di Mariangela Caprara
Latine loqui corrumpit ipsam latinitatem, tuonava Francisco Sánchez de Brozas nell’anno del Signore 1600, denunciando il rischio che i suoi contemporanei umanisti si servissero di un latino grossus, corrotto proprio dal suo abuso nel parlato. Fino al XIX secolo, infatti, il latino si imparava parlandolo e lo si usava nella comunicazione scritta, giacché era una lingua veicolare e viva. Lo strumento didattico principale erano, anche per il greco antico, i colloquia, ossia dialoghi inventati ad arte (celeberrimi quelli di Erasmo da Rotterdam), del tutto affini a quelli utilizzati oggi per l’apprendimento delle lingue moderne: in un sapiente gioco di domande e risposte, inserite in contesti specifici e attinenti tutti gli aspetti della vita quotidiana, gli allievi apprendevano dai maestri le strutture della lingua e il lessico.
Nel corso dell’Ottocento la continuità di questo metodo, che si definisce induttivo-contestuale, viene messa in crisi dall’ingresso in scena del metodo traduttivo-grammaticale, effetto dell’affermarsi della filologia classica come scienza autonoma, sopratutto in Germania. Nella scuola dell’Italia unitaria questo metodo trionfa, intrecciandosi con le posizioni idealiste crociane, ed è fino ad oggi dominante, benché minacciato da un agguerrito nemico: il metodo ‘naturale’.
Uno studente del liceo classico italiano, al termine di un quinquennio in cui ha studiato latino e greco per molte ore alla settimana, traduce un testo di circa 15 righe in un paio d’ore, con l’ausilio del vocabolario. Due ore, dopo cinque anni di studio anche matto e disperatissimo, per una pericope di testo veramente minima, nella cui traduzione compariranno magari anche diversi errori, mi sembrano un fallimento su tutta la linea. Non ci si azzardi ad invocare questioni di monte ore nel curricolo del classico: il latino al biennio copre ben 5 ore, contro le 4 dell’italiano e le 3 di geostoria; 4 sono al biennio anche le ore di greco. Al triennio, 4 latino e 3 greco. Il tempo c’è. Ma forse la testa è altrove.
Nel marzo scorso ho partecipato a Firenze, la mia città, ad un seminario sulla didattica delle lingue classiche, organizzato dal Centro Studi GrecoLatinoVivo diretto dal collega Giampiero Marchi. Questo centro nasce per gemmazione dall’Accademia Vivarium Novum fondata e diretta da Luigi Miraglia, paladino italiano, negli ultimi decenni, del metodo cosiddetto ‘naturale’ per l’apprendimento del latino, ideato dal danese Hans Henning Ørberg. Il manuale di Ørberg, Lingua Latina per se illustrata (prima edizione anno 1955), è la bibbia di un gruppo, sempre crescente in Europa, e ora anche in Italia, di classicisti sinceramente invasati, che parlano fluentemente latino e lo insegnano (prevalentemente in scuole private, anche se il metodo è già penetrato nei licei e perfino nelle università) come se fosse una lingua viva, ripristinando la tradizione genuinamente umanistica del metodo induttivo-contestuale e contrapponendosi radicalmente al metodo traduttivo-grammaticale. Questi entusiasti colleghi mi stanno molto simpatici, in primo luogo perché stanno scardinando il modello antropologico del classicista introverso, disadattato, puntiglioso, spocchioso, decisamente sinistro nella sua connaturata tetraggine. Nel seminario fiorentino non si è visto un solo relatore incravattato (e sì che alla Scuola Normale di Pisa gli studenti al primo anno di filologia classica venivano in cravatta perfino a mensa); la dovuta erudizione si è manifestata in atteggiamenti che andavano dal bohémien un po’ flemmatico allo spiritato; ma il carisma, quello ce l’avevano in molti, alimentato da una passione per l’insegnamento che mi è parsa davvero sincera, e senza la quale, temo, il metodo ‘naturale’ è impossibile da praticare.
Nel metodo ‘naturale’ il latino (e il greco) sono impiegati nella comunicazione orale. Pertanto l’atto linguistico è accompagnato dalla gestualità. I testi sono letti ad alta voce o agiti, nella riproduzione dei colloquia di età umanistica. La performance del docente è parte del metodo. L’apprendimento del lessico si realizza attraverso il massiccio ricorso alle immagini (spesso dei semplici disegni, sui libri o alla lavagna). L’effetto immediato di una lezione così impostata è che gli allievi restano svegli, sveglissimi. Devono capire, e rispondere in lingua, alle domande incalzanti di maestri implacabili, instancabili, irrefrenabili. Per resistere ed esistere, gli allievi devono acquisire un bagaglio lessicale sempre crescente. Il dizionario non serve: lo strumento è la ripetizione ostinata dei vocaboli nei contesti circoscritti e concreti previsti da ogni singola lezione. Questa actio della lingua può essere fruita anche per mezzo di audiovisivi, oggi ampiamente accumulabili da chiunque su un cellulare. La pratica può avvenire quindi senza problemi anche fuori dall’aula di lezione: si può registrare la propria voce, si può parlare via skype, scrivere su whatsapp, insomma, ogni diavoleria tecnologica può essere infestata da parlanti latino. Il latino è virale. Per cui sembra realizzarsi quello che auspicava (tuonando, a sua volta, dalla sacra rupe di Monaco di Baviera) Wilfried Stroh, nel suo Latein ist tot, es lebe Latein! (2007): il latino è morto, viva il latino!
Ma l’isola dei morti resiste, e dentro ci stanno quelli come me, insoddisfatti di fronte allo stato delle cose, ma, ahimé, formati al liceo e all’università con il metodo traduttivo-grammaticale, e solo in parte salvati da maestri che per gli esami di Letteratura Greca e Latina imponevano di leggere leggere leggere opere integrali in lingua (si arrivava ad una media di 14 ore di lettura al giorno: chiaramente la cosa ti doveva piacere). Il vocabolario, da allora, non mi serve più, quindi respiro ancora. Non so parlare fluentemente in latino, però; tanto meno in greco. Per questo, benché mi appigli ostinatamente ad un manuale illustrato a fumetti, rischio di morire ogni giorno, insegnante di ruolo (e non proprio di primo pelo) in un’aula di liceo classico, ossia nel reliquiario delle lingue antiche, per quello che gli ordinamenti scolastici prevedono. Perché l’obiettivo è quello lì: al termine del quinquennio, traduzione con vocabolario di un brano di circa 15 righe, da effettuarsi in 4 ore. Il percorso di apprendimento, in modo non più esclusivo, certo, ma ancora prevalente, è questo: al primo biennio apprendimento della grammatica delle lingue, morte; al triennio, lettura guidata, con ogni ausilio immaginabile (note a piè di pagina, spiegazioni e traduzioni minute dei docenti, traduzioni a fronte, per cui, di fatto, non si diventa neppure capaci di leggere in lingua latina o greca) di brani letterari che si susseguono secondo una scansione cronologica (lo storicismo prima di tutto, o non siamo italiani). Il risultato è allarmante, devo dirlo, e non se ne abbiano a male i miei colleghi, dei quali condivido la pena: teste di studenti molto mal fatte, passive, lente ad apprendere, facili a dimenticare le desinenze, ferme all’acquisizione del solo 15% del lessico quando va bene, schiave del vocabolario, quasi sempre del tutto indifferenti al contenuto dei brani da tradurre (un testo vale un altro, è solo questione di smontare le parole latine e greche, riconoscere la desinenza, arrivare al lemma del vocabolario e scrivere quattro parole in croce). Crediamo di essere umanisti, ma di umano rischiamo di rivelare ben poco, soprattutto agli esuberanti personaggi che oggi ci toccano come allievi.
Ora, non si pensi che io mi sia trasformata in una baccante toccata dal dio. Troppi freni ancora mi tengono al di qua della conversione: in primis, la mancanza di formazione sul metodo ‘naturale’, e dunque la mia incapacità di parlare fluentemente latino (e greco); va poi considerato che il metodo ‘naturale’ non può, in una singola scuola, essere praticato da un singolo docente, perché allievi formati in un certo modo, che rappresenta una scelta radicale, potranno cadere nelle mani di colleghi del fronte opposto. Se al primo problema si può dare soluzione formandosi, risolvere il secondo richiede scelte di altri, e questo è più difficile. Da filologa, poi, ho l’abitudine alla cautela, perché devo raccogliere fatti ed evidenze sufficienti prima di scegliere quella che mi sembra la situazione senza errore o quasi: per esempio, mi domando se la seconda prova dell’esame di Stato risulterebbe coerente con il percorso diversamente svolto. Però, ecco, in quei due giorni del seminario fiorentino “ho visto il dio che mi guardava”, per dirla con Euripide: la fraternità gioiosa e transnazionale dei seguaci di Ørberg risveglia forze che si stanno per arrendere, impone revisioni, incalza.
[Immagine: Olivo Barbieri, Roma]
“ 13 febbraio 1991 – I contadini che negli anni Cinquanta portavano « ancora » il cappello erano davvero più buffi di me che studiavo « ancora » il latino? “.
lo so è una facezia ma “trascende ogni mio controllo” :)
Stephanus Tergestinus Mariae Angelae Tarentinae sal.
Salua sis, Maria Angela carissima. Ita quidem te alloqui audeo, cum te adhuc mei meminisse confidam.
Magno afficior gaudio, cum legerim te quoque unam ex nostris factam esse!
Equidem Aloisium Miraglia primum anno bismillesimo conueni, indeque fere quotannis seminariis et conuentibus ab eo eiusue sodalibus indictis interesse soleo, inter quae carissimum mihi est seminarium illud a consociatione cui nomen est “Europa Latina” mense Septembri exeunte quotannis ad lacum Benacum indictum (ut uerum fatear, iam uniuersitatis alumnus seminariis Latinis per Europam a uariis sodalitatibus indictis interesse solebam, qua de causa mihi consuetudo Latine loquendi scribendique iam satis diutina est).
Optimo quidem successu libros Oerbergianos adhibui ante fere hos X annos, cum in lyceis tum scientiis naturalibus cum linguis recentioribus addiscendis operam darem; nunc autem ab anno MMXI in lyceo quod classicum uocant doceo, qua tamen in schola fere omnes collegae odio uere Vatiniano hanc methodum aduersantur. His mensibus ipse horis postmeridianis aliquot collegas meas usum horum librorum doceo, sed cum nudiustertius de libris in proximum annum scholarem deligendis inter nos ageremus nemo se paratum ad ipsorum usum dixit, nec ego solus ad hoc munus suscipiendum sufficere ualeo, nam proximo anno tantummodo tres horae mihi praesto erunt, cum ceterae discipulorum gregibus iamdiu constitutis reseruentur. Attamen, quod certe grauioris momenti est, ipsi parentes a nobis expostulant, ut earum liberi erudiantur eodem modo quo ipsi olim linguam Latinam addidicerunt, difficillimumque est eis huius nostrae methodi uirtutes persuadere. Quid ad hoc? Gutta cauat lapidem, ideo speremus fore ut saltem aliquando res in melius uertantur.
Fierine poterit, ut post tot annos apud aliquod Latinitatis uiuae seminariu iterum conueniamur? Valde gauderem.
Optime ualeas.
Dabam Tergesti die XXVIII m. Apr. a. MMXVII.
quando insegnavo al liceo scientifico e al linguistico, ho adoperato con entusiasmo e successo i libri di Oerberg. Ora insegno al classico ma le resistenze sono enormi. Quest’anno ho tenuto un corso di formazione per i colleghi su metodo umanistico ma lo hanno frequentato quasi soltanto colleghe delle sezioni linguistiche
Corrigas, quaeso, uersu XVI “eorum” pro “earum” (primum quidem “familiae” pro “parentes” scripseram), deleasque imos uersus uulgari sermone coscriptos.
@Stefano Di Brazzano
Grazie di cuore per il lungo (e dotto) intervento. Mi ricordo, eccome.
La tua esperienza conferma quanto ho sentito anche da altri colleghi. Nel liceo classico il metodo ‘naturale’, che si può utilizzare benissimo al biennio, si scontra al triennio con i contenuti e i metodi di insegnamento della lingua letteraria, e a tutt’oggi non esistono strumenti didattici per favorire un approccio ‘monolingue’ a Cicerone, Tacito, eccetera. Anche perché, come ho detto, il sapere scolastico esige una scansione cronologica e mira all’enciclopedismo dei contenuti. Alcuni colleghi del classico pensano poi che greco e latino vadano insegnati con lo stesso metodo e in parallelo (benché esista un metodo ‘naturale’ anche per il greco antico). Il fatto però che nel liceo scientifico e nel linguistico la didattica del latino stia cambiando rapidamente è già molto positivo, anche perché in quegli indirizzi il monte ore per la disciplina è stato ridotto, e sembrava l’apocalisse…
Nel classico continua a deprimermi l’idea che il greco e il latino in quanto lingue siano strumenti per imparare semplicemente ‘a faticare’, o a ‘ragionare’: una vulgata che non sopporto più, e di cui ho scritto in un altro contributo pubblicato su questo blog, qualche mese fa.
@antonio lillo
Ho apprezzato moltissimo la facezia. Grazie.