leggere, non tradurre. Condivido in pieno la posizione di Maurizio Bettini sulla riforma della seconda prova dell’esame di Stato, come punto d’arrivo di un approccio più integrato e globale verso la cultura classica. In un recente convegno a Bologna dell’AMA ho appreso una citazione di Gustav Mahler che non conoscevo e che trovo bellissima: “tradizione è custodia del fuoco e non culto delle ceneri”: purtroppo tante vestali del liceo classico si limitano alle ceneri e pretendono che queste ceneri siano annoverate dall’UNESCO tra i beni immateriali patrimonio dell’umanità, alla stregua dello zibibbo di Pantelleria.
So benissimo che la maggior parte degli studenti che escono dal classico scelgono facoltà scientifiche, ma conosco colleghi ed ex studenti con una formazione classica che applicano nella passione per le discipline scientifiche che studiano e che praticano quella stessa passione che hanno assimilato con la loro formazione classica liceale: mia figlia, che frequenta il quinto anno di medicina, ogni tanto mi dice: mi manca il greco; direbbe la stessa cosa se avesse studiato il cinese? E anche tu, saresti arrivato ai tuoi attuali studi di letterature comparate se non avessi avuto in gioventù quella solidissima formazione di classicista che hai avuto?
E’ anche vero il contrario: per cinque anni ho tenuto presso l’università di Torino un laboratorio di lingua greca per chi che non aveva frequentato il classico, e ho avuto anche studenti bravissimi, che poi si sono laureati brillantemente in discipline classiche, senza peraltro rinnegare i loro studi superiori. Ma questo non fa che confermare la validità di questi studi.
Tu critichi la “cultura terribilmente logocentrica” del nostro liceo e proponi lo studio di tante altre discipline: non vorrei che questo atteggiamento fosse l’equivalente di quello che in politica viene chiamato “benaltrismo” e che spesso funge da alibi per mantenere lo status quo. Anche negli anni ’70, quando frequentavamo noi il liceo, era pieno di proposte di integrare il curriculum tradizionale con lo studio delle cosiddette scienze umane: che così è rimasto oggi di quelle mode? Del resto, anche nel tuo articolo non ne fai più menzione.
Nel nostro lavoro di insegnanti, siamo sommersi dalle richieste di inserire tantissimi argomenti, tutti utilissimi, tutti bellissimi, che devono essere assolutamente affrontati a scuola: l’educazione alla cittadinanza, l’educazione stradale, l’educazione alla legalità, il diritto, l’economia, l’educazione sessuale, il primo soccorso, l’interculturalità, e chi più ne ha più ne metta. Per carità, tutto giustissimo, ma si corre il rischio di una scuola “vedo gente faccio cose”, che fa di tutto senza approfondire niente e che frastorna soltanto i ragazzi, venendo meno al suo compito formativo fondamentale. E tieni presente che il sistema liceale italiano, in Europa, è fra quelli che propongono una gamma più ampia di discipline, preoccupandosi – in proporzioni diverse – di dare una formazione di base in ambito sia umanistico sia scientifico. E’ fondamentale allora trovare un ubi consistam, fermarsi a riflettere che cosa sia veramente formativo per uno studente, anche a costo di operare tagli dolorosi.
Non condivido soprattutto la tua proposta di limitarsi a uno studio in traduzione della cultura classica e di abolire la traduzione dal latino e dal greco, e non credo che sia soltanto perché sia ciò che mi garantisce il pane. Studiare una cultura senza conoscerne la lingua diventa superficiale e sterile nozionismo, significa limitarsi alla superficie senza penetrarne la sostanza: non è questo il compito formativo della scuola.
E tradurre da una lingua moderna non è lo stesso che tradurre dalle lingue classiche, anche perché nella didattica delle lingue moderne la traduzione gioca un ruolo molto marginale. Significherebbe soprattutto il venir meno di quella pratica di confronto con ciò che è altro, di capire ciò che diverso e lontano da noi per poi cercare di confrontarlo con noi stessi e con la nostra cultura, di una full immersion nella diversità e nella differenza per andare al di là del guscio contingente che ci circonda. Un’operazione non solo linguistica, ma soprattutto culturale: anzi, i due termini coincidono pienamente.
Per condensare in un motto la mia visione del lavoro di insegnante (i miei figli mi prendono in giro perché lo ripeto stesso, ma ormai ho un’età che mi permette di ripetere impunemente le stesse cose) ricorro al proverbio cinese: quando ti indicano la luna con il dito, devi guardare la luna e non il dito; e nella scuola troppe volte ci si ferma al dito. Con due avvertenze, però: 1. senza il dito non puoi vedere la luna; 2. bisogna stare molto attenti alla tentazione di non limitarsi alla luna e di passare a tutto cielo stellato: è sicuramente affascinante e bellissimo, ma ti puoi perdere.
Ti ringrazio per avermi dato l’opportunità di ripensare a tante cose che mi stanno a cuore.
Un abbraccio.
Luigi
@ Jacopo
Grazie della replica e della correzione, se ho detto una cosa errata me ne scuso. Mi piacerebbe sapere come sono distribuite le bocciature, in quali scuole e in quali anni. Da quel che ho visto sommariamente io, e che certo non ha valore statistico, al liceo sia classico sia scientifico per farsi bocciare bisogna impegnarsi a fondo.
Sul suo intervento concordo e la ringrazio, e un bel sollievo leggere parole sensate come le sue.
E’ un particolare sollievo leggere queste parole da parte di chi si è formato sulle lettere classiche. Sembra che in Italia non si possa criticare il Liceo classico, sempre elevato a canone di ogni virtù. Di tutte le argomentazioni ricorrenti nella strenua difesa del classico, quella che mi infastidisce di più è quella che afferma che lo studio del greco antico e del latino – esso solo – “insegni a pensare”, o, come dicono da decenni i professori di liceo, “formi la mente”.
Lo studio delle lingue antiche (non oso dire “morte”, perchè anche questo pare sia sacrilegio …) è dunque visto come una “ginnastica mentale”, da cui l’ossessione per un approccio di tipo “grammaticale” alla lingua che poi è stato applicato, nella nostra scuola, anche alle lingue moderne (con effetti catastrofici …).
Che lo studio del latino e del greco “formi la mente” meglio di altre discipline non è dimostrabile in modo scientifico. Se lo studio del latino è una ‘ginnastica mentale’, si tratta di una “ginnastica” nè migliore nè peggiore di altre: la capacità di ragionare sulla frase latina o greca, per capirne il significato e tradurlo in un’altra lingua, non rende necessariamente lo studente più abile nell’applicare il ragionamento ad altre materie o situazioni della vita.
Elisabetta http://www.educazioneglobale.com
@ Jacopo
Premetto, professore, che non ho la minima intenzione di polemizzare con lei ma solo di capire meglio.
Consultando le statistiche di promozioni e bocciature (ho guardato una lettura ragionata qui: http://www.orizzontescuola.it/scrutini-esami-e-ii-grado-dati-miur-calo-60-alla-maturit-5133-diplomati-lode-998-promossi-al-te/) non mi sembra proprio che nella scuola italiana si bocci molto.
Qui si dice che:
a) esame di terza media: promossi il 99,8%
b) scuole superiori, scrutini di fine anno: “dal 9% del 2015 al 7,7% di quest’anno. I non ammessi si concentrano soprattutto nel primo anno: sono il 12,3% (13,7% lo scorso anno), confermando il dato della maggior difficoltà che gli studenti incontrano nel passaggio dal I al II grado. La percentuale di non promossi è del 12,4% negli Istituti professionali, seguono gli Istituti tecnici con l’9,8% e i Licei con il 4,3%, percentuali comunque tutte in calo rispetto al 2015.”
c) Maturità. “All’Esame di quest’anno è stato ammesso il 96% degli alunni di quinta. Il 99,5% dei maturandi ha ottenuto la promozione, con un leggero incremento (era il 99,4%) rispetto al 2015.”
d) Le bocciature sono in calo, i voti di maturità in rialzo.
A occhio e croce – se dico una sciocchezza me ne scuso e la prego di rettificare – il dato si può leggere così: la scuola media insegna molto male e promuove tutti.
I ragazzi meno preparati e/o con le famiglie meno scolarizzate vanno negli Istituti professionali e nei Tecnici, dove una percentuale non grande viene bocciata al primo anno perchè non è in grado di fare il minimo necessario. Poi quasi tutti questi ragazzi si trascinano più o meno faticosamente fino alla maturità, e vengono promossi.
I ragazzi più preparati e/o con le famiglie più scolarizzate vanno ai licei, il primo anno ne viene bocciata una percentuale molto piccola per le stesse ragioni, dopo di che anche loro arrivano più o meno faticosamente alla maturità, e vengono promossi.
Insomma, non mi sembra che la scuola superiore italiana bocci tanto. Mi sembra che la scuola italiana faccia finta di non vedere che la scuola media inferiore è gravemente inadeguata a dare una minima formazione di base a tutti, e che di conseguenza la scuola superiore si adegui: da un canto, il primo anno boccia un po’ di ragazzi che proprio non ce la fanno, nella speranza che ripetendo l’anno acquisiscano le capacità minime necessarie a seguire le lezioni; dall’altro, abbassa le richieste per la media degli studenti. Continua a dare una buona formazione al 15% degli studenti più bravi dei licei; agli altri, dà una formazione mediocre o scadente, e poi comunque li matura praticamente tutti.
Ripeto: nessuna polemica, solo desiderio di capire meglio. Cordiali saluti.
Ho letto con interesse l’articolo, ed anche i commenti. Purtroppo, c’è una manchevolezza di fondo nell’affrontare l’argomento che non si riesce a scorgere, e dunque a superare, non solo nell’articolo, ma anche nei commenti più acuti.
Classico e scientifico sono espressione di una dicotomia nell’insegnamento che è vecchia, e che non ha più ragione di essere. Disperatamente vecchia, oserei dire.
Viviamo in un mondo dove vecchio e nuovo sono inscindibili.
Come è possibile pretendere che l’insegnamento prepari a «saper parlare, saper scrivere, saper pensare, ma soprattutto a saper interpretare, mettere in rapporto, relativizzare, confrontare, distinguere, riconoscere il duraturo e l’effimero, dare un nome a fatti diversi, capire la libertà, la bellezza, la varietà e la concordia» e, aggiungo io, il mondo che ci circonda, fatto sempre più di scienza e di tecnologia, se si pretende di privilegiare, nell’insegnamento, solo una sola delle due facce della medaglia? Separando ciò che va sotto il nome di classico da ciò che si pretenderebbe relegare all’interno di ciò che chiamiamo scientifico?
Non si può considerare istruita, nell’anno di grazia 2016, una persona che legge Shakespeare, ma non sa cos’è il secondo principio della termodinamica o che cosa significa, semplicemente, la parola digitale nel contesto delle tecnologie informatiche. E, viceversa, è impossibile considerare istruita una persona che vi spiega in dettaglio l’importanza del teorema del campionamento di Claude Elwood Shannon, ma non ha mai letto Platone, né si è mai preoccupato di leggere un libro di storia contemporanea.
Credo, dunque, che il problema vero non sia difendere il classico o lo scientifico, o di migliorare questo e quello.
Il problema vero è fare una scuola che sia l’unione coerente e ragionata di entrambi.
So lustig! Mi sembra lampante che i sostenitori del liceo classico così com’è argomentino secondo una logica del “valore in sé” della tradizione, confermando le tesi dell’articolo, che invece propone una logica più funzionale, scientifica, basata sulla causa e effetto: quali sono gli scopi formativi del classico? Quali metodi danno quali risultati? Etc… Ascoltate i vostri animi o’ classicisti, se anche solo un velo di paura di prendere posizione contro un’osannazione del greco o del latino vi è percettibile, allora non siete in perfetta forma per un dialogo oggettivo intersoggettivo.
Il Classico rende migliori. Forse. Obbligatorio per tutti? Non tutti, anzi pochi, sarebbero in grado di arrivare alla maturità. Il mio classico è durato sei anni (la quinta ginnasio ripetuta per un esame a settembre che non persi alcun tempo a preparare) ed un voto miserrimo di diploma. Eppure, per quelli come me era l’unica scuola possibile: il numero minore di ore settimanali (io che odiavo la scuola), il minimo di materie (io che odiavo le materie). Mai fatta una traduzione a casa, mai scritto un tema a casa, mai studiata una singola lezione, e per lo più mai ascoltato quello che diceva l’insegnante di turno. Ogni altro istituto scolastico mi avrebbe lasciato indietro, espulso per inezia dalle scuole del Regno. Al Classico no, al Classico si può sopravvivere senza studiare. A loro, insegnanti del liceo per antonomasia, sufficie l’intelligenza dell’alunno. Il Classico è la salvezza di noi “è intelligente ma non si applica”, di noi che oggi si riceverebbe una diagnosi di Asperger, di noi che all’università finalmente si studia perché le cose per una volta sono davvero interessanti. Lo scientifico lasciamolo a chi è “intelligente e si applica”, le scuole professionali “a chi si applica”.
A volte si legge che è un pregiudizio quello secondo cui il liceo classico formerebbe meglio di altre scuole. Probabilmente è vero. Ma ciò che è specioso sono le conseguenze che da questa affermazione traggono alcuni critici. Essi infatti così ragionano: non è vero che il liceo classico è l’unica scuola che forma bene i giovani, ergo il liceo classico non forma bene i giovani. Il che è un paralogismo. In verità, proprio coloro che spesso polemizzano contro il liceo classico, affermando che anche altre scuole formano bene, ammettono ipso facto che il liceo classico forma bene. Il paralogismo in cui si incorre, a ben vedere, nasce da quello stesso pregiudizio classicistico che questi critici vorrebbero, a ragione, criticare: essi infatti rivelano di ragionare come se il liceo classico potesse esistere solo se formasse meglio delle altre scuole.
Ma se ciò che costoro riconoscono è che anche il liceo classico forma bene, allora mi chiedo: qual è il problema? Non possiamo ammettere che esistano più corsi di studio diversi che formano bene i giovani? Dire il contrario è, questo sì, davvero illiberale. D’altra parte, che anche il liceo classico fornisca una buona formazione, non è solo implicitamente ammesso dai suoi stessi critici, ma è anche un dato oggettivo (che poi non formi sempre bene è altro discorso, comune a tutte le cose umane e dunque irrilevante).
I nostri critici, dunque, sono da questo punto di vista o illogici o in cattiva fede, giacché la loro critica avrebbe senso solo se il liceo classico formasse male. Ma a ben vedere sono anche anacronistici. La polemica contro il classicismo greco-romano sarebbe sana e giusta, infatti, in un contesto in cui questo fosse effettivamente un abito mentale dominante e acritico. Ma ciò corrisponde alla realtà? Gli iscritti al liceo classico sono una netta minoranza e neppure sempre in linea con il sentire culturale delle classi dominanti. Dunque, i critici del liceo classico, a ben vedere, non se la prendono con un potere forte, ma con un potere debole (è facile prendersela con i deboli!). Per essere veramente attuali e non anacronistici, sostanziali e non superficialmente à la mode, occorrerebbe capire come difendere e sviluppare le potenzialità di un percorso formativo minoritario che, nonostante tutto, si rivela ancora efficace.
Ciò è possibile soltanto intendendo correttamente le sue specificità, non rimuovendole. La sua specificità è lo studio delle due civiltà greca e romana, esattamente come la specificità di un liceo linguistico è lo studio delle lingue moderne e quella del liceo scientifico delle scienze matematiche, fisiche e naturali. In sé lo studio delle civiltà greca e latina non è né buono né cattivo. È cattivo se è ridotto a monumentalità o antiquaria. È buono se è uno studio storico-critico. E per essere tale deve passare attraverso lo studio in lingua originale delle fonti. Il senso di questo studio riposa nel senso stesso dello studio della storia: le civiltà greca e romana sono ad un tempo un repertorio di esperienze e di ragioni. Di ragioni perché tutto ciò che è venuto dopo, direttamente o indirettamente, si è fondato o si è confrontato (o si fonderà e si confronterà) con il prodotto storico di quelle civiltà. Di esperienze perché nella loro finitudine storica queste due civiltà ci hanno lasciato una testimonianza ricchissima dei problemi, delle soluzioni, dei fallimenti e delle vittorie che l’essere umano (come singolo e come collettività) ha affrontato in una tappa della sua esistenza. Capire le ragioni del presente aiuta a farsene un’idea critica, ossia a capire che le cose presenti (e dunque a maggior ragione le future) sono in un modo ma possono sempre essere anche diversamente. Conoscere le esperienze del passato aiuta, d’altro canto, a conoscere la natura umana. Ragioni e esperienze producono una dialettica essenziale tra diverso e identico, il riconoscere l’identico (natura umana) nel diverso (corso della storia) che è alla base di ogni autentica consapevolezza (e aggiungerei che i ‘classici’ propriamente detti sono per così dire le punte più lucide di questa consapevolezza di volta in volta prodottesi per ragioni contingenti nel corso della storia). Fare un servizio non anacronistico per il futuro della formazione dei giovani significa trovare le strategie giuste perché lo studio delle civiltà greca e romana nel liceo classico riscopra una vocazione autenticamente storico-critica (e dunque fondata su una riflessione non mediata sulle fonti).
Come in questo quadro più generale si può concretamente inserire uno studio critico ineludibile delle due lingue antiche? Potrebbe essere interessante richiedere oltre alla traduzione del passo anche una sorta di commento. Ma non, si badi, un commento generico, magari guidato; intendo un commento che lo studente fa alla propria traduzione. Il meccanismo della traduzione è infatti fondato su delle scelte. La scelta giusta è una sola ed è ovvio, ma non è detto che le scelte sbagliate siano stupide. Quello che intendo è che potrebbe essere utile dare allo studente lo spazio di esporre ed argomentare i ragionamenti che stanno dietro alle proprie scelte (siano esse sul senso, sul lessico greco, o sul lessico italiano della traduzione), attingendo come è ovvio al patrimonio delle proprie conoscenze grammaticali, storiche, letterarie. Cioè di fatto fargli esplicitare ciò che ogni operazione di traduzione per se stessa richiede. Questo tipo di esercizio avrebbe molti vantaggi: 1) abituerebbe a rendere ragione in modo razionale di una scelta; 2) abituerebbe a distinguere ciò che è evidente da ciò che è dubbio (giacché non tutto ha bisogno di essere esplicitato o commentato); 3) non lascerebbe scappatoie. Tutto ciò aiuterebbe, d’altra parte, a fare più facilmente la scelta giusta.
In definitiva ecco perché il liceo classico va difeso: esso è un anticorpo in una cultura dominante che non è quella rappresentata dal liceo classico, ci ricorda, cioè, che la conoscenza storico-critica delle civiltà greca e romana può fornire una buona formazione accanto a quella di altri percorsi formativi. Ci ricorda insomma che si può imparare a ragionare anche in questo modo e non solo attraverso percorsi formativi che sono privilegiati unicamente perché possono essere sfruttati con facilità da forze che nulla hanno a che vedere con la formazione della coscienza critica.
Mi domanderei e domanderei al prof.Fusillo : ” Lei ragiona in questo modo perchè forse lo studio dell’aoristo con il suo valore aspettuale di tipo puntuale l’ha formata a relativizzare il concetto di tempo e di “compararlo” con il valore cronologico del sistema verbale latino, ad esempio, o ciò è risultato completamente inutile? Al classico si traduce Omero e attreverso la “menis” di Achille si può considerare il concetto di corpo e confrontarlo con il corpo sia maschile che femminile (le eroine tragiche) che la contemporaneità ci offre o è un occasione che possiamo barattare con qualche grande autore ( del quale mai nella scuola liceale si richiede da parte dell’alunno la traduzione)? Se possiamo barattare, come non riconoscere nei grandi che Lei ha citato e che vengono proposti in traduzione già eseguita, un legame con il mondo greco e latino su categorie concettuali o semplici temi ( il tempo, la morte, il viaggio, l’alterità, l’infedeltà…). Per carità l’intelligenza non ha patria , come non ha patria chi propone questo modo di intendere la cultura, come occasione di riflessione a partire dalle radici … delle parole. Ancora una volta ritengo che non è importante l’indirizzo ma chi fa scuola anche se la ministra (glottologa) non è molto d’accordo.
Diplomata al classico nel 2000 (sono quindi ancora relativamente giovane), poi laureata in giurisprudenza nel 2005, ritengo che la soluzione dovrebbe essere una sana via di mezzo. Decisamente, tirando le somme, avendo vissuto anche la facoltà di giurisprudenza (una delle poche facoltà “pratiche” che consentono anche una formazione culturale storica di buon livello) come la normale prosecuzione, in chiave classico/moderna di quanto avevo appreso al liceo, posso oggi affermare che ciò che gli studi classici mi hanno lasciato sono 1) metodo di studio 2) capacità di sintesi e di apprendimento 3) capacità di sopportazione della fatica e della concentrazione 4) ottima conoscenza della lingua Italiana parlata e soprattutto scritta. Forse, paragonandomi a miei compagni di studio o amici che, pur avendo fatto altri tipi di licei o scuole tecniche, si sono poi brillantemente laureati in materia anche più complesse della mia, è proprio il punto 4) che fra noi fa la differenza. Per il resto, devo dire, vedo gran cultura, gran capacità e grande abilità di apprendimento e professionale anche in chi il liceo classico non l’ha fatto. Quindi, sostanzialmente, a mio parere, un buon compromesso potrebbe consistere come sempre in una sana via di mezzo: a mio avviso, non si può più prescindere dal rendere il liceo classico più moderno, seppur “classicamente”, allargando le vedute anche alla storia e alla letteratura europea, nonché nella lingua inglese: lingua che non ho mai imparato bene, poiché le tante ore passate sul greco e il latino non mi permettevano, nei 5 anni più importanti, quelli appunto della scuola, di dedicare ad altro la giusta attenzione, per non parlare poi dell’Università, dove la mole di tomi da studiare era inimmaginabile. Inoltre, devo dire, per quella che è stata la mia esperienza, che lo studio delle lingue antiche è stato molto nozionistico (molte declinazioni, traduzioni, grammatica) piuttosto che storico/culturale. Come fare? Vogliamo abolire le ore di religione e di ginnastica, oggi cosi antiquate; togliere poi un’ora a settimana di greco è una di latino? Già abbiamo liberato circa 5 ore, che sono un vero patrimonio, per poterle così dedicare alla lingua straniera e alla cultura europea più un generale. Non condivido invece chi critica il liceo classico di non essere abbastanza scientifico. Lo scibile umano in 5 anni è impossibile sviscerarlo, si rischierebbe di fare tutto in modo scarso e insufficiente, e di non avere più alcuna differenziazione fra i vari licei. Quindi, cultura classica di, certamente, ma con un pizzico di modernità. L’evoluzione passa anche per forza di cose dalla revisione dei programmi scolastici, che devono, per non rimanere un puro esercizio nozionistico, essere contestualizzati ad un momento storico di globalizzazione. Rimane poi imprescindibile e improcrastinabile la totale rivisitazione delle scuole medie, oggi puro parcheggio per pre adolescenti svogliati.
Eleonora, se mi permette, da ingegnere vorrei commentare quanto scrive. In particolare, due affermazioni: “… ciò che gli studi classici mi hanno lasciato sono 1) metodo di studio 2) capacità di sintesi e di apprendimento 3) capacità di sopportazione della fatica e della concentrazione 4) ottima conoscenza della lingua Italiana parlata e soprattutto scritta.” A lei sembra che le materie scientifiche non richiedano un metodo di studio, una capacità di sintesi e di apprendimento, sopportazione alla fatica e concentrazione? Se lo crede, mi spiace dirlo, lei evidentemente non ha la minima idea di cosa sia necessario per occuparsi di chimica molecolare, di matematica differenziale, o di costruzioni aeronautiche. Per ciò che attiene alla conoscenza della lingua Italiana “parlata e soprattutto scritta”, fare scienza o occuparsi di tecnologia richiede una capacità e precisione di linguaggio che è basilare per sviluppare capacità professionali adeguate.
“Non condivido invece chi critica il liceo classico di non essere abbastanza scientifico.Lo scibile umano in 5 anni è impossibile sviscerarlo, si rischierebbe di fare tutto in modo scarso e insufficiente, e di non avere più alcuna differenziazione fra i vari licei” L’obiezione che sia impossibile sviscerare lo scibile umano in 5 anni, vale per qualsiasi indirizzo di studi, non solo per quello scientifico.
La scuola è indietro, purtroppo, e continuerà a esserlo sempre più, se continuerà a mantenere questa dicotomia fra cultura scientifica e cultura umanistica. Continuerà, cioè, a munire i sui studenti di una sola delle due chiavi che permettono di comprendere il mondo nel quale dovranno, un giorno, avventurarsi.
Condivido questo articolo e quasi quasi sono contenta…in fondo il Liceo Classico Giovanni XXIII di Marsala sta proprio cercando di coniugare tutto il sapere umanistico (non solo quello classico) con il mondo contemporaneo, sempre più polimorfico.L’offerta formativa del nostro Liceo,attraverso i suoi tre indirizzi (Cambridge,Giuridico e della comunicazione, Bio-medico)marcia proprio verso questa direzione.Alleluia!
Parole sante il mondo si evolve e le nostre scuole sono ferme ai tempi del fascismo non bisogna ignorare il passato ma questo è vivere nel passato. Una classe di insegnanti di liceo inaciditi dal fatto di non essere diventati insegnanti universitari distrugge il futuro di molti ragazzi costringendoli a studiare il latino piuttosto dell’inglese per FARGLI ripetere i loro stessi errori. Ci parlano tanto di jobs act ma un paese in cui il 50% delle persone non sa dire ciao in inglese come può ritenersi civile?
Sono d’accodo sul fatto che la lingua inglese sia essenziale nel mondo d’oggi. C’ è da chiedersi però se questo mondo d’oggi sia essenziale o andrebbe piuttosto cambiato. Chissà? Una cosa è certa: questa sorta di interrogativi riesce a porseli solo chi ha compiuto un determinato tipo di studi.
Nel mio piccolo concordo ….sono contro questo modo di alimentare la ‘cultura delle rovine’ . Non credo ci sia una disciplina più formativa delle altre ma nel concorso di tutti a formare una mente capace di comprendere analizzare e organizzare la conoscenza …il classico fino a qui ha funzionato poiché gli studenti hanno accettato l’assunto implicito che ‘al licei classico si studia molto e pazientemente si lavora su testi ‘ ( se si guarda la percentuale delle ripetizioni si scopre che gli insegnanti del classico non insegnano,mandano gli studenti a fare le ripetizioni private e a pagamento ) , mentre negli altri tipi di scuola i ragazzi si impegnano poco ….
Sono figlio di operai (quinta elementare). Ho frequentato il liceo scientifico: mi piacevano solo latino (il prof ebbe a dire che ero l’unico, che traduceva in italiano) e la matematica (diciamo che ero particolarmente bravo, i miei compagni dicevano che l’avevo nel sangue). All’Università per anni nulla feci per dieci anni. Poi, in costanza di rapporto di lavoro approdai a Scienze Politiche (unica facoltà che non obbligava alla frequenza). Mi appassionai agli insegnamenti di Diritto e mi laureai (all’età di 47 anni) con 110 e la lode. Il Relatore mi disse che avrei dovuto fare lo studioso perchè capace di essere ad un tempo analitico e sintetico. Credo che il merito sia mio, ma di essere riuscito in questo grazie al Latino e alla Matematica.
Secondo me fino a che non si fa aggiustaggio al Liceo Classico, non possono uscire essere pensanti dal Liceo Classico.
Ogni popolo ha le sue radici. Se se le taglia, muore. Il futuro ha un cuore antico, disse un saggio, che non vi dico perchè mi taccereste di retorica. I popoli vivono anche di leggende (antiche) e se gliele tolgono va a cercare quelle degli altri. Un ministro di questo paese dei campanelli in cui mi è stato dato nascere ebbe l’idea di cancellare il latino nelle scuole suggerendo di studiare l’arabo. Da allora, dal 98, scrivo in latino a tutti gli amici, anche gli auguri di Natale. Valete Federico Romiti della Centuria
Non sono d’accordo. Nella mia esperienza grammatica, aoristi, perifrastiche sono stati e sono elementi strumentali, non sostitutivi della cultura e del senso delle opere che vi sono dietro. E gli approfondimenti etimologici, nonché la ricchezza dell’antico greco e del latino sono una chiave essenziale per capire i testi, le opere, il linguaggio, anche attuali, per comprendere la nostra lingua; sono un antidoto alla superficialità, alla povertà di linguaggio, all’appiattimento, all’analfabetismo funzionale agli errori di ortografia, grammatica, sintassi inguardabili o inascoltabili dai quali siamo sommersi ogni giorno.
mi aggrego, in ritardo, a questo eterno, inutile dibbbattito: http://claudiocanal.blogspot.it/2014/11/liceo-classico-si-e-tenuto-il-14.html
E’ lapalissiano che chi va al liceo musicale vuole fare studi musicali. Assai meno che chi va al liceo scientifico voglia fare studi scientifici, e assai raramente per andare al liceo classico si pensa generalmente a fare studi classici. Invece si pensa sia la cultura in sé e lo sviluppo della mente. Allora chiediamoci: quale altro organo sviluppano le altre scuole?
Se non abbiamo chiari gli scopi, andremo al liceo classico come don Abbondio è andato al seminario
@ clement
Al liceo linguistico, forse, la lingua. Può sempre servire.
“pochi minuti su Caravaggio”? Vorrà dire “pochi minuti in chiacchiere su Caravaggio” perchè Caravaggio si esprime per immagini che poco o nulla hanno a spartire con le parole
Argomento troppo lungo e complesso, mi limito a dire non so da quali risciò provenga il professore, al piccolomini di Siena, tutto ciò che antico è stato tutt’altro che mitizzato come superiore.pezzi dobbiamo avere ben chiaro che le radici della nostra cultura solo in quella greco-romana, e che occorre ci sia chi ancora è capace di studiarla a partire dai testi originali.dopo la maturità classica ho intrapreso un corso di studi in materie scientifiche, e in materie come matematica fisica e chimica, che al classico abbiamo studiato ben poco o primeggiato rispetto a chi proveniva dal liceo scientifico: ho sempre ritenuto che la superiorità in matematica e ma deve fine di chi proviene classico derivi dallo studio sistematico del Greco per 5 anni. Certo probabilmente sarebbe stato lo stesso per il giapponese, ma ne avremmogiovato per una conoscenza approfondita della cultura giapponese è una altrettanto vasta ignoranza di quella che è alle origini del mondo occidentale. Rispetto al liceo classico che ho fatto io dal 79 al 84 potenze Rei un po’ lo studio delle lingue stranierex e per quanto riguarda materie che esuli da quelle di base, sul modello americano si via la scelta su quali e soprattutto se, approfondire in un paio di rientri pomeridiani a settimana.