cropped-Francesco-Zizola-World-Press-Photo-reportage-migranti-4_image_ini_620x465_downonly-1.jpgdi Gianandrea Piccioli

[Una prima versione di questo intervento è uscita sul «Manifesto»].

La Terra va diventando una fossa atroce per i deboli, i non aventi diritto. E abbiamo torto a identificare questa idea (di rifiuto di una legge per tutti, di una libertà per tutti, di rifiuto di una libertà come respiro di tutti), a identificarla con il vecchio nazismo. No, il nazismo – e il suo fiore malato, il culto della razza – è oggi un altro ed è universale, e in qualche modo, perché universale, invisibile. È la concezione della vita come privilegio della razza economica, dell’umanità come summa del valore economico, del valore economico come unica carta d’identità. Senza valore economico non vi è identità, né quindi riconoscimento, né quindi esenzione dal dominio e lo strazio esercitato dai forti sui deboli.

Queste parole di Anna Maria Ortese (in Corpo celeste) mi sono venute spesso in mente mentre leggevo uno straordinario romanzo-documento di Jenny Erperbeck, Voci del verbo andare, Sellerio. La storia di un professore di filologia classica, appena andato in pensione (il libro si apre col trasloco delle carte dall’Università a casa), che vive nell’ex Berlino Est (è sempre vissuto lì e lì è rimasto anche dopo la caduta del Muro), solo (vedovo, abbandonato dall’amante), e che scopre “i migranti”. Da lì parte la vicenda: comincia a interessarsene, metodicamente, si fa raccontare le loro storie, le mette a paragone con la sua vita passata e presente, sottolinea l’inesistenza (senza passato, senza futuro, senza niente) di queste persone, concrete e nello stesso tempo “invisibili” quando ci passano accanto. E tutte le contraddizioni dei regolamenti che li condannano inesorabilmente a quella marginalità che poi viene loro rimproverata. (Come quando, agli albori dello slancio industriale europeo, i contadini venivano cacciati dalle campagne e poi arrestati per vagabondaggio.) La denuncia è implicita e nasce dal confronto tra uno dei “nostri” e “loro”, i migranti, vittime predestinate a essere l’Altro da noi. Nei loro occhi affiora la domanda in cui, secondo Simone Weil, si rivela la sacralità dell’uomo: “Perché mi fai del male?”

Di questo libro “Il manifesto” si è occupato in occasione del Festival di Mantova e, più tangenzialmente, “Il Fatto”; non mi risulta che se ne sia parlato altrove. E si capisce perché. Il tema è disturbante: la nostra quotidianità e la loro, raccontata senza paraocchi ideologici, ma ogni pagina sottende il silenzio, meglio: la scomparsa della politica. E dietro la scomparsa della politica il crollo morale della nostra società.

Basta affiancare i personaggi del libro (in gran parte persone realmente esistenti, non di invenzione), le loro storie, il loro essere sospesi in una rete di regolamenti crudeli e inutili, alle pagine dei nostri quotidiani e dei loro supplementi pubblicitari, le settimane della moda, i cuochi, le rubriche di arredamento o di orologi milionari, ai discorsi a vanvera di chi finge di governare (e magari ogni tanto ci crede davvero), alla bolla del post-Expo milanese o ai deliri sul ponte ndrangheta-mafia. Il mondo vero e il mondo inventato, la decadenza dell’Impero e l’invasione dei “barbari”, l’ormai comprovata incapacità di distinguere il bene dal male, la svendita di ogni traccia culturale, l’anestesia del sentimento, l’indifferenza… è il Satyricon, il ballo sul Titanic, la distopia realizzata… nemmeno nelle più irriverenti fantasie dei Monty Python.

Ci gingilliamo pensando che la Storia ha già visto passaggi analoghi: la fine degli imperi, la transizione all’età moderna, “il mondo fuori dai cardini” di Amleto, le rivoluzioni. In fin dei conti stiamo vivendo il crollo del circolo devastante avviato pochi secoli fa: sfruttamento-produzione-profitto-consumo–sviluppo. Ma questa volta dovremmo renderci conto che non si tratta solo di una fase nelle millenaria storia del mondo, ma che siamo sull’orlo di una vera catastrofe planetaria. La sinistra “pensante” è disarmata, ridotta alla ripetitività impotente della denuncia e delle formule giuste ma che ci cantiamo e ricantiamo tra di noi, come pensionati sulla panchina ai giardinetti. Una vignetta di Giuseppe Novello.

Alberto Burgio, in un articolo apparso sul “Manifesto” del 14 settembre 2016, Morte della politica. Per evitarla, partire da noi senza vie di fuga, ha già detto l’essenziale. Ma io interpreto quel “noi” del titolo non solo come un “noi di sinistra” ma come un “noi uomini di un mondo che si ribalta su di sé lasciando in prospettiva solo rovine”. È un discorso difficile quello che cerco a tentoni di fare, a me stesso per primo, e a rischio di moralismo. Ma davvero penso che senza una rivoluzione etica, quella che utopisticamente chiude il romanzo della Erpenbeck, quella su cui ha perso la vita Berlinguer, quella su cui si intestardisce il dileggiato Bergoglio, non potremo diventare “il sale della terra” o, che è quasi la stessa cosa, quella che in anni remoti si chiamava l’avanguardia rivoluzionaria. Forse, in questo momento storico, ci servono più Hannah Arendt o Simone Weil che Karl Marx e le Piccole Persone della Ortese possono dirci di più di molte perfette analisi “progressiste” e la riscoperta del “limite”, di cui parla Bodei in un suo recente libretto, più dell’enfasi palingenetica. Ormai non è questione di progresso ma di pura sopravvivenza: la nostra e quella dei dannati della terra.

Forse dobbiamo recuperare il pre-politico: non è vero che “tutto è politica”, se Marx non avesse visto coi suoi occhi i guasti della rivoluzione industriale e presa su di sé la sorte delle vittime che essa faceva, probabilmente non avrebbe mai scritto Il Capitale. Prima della politica vengono non il privato, o il ripiegamento su di sé, ma l’etica, la capacità di distinguere il giusto dall’ingiusto, di mettersi al posto degli altri. E il rispetto di sé, quella che il filosofo Andrea Bonomi, nel suo primo bellissimo libro di narrativa, Io e Mr Parky (Bompiani) chiama decency – cioè decoro, dignità, appropriatezza. E con il rispetto l’esigenza della solidarietà, come insegna il protagonista del romanzo della Erpenbeck. E poi occorre il riconoscimento reciproco tra eguali. E soprattutto fare rete tra gli eguali. Forse la politica dovrebbe ricominciare umilmente da qui, a tessere queste reti, a creare quella che Duvignaud chiamava “effervescenza sociale”. Conosco giovani che non sono né di sinistra né di destra, che sono estranei a partiti o movimenti politici, ma che, nella precarietà economica, fanno scelte di vita che interagiscono col sociale o con la protezione ambientale o dedicano il tempo libero al volontariato. Sfuggono alle statistiche e all’attenzione dei giornali, sono irrelati tra loro, ma numerosi, sia nelle grandi città sia, e ancor più, nella provincia, la mitica provincia italiana, piena di iniziative, anche culturali, come ben sa chiunque si occupi di teatro o di cinema o abbia presentato un libro in qualche biblioteca locale. Però tutto ciò non riesce a organizzarsi in un sentire comune, ad avere un comune punto di riferimento. Le parole della politica, anche della “nostra” politica, persino il No al referendum, non coagulano più. Forse perché non sanno più creare nella società quell’atmosfera morale che si era creata nell’Europa uscita dalla guerra. Libertà, progresso, convivenza civile: gusci vuoti. Ancora una volta un bisogno di etica prima che di politica. Scrisse, poco prima di morire, la citata Simone Weil: “La visione della stella polare non dice mai al pescatore in quale direzione debba muovere, ma egli non avanzerà nella notte se non è in grado di riconoscerla.”

[Immagine: Francesco Zizola, Migranti (gm)].

 

14 thoughts on “La morte dell’etica. Noi e i migranti

  1. Bellissimo articolo….la “sinistra”…”come pensionati sulla panchina ai giardinetti” ecco perché vince Trump.

  2. Troppo facile e scontata ormai la battuta sui militanti o lettori di sinistra « come pensionati sulla panchina ai giardinetti». Non sono però d’accordo con queste due affermazioni:
    1. «Forse, in questo momento storico, ci servono più Hannah Arendt o Simone Weil che Karl Marx e le Piccole Persone della Ortese possono dirci di più di molte perfette analisi “progressiste” e la riscoperta del “limite”, di cui parla Bodei in un suo recente libretto, più dell’enfasi palingenetica. Ormai non è questione di progresso ma di pura sopravvivenza: la nostra e quella dei dannati della terra.»
    2. « Forse dobbiamo recuperare il pre-politico: non è vero che “tutto è politica”, se Marx non avesse visto coi suoi occhi i guasti della rivoluzione industriale e presa su di sé la sorte delle vittime che essa faceva, probabilmente non avrebbe mai scritto Il Capitale. Prima della politica vengono non il privato, o il ripiegamento su di sé, ma l’etica, la capacità di distinguere il giusto dall’ingiusto, di mettersi al posto degli altri».

    O politica o morale allora? Se si contrappone l’etica alla politica si finisce in un vicolo oscuro. No: «tra il momento politico e quello morale c’è una incessante tensione e implicazione reciproca» (Fortini, Disobbedienze I, pag. 38, manifesto libri, Roma 1996).

    Mie consonanze e dissonanze da questo articolo di Gianandrea Piccioli qui:
    http://www.poliscritture.it/2016/11/09/altri-immigratori/

  3. E invece quella con “Il Sole 24 Ore” o il “Wall Street Journal” sotto il braccio avrebbe fatto vincere Clinton?

  4. Per Alberto e forse anche per Ennio:
    infatti ho detto “sinistra” e non quella roba del “Sole 24 ore” e del “Wall street Journal, se questo a livello politico può significare ancora qualcosa o se invece davvero ci meritiamo Alberto Sordi. Sarà anche scontata la battuta sui pensionati alla panchina, ma questa è la sinistra istituzionale e la base che rappresenta-rispecchia di questo paese. Certo…implicazione politico-morale..il guaio è come sempre quando le spire velenose dell’uno o dell’altro si infettano a vicenda.

  5. Articolo toccante e vero. E necessario e giusto scriverlo, ma mentre lo leggo e ne condivido lo spirito e il contenuto anche mi chiedo cosa fare concretamente e mi viene in mente una poesia di R.M.Rilke ” arcaico torso d’Apollo” che si conclude così: devi cambiare la tua vita…

  6. @Simone: quella roba del “Sole 24 ore” e del “Wall street Journal” pretende di essere LA sinistra, quella sinistra liberal e new labour che ritiene il mercato essere l’elisir della salute sociale! E questo a livello politico significa qualcosa eccome, secondo me. I recenti risultati elettorali mi sembrano per l‘appunto molto eloquenti: un approccio ai problemi di vasti settori della società che prescinde da un’analisi in termini di contrapposizione di classe – come la vulgata del cosiddetto pensiero unico fa, perché roba vecchia da pensionati alla panchina – porta dritto nelle braccia della demagogia populista.
    Quando poi addirittura non ci si convince che in realtà problemi non sono, o che la sofferenza sociale si possa alleviare con qualche riformicchia.
    Dopodiché certi fenomeni non possono essere considerati inattesi o frutto del capriccio di qualche demone dispettoso!
    Peraltro che “in questo momento storico, ci servono più Hannah Arendt o Simone Weil che Karl Marx” lo trovo discutibile: al contadino dell’Ohio, che ha perso la fattoria ereditata dal padre per colpa dell’ipoteca che non può pagare e ha votato Trump, o all’operario di Birmingham, che è disoccupato perché la multinazionale per cui lavorava ha riallocato il suo lavoro in Cina e ha votato per la Brexit, forse servirebbe di più spiegare, con Marx, perché tutto questo è successo. E servirebbe alla sinistra.

  7. @Alberto: forse non sono riuscito a spiegarmi bene, ma quello che dici è proprio quello che penso io. Forse la mia capacità critica non è quella che avrebbe un certo Marx che tutta la sinistra mondiale ha pensato di liquidare (e se ne vedono i risultati), ma non mi sento per questo di dare del reazionario a Gianadrea Piccioli

  8. Che strano, a me sembra proprio tutto l’opposto, non che la politica abbia invaso lo spazio della morale, ma che non ci sia politica, che la politica sia bella e morta, e quella che a me appare la confusione in cui si muove l’articolo che commentiamo, sembra costituire l’emblema stesso di questa impoliticità.

    E’ come se questa fantomica sinistra si sia addormentata dimenticando la sua ispirazione egualitaria, facendosi trascinare nella pratica esclusiva della lotta per i diritti civili, e divenendo così una parte del movimento liberale dominante, e che improvvisamente si svegliasse e vedesse davanti a sè i migranti.

    Forse per il colore della pelle, forse per il martellamento mediatico, i migranti diventano magicamente l’oggetto dell’attenzione, come se prima ancora che questo fenomeno si sviluppasse nelle dimensioni attuali, nelle nostre città, nelle strade che attraversiamo, tutti avessero la garanzia dei loro diritti, come se bisognasse attendere i migranti per vedere homeless dormire in luoghi di fortuna sotto cartoni, e ricercare la più vicina mensa della caritas dove elemosinare un pasto. Sembra che un’improvvisa amnesia abbia colpito questa sinistra che non ricorda gli edifici occupati da famiglie che reclamano un alloggio.

  9. @ Cucinotta

    Di più: questa sinistra ha paura e diffida dei migranti d’oggi ( e infatti manco cerca di organizzarli *politicamente* li lascia volentieri alle cure *etiche* della Caritas, dei preti e dei volontari, questi ultimi quasi tutti cattolici). Come a suo tempo (il primo centro-sinistra di Nenni e C.) aveva paura e diffidava dei terroni che arrivavano nelle “Milano,Corea” o nella Torino del “non si affitta ai meridionali”.

  10. @Simone: ok, non avevo capito io. Ad ogni modo non è certo mia intenzione dare del reazionario a Piccioli, il cui articolo trovo interessante. Pur con le perplessità che hanno evidenziato anche Cucinotta e Abate.

  11. Posto l’intero mio commento di cui ieri ero stato costretto a postare solo la parte iniziale.

    “Che strano, a me sembra proprio tutto l’opposto, non che la politica abbia invaso lo spazio della morale, ma che non ci sia politica, che la politica sia bella e morta, e quella che a me appare la confusione in cui si muove l’articolo che commentiamo, sembra costituire l’emblema stesso di questa impoliticità.

    E’ come se questa fantomica sinistra si sia addormentata dimenticando la sua ispirazione egualitaria, facendosi trascinare nella pratica esclusiva della lotta per i diritti civili, e divenendo così una parte del movimento liberale dominante, e che improvvisamente si svegliasse e vedesse davanti a sè i migranti.

    Forse per il colore della pelle, forse per il martellamento mediatico, i migranti diventano magicamente l’oggetto dell’attenzione, come se prima ancora che questo fenomeno si sviluppasse nelle dimensioni attuali, nelle nostre città, nelle strade che attraversiamo, tutti avessero la garanzia dei loro diritti, come se bisognasse attendere i migranti per vedere homeless dormire in luoghi di fortuna sotto cartoni, e ricercare la più vicina mensa della caritas dove elemosinare un pasto. Sembra che un’improvvisa amnesia abbia colpito questa sinistra che non ricorda gli edifici occupati da famiglie che reclamano un alloggio.

    Insomma, sarebbe come se la sinistra avesse realizzato già una società socialista e non capisse come mai in una tale società non si tratti i migranti come trattiamo i nostri concittadini e si chieda come sia possibile che in Calabria ci siano nostri concittadini che vanno ad occupare locali riservati ai migranti.

    Devo dare una notizia, viviamo ancora in una società capitalista che non ha dato attuazione alla costituzione, dove già ci troviamo sostanzialmente senza più alcuna assistenza sanitaria se non a pagamento, dove c’è gente che si arricchisce in modi varii e spesso illegali.

    Probabilmente, tanti componenti della sinistra confondono la loro personale condizione di persone con redditi decenti e in qualche misura garantiti, con una casa con i minimi requisiti di confort, senza problemi a fare la spesa alimentare, in genere con cani e gatti a carico, con la condizione di tutti i loro concittadini e così scoprono l’indigenza solo nel caso di persone di diverso colore della pelle.

    La cosa grave in tutto questo è che, tutti presi a confrontarsi con il dovere morale di cura verso chi ne ha bisogno che per costoro coincide del tutto con i migranti, perdono ogni capacità di guardare al fenomeno migrazione nella sua dimensione complessiva, il che implica capire chi sono questi migranti, perchè migrano, da dove provengono, cosa ne è di coloro che rimangono nei loro luoghi natii.

    Questa è appunto secondo me il problema di oggi, questa impoliticità, in cui sentirsi buoni o cattivi costituisce il discrimine, apparentemente senza cogliere quanto questi concetti, lungi dall’essere concetti elementari o addirittura innati, siano concetti culturali, di natura sociale, influenzati fino alla totale determinazione dai media, come si è dimostrato nel caso di foto che hanno scatenato in tutta europa cori di indignazione, scoprendo poi in alcuni casi come le immagini erano state manipolate, create appositamente a questo scopo.

    Sembrerebbe che l’autore dell’articolo sostenga appunto questo, di assecondare senza riflessione critica le emozioni suscitate ad arte dai media come via per il riconoscimento di appartenenza alla sinistra.

    Io sostengo l’esatto opposto, che divenire succubi di emozioni collettive e quindi manovrate, sia proprio ciò a cui abbiamo il dovere di resistere, mentre ogni iniziaitiva deve essere preceduta dal comprendere, da un’analisi critica che ci liberi dai condizionamenti di chi comanda nel mondo.

    A questo punto, dovrei spiegare come io veda questo tragico e complesso fenomeno, ma è un’argomentazione che non si può adeguatamente affrontare in un commento e quindi sono costretto a fermarmi qui.

  12. Leggerò “Voci del verbo andare” perché la recensione è molto interessante. A parte ciò
    1) Non ci sto a identificare Marx come un pensatore da “ansia palingenetica”; sarà anche questo, ma è ben più che questo
    2) A me pare ovvio che anche attivarsi come volontari, scegliere ponderatamente condotte di vita diverse da quelle della maggioranza ecc. ecc. siano, di fatto, politica.
    3) Mi commuove vedere che c’è ancora chi si ricorda di Giuseppe Novello, infallibile fustigatore della nostra mediocrissima borghesia; grazie per la memoria

  13. “Non è mia intenzione dare del REAZIONARIO a piccioli”?
    …ma in che anno siamo?
    davvero c’è gente che vuole cambiare il mondo parlando ancora così come chi non lo ha cambiato?

  14. “in questo momento storico, ci serve di più” una gita d’istruzione in una banlieue francese (meglio se accompagnati dalle persone giuste, per esempio bodyguards).
    Dopo, ma solo dopo, tornare in biblioteca e leggere classici a scelta.

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