di Gabriele Frasca
[E’ da poco uscito Lame di Gabriele Frasca (L’Orma, collana fuoriformato). Presentiamo una scelta di testi seguita da una postfazione-presentazione di Andrea Cortellessa]
Da Rame (1984)
da «2»
calcare
su questa pietra stampa questa pietra
quanto resta di pelle che fu tesa
fin quando steso tese la sua tetra
crosta l’asciutto stampo dell’attesa
con cui ciascuno fra i midolli scruta
quel che sarà dell’ultima venuta
ricalcare
cosi se seguitai seguirti dammi
il senso dell’impronta da seguire
per calcare la strada degl’inganni
senza aver sempre voglia di finire
finire col ringhiare contro il cielo
se la corolla crolla sullo stelo
da «Rimerai»
se tu vuoi ch’io mi muoia fallo allora
e fa’ che il rame o l’acido tramuti
la luce in una sfoglia dove muti
rimangano al pensiero che divora
gl’instabili sussulti di quest’ora
che si rituffa dentro i suoi minuti
coi gesti dove fingere gl’inutili
insoliti saluti di dimora
cosi che mentre resto né rumore
potrà svegliarmi ne soffrirò cielo
che renda in gioia eterno il mio dolore
ma vedrò invece quanto sotto il velo
simile sei all’ultimo rigore
e dirò salve regina del gelo
Da Lime (1995)
da «Facili rime»
ritornello
un altro piccolo, piccolo sbalzo,
flebile tonfo, granello a granello
si slitta, e più si tiene, s’apre quello
che insulso indietro ad un gioco al rialzo,
ne nascono passioni, passano, e lo
sperpero, e il giorno perso, finché i fatti
ritornano faccende, o i loro scarti
mal tardato remo
alzati, apri la porta, e dopo chiudila,
aprila, e ancora chiudila, ma quante
volte, ma quante ancora, e quanto grande
il numero degli attimi, dei nudi
minuti, ore che spoglie, a caso, inutili
andarono, chiudendo, aprendo, vennero
affrante, o solite, contale, muti
calcoli, di chi aprì, di chi trattenne
un istante la porta, e poi finisce,
e poi finisce che non apri più,
non chiudi più, e finisce che tu
stai lì, fermo, alla porta, e poi finisce
fumetto
giunto al frigo l’aprì, non c’era molto,
solo l’austerità delle lamiere
d’alluminio, riempì d’acqua un bicchiere,
restò a guardarlo, ed insipido il volto
galleggiò un po’, poi si mise in ascolto,
niente, ovviamente, poteva sedere
ora, tranquillo, frugarsi, vedere
dentro, più dentro, ecco, non c’era molto
da «Sei»
rimarrà mario
questo tuo sogno questo sogno nostro
questo tuo sogno nostro che non cede
resiste questo sogno che non vede
sorgere il sole che dilegui il mostro
della sopraffazione questo nostro
sogno che ci hai sognato che le prede
libera dai rapaci questa fede
felice esiste resta e il nostro inchiostro
e adesso che ritornerà l’estate
afosa di zanzare sul naviglio
dove passa e s’azzuffa l’ottimismo
di questa gente che si vive a rate
tu resterai quasi dal nostro esilio
si vedesse venire il comunismo
spiaggia settembre del ’64
stasera vedi staglia il tuo residuo
la minuscola falla da cui passa
l’oceano dei rimbrotti la grancassa
dei debiti e dei saldi l’individuo
che ristagna qui dentro dove grido
il tuo nome senza eco senza che
mi dica me senza mi dica vedo
il luogo dove sto dove io che rido
sto fisso nel sorriso della posa
non ricordando il gesto né il perché
né il come o l’oggi esatto che non posa
e mentre con il tempo il tempo predo
sento la tua distanza nel divieto
che mi ricaccia qui dove rimango
quello che fui per te lungo la falla
da cui passo e ripasso e viene a galla
la colpa stessa per cui canto e piango
come se fossi al fondo della scala
e non sentissi il colpo della pala
che mi fa padre di mio padre e stampo
che mi ricalca tuo senza più scampo
da «Rimasti»
prima. prima che giunga il dopo. quando
sara raggiunto un dopo. né mai più
né verrà ancora. chiedersi. frugando
prima. se il prima sia a tornare su.
o resti invece a riafferrare il bandolo
almeno di chi fu. di chi laggiù.
prima del prima. alla cieca. allo sbando.
fini col dire tu. poi dirlo. tu.
fredda. sottile. ripassa la lima.
gratta i pronomi ai corpi a poco a poco.
finché s’ammucchia polvere dal prima.
irresponsabile. del fioco scopo
di congiungere il baratro alla cima.
da cui si rovinò. prima del dopo
Da Versi rispersi
da «Minime massime (da La Rochefoucauld)» [1998-2013]
Il y a des gens qui n’auraient jamais été amoureux s’ils
n’avaient jamais entendu parler de l’amour.
t’amo lo vedi ebbene sì l’ammetto
sebbene non ricordi dove l’abbia letto
da «Ottime ultime (da Beckett che traduce Chamfort, e non solo)» [1991-2006]
L’espérance n’est qu’un charlatan qui nous trompe
sans cesse; et, pour moi, le bonheur n’a commencé
que lorsque je l’ai eu perdu. Je mettrais volontiers sur
la porte du paradis le vers que le Dante a mis sur celle
de l’enfer: Lasciate ogni speranza etc.
Hope is a knave befools us evermore,
Which till I lost no happiness was mine.
I strike from hell’s to grave on heaven’s door:
All hope abandon ye who enter in.
la speranza è un furfante che imbroglia
ne gioia avrete se la coltivate
leverei il verso dalle inferne grate
per inciderlo in cielo sulla soglia
lasciate ogni speranza o voi che entrate
Bad You [2007]
Il ne servirait naturellement a rien de partir à la recherche
du rien. C’est à quoi, il faut le dire, la poésie
s’exténue, et ce qui, jusque dans sa plus souveraine
clarté, jusque dans son affirmation péremptoire, la
rend complice de la mort.
Alain Badiou
a nulla vale seguitare il nulla
sebbene vi si estenui la poesia
trovando o chiara o asciutta dalla culla
complice nella morte compagnia
È uscito nella collana fuoriformato delL’orma editore Lame, ovvero Rame + Lime seguite da Quarantena e Versi rispersi, di Gabriele Frasca, con postfazioni di Giancarlo Alfano e Riccardo Donati (pp. 468, € 32). Il volume (che verrà presentato il prossimo 16 novembre a Napoli, al Museo Nitsch-Fondazione Morra, Vico Lungo Pontecorvo 29/D) raccoglie i primi due libri di poesia di Frasca, Rame edito da Corpo 10 nel 1984 (e ripubblicato, in una differente versione, da Zona nel 1999) e Lime edito nella «bianca» Einaudi nel 1995 (la stessa sede delle successive raccolte Rive, del 2001, e Rimi, del 2013), con in appendice una selezione dei componimenti risalenti allo stesso periodo ma non inclusi in dette raccolte (i Versi rispersi), e un’anticipazione dal lavoro più recente dell’autore (le «canzoni» di Quarantena).
Ma l’attitudine autofilologica di Frasca ristruttura il corpus delle sue due raccolte “novecentesche”, recuperandone – al netto di strettoie editoriali e ripensamenti personali – l’ordinamento originario, e facendo così del libro di oggi un libro nuovo, seppure incardinato sulle fondamenta solide di quelli già noti (non diversamente aveva già lavorato, nel 2007, all’autoantologia Prime, edita entro la non dimenticata collana «Arte poetica» di Luca Sossella). Così mettendo a giorno, anche riguardo ai propri stessi materiali, una poetica, quella del «ricalco» della tradizione – in primo luogo, ma certo non solo, metrica –, che all’inizio degli anni Ottanta rappresentò, in sinergia colla seconda maniera di Giovanni Raboni e l’epifania di Patrizia Valduga, la «stravolta ipernovità» (come la definì colui che aveva dato inizio alle danze, appunto coll’Ipersonetto di qualche anno prima: Andrea Zanzotto) di quel tempo che coincide, volenti o più probabilmente nolenti i protagonisti, coll’irruzione del postmodernismo nella cultura italiana.
Un «postmodernismo critico», come si sarebbe poi detto, e decisamente disforico (a differenza degli esemplari più vulgati, e più caduchi, di quegli anni), un neomanierismo clus e combattivo è quello del Frasca che al Rame del suo primo titolo (titoli sempre plurisensi, i suoi, “orbitanti” tutti attorno al mai pronunciato, archetipico «Rime») collega l’«acido» impiegato nella tecnica dell’incisione – per fissare la «luce» e congelare in un’immagine, ferma e impassibile, gli «instabili sussulti» della vita presente – e alle Lime del secondo il moto perpetuo, la cattiva infinità «fredda» e «sottile» del cesello che «gratta i pronomi ai corpi»: crudelmente resecando un’affettività soggettiva (e forse soprattutto collettiva), altrimenti, così esposta («eppure, sai, io e gli altri, lassù, in questi tempi misti, fummo cosi tristi, cosi tristi»: Suez, in Lime).
Si offre al lettore, così, il calco rigido (ma psichicamente mobilissimo, come si vedrà meglio nelle «forme fluide» accolte dai libri del nuovo secolo) di una forma intesa quale rifugio (l’«austerità delle lamiere / d’alluminio»). Fatta salva la consapevolezza, si capisce, che quel rifugio è il primo dei carceri d’invenzione che chi scrive sogna di lasciare (Dai cancelli d’acciaio è il titolo del romanzo più “infernale” di Frasca, edito da Sossella nel 2011). Con quest’ambivalenza va intesa la maestria di chi sempre più spesso ha voluto allegare ai versi propri riscritture di esemplari incontournables della tradizione, delle tradizioni, di riferimento (da un primo Góngora – rifatto in un napoletano d’invenzione nella sezione più antica dei Versi rispersi, «Lingue del no», che ascende ai tardi Settanta – ai Quevedo e Dylan Thomas di Rimi passando, qui, anche per i Beatles e i Residents): in «bonus tracks» di light verses dall’irresistibile humor noir (sul solco appunto del maestro Beckett, tante volte da Frasca tradotto, che rifà in scala le massime di Chamfort – magari ascendendo, attraverso di lui, al «calco» originario di padre Dante: si veda, di Frasca, il saggio Lo spopolatoio. Beckett con Dante e Cantor, Edizioni d’If 2015, a fare il punto su una proverbiale ossessione del saggista), come l’autodissacratorio Bad You, ossia Alain Badiou, riversato in quelli che del volume sono i versi di congedo.
Lo spettro infestante della forma resta sempre – per questo discepolo adorniano di McLuhan – il veicolo più idoneo a informare; ma, come la mirabolante “ipersestina” inaugurale di Rame è destinata a frangersi nella Dissestina di Lime, così il beckettiano «No’s knife» di Lame, al suo interno, contiene pure le remore e le latenze, i «rimastichi» del tempo di dopo. Cioè di adesso.
[Immagine: Olafur Eliasson, Versailles (gm)]
buongiorno, lo scrivo con tutto il rispetto e l’attenzione per i poeti viventi (e frasca è tra i migliori di certo), ma forse potreste pensare a un post, o come si chiama, a un saluto-omaggio a jolanda insana, che è morta ieri, magari pubblicando anche soltanto qualche suo verso. grazie per l’attenzione
Eccellente scelta. Grazie anche alle parole di Cortellessa.
Frasca sta fresco, se solo lo pesco
Libresco e furbesco a imitare Scialoja
Scialando parole. Che noia! Che noia!