di François Jullien
[Quello che segue è un capitolo di Entrare in un pensiero (Mimesis). di François Jullien. Jullien sarà ospite del festival Essere cosmopoliti a Udine]
Prenderò la «prima frase» cinese dall’inizio del più antico libro della Cina, quello che le fa da sfondo: l’Yijing o «Classico dei mutamenti», traducendo il titolo alla lettera (yi: «mutamento», jing: classico»). Ma si tratta davvero di un libro? Se di libro si vuol parlare – è un testo che si compone per strati successivi, tra l’inizio e la fine del primo millennio prima della nostra era – questo libro si costituisce a partire non da una Parola, ma da un tracciato: un tratto pieno o spezzato ( – o – – ) con cui si simboleggiano i due fattori in correlazione che mantengono in tensione ogni realtà, yin e yang – al tempo stesso opposti e complementari. Questi tratti orizzontali, che si sovrappongono uno all’altro, si combinano in figure di tre o di sei tratti (formando così sessantaquattro esagrammi); queste figure derivano le une dalle altre e formano un dispositivo che, emerso dalle antiche pratiche divinatorie ed utile per l’estrazione delle diverse combinazioni, è al contempo aleatorio-operativo. È cioè qualcosa che si può manipolare: quelle figure permettono a chi le consulta di diagnosticare attraverso il loro diagramma, seguendo l’intrecciarsi dei due tipi di tratto, le linee di forza all’opera in qualsiasi situazione incontrata, della quale bisogna saper trarre partito per avere successo.
Si capisce subito, dagli elementi che lo compongono, qual è l’originalità di questo «libro». Non insegna un Messaggio né pretende di fornire un Senso (sull’enigma del mondo o sul mistero della vita), ma conduce a scrutare, procedendo dal basso verso l’alto di ogni figura, linea dopo linea, come si sviluppa e che piega assume questa o quella situazione: se in modo positivo o negativo, «fasto» o «nefasto», in funzione delle tendenze e delle interazioni scoperte, che restano sempre in divenire. Ciascuna delle figure successive, sia considerate globalmente sia prese tratto per tratto, fa apparire nella sua coerenza – con una macro- e una micro-lettura – un momento della trasformazione in atto. Le due prime figure invece si collocano a parte, poiché sono costituite da un solo tipo di tratto: la figura iniziale è formata soltanto da tratti yang, che evocano la capacità del Cielo ); la seconda è formata soltanto da tratti yin, che evocano la capacità della terra ) – yin e yang sono in principio il versante in ombra e quello al sole di una montagna, il suo lato oscuro o luminoso. Queste due figure formano una coppia – sei tratti yang di fronte a sei tratti yin – e completano il capitale dei tratti che compongono la serie, ovvero la totalità delle energie investite, rappresentando la polarità d’insieme. La prima incarna quello che tradurrò con capacità iniziatrice, Qian 乾, e la seconda è la capacità ricettiva, Kun 坤: nel loro porsi faccia a faccia costituiscono la porta a due battenti (men 門) attraverso cui non cessa mai di fluire il processo delle cose.
Una volta che questo dispositivo si è radicato, quale formula d’apertura, quale prima frase si potrà mai immaginare? E si tratta davvero di una frase, a rigor di termini? Sono solo quattro sinogrammi che si susseguono, stando fianco a fianco, senza che nulla indichi una reggenza, un rapporto di coordinazione o di subordinazione. Questi quattro monosillabi si equivalgono, non c’è nulla che ne indichi una distribuzione o una gerarchia; nella loro serie formano un tutto completo. In una tale formulazione si tratta davvero di verbi, oppure sono nomi, o aggettivi? Quale funzione possiedono queste parole? Dal punto di vista grammaticale nulla li individua, non vi è specificazione morfologica né reggenza sin- tattica. Secglierò di tradurre questa paratassi con una punteggia- tura minima:
Capacità iniziatrice: Qian 乾
Inizio
yuan |
espansione
heng |
profitto
li |
rettitudine
zhen |
元 | 亨 | 利 | 贞 |
O anche: «cominciare – prendere il volo – approfittare di / trarre partito da – restare diritto [solido]». Come si vede, una frase d’apertura simile non costruisce alcunché; si accontenta di dispiegare e al tempo stesso concatenare. Ogni termine che segue dà il cambio a quello che lo precede, e lo sviluppa; procede da quello, lo rinnova e lo conduce più lontano: come quattro punti o pietre sulla scacchiera che da soli disegnano una curva. Davanti a una tale non-alternativa (rispetto a tutta la serie di alternative che, nelle nostre lingue, ci impone la sintassi) mi chiedo: si può immaginare una formula di partenza meno inventiva, meno postulata e meno avventurosa – meno arrischiata? Ci si può figurare una proposizione meno motivata da scelte determinate, a partire da quelle grammaticali, a cui costringono le altre lingue (scelte di persona, genere, numero, tempo verbale, ecc.)? Ci si può immaginare una proposizione che si propone meno di questa come opzione, come ipotesi/ipoteca da porre su ciò che potremmo chiamare «realtà»? Questo enunciato non si riferisce a nulla di particolare; non ha soggetto né complementi, ma segna le tappe e la giustificazione di ogni sviluppo: e ciò che si sviluppa non è tanto un senso, a rigore, quanto una coerenza.
Si tratta quindi meno di una frase, a dire il vero, quanto di fasi successive di uno svolgimento. Si possono leggere quei quattro termini uno a uno e in successione. Come esempio stagionale: vi è l’«inizio» della primavera; l’«espansione» dell’estate; il «profitto» (raccolto) dell’autunno; la «rettitudine» (solidità e tenacia insieme) dell’inverno, che permette di durare, grazie al celarsi della capacità, fino al rinnovamento. Ma si possono leggere i termini anche due a due, come delle polarità: all’esplosione di un «inizio» risponde l’«espansione» che ne diffonde l’effetto; oppure (o in seguito) il «profitto» del raccolto reclama l’integrità della «rettitudine» per non esaurirlo. In ogni caso c’è qui la formula chiave, più volte ripetuta nel corso del libro – e tratta dall’antico sfondo delle operazioni divinatorie – di ciò che costituisce indefinitamente la realtà nel suo processo continuo, e che nulla può rimettere in questione, ridurre o contraddire.
«Inizio» indica ciò che da principio si staglia e avanza come «avvio» delle cose (ji), quando già si scorge l’orientamento di una configurazione appena abbozzata. Ciò vale indifferentemente per tutto quel che viene al mondo, all’esistenza. Concerne sia la natura sia l’umanità, si coglie tanto su un piano fisico quanto su piano morale. Come diranno i commentatori, vale per ogni formazione del «soffio», vapore o energia (qi 气) che comincia ad individuarsi e ad attualizzarsi per condensazione e concrezione: è così che germoglia la pianta o nasce l’insetto, è così che si formano le nuvole e le rocce, è così che accadono le cose e gli eventi. Ma vale altrettanto bene per la minima incitazione del foro interiore, che reagisce a quanto percepiamo nel mondo come qualcosa di insopportabile e fa esplodere in noi una scintilla di «umanità»: la possibilità della virtù ha origine da un sentimento iniziale di pietà (ren 仁), come non-insensibilità nei confronti di ciò che accade agli altri. In rapporto a questo, il tempo successivo dell’«espansione» è quello della diffusione e della maturazione; o più precisamente, per usare un’immagine, è il tempo della «cottura» interiore, invisibile, che porta a compimento l’evoluzione e infine giunge a piena manifestazione. A questo stadio l’avvio iniziale si dispiega del tutto e si espande, fa comunicare dall’interno e porta a germogliare e a crescere: ciò che è appena avviato si propaga e si accumula come una palla di neve o una macchia d’olio – è così che l’effetto si promuove e si sviluppa.
Vediamo subito in questi primi termini che l’originalità di questa formula di apertura consiste nel difendersi, nel disfarsi di ogni originalità e di qualsiasi confronto: si guarda bene dall’introdurre un qualsivoglia intrigo, dal mettere in tensione una opposizione. La formula non isola niente, non implica riferimenti particolari, non fa preferenze, non costituisce un ordine peculiare, non lascia immaginare un altrove né una esteriorità. Se non è indicato alcun soggetto – come la lingua cinese permette di fare – è perché nulla di fatto si determina come tale; nulla serve da supporto sostanziale a cui legare una predicazione. E nulla sfugge a una prospettiva fenomenica, relativa cioè alla formazione dei fenomeni: io e mondo vanno di pari passo, soggettivo e oggettivo non si separano. Anche «io» infatti, in tutte le mie manifestazioni di esistenza interiori ed esteriori, sono una attualizzazione momentanea di questo dinamismo o di questo slancio che si espande ovunque, si investe, interagisce e fa comunicare l’energia.
L’angolo visuale, che fa di tutto per sopprimersi proprio come «angolo», è quello di ogni processo che scatta e si propaga, colto nel suo evento e nel suo sviluppo. Tradurre con «profitto» (li) il termine successivo è un po’ riduttivo; finisce per essere qualcosa di un po’ troppo interessato. Nella sua grafia ordinaria, l’ideogramma è composto dalla spiga e dalla falce 利: significa che è ormai tempo di mietitura, tanto l’espansione ha avuto successo. In altre parole questa espansione, dispiegandosi, risulta al tempo stesso «specifica» (saliente) e «favorevole» (nel doppio senso di li); vi è dunque una posizione da sfruttare, a partire dall’avvio iniziale che incentiva sempre di più il suo effetto. Un simile beneficio è durevole, appunto, proprio perché non favorisce nulla in particolare, non inclina verso alcuna parzialità ma rispetta un giusto equilibrio, non devia né eccede. Mantiene così, con la sua «rettitudine», ultimo termine della frase (zhen), la sua capacità immanente; e questa fecondità all’opera non si prosciuga mai.
Se quindi torniamo alla nostra domanda di partenza cominciamo a capire in modo meno innocente e più netto: come si entra nel pensiero? Secondo quale linea, con quale “mano” si apre un gioco, o ci si apre un cammino? Che cosa determina l’inizio, che cosa comincia, cosa sostiene e cosa si privilegia? Poi non si farà altro, credo, che assumere e sviluppare le conseguenze di quell’inizio. Mi chiedo dunque se con questa semplice frase d’apertura: «Inizio → espansione → profitto → rettitudine» i giochi non siano già fatti; cioè se non sia già deciso tutto, proprio per il fatto che questa prima frase non apre la scena originaria che ci si sarebbe aspettati: non instaura un primo momento o un primo attore, è priva di racconto e di dramma, non fa emergere nulla. Non fa nemmeno supporre o costruire alcunché, non lascia spazio all’argomentazione né alla narrazione – non c’è né mythos né logos. Chi si sognerebbe di farsi inquietare dalla sua verità? E che cos’è un enunciato che non richiede alcuna giustificazione? Di qui la domanda: il nostro spirito può essere colpito da una messa in scena così priva di passione e di resistenza, dove non c’è alcuna fessurazione o contrazione attraverso cui si elevi un senso o si infiltri un’emozione? Questa frase, nel suo dipanarsi uguale, piatto, senza alcuna sospensione o tensione, può parlare al nostro desiderio? Lascia emergere anche solo un piccolo dubbio o un’interrogazione? E ancora: si può pensare – eccoci di nuovo al punto – senza interrogarsi?
Ebbene, il pensiero cinese è partito da qui – non dall’Essere né da Dio. Non è partito dall’opposizione di Essere e divenire, o di verità e apparenza, come ha fatto la metafisica greca sdoppiando il mondo; ha pensato invece la capacità iniziatrice investita nella formazione di ogni processo (quello del «Cielo»), che si sviluppa in polarità (con la «Terra») e prosegue sul suo cammino in modo che un processo si avvii – si sviluppi – si costituisca – si rinnovi; la non-deviazione del suo corso, ovvero la virtù del Cielo, è la condizione del suo rinnovamento (già sto facendo delle glosse, per giustificare…). Il pensiero cinese non è partito nemmeno da un Soggetto primo, autore o Creatore, come l’ha figurato il racconto biblico, ma ha pensato l’operatività investita in ogni corso discretamente, in silenzio ma con tenacia, che si tratti del corso del mondo o di una condotta particolare e definita. Non c’è drammatizzazione, né questa frase, che si staglia, che si arrischia o si avventura così poco, in un certo senso dice già tutto. Nel suo concatenamento forma un circolo, dalla «rettitudine» sulla quale il circolo si compie fino a un nuovo «inizio». Lascerà qualcosa in sospeso? Nessun enigma da decifrare, nessuna inquidetudine da risolvere: cosa vi si potrebbe aggiungere, che non sia già un commento?
[Immagine: Wu-Chi Tsung, Wrinkled Texture (gm).
,,,ma quanto è, – prima – il tutto, di prima?
Mettiamo…Orazio che è dopo…
”
Capacità iniziatrice: Qian 乾
Inizio
yuan
espansione
heng
profitto
li
rettitudine
zhen
元 亨 利 贞
Ovidio:
Prima del mare, della terra e del cielo, che tutto copre,
unico era il volto della natura in tutto l’universo,
quello che è detto Caos, mole informe e confusa,
non più che materia inerte, una congerie di germi