4 thoughts on “Omaggio a Franco Fortini. L’uomo e il poeta

  1. “ Senza data [1983] – « La consuetudine del diario è decaduta da quando si cominciò a ritenere che quella pratica fosse divenuta l’artificiale coltivazione di teneri o umbratili sentimenti, buona tutt’al più per adolescenti. Il mondo contemporaneo sembra aver dimenticato che un Goethe considerava il diario un prezioso strumento di autodisciplina. Si determinano tuttavia nella nostra età condizioni che possono restituire al diario il suo valore drammatico e assoluto: quando cioè non esistono interlocutori, quando la vita non ha avvenire ma solo un atroce presente. E’ stato il caso, nel corso dell’ultima guerra, di alcuni testi diaristici di prigionieri e deportati: famoso in tutto il mondo quello dell’adolescente olandese Anna Frank (1942-1944) e quello – in parte dovuto a una équipe di collaboratori volontari, anch’essi scomparsi – che lo storico polacco E. Ringelblum tenne clandestinamente descrivendo con la propria la vita quotidiana nel ghetto di Varsavia. I manoscritti furono nascosti fra le rovine prima che l’autore venisse fucilato. Sono stati composti fra il 1940 e il 1943. Altro documento significativo del nostro tempo è il diario tenuto dal rivoluzionario Ernesto “ Che “ Guevara, dal 7 novembre 1966 al 7 ottobre 1967, vigilia della sua uccisione. » (Franco Fortini, Diario, in Ventiquattro voci, 1968) “.

  2. NEI DINTORNI DI FRANCO FORTINI (2)
    Due lettere del 1978

    3 marzo 1978: Abate a Fortini

    Caro Fortini,

    sono un insegnante di lettere di un ITIS (Sesto S.Giovanni – Cinisello), immigrato, compagno dal ’68, lettore attento dei tuoi scritti.
    Diversi compagni con cui ho parlato di te mi hanno confessato, assieme al rispetto per il tuo lavoro, la loro scelta di non “disturbare” la tua (pare proverbiale) riservatezza.
    Ciò mi ha indotto [finora] a scartare ogni tentativo di conoscerti di persona, ma non mi fa rassegnare a questa tendenza ad imbalsamarti anzitempo nell’immagine del compagno “saggio”, di una generazione “eroica”, di levatura morale e intellettuale superiore e perciò inaccessibile.
    Quindi con cautela faccio oggi, con molto ritardo, questo tentativo a distanza (sperando in un minor rischio di ambiguità) di uscire (quel tanto che basta) dall’anonimato:
    1. inviandoti in segno di stima questa mia poesia [1] e chiedendoti un paio di considerazioni su quanto un tuo lettore pensa/scrive, convinto che un legame tra il tuo lavoro di scrittore/compagno e quello che vado pensando e facendo si è in qualche modo stabilito;
    2. porti un problema meno personale: assieme ad altri (pochissimi) compagni, isolati qui a Cologno [Monzese], ci siamo posti il problema di pubblicare un Bollettino-Rivista (un primo numero è già stato prodotto [2] ma, a causa di equivoci e sobbalzi vari, ci siamo fermati e siamo in fase di ripensamento).

    Vogliamo proseguire in questa forma la nostra “militanza” dopo lo sfascio di Democrazia Proletaria in una situazione che è di periferia, di sottocultura e di emarginazione sociale. Ad essa, anche per condizioni materiali, ci sentiamo vincolati. Ma abbiamo maturato anche l’esigenza di sfuggire i toni propagandistici e attivistici di questi ultimi anni e faticosamente ci poniamo quei compiti di riflessione storica e di cura dello scrivere, che abbiamo riletto nel tuo «Questioni di frontiera».
    È compito eccessivamente ambizioso per le nostre scarse energie?
    È ingenuo pensare che qualche buona indicazione, non generale ma rivolta proprio al nostro progetto concreto, possa venire anche da te?
    Saluti

    2) 13 marzo 1978: Fortini ad Abate

    Caro Abate, la mia ‘proverbiale riservatezza’ è una balla. La ‘inaccessibilità’ è semplicemente un minimo di – inefficace difesa del tempo necessario a procurarmi di che vivere. Metà del mio tempo è dedicato alla Università – che è a sei ore di treno da Milano, a Siena. Come molti, vivo in treno. Questa grafia ti dice che in treno, anche, scrivo. Docente di ruolo e sessantenne guadagno quanto un impiegato delle aziende elettriche. Ho quindi un secondo lavoro: editoriale. E scrivo libri. E crepo.
    Ti ringrazio molto del tuo testo. È quanto di meglio, nel genere, si possa leggere. Solo che il genere (critica della frantumazione rappresentando la frantumazione) mi pare un po’ stanco. Alla generosità dell’impulso bisognerebbe congiungere una ‘necessità’ maggiore, far sentire che ogni parola è insostituibile. Questa non è una critica, è troppo generica per esserlo, scusami.
    Quanto intendete fare mi pare assolutamente necessario, coi tempi che corrono. Per molti anni non ci sarà altro da fare, con molta pazienza.
    Il consiglio che vi do è di
    – scrivere e pubblicare un bollettino destinato ad un pubblico circoscritto che magari non c’è ma che potrebbe/dovrebbe esserci, quello che avete immediatamente intorno e che parla la lingua della schiavitù di massa.
    – scrivere di questioni concrete, non di teoria politica; meglio, allora, una problematica etica. Essere spietati.
    – far scrivere ma riscrivere. Nessuna concessione alla immediatezza populista. Scritti brevi, temi e frasi ripetute.
    – l’ideale è quello di grandissima modestia degli argomenti e grandissima ambizione ( e “distanza”) nel punto di vista, quindi nella scrittura. Voler fare qualcosa di esemplare e di ‘povero’, mettere tutto il lusso nella solidità della scrittura, nella possibilità di usarne modestamente gli elementi che abbiano fatto buona prova. Costringersi alla regolarità formale, alla periodicità rigorosa, alla pulizia.
    Concludo dicendo che è una vergogna per noi e voi che a dire e a fare quanto sopra si debba provvedere in questo modo preistorico: tra il compagno della (finta) “generazione eroica” (del cazzo) e un gruppo di isolati di Cologno. Aveva proprio ragione Hegel: la sola cosa che si impara dalla storia è che la storia non insegna niente.
    Vi abbraccio e vi saluto. Vostro

    Note
    [1] Era intitolata «Poesia della crisi lunga». L’ho poi nel tempo più volte rielaborata. L’ultima versione è in «La pòlis che non c’è», CFR, Piateda 2013.

    [2] Titolo: « Bandiera rossa la vogliamo sì».

  3. Grazie Le parole e le cose, grazie Barra, grazie Abate. Grazie grazie grazie! Alla fine di questa ultima (perché segue le infinite altre) durissima giornata di lavoro, siete l’unico balsamo, l’unico respiro. Questo grazie è anche per tutti gli altri articoli di questa meravigliosa, insostituibile, necessaria rivista. Grazie.

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