di Emanuela Piga
[Questo saggio è uscito su «Between»].
Letteratura, serialità televisiva, mediamorfosi
Nell’Ottocento, accanto al romanzo popolare, la distribuzione seriale della narrativa attraverso la stampa vedeva la comparsa di un genere allora in evoluzione, il grande romanzo realista, sebbene in molti casi, come quello di Balzac e Dickens, i due modelli convivessero nelle opere con diversi gradi di problematicità.
“Nozione che varia da cultura a cultura”[1], il realismo è un concetto dai contorni multipli ed evanescenti, caratterizzato da una storia che affonda le sue radici nella filosofia scolastica (Bertoni 2007). Alla fine del Settecento, saranno F. Schiller e F. Schlegel a utilizzare il termine in ambito artistico, facendo riferimento agli “scrittori realisti”, ancora in un’accezione vaga che troverà sempre più consistenza nella Francia della metà dell’Ottocento. “Termine ad alta circolazione […] il destino del realismo è quello di non morire, di rigenerarsi, di sopravvivere alle insofferenze di critici e scrittori per risorgere a nuova vita: è il destino di chi è stato innalzato, lusingato, brandito come un’arma contro il vecchio, poi a sua volta disprezzato e combattuto in nome del nuovo; e capace, a ogni passaggio, di riapparire in forme camaleontiche e molteplici, rinnovato, riadattato, riconvertito a effettive sperimentazioni o furbescamente nascosto dietro travestimenti di facciata” (ibid., 18).
Scavalcando la lunga storia e le diverse sfaccettature di questo termine nell’ambito del realismo cinematografico, che ci porterebbero in una direzione diversa, l’intenzione è qui di partire dalla matrice del realismo ottocentesco, nella sua biforcazione originaria tra parola letteraria e immagine, per riflettere sul contemporaneo realismo televisivo. Il confronto tra i due linguaggi espressivi muove dal rilievo in alcune narrazioni televisive di quei tratti tipici del realismo, sia a livello tematico[2], come la rappresentazione “seria” della vita quotidiana (caratteristica principe individuata da Erich Auerbach, 1946) e delle “grandi forze sociali” e “basi economiche dello sviluppo storico” (Lukács 1970: 60), sia a livello stilistico, attraverso forme testuali caratterizzate da una pienezza descrittiva volta a procurare “l’effetto di reale, fondamento di quel verosimile inconfessato che costituisce l’estetica di tutte le opere correnti della modernità” (Barthes 1988: 158).
Secondo Lukács, la “peculiarità dell’antico, grande realismo, del realismo di Diderot e di Balzac” è una “forma d’espressione che trascende la vita quotidiana”, che nel suo essere “socialmente e per il suo contenuto sempre conforme alla realtà” (1970: 186) è in grado di rappresentare i caratteri umanamente e socialmente “tipici” (ibid., 60). Per “grande romanzo realista”, si intende qui un fenomeno storicamente determinato, circoscrivibile tra gli anni Trenta e gli anni Novanta dell’Ottocento, divenuto in seguito “la pietra di paragone per stabilire il ‘grado di realismo’ delle opere precedenti o successive” (Bertoni 2007: 29).
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[Immagine: Mad Men (gm)]