di Sara Sullam
[Il testo che segue è tratto dall’introduzione al libro Tra i generi. Virginia Woolf e il romanzo appena uscito per Mimesis. Ringraziamo la casa editrice per il consenso alla pubblicazione].
Nel 1927, all’apice della propria carriera come romanziere, Virginia Woolf scrive: “It may be possible that prose is going to take over […] some of the duties discharged by poetry. […] That cannibal, the novel, which has devoured so many forms of art will by then have devoured even more” (E 4, 434-435). L’affermazione, tratta da un saggio dal titolo eloquente di Poetry, Fiction and the Future (1927), contiene in nuce gli elementi della riflessione di Woolf sulla letteratura: la relazione prosa/poesia e la consapevolezza della necessità del romanzo, genere cannibale in grado di̔ ‘rifunzionalizzarne̓ altri ibridandosi con essi. Emerge un ulteriore aspetto cruciale: quando scrive sul romanzo, Woolf parte molto spesso da altri generi – in primis la poesia – e il confronto si sviluppa in sincronia come in diacronia. Così, percorrendo in lungo e in largo il vastissimo corpus saggistico woolfiano, si trovano non pochi scritti dedicati alla poesia, al teatro, alla saggistica, alla biografia.
La relazione tra i due macrogeneri di prosa e poesia, posta spesso in termini dicotomici o antitetici, e più in generale quella tra diversi generi letterari, è costitutiva anche nelle nove opere romanzesche di Woolf, definibili come ̔narrazioni a dominante letteraria̓. Nei romanzi di Woolf si parla in continuazione di letteratura, e alla letteratura e alle sue forme si allude sul piano compositivo e stilistico-espressivo; spesso i due procedimenti sono intrecciati. Ancora giovane, l’autrice scriveva nel proprio diario: “I was led into trying to define my own particular search — not after morality, or beauty or reality — no; but after literature itself” (D 1, pp. 213-214). Una simile dichiarazione non va letta in senso autoreferenziale né tantomeno come adesione a una poetica decadente-estetizzante, bensì come scelta di una prospettiva specifica, quella letteraria: perché conosciuto e praticato è il campo letterario, essendo Woolf cresciuta circondata non solo da libri, ma da scrittori, studiosi e critici. Eppure, anche se densamente popolati da personaggi letterati, i romanzi di Woolf non sono mai Künstlerroman, perché fanno sempre perno su un articolato sistema di relazioni, in cui il punto di vista d’artista non è mai dominante: in questa ottica i generi e le loro funzioni sono luoghi di ‘negoziazione’.
Su simili questioni si concentrerà questo libro, che ambisce a mettere in luce la profonda interconnessione tra pratica di scrittura e riflessione saggistica: operazione, questa, resa possibile solo se si considerano i generi nella loro interazione, diacronica e sincronica, a differenza di quanto fatto in precedenti studi. Di numero esiguo – probabilmente anche a causa dello scarso successo della nozione di genere, perlomeno tradizionalmente intesa, sia presso gli scrittori modernisti sia presso chi li ha studiati[1] – i contributi in volumi monografici o monotematici[2] sull’argomento si sono concentrati su un solo genere, per lo più su uno di quelli praticati da Woolf. In questo filone si inseriscono i recenti studi sulla short story (Benzel e Hoberman 2004, Reynier 2009) e quelli più numerosi sulla saggistica (Luciani 1994, Brosnan 1997, Rosenberg e Dubino 1997, Gualtieri 2000, Saloman 2012) e sulla biografia (Cremonesi 2013).
La prospettiva sistemica illumina la latenza degli studi incentrati sui due generi che Woolf non praticava, il teatro (se si eccettua la pièce teatrale Freshwater, scritta per gli amici nel 1935 ma mai data alle stampe) e la poesia. Sul primo in tempi recentissimi si è concentrato Steven Putzel (2012), in uno studio che rivela i molteplici aspetti della relazioni di Woolf con il drama: dalle sue intense frequentazioni teatrali ai saggi dedicati al teatro fino al nesso fra modo drammatico e pratica narrativa, come avviene per esempio in The Years e in Between the Acts.
Attorno alla poesia si delinea un grande paradosso – o malinteso? Woolf non ha mai scritto un verso: o meglio, nel 1934 compone una poesia: Ode Written Partly in Prose on Seeing the Name of Cutbush Above a Butcher’s Shop in Pentonville, nel cui lungo e circostanziato titolo, più adatto al ‘romanzo delle vite particolari’ che al genere dell’ode, ricompare ancora una volta l’antitesi poesia (ode)/prosa con evidente venatura ironica. Eppure la poesia è per Woolf una vera ossessione: ciò è evidente non solo nella ricorrenza di tale antitesi, ma anche nell’elevato numero di personaggi poeti presenti nei romanzi. Non esiste tuttavia una monografia che esamini la questione in maniera sistematica e nella sua articolazione complessiva. Apparentemente siamo davanti a una contraddizione, tenuto conto che Woolf è da sempre stata considerata una romanziera ̔lirica̓: dai primi critici (Troy 1967), fino a Freedman (1963), per il quale l’opera della scrittrice è paradigmatica del “romanzo lirico”, o McNichol (1990), che parte dall’assunto, poco circostanziato nel corso della trattazione, per cui “Virginia Woolf is a poet who used prose fiction as her medium” (1990, p. vi). Il tentativo, insomma, è sempre stato portare Woolf verso la poesia, ritrovare le marche del genere lirico nella sua prosa o enucleare situazioni ̔poetiche̓ (non meglio definite) nei suoi romanzi. In tal modo non si tiene conto del fatto che la stessa Woolf, per quanto certamente non esente da contraddizioni nel rapporto con la poesia, avesse ben chiaro che “we are moving in the direction of prose” (E 4, p. 434) e che la partita della letteratura novecentesca si sarebbe giocata sul romanzo, unico genere, a suo parere, in grado di restituire la complessità delle relazioni umane in età postbellica.
Si arriva così al primo vero problema nell’affrontare la relazione tra Woolf e i generi, ossia la definizione di genere stesso all’interno del corpus woolfiano. Come sempre accade, specialmente quando si cerca di scandagliare una delle dicotomie life/literature, public/private,[3] prose/poetry, ci si scontra non solo con la stratificazione e la diversificazione dell’occorrenza dei termini all’interno dell’esteso corpus, con la loro sedimentazione tematica e discorsiva negli scritti argomentativi così come nei racconti d’invenzione, ma anche con evidenti contraddizioni irrisolte. Per esempio, lo stesso termine “poetry”, usato per descrivere aspetti che pertengono a livelli diversissimi della scrittura, assume connotazione talvolta negativa – quando è associato a una pratica elitaria ed esclusivamente maschile della letteratura (cfr. Bell 1977, pp. 205-206) o alla versificazione come forma obsoleta (cfr. E 3, p. 171). Altre volte ha valenza positiva: per esempio se viene utilizzato per designare scene che squarciano l’ordine puramente sequenziale di una narrazione romanzesca (cfr. la “poetry of situation” che Woolf trova in Emily Brontë, Lev Tolstoj o Herman Melville, E 5, p. 77). Similmente, quello che possiamo definire il “modo” (Genette 1979) – narrativo, lirico, drammatico – non conosce un’unica definizione: che cosa intendeva suggerire Woolf, per esempio, dicendo che “Time Passes” è la “lyric portion” di To the Lighthouse (D 3, pp. 106-107) o che quest’ultimo romanzo è “undramatic” (ibidem)? E in che senso la genesi di The Waves è legata a “a new kind of play” (D 3, p. 128)? Quello che ci si propone di fare in questo libro, analizzando di volta in volta simili affermazioni, non è tanto cercare di sistematizzare ciò che sistematizzabile non è, quanto mostrare la funzione costruttiva e critica[4] cruciale assunta dai generi letterari. Sarà così possibile illuminare sia il rapporto dialettico tra macrogeneri nel corpus woolfiano sia la rielaborazione di sottogeneri specifici da parte dell’autrice.
Nell’adozione di una prospettiva comune, capace di legare saggi e romanzi, i generi letterari diventano un utile criterio analitico per comprendere questioni cruciali nell’opera e nella pratica letteraria di Woolf: l’autorialità femminile, il rapporto con la tradizione letteraria inglese, la configurazione dell’istanza narrante, l’articolazione dell’orizzonte di attesa. Simili questioni pertengono evidentemente a diversi campi della critica e della teoria letteraria. Non giova qui più di tanto osservare come Woolf anticipi in maniera pionieristica temi cari alla critica letteraria secondonovecentesca, quanto osservare che questi vengono sempre affrontati in connessione costante con l’ordine complesso delle morfologie di genere.
Se già è arduo proporre una funzione non tassonomica per il concetto di genere nel corpus woolfiano, si presenta in maniera problematica anche il collegamento con le diverse teorie dei generi. Si tratta di un campo immenso, sfrangiato e percorso da continue tensioni: impossibile – e inopportuno in questa sede – ripercorrerne la storia[5] millenaria, che attraversa in modo trasversale le grandi fratture dell’evoluzione letteraria e sulla quale non c’è mai stato accordo. Si è ritenuto quindi impossibile – e anche anacronistico – scegliere una e una sola teoria dei generi e ̔applicarla̓ all’opera woolfiana. È proprio il carattere polimorfo e articolato della presenza dei generi in Woolf ad aver sollecitato, nelle pagine che seguono, un dialogo con diversi punti di vista critico-metodologici.
Grazie a Bachtin (1976) è stato possibile mettere a fuoco la visione di “lunga durata” dell’evoluzione letteraria[6] data dalla permanenza dell’“ossatura di genere” della letteratura (1976, p. 183), così come la consapevolezza del fatto che il romanzo sia un genere “ancora incompiuto”, nato in seguito al crollo del sistema dei generi e degli stili, consustanziale alla modernità. Quindi, per Bachtin come per Woolf, il romanzo è in grado di riaccentuare i generi del passato, di rifunzionalizzarli. Sempre Bachtin sottolinea come il romanzo sia l’unico genere nato dopo l’invenzione della stampa, il genere della percezione muta (1976, p. 181). Questa sua caratteristica essenziale porta l’attenzione sul radicale della presentazione, centrale nella teoria “retorica” dei generi elaborata da Frye (2000):
The basis of generic distinction in literature appears to be the radical of presentation. Words may be acted in front of a spectator; they may be spoken in front of a listener; they may be sung or chanted; or they may be written for a reader. […] The basis of generic criticism in any case is rhetorical, in the sense that the genre is determined by the conditions established between the poet and his public. We have to speak of the radical of presentation if the distinctions of acted, spoken, and written word are to mean anything in the age of the printing press (p. 247).
Le parole di Frye illuminano aspetti ben presenti a Woolf, la quale ha enorme consapevolezza della relazione fra medium – quello della prosa, stampata in un libro da fruire in silenziosa solitudine – e composizione romanzesca. In diverse occasioni, come si vedrà, Woolf si dimostra attentissima all’effetto di lettura sortito dalla prosa, soprattutto quando quest’ultima è utilizzata per restituire una sequenza di eventi disposti diegeticamente.
Il genere, inoltre, è anche – e soprattutto – una questione di gender. In tempi relativamente recenti, a partire dagli anni Ottanta in poi, la riflessione sul genere ha incrociato quella sul gender,[7] in studi (cfr. Eagleton 1999) che sono partiti dalla constatazione di Woolf in A Room of One’s Own della scarsità di voci femminili in poesia. Ciò permette di riconsiderare in una luce diversa le ripetute intenzioni di ibridare prosa e poesia e ancora una volta di ridimensionare la pertinenza della definizione di ̔prosa lirica̓ per Woolf. Molte volte, infatti, mobilitare la poesia significa per Woolf alludere a uno statuto autoriale ben preciso, tradizionalmente negato alle donne: questione, questa, che Woolf mette all’ordine del giorno nel momento in cui il romanzo si sta emancipando dal punto di vista estetico. Il genere diviene così il luogo cruciale per la negoziazione dell’identità autoriale.
Quando trapassa all’interno della narrazione romanzesca, il confronto fra i generi permette di meglio inquadrare questioni connesse alla configurazione enunciativa dell’istanza narrante. Come ha mostrato Sniader Lanser (1986 e poi 1992), lo sfruttamento delle risorse del discorso indiretto libero da parte di Woolf non è funzionale solo allo shift in point of view, ma anche all’assunzione di una distanza dai personaggi. Si cercherà di mostrare come la mobilità della postazione elocutoria, soprattutto nei romanzi più sperimentali, sia funzionale all’assunzione di una determinata pronuncia che evoca a sua volta una determinata postura, rappresentata attraverso il procedimento della dominante letteraria.
Percorrere l’opera woolfiana nella prospettiva dei generi consente di mettere a sistema – che è cosa ben diversa da sistematizzare – aspetti finora considerati in maniera separata, come la tecnica narrativa (troppo spesso ascritta in maniera generica a un altrettanto generico stream of consciousness, senza attenzione all’uso prevalente, quasi esclusivo, della terza persona e alle sue implicazioni); l’autorialità femminile così come emerge nei saggi; o, ancora, aspetti messi in luce in tempi recenti da studi di materialist modernism, quali l’attività editoriale della scrittrice (Southworth 2010), il suo rapporto con il mercato letterario (Dubino 2010) o la sua presenza pubblica nel dibattito culturale dell’epoca (Snaith 2000, Cuddy-Keane 2003).
La pubblicazione dell’edizione critica dei saggi di Woolf, conclusasi nel 2011, ha permesso di disporre su un arco cronologico ampio l’attività saggistica della scrittrice, di osservarne corsi e ricorsi ma soprattutto la parentela tra discorso argomentativo e scrittura narrativa, fondamentale eppure spesso trascurata (cfr. Saloman 2012, p. 6). Di qui la scelta di adottare, per questo libro, una scansione cronologica. È stato così possibile evidenziare l’andamento ̔ruminante̓ del pensiero woolfiano sulla letteratura: un andamento che descrive un continuum dai primissimi anni di attività fino agli ultimi e in cui i generi letterari rappresentano una costante, una sorta di impalcatura concettuale al cui interno è possibile inquadrare riflessioni di più ampio respiro sulla pratica letteraria woolfiana.
Note
[1] Cfr. Whitworth (2005): “Modernist writers spoke relatively little of ‘genre’ and much more of literary ‘form’; the impressionistic metaphors they used to describe form were readily transferable from one mode of writing to another. Poetry carried the greatest cultural prestige, and for some critics was virtually synonimous with serious literature”.
[2] Per i contributi saggistici si rimanda invece ai riferimenti bibliografici contenuti in ogni singolo capitolo.
[3] Proprio a questa dicotomia, Anna Snaith dedica considerazioni di metodo condivisibili: “Woolf’s complex and varied use of the terms necessitates an awareness of contingency: of the historical and textual circumstances in which she uses them. This kind of awareness is useful in all areas of Woolf’s criticims […]. The methodology of this study, therefore, may perhaps contribute to the recent work on Woolf which recognizes the difficulty of generalization in criticism on a writer who was philosophically resistant to generalization itself” (2001, p. 6).
[4] Sulla funzione “critica” dei generi cfr. Fowler (1982, pp. 38-39), il quale mostra come anche in tempi relativamente recenti (l’esempio più eclatante è Claudio Guillén 1971) si sia proposta una tassonomia esclusivamente classificatoria dei generi, basata inoltre su criteri puramente estetici. Per Fowler, invece, all’interno di un paradigma letterario comunicativo e funzionale, i generi diventano prima di tutto strumenti critici: “When we try to decide the genre of a work, then, our aim is to discover its meaning. Generic statements are instrumentally critical, as Mario Fubini said: they serve to make an individual effect apprehended as a warp across their trama of weft. […] It follows that genre theory, too, is properly concerned, in the main, with interpretation. It deals with principles of reconstruction and interpretation and (to some extent) evalutation of meaning. It does not deal much with classification” (1982, p. 38).
[5] Per la quale si rimanda a Combe (1992), Fowler (1982), Duff (1999), Todorov (1978), Schaeffer (1989).
[6] Sul genere come categoria fondante per lo studio della longue durée letteraria, in un paradigma d’indagine che sia insieme storico e retorico, cfr. anche Moretti 1987: “I testi letterari sono prodotti storici organizzati secondo criteri retorici. Si direbbe proprio che il principale problema di una critica letteraria che voglia essedere in tutto e per tutto una disciplina storica consista nel riuscire a rendere conto di entrambi i lati dei propri oggetti […]. Ora, questo apparato teorico in buona sostanza già esiste, ed è imperniato sul concetto di ‘genere letterario’” (p. 11).
[7] Cfr. Duff (1999, p. 251): “The connections between genre and gender are one of the most fruitful areas of investigation to have emerged from the feminist revolution in literary studies”.
Bibliografia:
Abbreviazioni per saggi, lettere, diari:
E (seguito dal numero romano del volume)
The Essays of Virginia Woolf. 6 vols. Vols. 1-4, a cura di Andrew McNeillie. London: The Hogarth Press, 1986-94. Vols. 5-6 a cura di Stuart N. Clarke. London: The Hogarth Press, 2009-2011.
L (seguito dal numero romano del volume)
The Letters of Virginia Woolf, a cura di Nigel Nicolson and Joanne Trautmann. 6 vols. London: The Hogarth Press, 1975-1980.
D (seguito dal numero romano del volume)
The Diary of Virginia Woolf, a cura di Anne Olivier Bell; vols. 2-5 con l’assistenza di Andrew McNeillie. 5 vols. New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1977-1984.
Letteratura secondaria:
Bachtin, Michail, 1976, “Epos e romanzo” (1935), in Lukács, Gyorgy e Michail Bachtin, Problemi di teoria del romanzo. Metodologia letteraria e dialettica storica, a cura di Vittorio Strada, Einaudi, Torino 1976.
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Brosnan, Leila, 1997, Reading Virginia Woolf’s Essays and Journalism, Edinburgh University Press, Edinburgh.
Combe, Dominique, 1992, Les genres littéraires, Hachette, Paris.
Cremonesi, Claudia, 2013, The Proper Writing of Lives: Biography and the Art of Virginia Woolf, Aracne, Roma.
Duff, David (a cura di), 1999, Modern Genre Theory: A Reader, Routledge, London.
Eagleton, Mary, 1999, “Genre and Gender”, in Duff 1999, pp. 250-263.
Fowler, Alastair, 1982, Kinds of Literature: An Introduction to the Theory of Genres and Modes, Cambridge, Cambridge University Press.
Freedman, Ralph, 1963, The Lyrical Novel. Studies in Herman Hesse, André Gide, and Virginia Woolf, Oxford University Press, Oxford.
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Genette, Gérard, 1979, Introduction à l’architexte, Seuil, Paris.
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Guillén, Claudio, 1971, Literature as System, Princeton University Press, Princeton.
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Todorov, Tzvetan, 1978, Les Genres du Discours, Seuil, Paris.
Troy, William, 1967, “Virginia Woolf: The Novel of Sensibility” (1932), rist. in Selected Essays, a cura di Stanley Edgar Hyman, Rutgers University Press, New Brunswick.
Withworth, Michael, 2005, Virginia Woolf, Oxford University Press, Oxford.
[Immagine: Gisele Freund, Virginia Woolf]
Grazie per la pubblicazione di questo estratto! Leggero’ molto volentieri il libro.