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di Enrico Rebuffat

Si discute molto, in questi mesi, dello stato di salute del liceo classico e dei cambiamenti che eventualmente sarebbe opportuno introdurvi, con particolare riguardo alla disciplina che più lo caratterizza (se non altro perché si studia solo lì): il greco antico. Come spesso avviene il dibattito sembra aver preso capo dalla coda, cioè dalla prova scritta dell’esame di Stato, la temuta versione: esercizio che gli uni ritengono tuttora assai valido sul piano intellettuale e culturale, gli altri invece reputano eccessivamente formale e sostanzialmente arido; ugualmente persuasi, i primi e i secondi, che la contesa sulla prova d’esame prospetti rilevanti conseguenze sulla disciplina nel suo complesso, attesa la coerenza che deve sussistere tra i contenuti, la loro didattica e la loro verifica. I difensori della versione apprezzano l’impostazione tradizionale della materia, eminentemente linguistica, che a loro avviso è indispensabile per uno studio serio della letteratura e della civiltà della Grecia antica; i detrattori propugnano una trattazione meno sistematica e approfondita della lingua, fiduciosi che ciò non inficierebbe l’apprendimento degli aspetti più propriamente culturali anzi lo renderebbe meglio praticabile.

Assoluto silenzio finora sulle circostanze di fatto che determinano, in concreto, gravissime e spesso insormontabili difficoltà nel conseguimento dello scopo che l’attuale didattica del greco si prefigge: consentire agli allievi un approccio diretto alla letteratura e alla civiltà greca nelle sue voci originali (scopo che, si vuol credere, non può dispiacere ad alcuno). Sono circostanze perfettamente note a tutti i docenti della materia, e proprio per questo motivo, paradossalmente, vissute dagli addetti ai lavori come un fenomeno naturale ineluttabile. Invece ciascuna di esse è il frutto delle cattive scelte e delle decisioni sbagliate di ordine politico, gestionale e didattico operate negli ultimi anni; pertanto a ciascuna di esse sarebbe possibile porre rimedio con scelte buone e decisioni assennate. Su questo terreno i due opposti schieramenti, pro e contro la versione d’esame, hanno la possibilità di lottare a fianco a fianco per un obiettivo superiore.

a. Le conoscenze e le competenze di lingua italiana degli studenti neoiscritti al liceo classico, perfino dei migliori, sono oggi debolissime. Sono frequenti, per fare solo qualche esempio, difficoltà di volgere un verbo dall’attivo al passivo, di individuare soggetto e complemento oggetto di una proposizione, di comprendere la logica di un testo anche lineare, di usare correttamente accenti e apostrofi. Vengono così a mancare i presupposti minimi per lo studio del greco e del latino (oltre che il fondamento comune di tutte le discipline del curricolo). Nel triennio della scuola media si studiano due lingue straniere, eppure la conoscenza grammaticale dell’italiano rischia di non migliorare – o addirittura regredisce – rispetto al livello raggiunto alla fine della scuola primaria. Non si esagera se si afferma che in ciò sta il singolo aspetto più critico dell’intero sistema scolastico italiano.

b. L’insegnamento dell’italiano nel biennio del classico risente pesantemente della sciagurata decurtazione inflittagli nel 2011 dalla riforma Gelmini. Al fine di introdurre “senza oneri per lo Stato” l’insegnamento delle scienze naturali nel biennio (poco più che un’infarinatura, a detta dei docenti stessi della materia), fu diminuito del 20% il monte orario dell’italiano e fu soppressa la disciplina della geografia (ridotta a un’ora settimanale, spudoratamente accorpata alla storia in un improbabile contenitore denominato “storia e geografia”, confinata in piccoli inserti e schede stampati su carta di colore verde all’interno dei libri di storia e di fatto scomparsa dall’insegnamento). Ciò avvenne quando da almeno un decennio l’università levava un unanime grido di dolore sulle carenze dei diplomati nella padronanza scritta e orale della lingua. Il liceo classico ha oggi nel suo curricolo, con esigenze comprensibilmente diverse, lo stesso monte orario di italiano di un istituto professionale.

c. Quella decurtazione oraria ebbe come conseguenza la frantumazione della cattedra di lettere nel biennio ginnasiale. Fino al 2011 il docente di lettere aveva sempre visto le sue diciotto ore contrattuali di lezione razionalmente ripartite tra due classi: greco e latino per complessive nove ore in una, italiano, storia, geografia per nove ore nell’altra. Con la riforma quelle ore divenivano sedici, ma il ministero impose che i docenti continuassero a svolgere diciotto ore di lezione in aula, al fine dichiarato di tenere il loro numero quanto più basso possibile ed evitare qualsivoglia aggravio di spesa per l’erario. Dato però che nessuna tra le materie che il docente di lettere insegna conta due ore settimanali, non si poteva arrivare a diciotto aggiungendo alle sedici ore organizzate razionalmente una materia: bisognava smontare le cattedre presenti nell’istituto e provare a rimontarle nei modi più disparati finché, nelle combinazioni degli addendi, tutte risultassero di diciotto ore. Il risultato: più spesso che no il greco e il latino, lingue gemelle nelle strutture grammaticali e sintattiche, vengono assegnate a due docenti diversi, vanificando in partenza le grandi potenzialità di un loro insegnamento unitario e omogeneo per metodi e tempi.

d. Ai docenti viene imposto di adottare i libri di testo per l’anno scolastico successivo prima che i dirigenti assegnino loro le classi e le materie. Pertanto i libri vengono scelti senza sapere se li si sceglie per sé o per un collega. Ciò appiattisce le scelte e scoraggia, fino a rendere praticamente impossibile, l’adozione di testi diversi, innovativi o comunque pienamente rispondenti alle esigenze individuali (il beneficio è esclusivamente degli editori i quali, al contrario, possono programmare a bell’agio la stampa dei volumi).

e. I manuali e i corsi di greco antico sono divenuti sempre più ipertrofici nella mole e desultori nell’organizzazione interna. Invece di snellire e semplificare l’impostazione tradizionale, che era esaustiva e scientificamente corretta ma esorbitante rispetto ai fini pratici da raggiungere, si è cominciato e poi si è inesorabilmente proseguito ad aggiungere e a rimescolare, con l’illusorio e mai argomentato postulato che “di più” e “nuovo” significhino “meglio”. Quel che si è ottenuto sono grammatiche ottocentesche travestite da corso di lingue moderne, dove gli argomenti da una parte rimangono tuttora gravati di ogni fenomeno, particolarità ed eccezione esistenti, dall’altra sono frammentati e diluiti in artificiose “lezioni” condite di schede e di rubriche piuttosto inutili.

f. Le discipline del curricolo hanno subito una costante semplificazione e banalizzazione, spinta in certi casi fino allo svilimento, nel malinteso tentativo di renderle più accessibili ad alunni che vengono reputati privi delle capacità intellettive un tempo presenti nei loro pari età. Ma poiché lo sviluppo delle capacità intellettive è giustappunto in correlazione diretta con lo studio serio di materie intellettualmente impegnative, ciò non ha fatto altro che aggravare o produrre in fatto lo scadimento vero o presunto che si lamentava. Gli effetti si avvertono più perniciosamente proprio nelle materie che meno hanno partecipato della banalizzazione, anzi vi si sono dimostrate sostanzialmente refrattarie: il greco e il latino, che nella subsidenza generale sembrano svettare come rupi inaccessibili restando isolate nell’ingrato ruolo di “materie killer”. E si dovrà pur riflettere sul fatto che la loro resistenza non deriva da una superiorità delle due discipline, o tantomeno dei loro docenti, ma unicamente da quell’impostazione eminentemente linguistica mirante alla comprensione dei testi originali che oggi viene messa in discussione.

La scuola media concentri i suoi sforzi nel dare agli alunni una preparazione in italiano perlomeno dignitosa (le difficoltà sono molte, è vero, ma lo stato attuale è semplicemente inammissibile); il ministero lavori per risarcire l’inconcepibile decurtazione delle ore di italiano e di geografia al biennio del classico (le risorse per tutta una serie di più o meno inutili “potenziamenti” si sono pur trovate); i dirigenti costituiscano cattedre coerenti mantenendo insieme il greco e il latino (non ci sono scuse per non farlo, ora che con l’organico funzionale il diktat delle diciotto ore in aula è venuto meno) e rendano ai docenti la reale possibilità di scegliere i testi da adottare; i docenti di greco forniscano agli editori linee guida per realizzare opere semplici, chiare e fruibili; tutte le discipline accettino di nuovo la sfida della crescita intellettiva degli alunni, ritrovando la fiducia in loro ed in se stesse. Poi, se ne sentiremo ancora il bisogno, torneremo a dibattere della versione di greco all’esame di Stato.

[Immagine: Nike di Samotracia]

7 thoughts on “Versione sì, versione no. Piccolo manifesto per il greco (e non solo)

  1. Grazie all’Autore per questo articolo-lampadina, molto buonsenso e molta competenza.

  2. Insegno tedesco alle scuole superiori e ho insegnato molti anni alle scuole medie. Non posso che confermare quanto denunciato dall’autore. Complimenti per la chiarezza e la lucidità dell’analisi.

  3. Σοφῶς, μὰ τὸν Δία! Lo dico da una vita che il buco nero del sistema scolastico italiano sono le scuole medie e che tocca investirci pesantissimamente: classi più piccole, ripasso gratuito, insegnanti con formazione apposita. Sì, figurati…

  4. Quoto quello che ha scritto Jacopo Manna. Io poi credo che bisogna ritornare a un doppio percorso differenziato alle medie: con il latino o con applicazioni tecniche.

  5. @Gianluca Pasini Direi di no; io faccio parte dell’ultimissima generazione che ha studiato latino alle medie e in base all’esperienza sia come studente che come insegnante mi sento di affermare che un allievo che esca dalle medie con una buona conoscenza dell’analisi grammaticale, logica e del periodo (e munito dei fondamenti di una qualunque lingua straniera), impara in pochi mesi e saldamente quello che alle medie imparava a singhiozzo e approssimativamente in due anni

  6. La cosa migliore quando si fa l’analisi logica sarebbe comunque buttare via tutte quelle inutili classificazioni puntigliose dei complementi, che non dicevano granché su come funziona la frase (non si è mai capito perché distinguere tutti stato in luogo, moto a luogo, moto da luogo, origine o provenienza, moto per luogo, moto in luogo circoscritto, che peraltro non spiegano perché “Vado a casa” e “Vado in cucina” sono entrambi moto a luogo anche se usano preposizioni diverse) e peraltro tali classificazioni sono difettose in moltissimi casi, per esempio quando si deve decidere come chiamare i complementi in “L’Italia confina con la Svizzera”, “Marco crede in Dio” o “I ragazzi giocano a calcio” (mi ricordavo a scuola che qualche studente tirava in ballo complementi di confine, di credenza o di gioco).

  7. Suggerirei di considerare anche gli effetti di quel diluvio di sciocchezze pedagoghesi che hanno sedotto certuni nella pretesa di sterilizzare le difficoltà dell’apprendimento e “addolcire” (quando non eliminare) le insufficienze in nome del benessere dello studente: un esempio (estremo) per tutti, la calda raccomandazione che ricevette una mia conoscente, che insegna alle medie, a non usare la penna rossa nella correzione dei temi, perché poteva minare l’autostima del ragazzino. E poi pretendiamo che questi siano pronti al participio predicativo coi verbi di sentimento?

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