di Massimo Gezzi
[È uscito ieri, per le Edizioni Casagrande di Bellinzona, Uno di nessuno. Storia di Giovanni Antonelli, poeta, un poemetto in cui presto la voce a Giovanni Antonelli, poeta anarchico e anticlericale nato a Sant’Elpidio a Mare nel 1848 e morto in un ospizio per poveri nel 1918, dopo una vita trascorsa per lo più in carcere e in manicomio. Il libro si compone di una prima parte in poesia e di una seconda parte in prosa, oltre che di un apparato di immagini. Presento un estratto della prima e dell’ultima sezione in versi e l’inizio della prosa].
I. Infanzia
Qui si nasce e si abita felici,
sembrano dire il panorama, le terre
fertilissime, il mare lontano infiorato
di barche e pescherecci.
Eppure in questo luogo delizioso,
in mezzo a tanta gioia
di sole, di terre, di mare e d’ogni cosa,
nacque un’erba avvelenata che crebbe
disprezzata come ortica del fosso.
*
Più mastino che uomo,
il compaesano vostro: testa e occhi piccoli,
la schiena incurvata, capelli e barba
irti e spettinati, labbra forti.
Lo sguardo smarrito in una beffa
implacabile, tanto che tra mille
lo riconoscereste.
*
Maledirono il loro matrimonio,
i miei cari, per la miseria che soffrirono
davanti ai loro figli.
Io li benedico in eterno, però,
sempre grato alla loro ingenuità
e ai loro sbagli. E se a volte ne sento
il peso e l’angoscia è perché furono
la causa della loro solitudine.
*
(Volevano la mia felicità e per questo
mi educarono all’ignoranza
e alla disonestà).
*
Provai subito sdegno del pantano
natale. Me ne andavo nei paesi
limitrofi, lontano dalle mura.
Mi davano piacere i disagi che incontravo.
[…]
*
Quando vedevo
le vacche al macello, i maiali sgozzati,
i topi schiacciati nella pula
dei solai scoppiavo in lacrime.
Un giorno liberai due colombe
ingabbiate. «Vivrai bene in questo mondo»,
mi derise un cugino, «caro il mio piccolo
filosofo d’accatto…»
XI. Dopo
Non resta molto, ormai, da raccontare.
Per l’ultima volta, a Senigallia,
rividi mia madre: era sorda, minuta,
gli occhi fuori dalle orbite. Fu un colloquio
senza voce, uno sperpero di gesti
ripetuti a memoria, gesti sacri.
Le scrissi il mio amore, le lasciai
il saluto silenzioso che sapevamo tutti e due
essere l’ultimo, l’impossibile.
[…]
*
Ho finito la carta, in questa cella
del manicomio. Concludo la mia storia,
fratello mio che non mi ascolti,
che mi hai fatto una colpa
della miseria che mi perseguita.
Un giorno queste righe saranno lette
da qualcuno, e qualcuno, insieme a me,
darà loro una voce. Sarà un giorno
di pioggia o di luce, poco importa:
il seme dell’anarchia barbicherà
nella repubblica, i gesti degli uomini
torneranno sinceri.
Andate, parole, calmate le mie angosce.
Evadete dalle carceri, ribellatevi a chi vi arresta,
lasciatemi l’illusione che qualcuno saprà
veramente chi siamo, se io sono
Antonelli e voi tutti siete me.
*
Storia di Giovanni Antonelli, poeta.
La storia che avete appena letto non è inventata. O meglio, lo è in parte, perché quando si racconta la vicenda di qualcuno e si prova a immaginare la sua vita interiore, inevitabilmente il confine tra storia e invenzione si sbriciola, si sfrangia.
Così in questo libro il personaggio che dice io non è immaginario ma reale, anche se la sua vita, che ha chiesto prepotentemente di essere raccontata in versi, a tratti è immaginata, scorciata, volontariamente travisata.
Giovanni Antonelli è esistito davvero. Era un poeta, un vagabondo, un «demente» che è stato internato in molti manicomi o carceri delle Marche (Fermo, Macerata, Ancona) e d’Italia (Napoli, Aversa, Roma). Era un anarchico, un anticlericale, un miserabile, e forse per questo il suo paese d’origine, che è anche il mio, ne ha completamente cancellato la memoria, come poeta e come uomo.
Queste note, che seguiranno la scansione dei capitoli di Uno di nessuno, serviranno allora a dare un fondamento di verità ai versi che ho scritto. A raccontare con più esattezza storica la sua vita reale, che per molti tratti, tra l’altro, resta ancora sconosciuta.
I. Infanzia
Fino ad oggi, per esempio, nessuno sapeva con precisione quando Antonelli fosse nato. Nella sua autobiografia Il libro di un pazzo (1892 e 1893) è lui stesso a depistare i lettori, inducendoli a collocare la sua nascita intorno al 1851 o 1852. Antonelli racconta infatti che nel 1861, a dieci anni non compiuti, si arruolò volontario in marina. Nell’edizione del 1893 corregge questa indicazione, riducendosi ulteriormente l’età: «Procurai di arruolarmi in un corpo di terra, ma potevo essere accolto ad otto anni incompiuti?». Invece quando si arruolò in marina di anni ne aveva di più, anche se non tanti: appena tredici, se è vero che Giovanni Luigi Benedetto Antonelli nacque nella notte («circa auroram») tra il 20 e il 21 marzo 1848 a Sant’Elpidio a Mare (oggi provincia di Fermo), quartogenito del padre Damaso e della madre Carolina Teatini «ex Portu Firmi». È l’aurora del primo giorno di primavera dell’anno che resterà alla storia come la Primavera dei popoli: il suo destino di ribelle è già tutto scritto nelle date e nelle parole del suo atto di battesimo.
[…]
Sin da giovane Giovanni manifesta insofferenza verso le convenzioni borghesi e verso il suo paese. Segue con profitto le lezioni private del maestro Martinelli, che intravede in lui del talento e lo appassiona alla lettura e alla scrittura. Pare che Giovanni abbia vinto tre concorsi, grazie alle cure del maestro: Calligrafia, Lingua latina e Retorica.
Il ragazzo, però, è irrequieto: «Fornito di uno spirito ardentissimo, era impaziente di lunga dimora, in ispecie se inutile; amantissimo del moto e di viaggiare sovente, portavami in campagna od in paesi appodiati, e talvolta a qualche distanza pur fuora di Provincia, provando dolce compiacenza dei disagi, che lungo i viaggi incontrava». Così, eccitato dai clamori e dalle notizie politiche che provengono dal nord Italia, il 29 agosto 1861 Antonelli si arruola in marina come mozzo, imbarcandosi sul regio brick Daino. Ha tredici anni e sta per conoscere un’infinita serie di strazi.
[Immagine: Ritratto fotografico di Giovanni Antonelli, da Altri sonetti, Stabilimento tipografico cooperativo, Fermo 1909].