a cura di Franco Buffoni
[È uscita Italian Contemporary Poets (FUIS), a cura di Franco Buffoni, un’antologia della poesia italiana contemporanea pensata per la circolazione internazionale. Raccoglie testi di quaranta poeti italiani viventi in traduzione inglese. Il testo integrale si può leggere qui. Presentiamo quattro testi di Antonella Anedda, Milo De Angelis, Gabriele Frasca e Valerio Magrelli, in italiano e in traduzione inglese].
Antonella Anedda
Coraggio
La cucina è un promontorio. Le pentole sono scogli divorati
da un vento-lupo che soffia e corre
in cerchio nell’isola. La ringhiera della finestra è una
raffica grigia, sua compagna nostra sorella
aguzza. Appena svegli noi siamo gli uccelli chini sul
lavabo, stanchi della migrazione notturna,
confusi dai razzi che percuotono i sogni.
In tutto il quadro è inverno.
Nella musica della radio rintocca la grandine.
Il suo bianco vibra sulle antenne e il balcone.
Con il suo muso di nuvola pietosa
l’alba ci spinge alla vita.
Courage
The kitchen is a promontory. The pans are rocks devoured
by a wolf wind that scours the island for prey. The
window’s railing is a grey gust of rain – his companion,
ourangular sister. Just woken, we are birds leaning over
the sink tired from night migrations, dazzled
by flares that drum on our dreams.
Winter fills the whole picture.
With the radio music we hear the clatter of hail.
Its whiteness quivers on the aerials and the balcony.
With its compassionate muzzle of cloud
dawn nudges us into life
(traduzione di Jamie McKendrick)
*
Milo De Angelis
Era buio. Il centro di agosto era buio
come il corpo nudo. Non potevo
trovare riposo né movimento: solo il battere
del sangue sulle labbra. Il buio
giungeva dal respiro aperto, dalla freccia alata
che entra nel mondo. Il buio
era lì. Era li, nel vertice
della prima caduta, era me stesso,
questo freddo che, oltre i secoli, mi parla.
It was dark. August was dark at its center
like a naked body. I could not find
rest or motion; only the blood
throbbing at the lips. The dark
arrived from the open breath, from the winged
arrow that penetrates the world. The dark
was there. It was there, in the vertex
of the first fall, it was myself,
this cold that, beyond centuries, speaks to me.
(traduzione di Susan Stewart e Patrizio Ceccagnoli)
*
Gabriele Frasca
di tutto questo niente
di tutto questo niente. questo niente
addosso. come un corpo. questa veste
che stinge. sciupa. smaglia fra le leste
unghie degli anni. queste luci spente
inesorabilmente. questa mente
forata e querula. di tutte queste
ore rincorse a farne specchio e teste
per le trascorse e immerse. resta niente.
come la spugna tutto si contiene.
si sputa. si riassorbe. mentre il siero
che ci sommerge ingrossa, e al dopo viene
un dopo. un niente al niente. finchè intero
lento sovviene il gusto dell’insieme.
mastice cieco. che anima il pensiero.
of all this nothing
of all this nothing. this nothing you have worn
like a body. this garment that now fades.
that frays. that ravels under the abrading
fingernails of years. these lights that have gone
inexorably out. this perforate and cranky
mind. of all these hours you have chased
to make of them mirrors witnesses for lost
and sunken hours. nothing of this remains.
like the sponge you take in everything.
spit yourself out. absorb yourself. meanwhile
the serum that’s drowning you is deepening.
and after comes an after. naught on naught
till slow entire it rises. the taste of the whole.
that blind adhesive. which gives life to thought
(traduzione di Geoffrey Brock)
*
Valerio Magrelli
Amo i gesti imprecisi,
uno che inciampa, l’altro
che fa urtare il bicchiere,
quello che non ricorda,
chi è distratto, la sentinella
che non sa arrestare il battito
breve delle palpebre,
mi stanno a cuore
perché vedo in loro il tremore,
il tintinnio familiare
del meccanismo rotto.
L’oggetto intatto tace, non ha voce
ma solo movimento. Qui invece
ha ceduto il congegno,
il gioco delle parti,
un pezzo si separa,
si annuncia,
dentro qualcosa balla.
Gestures that go astray
appeal to me – the one
who trips up or upturns
a glass of…the one who forgets,
is miles away, the sentry
with the insubordinate eyelid
– my heart goes out
to all of them, all who betray
the unmistakeable
whirr and clunk
of the bust contraption.
Things that work are muffled
and mute – their parts just move.
Here instead the gadgetry,
the mesh of cogs, has given up
the ghost – a bit sticks out,
breaks off, declares itself.
Inside something throbs.
(traduzione di Jamie McKendrick e Clarissa Botsford)
[Immagine: Olivo Barbieri, Site Specific: Roma (gm)].
Peccato alla mia inesistenza.
Peccato, sì, alle solite non lievi esclusioni, come, per esempio, perché Villalta e non de Palchi, perché Sorrentino e non Annino, and so on…
Antologizzare dovrebbe essere il risultato di una raccolta vastissima di giudizi, di lettori in primis. Altrimenti , pur comprendendo notevoli e nel tempo confermati autori, l’operazione è destinata a restare solo nella terra vacua della soggettività.
Annamaria Ferramosca
Facciamocene una ragione.
Nella terra vacua della soggettività
ci siamo anche noi – i lievemente
esclusi.
In poesia è arrivata l’ora
della soggettività dei Buffoni
e dei suoi notevoli
e nel tempo confermati
amici.
Giorgio Manacorda, ricordato da Matteo Marchesini in “Quel che resta della poesia”, aveva da tempo stigmatizzato così una buona parte della situazione: “tutti oggi si mettono in posa: Bellezza faceva sul serio il maledetto (…) Zeichen fa sul serio il dandy, De Angelis fa sul serio il Poeta, Conte fa sul serio il vate, Magrelli fa sul serio il poeta-intelligente, la Lamarque fa sul serio l’ingenua, e Mussapi fa sul serio il nulla”.
Gli altri,ma non tutti ovviamente, li lasciamo a Dio e al buon senso critico!
Marina Pizzi, Annamaria Ferramosca: quanto stereotipo, deprimente narcisismo. A ogni antologia cambiano gli esclusi, ma sono sempre le stesse le reazioni. Non è che se un’antologia non include me o te allora è terra vacua, su. Facciamo i censimenti permanenti, allora, così nessuno è escluso, partecipiamo tutti alla festa.
Perché gentilisdima signorina pizzi sperava di rientrare in antologia?? a quale titolo?
Così scontata la scomposta reazione alla reazione. Andrea (chi?) sa bene che Annamaria Ferramosca nel commento non ha parlato certo di sé e se potesse si autoescluderebbe per principio da ogni possibile- remotissima inclusione.
E sì, si continui pure a partecipare allegramente ad ogni party, esclusivo o globale che sia.
E gli esclusi? Si arrangiano anche loro. “Ognuno riconosce i simili”. Montale docet. Tu ti fai la tua antologia e io mi faccio la mia.
Vedete a Milano ad esempio:
Via Laghetto 2 – Milano
23 novembre 2016 – h. 17,30
Associazione Culturale Milanocosa
in collaborazione con puntoacapo Editrice
presenta
a cura di Adam Vaccaro
Il Fiore della Poesia Italiana
Intervengono i curatori
Mauro Ferrari, Vincenzo Guarracino, Emanuele Spano
Con Reading dei poeti presenti nel II Tomo dell’opera
Sebstiano Aglieco, Silvio Aman, Marco Beck, Eleonora Bellini, Rinaldo Caddeo,
Luigi Cannillo, Luigi Cannone, Antonietta dell’Arte, Antonio Donadio, Laura Garavaglia, Franca Grisoni,
Gianfranco Isetta, Marco Maggi, Marco Marangoni, Angela Passarello, Luisa Pianzola, Maria Pia Quintavalla,
Filippo Ravizza, Mario Rondi, Pierangela Rossi, Alberto Schieppati, Massimo Scrignoli, Ivana Tanzi, Adam Vaccaro
Ma basta far un giro per il Web e vedrete che mille fiori fioriscono.
Anche se l’odore è quasi lo stesso.
“Andrea (chi?) ”
I vecchi commentatori di LPLC sanno che, invariabilmente, ogni volta che su LPLC viene pubblicato qualcosa di Buffoni, se qualcuno critica, compaiono digrignanti e aggressivi alcuni mastini. Signore e signori, portatevi un bastone o girate alla larga.
Al narcisismo si accompagna volentieri la paranoia. Non conosco Buffoni e se l’ho letto è stato di sfuggita. Ma cos’è, volete che le antologie le curi l’Onu? È tanto difficile capire che se non siete stati scelti da un curatore è perché non piacete a quel curatore, punto, e non c’è nemmeno il rischio che il vostro talento sia escluso per invidia? Buona giornata
L’iniziativa e’ meritoria ed i nomi del tutto indifferenti: chi eventualmente leggera’ questo libro, cerchera’ qualcosa di italiano, forse, che traspiri e apra un qualche senso. Tutti i caravanserragli di 30-40-50 autori assemblati in volume unico, a qualunque latitudine, sono adatti allo scopo, ambasciatori senza volto che respirano luoghi e tempi sconosciuti al lettore ideale. Per il tipo di competizione legata al nome proprio, aspettando di capire se il mondo davvero tornera’ tutto un insieme disomogeneo di culture locali, vale piu’ scrivere nativamente in inglese e provare a farsi pubblicare da Poetry o dal New Yorker inviando online da Submittable e pazienza se le radici vanno a farsi benedire.
“se non siete stati scelti da un curatore è perché non piacete a quel curatore” ( Andrea)
Il problema potrebbe essere osservato anche da un punto di vista diverso e niente affatto narcisistico, paranoico o invidioso. Ad esempio, può capitare che un curatore non piaccia a certi autori. E che questi abbiano buone motivazioni per criticare operazioni editoriali (compresi «i caravanserragli di 30-40-50 autori assemblati in volume unico» cui accenna Il fu GiusCo) oggi sempre più spesso amicali e fondate su criteri di valutazione critica fin troppo soggettivi.
« L’iniziativa e’ meritoria ed i nomi del tutto indifferenti» (Il fu GiusCo )
Dobbiamo credere sulla parola? Qualche spiegazione in più per chi non scrive «nativamente in inglese» non guasterebbe.
Caro Abate, dei poeti italiani contemporanei, di chi e di cosa si scrive in poesia in lingua italiana, non importa nulla a nessuno in nessun luogo del pianeta. Rimane vivo invece un peso specifico artistico nazionale, espresso principalmente dal cinema e dalle fiction. Chi leggera’ l’antologia di Buffoni, cerchera’ possibilmente quel richiamo italiano, non certo la poesia scritta da un particolare poeta. Ci fossimo io, lei, Pizzi, Ferramosca, Vaccaro, l’ex ministro Bondi, il poeta del Grande Fratello di una decina di anni fa e chi le pare, sarebbe equivalente: si sta tramandando un contenuto, non una lingua. Discorso diverso sarebbe scrivere nativamente nella lingua franca e quindi viva, ricreando dentro quella, chi vorra’, le tradizioni delle lingue locali morte o moribonde. Ho quindi preso un anno e mezzo di miei commenti in Hacker News scritti dal 2015 e ci ho tirato fuori duecento versi organizzati in quaranta stanze da cinque versi l’una, trasferendo la voce. L’esito e’ indipendente dal contenuto ed anche, secondo chi ha guardato con maggiore o minore cognizione il testo, dall’accento italiano. Ci sono infine arrivato, ma pare che il mondo stia adesso tornando indietro e quindi boh, avro’ probabilmente perso un altro treno ehehe.
In effetti i i nomi sono sempre i soliti; tranne due o tre punte di diamante. Gli altri sono sempre i soliti figli di Buffoni. Parlo perché non scrivo poesie e non potrei essere condizionato nel giudizio
Il primo punto da chiarire è nella domanda “chi è il destinatario di un’antologia di questo genere?”. A questo troviamo qui la risposta “L’opera si rivolge a chi è interessato alla cultura italiana ma non conosce la lingua. Concepita per gli Istituti Italiani di Cultura, le Ambasciate, i Consolati, le Fiere del libro, è la prima antologia di poesia italiana redatta esclusivamente in lingua inglese”. Una risposta tutta da decifrare, che vede e lascia tutti i destinatari accostati nell’ignoranza della lingua italiana. In secondo luogo dovremmo interrogarci sulla necessità del marchio istituzionale sopra la poesia. Torniamo così sempre alla vecchia questione del poeta di corte; la ragione per cui la poesia non smette mai di corteggiare, fingendo di opporsi, il potere. Istituti italiani di cultura all’estero, Ambasciate, Consolati, sono il Potere. Scrive Buffoni: “una antologia concepita per coreani ed islandesi (per dire) attratti dalla nostra cultura poetica, ma con scarsa o nulla conoscenza della nostra lingua. Malgrado Brexit, produrla in inglese mi è parso il mezzo più efficace per giungere allo scopo”. Buffoni usa l’arma dell’ironia per distogliere l’attenzione dal destinatario effettivo. Infatti non esplicita lo scopo, ma di nuovo solo il (falso) destinatario. A questo punto si può pensare che il solo scopo sia di mescolare così bene le carte da non lasciare scampo a chi vorrebbe farsi un’idea della poesia italiana contemporanea, o farsi un’idea della poesia diversa dall’ufficialità. Non è una guida, non è un itinerario, ma solo un insieme chiuso di nomi. L’unico ordine sembra quello alfabetico. Chi includere? gli amici, gli integrati, i salotti. Chi escludere? i nemici, chi è incapace di compiacere. Ciò che si comprende è, realisticamente, che Buffoni non ha scelto come vero destinatario un pubblico di coreani o islandesi, ma il pubblico ben più vicino degli altri poeti, dei “suoi” lettori o critici, per dire da che parte sta: l’establishment, l’istituzione. Ma il suo messaggio dice, invece, il destinatario ignora anche di essere il destinatario, quindi non fatemi domande sulle scelte che sono sempre arbitrarie.
Un curatore di antologia che, tra gli altri, antologizza se stesso. In un’epoca di selfie mi pare una trovata originale.
@ Il fu GiusCo
Se ritieni che « un’antologia della poesia italiana contemporanea pensata per la circolazione internazionale» non importa «nulla a nessuno in nessun luogo del pianeta» perché in un commento precedente l’hai definita «meritoria»? E cosa sarebbe «quel richiamo italiano»?
Non capisco il tuo sguardo “cinico-globalizzato” che dà troppo sbrigativamente per morte o moribonde tutte le «lingue locali» e finge o è completamente indifferente al «contenuto».
La questione inclusi/esclusi dal curatore ha poi una sua importanza: rivela cosa, secondo lui, è da “esportare” e far conoscere a quanti leggono in lingua inglese e anche qual è la sua idea dei destinatari potenziali. I nomi presenti o assenti con quali criteri sono stati selezionati? Io non ho letto la presentazione di Buffoni e non lo so. Se però si dovessero ridurre, come ha scritto Andrea, soltanto al piacere che i testi o gli autori hanno procurato al curatore, mi parrebbe cosa dappoco.
Caro Abate, cerchiamo di rimanere al sodo: Buffoni e’ oggi quel che era Cucchi venti anni fa e quel che erano Raboni ed altri prima ancora, cioe’ la figura di congiunzione fra grande editoria, il profilo di riferimento della poesia verso altri ambiti ed il maggiore scout editoriale del settore. Potremmo chiamarlo Papa Franco, ehehe. Questi ultimi Papi sono peraltro un po’ tutti dei Ratzinger mentre alla poesia servirebbe un Wojtyla o almeno un Bergoglio. Aggiungiamo che il bacino mitopoietico nel quale tutti peschiamo e’ assai omogeneo e che il discorso sulle forme e’ stato superato dalla creolizzazione del parlato, lo stesso Papa Franco aspetta i poeti immigrati per dare una scossa alla lingua. E’ naturale quindi che il Papa museifichi la produzione corrente e tenti di esportarla nella lingua franca, verso altri musei, in attesa di un qualche buon selvaggio fra i neo-italiani che rimetta in qualche modo la scrittura in versi al centro del discorso artistico nazionale. Se ci sono devoti parrocchiani che fanno una vitaccia e coltivano la speranza di finire un giorno nelle antologie di Papa Franco, mi spiace, sono troppo cinico per commiserarli, ma oggi e’ dato di votare No in ogni circostanza e quindi in bocca al lupo, ogni tanto le rivolte dei villani vanno a segno. La saluto e chiudo.
@ Il fu GiusCo
Non ti sapevo così parrocchiano e portavoce (designato o autonominato?) di questo tuo Papa Franco.
Di rivolte in giro (specie tra i poeti) che possano disturbare il vostro import-export parapoetico non ne vedo. E di villano c’è solo il modo con cui chiudi un (mio) tentativo di ragionamento. Ma, adesso che è arrivato anche Trump – ehehe – capisco la fretta.
Sperando che tu possa rispondere carissimo fu Giusco veramente Buffoni è tutto questo oggi? un papa alla yumg pope per dirla alla moda del momento. Poi il Raboni di oggi. Quindi dei poeti che non hanno la sua benefizione cosa farci? quali antologie?
Naturalmente young pope. Mi debbo depennare che qualcuno potrebbe pensare che non conosca l inglese.