di Pietro De Marchi
[È uscito il mese scorso per Casagrande La carta delle arance, terzo libro di versi di Pietro De Marchi, vincitore del premio svizzero Gottfried Keller 2016. Trascrivo di seguito cinque poesie della raccolta, tratte da quattro delle undici sezioni che la compongono].
Gente che parla
Laconico e scontroso, era un miracolo
se una volta su dieci ricambiava
il saluto dei passanti. Era selvatico,
dicevano: viveva solo, lavorava soltanto
se e quando ne aveva bisogno,
andava a caccia di frodo, metteva
le trappole per lepri e caprioli,
mangiava lumache, forse anche locuste
come il Battista.
Una volta che era giorno di festa,
mentre tutti facevano chiasso
e giocavano a tressette
dentro il fumo fitto dell’osteria,
un ragazzo osando gli chiese
perché lui non dicesse mai niente.
«Non ce n’è già abbastanza»
gli rispose «di gente
che parla?».
*
Il disincanto e la metrica
Now after so many years the other voice
doesn’t remember it and maybe believes I’m dead
E. Montale (trad. di Harry Thomas)
A Heathrow, all’aeroporto,
per ingannare l’attesa
leggo un Montale tradotto in inglese,
e mi ritorna in mente l’altra estate
quando mio padre al telefono ha chiesto
se era arrivata posta,
ma non cose per lui senza importanza,
bollette della luce o resoconti della banca.
«Cartoline, per caso?»
Mi dispiace, dicevo, non c’è niente,
e allora ha pronunciato quella frase
che adesso mi ridico senza sosta
(«Si vede che mi credono già morto»),
perfetto endecasillabo di sesta.
*
Distrazioni controllate
La commessa che si affretta a servirmi
(è rossa per troppo sole)
si chiama
(le leggo il nome appuntato sul petto)
Merdina, Merdina Ismailji.
Ridere non sarebbe cortese,
devo distrarre il pensiero,
penso a Moby Dick, capitolo primo:
«Call me Ishmael».
Sì, «chiamatemi Ismailji»,
dirò la prossima volta
entrando per medicine.
*
Memory of My Father
Ogni vecchio che vedo
mi ricorda mio padre
quando s’era invaghito della morte
una volta che il fieno era messo in cascina.
Per esempio, quell’uomo che ho visto
inciampare nel marciapiede, in Gardiner Street,
m’osservava distratto,
potevo essere suo figlio.
E ricordo il musicista
che tentennava sul violino
a Londra, dalle parti di Bayswater,
anche lui m’ha riproposto l’enigma.
Ogni vecchio che vedo, ogni volta
che il tempo si tinge d’ottobre
sembra dirmi
«Sono stato tuo padre, una volta».
(da Patrick Kavanagh)
*
La carta delle arance
e con ardente affetto il sole aspetta
Dante, Par., XXIII 8
Quella carta velina, variopinta,
frusciante tra le dita
di chi la distendeva, la stirava con cura,
specie negli angoli, per innalzare
sotto i nostri occhi un fragile cilindro,
una precaria torre e poi incendiarla
con uno zolfanello, sulla cima;
e noi che aspettavamo intenti
di vederlo, quel sole di Sicilia
stampato sulla carta, sollevarsi
dal piatto con scrollo leggero
tramutantesi poi in volo tremulo –
ma più saliva più si consumava,
e, rimasto un istante sospeso nell’aria,
ecco un pezzo di sole annerito,
un frammento di torre in fiamme
ricadere sul piatto;
e allora, mentre ancora volteggiavano
sopra di noi coriandoli di carta strinata,
anche senza più fame
chiedevo un’altra arancia da sbucciare,
imploravo di rifarlo, ripeterlo,
quel gioco col fuoco.
[Immagine: Stuart Williams, Five Orange Spheres. © Stuart Williams 1981–2015. All rights reserved. Multiple locations, USA & Europe].
Belle.
Memory of My Father è davvero bella.