di Marco Grimaldi

[È uscito in questi giorni Dante, nostro contemporaneo. Perché leggiamo ancora la ‘Commedia’ di Marco Grimaldi (Castelvecchi) Ringraziamo l’editore per averci concesso di pubblicare questo estratto]

Il mondo fino a ieri

C’è una pagina di Amos Oz che parla di cosa è cambiato nella fede degli uomini nell’Ottocento:

Fino al XIX secolo, più o meno intorno alla metà del XIX secolo, grosso modo a seconda del paese o del continente, ma grosso modo fino al XIX secolo, quasi tutti, in gran parte del mondo, avevano almeno tre certezze: dove avrebbero trascorso la vita, che cosa avrebbero fatto per vivere e quello che sarebbe successo dopo la morte. Quasi tutti, centocinquant’anni fa più o meno, quasi tutti in tutto il mondo, sapevano che avrebbero trascorso la vita là dove erano nati – o nei pressi, magari nel villaggio vicino. Tutti sapevano che si sarebbero guadagnati da vivere più o meno come i loro genitori avevano fatto nella generazione precedente. E tutti sapevano che se si fossero comportati bene, sarebbero approdati a un mondo migliore, dopo la morte. Il XX secolo ha eroso, spesso distrutto, queste e altre certezze.[1]

Oggi, dice Oz, tutto è cambiato. La maggior parte di noi non sa per certo dove vivrà, che lavoro farà e soprattutto non ha nessuna certezza sulla vita dopo la morte.

Dante Alighieri viveva nel mondo di ieri, nel mondo in cui queste tre certezze erano ancora ben salde. E benché Dante abbia fatto un lavoro diverso da quello che si potevano aspettare i suoi genitori, benché abbia vissuto metà della vita in esilio, in un luogo diverso da quello in cui, fino a un certo punto, si sarebbe aspettato di vivere, aveva delle idee molto precise sulla vita dopo la morte ed era sicuro che queste idee fossero condivise dai suoi lettori.

Noi che viviamo nel mondo di oggi, quello che non possiede le grandi certezze di cui parla Oz, ci chiediamo che cosa c’è ancora di interessante in Dante, che cosa c’è di attuale, di contemporaneo, nella Commedia. Perché la leggiamo ancora? Perché è bella? Perché Dante è un grande poeta? Perché ci insegna qualcosa del suo tempo? O ci interessa ancora qualcosa del senso profondo del poema? Sono domande complicate e allo stesso tempo banali, alle quali forse si risponde nello stesso modo in cui si risponde alle domande «Perché leggiamo ancora Omero» o «Perché si mette ancora in scena Shakespeare». Però Dante sembra essere un caso particolare, perché negli ultimi decenni il suo successo è stato travolgente: Dante è diventato – più di Omero, forse quasi quanto Shakespeare – un’icona pop, un brand, un prodotto commerciale. Questo successo planetario si accompagna al tentativo da parte degli studiosi di spiegarlo e di capire perché sia così popolare, ma anche, in fondo, di renderlo ancora più popolare.

Una formula di sicuro successo è quella dell’attualizzazione. Sembra che Dante piaccia di più se viene mostrato al pubblico in quanti modi è vicino a noi. In alcuni casi questo tentativo di attualizzazione è forzato, in altri no. Infatti per certi aspetti Dante è contemporaneo, per altri no. Per altri ancora è vicino e lontano allo stesso tempo: è semplicemente diverso. E in questa diversità, a mio parere, sta il suo interesse principale, e non nella possibilità di ritrovare coincidenze più o meno casuali tra la sua visione del mondo e la nostra. Potrei scegliere moltissimi esempi di tentativi non riusciti di trasformare Dante in un contemporaneo, ma preferisco soffermarmi solo su alcuni argomenti che ritengo cruciali: la politica, il denaro, la religione, il sesso, la scienza e l’idea di poesia. Sotto tutti questi aspetti, che oggi ci interessano moltissimo, non credo si possa parlare di un Dante contemporaneo. Ma vorrei indicare indicare anche una ragione per la quale Dante è ancora attualissimo: una ragione particolarmente importante, perché la Commedia, quando Dante la scrisse, aveva un senso profondo e una funzione concreta che ancora ci riguardano.

[…]

Contro l’usura

Scrive Diego Fusaro sul Fatto quotidiano dell’8 luglio 2015:

Per imporre la schiavitù, il sistema moderno – scriveva il poeta Ezra Pound – utilizza il debito: il debitore finisce per essere asservito al creditore, secondo un nesso di schiavitù puramente economico-finanziario. L’usura ‘offende la divina bontade’, scrive Dante nella Commedia (“Inferno”, XI, vv. 95-96). E la Grecia si sta ribellando contro l’usura del capitale finanziario. Contro l’usura furono Dante e Aristotele, Tommaso e Marx, Platone e Pound. E noi dovremmo accettare l’usura perché ‘ce lo chiede l’Europa’ e lo vuole la signora Merkel?[2]

In queste righe sembra tutto giusto: è vero che Dante condanna con fermezza l’usura; è vero che per lui il peccato più grave è la cupidigia, specie quella dei regnanti che si oppongono all’imperatore per desiderio di possesso. La cupidigia, che nella Commedia è probabilmente rappresentata dalla lupa, è infatti per Dante il nemico più temibile dell’umanità. E il parallelo con Pound funziona perché lo scrittore americano fu sia un appassionato lettore di Dante e dei poeti italiani delle origini sia un fermo censore delle plutocrazie, al punto da sostenere apertamente, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, i regimi totalitari – e infatti gli americani furono costretti a dichiaralo pazzo per non metterlo in carcere.

Ma proviamo a seguire meglio questo percorso. Si può partire da una poesia di Pound che si intitola The Study in Aesthetics (‘Studio di Estetica’), tradotta in italiano da Vittorio Sereni:

I bimbi piccolissimi in rattoppati panni,
di colpo fatti veggenti,
fermarono il gioco
quando lei passò loro davanti
e grida lanciarono alla sassosa riva:
……………Guarda! Ahi, guarda! ch’è be’a!

Ma tre anni più tardi
udii il giovane Dante, di cui ignoro il cognome –
ventotto ce ne sono a Sirmione di giovani Danti
e trentaquattro Catulli;
e c’era stata una bella pesca di sardelle
e i più grandi di lui
in cassette di legno le stavano stipando
per il mercato di Brescia e lui attorno
saltava puntando al pesce lucente
e stando loro tra i piedi;
e come essi sta’ fermo! gli intimavano invano
né volevano lasciarlo sistemare
i pesci nella cassetta
lui carezzò quelli che dentro già stavano,
d’intima soddisfazione mormorare l’udii
l’identica frase:
……………………..Ch’è be’a.

E alquanto perplesso io ne rimasi. [3]

In una poesia come questa non tutto è decifrabile. Ma Dante (uno dei possibili “Danti”) è il ragazzo che cerca di agguantare la sardina, il «pesce lucente» («the bright fish», nell’originale), e che poi mormora per sua sola soddisfazione personale le parole «Ch’è be’a», che rimandano a Beatrice; e questa ricerca del pesce più brillante di contro ai ragazzi che li ammucchiano nei cesti del mercato mi pare chiaramente allegorica: Dante è l’artista che cerca la Bellezza e tutti gli altri ragazzi rappresentano i mercanti. Pound sembra quindi usare Dante per sostenere la sua idea di una opposizione tra la purezza della poesia e la prosaicità della sfera economica.

È possibile che anche in Dante ci sia un’opposizione di questo tipo. Tuttavia, Dante condannava la cupidigia in una prospettiva cristiana, all’interno di un’idea dei rapporti economici fondata sul dono più che sullo scambio e sul denaro. È questo il futuro verso il quale tendiamo? Certo, oggi va di moda la decrescita; e ci sono forze, come la Chiesa cattolica, che si schierano contro i grandi processi di accumulazione e speculazione finanziaria e contro lo sfruttamento. Ma la condanna dantesca della cupidigia porta con sé anche tutta una serie di cose che non ci piacciono o che ci piacciono di meno e che sono in netto contrasto con la nostra idea di contemporaneità: la severità dei costumi, la morigeratezza, il sacrificio di sé, la rinuncia. In una parola, la carità. Tutto ciò può piacere, in un’epoca “francescana” come quella che alcuni di noi stanno vivendo. Ma a parte il fatto che non tutti desideriamo una vita cristiana, la prospettiva dantesca porta con sé una prospettiva imperiale incompatibile con la nostra idea di democrazia.

Per considerare Dante nostro contemporaneo dovremmo accettare tanto la sua condanna dell’accumulo finanziario quanto la sua volontà di affermare un impero universale. Per questo fare propaganda contro l’Europa della finanza citando Dante è sbagliato. Sbagliato non perché il parallelo sia di per sé scorretto, ma perché confonde le acque dando l’idea che delle cose lontane siano vicinissime. E confondere le acque non aiuta né Dante né la Grecia (né l’Italia, in effetti). In altre parole: anche Hitler condannava l’usura, ma a nessuno verrebbe in mente di inserirlo in un elenco di difensori della libertà delle nazioni. Dante invece è un’icona che si può citare in qualsiasi contesto.

Note

[1] Amos Oz, Contro il fanatismo, Feltrinelli, Milano, 2004, p. 44.

[2] Diego Fusaro, Gli euroinomani del ‘ci vuole più Europa’, in Il fatto quotidiano, 8 luglio 2015.

[3] L’originale e la traduzione si leggono in Vittorio Sereni, Il musicante di Saint-Merry e altri versi tradotti, Einaudi, Torino, 1981, pp. 16-17.

[Immagine: Bulb, Dante].

7 thoughts on “Perché leggiamo ancora Dante

  1. Io penso che tutto sommato ogni opera letteraria diventata un classico sia un libro, come diceva Italo Calvino “che non ha mai finito di dire quello che ha da dire” e che alla fine la Commedia ha dentro di sé un così gran numero di aspetti (il viaggio, l’immaginazione, il bisogno di giustizia…) che alla fine gli inevitabili aspetti contenutistici “inattuali” (ma più per il contesto che per le idee personali dell’autore, Dante, anche se non riteneva che il potere derivasse dal popolo come Marsilio da Padova, fu comunque esiliato per le sue idee comunque non conservatrici) non sminuiscono certo l’interesse per la lettura, anzi il fascino del “diverso” da cui comunque siamo nati è un fattore che può attirare il sommo poeta da tenere in conto. E comunque io non esalterei come il migliore dei mondi possibili la nostra epoca democratica e industrializzata che ci ha tolto il posto fisso (sia lavorativo che di residenza) e il desiderio di un aldilà migliore a favore di un aldiqua in cui certo c’è più tempo per passatempi, vacanze e si sta sicuramente in miglior salute di un tempo, ma in cui non risulta che la felicità sia molto di più a portata di mano di una volta. Senza contare che un classico lo si legge non solo per cosa esso dice ma anche per come lo dice.

  2. Nel processo di attualizzazione si operano comunque delle scelte che di certo rischiano di condurre al relativismo. Perciò, è bene sicuramente contestualizzare Dante e riconfermare che la cupidigia sia connessa anche con la sua idea di impero.

    Tuttavia, è sbagliato anche prendere un autore nella sua totalità e rigidità storica. Si tratta pur sempre di un incontro tra soggetto e oggetto, e il margine relativista (come ha fatto Fusaro) nasce da una richiesta del presente che ovviamente Dante non poteva conoscere, che gli era perfettamente estranea.

    Perché studio ancora Dante? si chiede Fusaro?

    Perché la sua idea di cupidigia, nonostante l’opportuna contestualizzazione, ci è ancora utile, rispetto però ai bisogni attuali che noi incontriamo di fronte a questo tipo di Europa, e non un’altra. Quest’ultima non poteva essere infatti quella di Dante, ovviamente, ma nemmeno quella di Mazzini, né tanto meno quella del dopo guerra.

    Ecco, l’uso dell’Europa neo-liberista che servirebbe a prevenire da nuovi conflitti mondiali è una una tragica forzatura preparata a tavolino.

    Ciò non vale solo per un personaggio storico e lontano come Dante, ma anche per molti autori più vicini. Faccio un esempio. Freud era un conservatore, eppure la psicanalisi è diventata uno strumento usato da molta critica del ’68, come successe di fare a Marcuse.

    Se Marcuse invece avesse preso Freud nella sua interezza, senza piegarlo alle esigenze del proprio tempo, non avrebbe potuto produrre una critica radicale come era stato nelle sue intenzioni.

    Ma gli esempi sono tantissimi. L’Heidegger usato da Sartre non è certo l’Heidegger che sosteneva il Nazismo. Così non lo è, di nuovo, il Pound usato da Montale.

  3. Aggiungo anche che occorre evidenziare che certi tesi sostenute da Dante che gran parte di noi contemporanei non accettiamo è scorretto ritenerle uguali a certe tesi simili sostenuti da alcuni ai nostri giorni. Penso alla concezione di Dante del sesso e della condanna della sodomia che non coincide con la nostra omosessualità in quanto per sodomia si intendeva ogni pratica sia eterosessuale che omosessuale “contro natura” nel senso di non finalizzata alla riproduzione e peraltro in Dante è ignorato in tale condanna ogni aspetto relativo all’amore e alla vita di coppia e infine si ricordi che sono presenti peccatori “contro natura” anche in purgatorio e dunque destinati alla salvezza. Anche l’idea di un Dante “islamofobo” è riduttiva dato che Dante aveva informazioni inattendibili su Maometto, ritenuto un vescovo cristiano diventato scismatico e dunque divisore della cristianità, chissà cosa avrebbe pensato sapendo che in realtà portò gli Arabi dal politeismo al monoteismo unificandoli anche politicamente (senza contare le influenze arabe nella Commedia, ormai più che confermate). Tutto sommato Dante è una personalità che, sebbene non si possa dire “tollerante” in senso moderno, non è neppure un “intollerante” in senso moderno, dato che decide di portare alla salvezza eterna pagani come Catone, Traiano e Rifeo ed eretici come Sigieri da Brabante, Gioacchino da Fiore e Tommaso d’Aquino (anche se quest’ultimo in effetti sarà in seguito riabilitato dalla Chiesa). Insomma, come ogni grande autore, occorre prudenza nel cercare l’inattualità o l’attualità di Dante considerando categorie moderne.

  4. Senz’altro una ragione del grande apprezzamento per Dante anche negli ultimi anni sono le sue idee precise sulla vita dopo la morte e la condivisione di quelle idee da parte dei suoi lettori, non solo quelli del suo tempo, ma per altri secoli ancora. Noi che invece una certezza sulla vita dopo la morte non l’abbiamo, anzi siamo piuttosto certi che quella vita non ci sia, leggendo Dante abbiamo la conferma che quella certezza è una storia, un sistema fantasioso molto complesso che proprio nella complessità trova una certa legittimità. Mentre noi siamo semplici, chiari e razionali, infatti non ci crediamo.
    Ma intanto tutta quella complessità, quelle astrazioni fiammeggianti, lasciano un dubbio, una perplessità, perché tanto sforzo? E tanto lusso mentale?
    In questo modo, leggendo Dante, prendiamo le distanze da una cultura e ci teniamo sottilmente legati a una nostalgia…

  5. L’intervento di chris mi ha fatto pensare in effetti al fatto che nel mondo di oggi, dove perfino le chiese parlano ben poco dell’aldilà preferendo il privilegiare temi certo rispettabili ma molto terreni come pace e accoglienza a immigrati, manca più che altro sia tra i generici credenti che tra i non credenti una visione “forte” di valori, che possa far immaginare qualcosa che sia se non un’aldilà almeno un’utopia “laica” dove i “cattivi” di oggi siano puniti e i buoni o abbastanza buoni purificati o premiati e di paradisi o inferni in terra forse ne abbiamo già parlato fin troppo nel secolo scorso…

  6. @ Michele De Rossi: Ma niente c’entra meno -nel rapporto tra il di qua e l’aldilà- che i valori e i non-valori tra credenti e non credenti. E’ l’ordine intransigente nelle libere scelte che, nella sua raffinata selezione, determina l’assoluzione o lo scarto. Uno schema capace di affondare le sonde fino all’intimo per tutti. Infatti Dante salva o condanna “a piacere”, prima di Ignazio.
    Come questa competenza, trasmessa all’oggi, ci sia utile e ampia, è uno dei temi connessi alla fortuna di Dante oggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *