73 thoughts on “Commenti: nuove regole

  1. Queste regole equilibrate proposte o ribadite da LPLC per “tutelare la possibilità di coltivare discussioni razionali, appassionate, civili” discendono da un ideale habermasiano.
    Sono “belle”, ma purtroppo astrattamente condivisibili. Quando si va ai casi concreti, intervengono, infatti, aspetti che quell’ideale formalistico si lascia sfuggire o depenna (ideologicamente).
    Prendiamo questo punto:
    “Vorremmo che chi scrive su LPLC, come commentatore o come autore, intervenisse nel blog con lo spirito giusto, per condividere e non per aggredire”.
    Chi non desidera che ciò avvenga?
    Ma condividere non può essere un obbligo. Porterebbe al conformismo. Si può (forse) arrivare a condividere solo dopo un lungo processo. E non sempre. Più spesso di quel che si creda e specie in un periodo di crisi che s’acutizza come quello in cui siamo (stati) precipitati, succede che, appena uno dice qualcosa che altri non condividono, scatta in automatico l’accusa di aggressione o di litigiosità.
    Ma l’aggressività non sta solo nel DNA di alcuni. Si può aggredire e atterrare gli altri col sorriso sulle labbra e con voce pacatissima.
    Ora se uno fa l’apologia di Monti e io, invece, devo dire che sono in disaccordo o anzi sono incazzato perché stavo per andare in pensione e mi hanno prolungato l’uscita dal lavoro di 4-5 anni, anche se lo dicessi in modi che a me paiono più che pacati o urbani, ci sarà sempre qualcuno che li troverà aggressivi o ci sarà sempre qualcosa nelle mie parole o nella mia voce che “tradirà” la mia rabbia.
    Ci vogliamo o no porre la domanda: quella “rabbia” è giusta o no? O ci vogliamo fermare alla superficie e chiedere anche ad un ferito o a un moribondo che parli senza “alterarsi”, rispettando “le regole”?
    Quando c’è disaccordo e non lo si vuole ammettere, una delle armi di “guerra psicologica, di delegittimazione vera, è proprio dichiararsi offesi o aggrediti da chi dichiara il suo disaccordo E LO FA CON UNA CERTA EFFICACIA pro-vocandoci.
    Provocare, in determinati contesti, ha un significato positivo. Significa dire quello che uno crede vero in modo che l’altro reagisca, in modo che all’altro il contenuto diverso e contrapposto al suo arrivi, in modo che la discussione non sorvoli sulla realtà scomoda o drammatica o addirittura tragica.
    In certi casi LA CONDIVISIONE E’ IMPOSSIBILE. Ma non per colpa di Tizio o di Caio, che sono in disaccordo, e neppure di LPLC che non farebbe da arbitro imparziale. Semplicemente perché quelle PAROLE rimandano, alludono, riportano alla luce COSE INCONCILIABILI O CONCILIABILI SONO FINO AD UN CERTO PUNTO.
    Se per X Monti sta salvando l’Italia dalla crisi e per Y sta facendo pagare alla gente comune una crisi prodotta da errori o scelte politiche di chi governa (banche, imprenditori, partiti), cosa possono CONDIVIDERE?
    Ci sono degli aut aut, delle scelte da fare e la democrazia (per me) non è puro parlamentarismo in cui si confrontino in un’assemblea infinita e razionalmente cordiale dei cittadini pensati astrattamente su un piano di parità. No c’è chi va a “Che tempo che fa” formalmente “per discutere”, quando “in altre sedi” ha già scelto e avviato o sta facendo applicare le sue scelte. E c’è chi dovrebbe subire queste scelte o far le pulci sulle frattaglie che i giornali gli fanno conoscere.
    In piccolo questo succede anche nelle discussioni in un sito ( e su questo sito): c’è chi ha più potere (di solito l’autore o gli organizzatori del sito) e chi ne ha meno ( di solito i commentatori o alcuni commentatori, che esprimono posizioni diverse o in contrasto con l’autore). Non dimentichiamolo, non dimenticatelo.

    “Il responsabile della moderazione è colui che pubblica il post”. D’accordo. Finalmente! Almeno si riuscirà a capire chi risponde a X o a Y dietro l’etichetta ‘LPLC’ e chi prende la decisione di bloccare la discussione.

  2. Caro Abate, le cose che lei dice le trovo giuste (tra l’altro, sul governo Monti, come sa, la penso come lei): tuttavia una moderazione di tipo habermasiano in rete ci sta (nella vita no, ma questo è un altro discorso), perché significa ripensare e valorizzare il mezzo ed evitare di buttare qualsiasi discussione in vacca. Un saluto.

  3. @ Ennio Abate, non so quanta pratica lei abbia avuto, prima di frequentare assiduamente LPLC, degli spazi cosiddetti del dibattito in rete (blog letterari, Fb e via discorrendo). Allora, siccome scrivo in questo caso da redattrice di LPLC ma anche da “bersaglio” in più di un’occasione, in questo spazio e altrove, del fenomeno del trolling, mi permetto di illustrare una differenza a mio giudizio capitale, tra il “dissenso”, che può evidentemente trovare un proprio esito nel conflitto delle diverse posizioni e nella loro esposizione anche veemente, calorosa, talvolta persino aggressiva, e una categoria tipica non solo della rete, ma degli spazi pubblici in generale (con l’aggravante, nella rete, della libertà incondizionata di intervenire fuori tema e, di solito, contro le persone, laddove in altri spazi pubblici si è più spesso fermati o in qualche modo etichettati come folli – vedi il tale che irrompeva o irrompe tutt’ora, non saprei, nei servizi dei tg per incoraggiare l’uso dei preservativi) che è il “risentimento”. Quello che disturba più di ogni altra cosa una discussione in rete non è il dissenso sui contenuti (e dunque, nel suo esempio, sulle diverse possibili valutazioni dell’operato attuale del governo), quanto le aggressioni alle persone che di quei contenuti si fanno in quella circostanza portatrici, per il solo fatto di sentirsi, da “semplici” commentatori in una posizione di svantaggio o di marginalità e dunque legittimati, ove questo svantaggio e questa marginalità si percepiscano come ridotti o aggirabili, ossia nel web (vedi, su questo, l’articolo di A. Bertante, Seminatori d’odio, sul “Fatto” di venerdì scorso), a insultare, aggredire, assediare.
    E le dirò di più: personalmente sono infastidita, quando leggo una discussione, tanto dal commento che dica “quanto è bravo l’autore del pezzo x, quanto mi garba!”, senza aggiungere altro, una qualsivoglia motivazione all’apprezzamento, quanto dal più esplicitamente insolente “il pezzo di x, uff, quanto mi annoia!” cui meno che mai segua, però, uno straccio di argomentazione.
    Sia chiaro, perciò, che il troll è primariamente colui che intende disturbare la discussione e innervosire l’interlocutore, con una strategia deliberata di slittamento dall’argomento della discussione (il topic) alla persona che posta l’articolo o i commenti (l’off topic), e dunque nello spazio a mia cura gradirei, personalmente, sempre e solo commenti che contengano argomentazioni, giudizi, spunti di riflessione (certamente, anche polemici e critici), e non mere pacche sulle spalle o, meno che mai evidentemente, sputi in faccia. Si può facilmente verificare come in entrambi i casi sia inutile e dispendioso replicare alcunché, ma nel secondo, sicuramente, è meno possibile tenere sempre i nervi saldi e volgere lo sguardo altrove: se ti sputano in faccia, che abbiano torto, che lo facciano perché hanno con te o col mondo un irrisolto, poco rileva, perché lo sputo in qualche modo lo hai ricevuto, e non è bello.

  4. “Per evitare che il dibattito sulla moderazione distrugga il dibattito sui contenuti, le eventuali proteste non saranno pubblicate” (???). Qual è, dunque, secondo lo spirito di LPELC, la distrinzione tra dissenso e protesta? E io, adesso, sto “protestando” contro questa norma, oppure dissentendo? Se al termine, e alla prassi scrittoria configurantesi nella “protesta”, viene dato questo valore negativo (una sorta di criminalizzazione soft, IMO), mi pare che la nuova fase di LPELC sia partita, come si dice, col piede sbagliato. Fatta salva la stigmatizzazione degli attacchi e insulti personali di ogni tipo, oggettivamente e doverosamente censurabili, non credo sia opportuno mettere altri paletti alla discussione, perché altrimenti la si consegnerebbe alla discrezione soggettiva del singolo redattore coinvolto. Eppoi ci sarebbe la singolare contraddizione tra la considerazione della protesta sociale, quella fuori dalla rete, da parte dei redattori di LPELC, che mi pare la vedano di buon occhio, e la considerazione, questa invece del tutto negativa, della protesta virtuale all’interno del blog,

  5. Seguendo l’intervento di Gilda Policastro, e sull’etica da seguire dopo lo “sputo in faccia”: secondo me, una strategia pragmatica e proficua è questa:

    X aggredisce o insulta la persona Y (non il contenuto del post: io mi sento spesso polemico e in contrasto verso ciò che leggo)
    Y si difende, sempre che voglia o trovi necessario farlo, IN PRIVATO (dovrebbe esserci il modo per consentire ciò)
    A, B, C, ecc (insomma, tutti gli altri) ignorano, con stoicismo, l’intervento di X, che sarà automaticamente isolato e alla lunga si stancherà d’interloquire, e anzi più il commento di X è off-topic, più il loro sarà centrato sul post.

    Questa, parzialissima e funzionale, è la regola che mi sono dato negli anni su altri siti, e ha funzionato: per me perché non ho perso tempo inutile, per l’autore del post perché ne ottiene qualcosa e non soffre la frustrazione di veder commentato un commento altrui anziché il proprio post; e per il disturbatore, perché non è riuscito nel suo intento, almeno non con me.

  6. @Policastro: Il problema, secondo me, è che spesso si confonde la critica alla persona (inopportuna) con la critica all’atteggiamento (sacrosanta). Se io dico che un post è scritto con atteggiamento estetizzante e accademico, e/o che non tiene conto di una questione politica importante, l’impressione spesso è che il diretto interessato, mascherando l’incapacità di rispondere al mio allargamento del problema proposto, o la negligenza, interpreti: “sei estetizzante, sei accademico, non capisci niente di politica”, e rifiuti la discussione appellandosi al fair play (se non addirittura ignorandomi). Quello che voglio dire è che il confine tra dissenso e risentimento, nella concretezza dei singoli casi, è fin troppo malleabile.

    @Davide Castiglione: a che pro tanto stoicismo? Per garantire la libertà di “comparsa” dei commenti? Non sarebbe molto più sincero censurare direttamente?

  7. @Gerace Non siamo qui a darci pagelline a vicenda ma a discutere di contenuti, io credo: se si rimane su quelli, il margine di ambiguità, vedrà, si riduce in modo sostanziale. Ad esempio, si potrebbe prediligere nel dialogo in rete la sana pratica dell’argomentazione sviluppata secondo un ragionamento, che non ha nessuna necessità della formula sintetica, approssimativa o violenta: se invece di limitarsi a scrivere ”il suo è un atteggiamento accademico ed estetizzante”, il commentatore si applicasse minimamente a dimostrare dove e come questo avvenga, potrebbero evitarsi le perdite di tempo paventate da @Davide Castiglione e il conseguente calo di attenzione sull’oggetto, che è inevitabile insorga negli altri commentatori non coinvolti nella gara di sputi. Il termine censura che lei utilizza lo trovo poi quanto mai improprio: censurare vuol dire privare qualcuno della possibilità di esprimersi liberamente. Ma se il mio modo di esprimermi liberamente in un consesso qualunque (a un convegno come presso il banchetto del fruttivendolo o al bar sport) è di prendere qualcuno a sputi in faccia, non credo di dover essere lasciata libera, anzi, è più che atteso che venga portata via anche con la forza, se necessario (ossia che si venga bannati, restando alla rete). Però è anche questo un problema: esercitare quel tipo di moderazione che lei chiama censura lascia un senso di sconfitta comunque, soprattutto in chi si veda costretto a eliminare il commento incriminato, o almeno questa è la mia sensazione. Ci si sente più violenti e aggressivi ancora dell’aggressore, anche se si stava solo reagendo alle sue provocazioni. Ecco che è proprio su questo tipo di dinamica che fanno leva i troll: non potranno bannarmi, perché allora griderò alla censura, oppure perché si sentirebbero più deboli di me o messi all’angolo, e incapaci di opporsi in altra maniera alle mie argomentazioni. Perché il troll più parco e misurato rifiuterà sempre di ammettere che il suo ”ehi tu, mi annoi” non sia un’argomentazione, alla fine.

  8. Non so, mi sento tirato in causa… Per ora mi limito a dire che dissento fortemente dall’articolo di Alessandro Bertante citato da Gilda Policastro: lo trovo fortemente insultante, privo di serie argomentazione e non a caso fondato su un falso presupposto, gli inesistenti 50 disturba tori, i quali, secondo Bertante, nientemeno INQUINANO il dibattito… altri a suo tempo, non meno dispregiativamente, usò il termine CULTURAME: siamo lì… Ci ho scritto un post.

    http://accademia-inaffidabili.blogspot.com/2012/01/alessandro-bertante-e-il-pollaio.html

  9. ma no, massino, non si lasci prendere dall’impressione erronea che questo post si riferisca a persone come lei…

  10. @Gilda Policastro: Non si comprende a fondo nessun testo, secondo me, se ci si limita a questa nozione rarefatta di “contenuto” alla quale lei invita ad attenersi. Se c’è qualcosa di buono che il cancro dell’indagine intertestuale ha lasciato al metodo critico è la consapevolezza che nessun testo può essere letto e compreso sottovuoto. Fenomeni come la parodia e la citazione sono assolutamente incomprensibili, anzi irrintracciabili alla luce dell’artificiale restrizione che lei propone. Ancora, e soprattutto, ogni messaggio presuppone una situazione comunicativa dalla quale trae la propria decodificabilità. Se io, invece di criticare direttamente il messaggio, critico il rapporto funzionale in cui il messaggio si pone nei confronti della situazione comunicativa, vengo talvolta scambiato per un troll (è un io generico). Poi è ovvio che sono cose che vanno spiegate (purché non si faccia gli accademici culi di pietra anche qua), ma la mia impressione è che a volte per voi non basti. Mi sembra che agiscano ridicole restrizioni di categoria, per cui se @Ennio Abate richiama l’attenzione sulle questioni politiche sottese a qualsiasi discorso letterario (spesso con sacrosante ragioni, e con una passione talvolta troppo poco controllata), si cerca il modo di farlo passare per un disturbatore (e a volte sì, anche a me pare impertinente che si disturbi la quiete dei morti). Perché? Perché invece di limitarsi al campo stretto, allarga i punti di vista, aumenta i problemi e, certo, complica il dialogo. Ma c’è una complicazione buona e una cattiva: non scambiamole. E la complicazione buona, la consapevolezza che non esistono problemi che non siano politici, che non esistono affermazioni che non siano il saldamento di un debito con la storia, è ciò che manca troppo spesso alle elucubrazioni della critica letteraria di questi anni. Se non siamo qui per comprendere la contemporaneità, allora che ci stiamo a fare? A dirci reciprocamente che siamo belli o brutti, a misurare chi ce l’ha più lungo? Mi pare inutile che si apra un blog letterario, se poi gli atteggiamenti sono di chiusura orgogliosa e impenetrabile (leggi: terrorizzata e scevra di prospettive). Ovviamente non è sempre così, ma mi sembra importante che il blog non trasformi l’esigenza di civiltà in una scusa per non confrontarsi con l’urgenza di una sfida a tutto campo alle questioni della contemporaneità.
    Riguardo al termine censura, lei me ne attribuisce un uso improprio, per poi farlo suo: ciò che lancia una seria sfida al Tertium non datur. Mi vengono in mente le parole di un mio amico ieri sera, che commentavano la seguente dichiarazione di Magdi Allam: “L’islam ci minaccia e l’Occidente pensa solo al dio denaro.” Il mio amico si è sentito in dovere di rispondere: “Il dio denaro ci minaccia e Magdi Allam pensa solo all’islam.” Ecco, lei sembra dire: “I troll ci minacciano, e Gerace pensa solo alla censura.” E io devo risponderle: “La censura ci minaccia, e Policastro pensa solo ai troll.”

  11. Sinceramente trovo questo tentativo di elaborare una policy abbastanza maldestro e in un certo senso la spia di una difficoltà a comprendere certe dinamiche della comunicazione sul web. Con questo non voglio paventare un “diritto al trolling” (vi prego, voi che siete custodi della lingua, evitiamo tanto gli inglesismi inutili quanto le italianizzazioni orrende), ma semplicemente dire che non è necessario estendere regolamenti più o meno restrittivi, quanto piuttosto sperimentare pratiche di coabitazione di questi spazi sempre più approfondite.
    Vi segnalo sulla questione un punto di vista a mio avviso molto ben articolato
    http://jumpinshark.blogspot.com/2012/01/blog-letterari-commenti-e-trollaggio.html

  12. Ma non vedete che state discutendo di nulla? Questo mio è un inquinante discorso da troll? Ripeto, state discutendo di nulla. E questo è penoso. dio mio se lo è.

  13. @Gerace: le parole (e le cose) sono importanti: nessuno ha mai pensato, credo, qui dentro che Ennio Abate fosse un troll. Il fenomeno del dissenso critico, ripeto, è tutt’altro dal disturbo programmatico: ci si può accordare sulle modalità e sugli spazi (di solito i commenti di Ennio Abate hanno le dimensioni di un post, o sono addirittura superiori, oltre che, talvolta, l’intonazione di una predica, il che, magari, può irritare: ricordo che a me chiese, una volta, e con molta insistenza di ”spiegargli” un passo letterario mi pare ripreso da un’antologia curata da Cataldi – posso ricordare male nel merito, e me ne scuso in anticipo – , passo che poi però di sicuro riportava nella sua interezza e che mi ingiungeva di commentare. E perché mai avrei dovuto ”spiegargli” o ”commentargli” alcunché, mi chiedo e le chiedo?) con cui tale dissenso esprimere, ma quando si dice troll si dice qualcosa di molto preciso ed è esattamente su questo punto e solo su questo che concordavo con Bertante (e stavolta mi rivolgo a @Larry Massino). Tant’è che mi affrettavo ad aggiungere che l’uso del commento come spazio per farsi degli amici (bene, bravo, bis) mi è indigesto tanto quanto l’ostilità programmatica ai nemici giurati attraverso gli insulti pretestuosi ai loro post. Ho appena letto le sue critiche a Bertante, alcune condivisibili, altre meno, ma come al solito è irritante dover leggere nei commenti al suo post che avrei citato il pezzo di Bertante per chissà quali motivi. Ci sono degli spunti di riflessione che ha offerto, e mi pare convergano con le nuove regole di LPLC (stare sui contenuti, come a me preme, lasciando da parte i livori personali e le idiosincrasie): posso convenire con lei (e l’ho fatto pubblicamente) che l’episodio dello Strega sia in apparente contraddizione con il discorso sostenuto sul ”Fatto”, ma ciò non toglie che quest’ultimo stigmatizzasse opportunamente un aspetto secondo me pernicioso della discussione letteraria attuale: l’idea che dietro ogni scelta editoriale, ogni pubblicazione, ogni articolo di giornale, ogni gruppo di persone che si riuniscono in nome di un progetto comune (un blog, le classifiche di qualità, i tq e via così) ci sia chissà quale ”mafia” o consorteria o tornaconto personale. Ma ci si potrà mai porre più serenamente e direi, anche, con più leggerezza, nei confronti di quanto accade nel mondo culturale (il supremo inutile, ora come ora)? Ci sono infatti dei casi fortunati, degli inattesi, degli imprevisti, delle meteore, dei flop, c’è un po’ di tutto e non tutto può essere artefatto o programmato. L’indignazione e il dissenso sono legittimi, ma la calunnia no, e ad accuse gravi (”consorteria mafiosa”) spetta l’onore della prova. Se invece non parliamo di accuse, ma di opinioni, e torno a @Gerace, ne conviene con me che se io leggo in questo blog delle poesie ”noiose” o mi sforzo di argomentare criticamente il mio giudizio o non lo esprimo? Perché dire a qualcuno, semplicemente, ”scrivi delle poesie noiose”, è una cosa che non si farebbe, se non ve ne fossero delle ragioni extraletterarie (mi sta antipatico l’autore, vorrei essere al posto suo, dove credo non meriti di stare – e io invece sì). Perché quando si trova noiosa una qualunque altra cosa (una trasmissione tv, una partita, un brano musicale) non ci si accanisce a commentare: si va altrove, si cambia canale.

  14. @EL-Pinta: ho letto anche il suo post (il tema mi appassiona) e mi preme riflettere con lei su due punti: 1) l’anonimato non è il nick. Concordo in pieno, e ci ho tenuto a citare, sin dai miei primi commenti qui, il caso a me noto di ”alcor”, una delle mie prime antagoniste virtuali, commentatrice attivissima su Nazione Indiana, dall’identità coerente e in qualche modo riconoscibile, con cui ho condotto più d’un’aspra battaglia, ai tempi, ma sempre nella piena civiltà (almeno, così mi pare di ricordare) e comunque sui temi specifici. Quello che però non mi torna è un passaggio ulteriore: quando, cioè, l’identità celata (e in questo anonimo e nick, in qualche modo coincidono), mentre tutela l’aggressore nella sua cosiddetta parresia non fa altrettanto con il suo bersaglio polemico, mirando, magari, proprio alla sua identità personale (e ciò accade quando il nick o l’anonimo riferiscano circostanze o alludano a situazioni del tutto estranee al topic in discussione). Il secondo passaggio che ha attirato la mia attenzione nel suo discorso è l’aspetto per così dire narcisistico, individualista e anticomunitario dell’aggressività in rete. Quando lei scrive che i commenti in rete hanno sostituito la telefonata, il bigliettino o, soprattutto, ”il trafiletto del Corriere o l’elzeviro sulla Stampa” che facevano seguito, una volta, all’articolo uscito su Nuovi Argomenti, dimentica che difficilmente chi collabora con un giornale o una rivista si può alzare una mattina e regolare i propri conti con il nemico di turno senza renderne conto a un contesto entro il quale tale regolamento deve obbligatoriamente rivestirsi, quanto meno, di contenuti pubblici e interessanti oltre il caso personale. Nel blog ciò non accade: e anche su questo punto mi pareva condivisibile l’articolo di Bertante. Non si può non riconoscere che la disponibilità pressoché universale di una tastiera dia l’illusione a molti (troppi?) di possedere dei contenuti e delle forme atti a partecipare al dialogo critico e ciò che prima rimaneva confinato nel ”magazzino delle scope” (il risentimento, il livore, la frustrazione) adesso gode comunque di una piazza (con il risvolto uguale e contrario della viralizzazione di qualunque contenuto che passa di blog in blog – come vedo ora, trovandomi citata nel suo e in altri post qui segnalati) in modo non sempre pertinente, e comunque senza il contesto d’origine, al di là del quale una singola frase può prestarsi a strumentalizzazioni o semplificazioni di sorta. Ciò detto, grazie della segnalazione (il post documenta in particolare uno scenario inquietante e a me del tutto ignoto che è il mondo del fantasy, piuttosto sintomatico, comunque, da quel che ne dice, di tendenze più generali e rivelatore della effettiva necessità, in qualche caso, dell’invocata e sempre discussa ”censura” o ”limitazione” o ”moderazione”).

  15. @GildaPolicastro: scrivo di sfuggita solo per segnalare che non sono io l’autore del post che segnalavo (magari ne avessi le capacità). Al momento sono di fretta e non posso spendermi per argomentare la sua risposta, cercherò di farlo più avanti…

  16. @El-Pinta: ecco gli effetti allucinatori dell’anonimato e della pseudonimia…mi scuso, comunque, per l’indebita attribuzione, e attendo, magari, una replica anche da…jumpinshark?

  17. @Gilda Policastro, è molto molto scorretto quello che afferma: non mi sono mai sognato di accusare qualcuno di mafiosità. Mai! Piuttosto di scarsa simpatia per i principi democratici (non era lei che l’altro giorno si complimentava con quel commentatore che aveva appena usato il termine oclocrazia contro i quattro cinque commentatori considerati avversi?). Io, qui e altrove, ho espresso delle perplessità sulle modalità di votazione del premio Dedalus, modalità quanto meno ingenua e favorevole alla pratica delle consorterie. Se poi non si è completamente ipocriti, come lei non è, si va a vedere chi vota chi, quali case editrici piazzano i loro libri nelle classifiche, specie nella sezione poesia, e si smette di fare i puri (ma non essere puri è un peccato solo veniale; o non è un peccato affatto, secondo me, visto il grado di canaglieria raggiunto dall’italiano convivere). E poi, detto di passaggio, si rende conto che il libro primo classificato non raggiunge quasi mai nemmeno il 5% dei voti? A questo punto, superato il rischio ipocrisia, ci si dice pure che quelle classifiche, nonostante siano frutto di un’attività definibile come lobbystica, riescono a riflettere il panorama letterario meglio delle classifiche di vendita (sulla poesia, mondo dal quale resisto a mantenermi a distanza di sicurezza, so che ci sono tantissimi dubbi). Ma è un risultato che si può ottenere sedendosi a un tavolino in una qualunque birreria, non c’è bisogno di farla tanto lunga: a turno si dia incarico a cinque-sei congiurati di insindacabilmente decidere quali sono i migliori libri in circolazione, non più di cinque per categoria. Non si andrà tanto lontani dai risultati che vengono ottenuti con un complicato e ugualmente poco democratico procedimento. In ogni caso, che si cambi o si lasci tutto com’è, è una classifica destinata a non contare molto.

    Su Bertante il punto è precisamente questo: è vero o non è vero quello che ha scritto? Non è vero, e ne ho le prove. In ambito giornalistico ciò è molto grave, perché il giornalismo si basa sulla correttezza delle fonti. Chiunque vada a verificare sui blog citati scoprirà che i 50 troll inquinanti non esistono, e che più o meno si muore di noia, perché il livello medio dei contenuti pubblicati è bassino; non per colpa delle persone che li pubblicano, di indiscutibile qualità, ma a causa del fatto contingente che i bisogni della pubblicazione affrettata producono questo effetto in qualunque ambito editoriale, come sa anche chi si provi ad aggiornare quotidianamente un semplicissimo blog. In più l’articolo di Bertante è tendenzioso e denigratorio, mira a definire i dissidenti come sabotatori, invoca indirettamente azioni purgative e se necessario epurative. Siamo vicini al realsocialismo, se non all’arte degenerata, agli artisti controrivoluzionari, ai campi di rieducazione e alle fucilazioni.

    Veniamo alle nuove regole di LPLC, per niente neutrali. In definitiva si afferma che la censura quando ci vuole ci vuole. Contenti voi contenti tutti, ma di censura si tratta, di nient’altro che censura. La potete chiamare misura di risanamento atmosferico (antinquinamento), misura rivitalizzante e antiossidante (antidegenerazione) o misura di prevenzione per la serenità collettiva (antisabotatori). Ma rimane censura, attraverso le cui maglie non passerebbero tanti e tanti autori che ognuno di noi stima e ama. Perché in una discussione è assolutamente impossibile non pigliarsela con gli atteggiamenti intellettuali, come giustamente dice Roberto Gerace. I negativamente commentati tenderanno sempre a ritenersi colpiti oltre il consentito. Analizzeranno bene il contenuto del commento e non potranno fare a meno di ritenersi colpiti in modo cafone e canagliesco, in ogni caso sopra la cintura, e censureranno di brutto. I commentatori abituali, almeno quelli che spacciano idee, si sentiranno sempre sulla testa il sibilo della mannaia, come i tossicodipendenti con i carabinieri, ciò che toglierà loro tranquillità nel liberamente esprimersi. Del resto va detto che la legislazione speciale che state adottando – favorevole di principio alla censura e a un passo da considerare positivi epurazioni e purghe – non vi differenzia affatto dagli altri blog letterari, che censurano a propria discrezione, almeno così fanno Nazione Indiana, Lipperatura e Vibrisse.

    A questo punto vi domando: Manganelli avrebbe potuto attaccare Pasolini attenendosi a queste nuove regole? Pasolini avrebbe potuto dare del sabotatore e teppista a Manganelli stesso? Quando Andrea Cortellessa, proprio in questo blog, se non sbaglio, dice che Antonio Moresco si crede Proust, attacca il contenuto Moresco o la persona Moresco? E quando sempre Cortellessa definisce sabotatore una persona pacifica come me? Vabbè, andiamo avanti.

  18. @Policastro: guardi, siamo d’accordo. Il problema però è distinguere onestamente tra critica e disturbo. Se censura deve essere, mi limito ad auspicare che sia costruttiva.

    @Massino: Si ricorda qual è il post in cui Cortellessa fa una simile affermazione? Purtroppo me la sono persa, ma mi piacerebbe gustarmela. Lo so: mi compiaccio del degrado.

  19. @Larry Massino: adesso, per cortesia, mi indica dove, precisamente, ho detto che è LEI a muovere a certi contesti l’accusa di mafiosità. Dove l’ho chiamata in causa, l’ho fatto con l’apposita @ che precede, come da prassi, il nome dell’interlocutore prescelto. Ma ho l’impressione che abbia completamente equivocato il senso del mio scritto, e però a questo punto pazienza: avrà modo di rileggerlo con maggior calma, se vuol capire . Poi: non rappresento le classifiche di qualità a nessun titolo, sono uno dei Grandi Lettori, certamente, ma non ho intenzione di discutere nello specifico di questo, che è argomento off topic. Si parlava di deontologia del web, qui. Ecco, spostare il focus mi pare venga meno a un principio elementare: se da ogni argomento, a grappolo, ne derivano cento altri, non si viene mai a capo di nulla e ogni discussione, come notava qualcuno prima di me, ”finisce in vacca”. Allora, se proprio le devo dire qualcosa sulle classifiche, e cioè costretta dal suo sproloquio, gliela dico non da votante, ma da votata: lo scorso anno sono stati votabili due libri scritti da me, un romanzo e un libro di poesia. Il romanzo è stato in classifica, piuttosto alto, per tutto il tempo in cui era possibile votarlo, il libro di poesia non c’è nemmeno entrato per sbaglio. Che cosa devo dedurne? E lei, soprattutto, che cosa ne deduce? Io sono sempre la stessa persona, dunque se ho promosso in qualche modo il primo libro non vedo perché non avrei dovuto fare lo stesso per il secondo, attivando i numerosi contatti che pure ho, evidentemente, tra i votanti. Invece le dirò che serenamente in entrambi i casi non ho mosso un dito: un libro è arrivato in classifica, il che vuol dire che qualcuno l’ha spontaneamente letto e segnalato ad altri (che è, come ripetono ogni volta i responsabili, lo scopo primario delle classifiche, sorta di ”passaparola organizzato”), e questo evidentemente non può che farmi piacere, mentre il libro di poesia o non l’ha letto nessuno o non è piaciuto a nessuno, mentre altri libri, usciti nella medesima collana, si sono ottimamente piazzati. Cosa dobbiamo, io e lei, dedurne, ancora? Che il mio libro sia il peggiore di tutta la collana, non avendo preso mai nemmeno un punto? Non mi sento, mi perdoni, né di dedurne questo, ma nemmeno che gli altri votati siano tutti una consorteria e gli altri votanti tutti assoldati da questo o da quell’editore (per ricavarne cosa, poi?). Credo nel caso, nell’imprevedibilità e anche, perché no, nella capacità autopromozionale di alcuni autori che non è per forza disgiunta dalla bravura e dal merito. E qui finisco sulle classifiche. Ma sul resto non voglio ritornare più di tanto, perché credo di aver già a sufficienza chiarito la mia posizione: un distinguo netto tra la violenza e il dissenso, tra l’espressione di un giudizio e la manifestazione di un risentimento, tra la discussione sui contenuti e l’attacco alla persona. Ed è inutile stare a cavillare sulle eccezioni e sui casi particolari: la regola generale deve essere chiara, e quando ho ”bannato” (preferisco usare per questa operazione difensiva il gergo della rete, piuttosto che quello dell’ideologia totalitaria), credo per prima, o tra i primi, su questo blog, ne ho chiarito apertamente le ragioni. Se si vuole continuare a sputare in faccia, lo si farà da un’altra parte. Quanto alle diatribe tra i nostri intellettuali di una volta, Sanguineti amava ricordare che dopo aver definito Cassola una “Liala”, ciò non gli impedì di andare a prendere un caffè insieme a Cassola medesimo. Forse perché dare della Liala (o del Proust mancato a Moresco) non è uno sputo in faccia, ma, espresso in sintesi estrema (e comunque altrove, accuratamente motivato: perché firmare i propri giudizi, tra l’altro, dà anche modo all’interlocutore di verificarne il contesto e la coerenza, e diverso sarebbe stato se Sanguineti avesse dato a Cassola del ”noioso” firmandosi Ciccio Formaggio in un blog, io credo) un giudizio critico.

  20. @Gilda Policastro, credevo che ”consorteria mafiosa” fosse riportato tra virgolette perché detto da me in chissà quale contesto. Magari specifichi chi l’ha detto. Prendo atto che si può dare del Liala a Cassola senza avere l’intenzione di offenderlo. Lo stesso del Proust mancato a Moresco (@Gerace, francamente non me lo ricordo quando l’ha detto, ma l’ha detto. Forse nel post su Dedalus, del quale ho precedentemente parlato soltanto per specificare bene che io non ho mai tacciato di mafiosità nessuno).

    Per il resto, Policastro, secondo me se l’accomoda un po’. La storia del pensiero e dell’arte è storia di conflitti, di insolenze, di cattiverie. Mi smascherò un po’, sempre che ciò non venga ritenuto pornografico e contrario alla liceità dei costumi. Ho conosciuto alcuni tra i maggiori artisti della seconda metà dello scorso secolo: tutti carogne insolenti della peggiore specie. Il mio specifico artistico è il teatro. In Italia, glielo assicuro, abbiamo avuto e forse abbiamo ancora uno dei migliori teatri del mondo. Ma tra i suoi protagonisti, da Eduardo a Carmelo Bene a Leo de Berardinis a Perla Peragallo a Carlo Cecchi nessuno si è fatto mancare le peggiori insolenze nei confronti di chi riteneva retrogrado e avverso ai propri interessi. Sono stato testimone di tanti e tanti episodi, a partire da Carmelo Bene che cacciava i critici dai teatri. Io pure ho fatto le mie, ma non sono insolente (semmai caustico e sarcastico, quando ci riesco), ma so che eliminare gli insolenti equivale a restringere la libertà d’espressione, cioè a fare censura. Sempre restando al teatro, oggi nessuno sembra più insolente di Antonio Rezza e Pippo Delbono, due tra i più vitali artisti della scena contemporanea.

    Metto un brano da un’intervista a Pippo Delbono, che qui, secondo le nuove regole, potrebbe essere interpretato come espressione di risentimento e livore:

    (precedentemente Delbono aveva parlato della vitalità del teatro e della vita culturale in Romania. Domanda giornalista:) In Italia c’è meno fervore culturale dunque?

    «Non abbiamo agevolato quelle situazioni: abbiamo relegato l’arte nei teatri dove si pagano biglietti, cari. La trasversalità non c’è mai stata. Ora si parla dei tagli alla cultura: terribile! Io condivido al 100 % l’indignazione, ma bisognerebbe anche guardarsi tutti quanti in faccia: noi non abbiamo creato il bisogno di cultura. Siamo i responsabili di quello che è arrivato, credo molto nel meccanismo di causa-effetto. Che vergogna! Tutti lo diciamo, ma siamo noi che non abbiamo più sensibilizzato lo sguardo alla cultura, e lei ci è scappata sotto ai piedi. Questo Paese è morto culturalmente anche riguardo a chi la cultura la fa, la gestisce. Se siamo artisti dovremmo essere in qualche modo preoccupati di quello che stiamo facendo. Non si può far marchette tutta la vita e poi contestare i tagli alla cultura! La domanda è: stiamo facendo cultura o business culturale? Un tempo ogni direttore di teatro o di festival cercava la sua piccola rivoluzione, ora è messo lì perché è amico di un politico o perché vuol promuovere il suo, di spettacolino: così non ha più senso, può andare via domani. Se continuiamo a dare grandi spazi alla trasmissione della De Filippi, non possiamo il giorno dopo stupirci se tolgono i soldi alla cultura: è normale, noi stessi abbiamo alimentato il sistema. È la poesia dell’anima che dobbiamo raffinare».

    http://www.unita.it/culture/delbono-laquo-in-italia-la-cultura-egrave-morta-per-colpa-di-chi-la-fa-raquo-1.10081

  21. Non saremmo voluti intervenire, ma tocca farlo, prima che passi l’idea, alimentata da @Massino (certo per distrazione, e non per ansia di polemica), che le nuove regole che proponiamo abbiano lo scopo di instaurare un regime di censura. Così non è, non fosse altro perché la possibilità di censurare esisteva già sul sito, e in pochissimi casi (due o tre, ci pare) è stato necessario farvi ricorso – quando qualcuno è stato insultato personalmente e si è sentito offeso (peraltro non sono stati toccati moltissimi altri insulti, tra cui tutti quelli – gratuiti – rivolti a LPLC). In realtà le nuove regole, che sono rivolte tanto ai commentatori quanto agli autori, hanno lo scopo da un lato di organizzare la moderazione in modo più semplice, trasparente e razionale (a uso interno, si può dire), dall’altro di chiarire ai più distratti che tipo di dibattito vorremmo incoraggiare: un dibattito diverso da quello in voga su altri siti letterari. Non siamo così ingenui da credere che delle semplici regole di comportamento basteranno ad azzerare le polemiche più stupide e gratuite, ma speriamo che il clima, nello spazio dei commenti, possa almeno migliorare. Se così non fosse, ne tireremo le conseguenze.

    (Per chiudere con Massino, abbiamo trovato molto divertente, e a suo modo rivelatrice, la metafora dei tossicodipendenti e dei carabinieri; se la polemica inconcludente rappresenta una dipendenza, e per alcuni è certamente così, noi vorremmo provare a disintossicarci. Rivelatore anche il parallelismo con Carmelo Bene – ma per comportarsi come Carmelo Bene, bisogna essere Carmelo Bene: lo stesso Bene sarebbe d’accordo).

    Abbiamo letto con interesse il post di jumpinshark linkato da @El Pinta. Purtroppo per quanto riguarda LPLC esso contiene una inesattezza: non è vero che da noi ogni commento va in moderazione. E’ vero invece che da noi i commenti sono completamente aperti: in pratica, se la classificazione di jumpinshark è valida, siamo il solo blog letterario ad offrire una tale disponibilità in entrata. E’ il segno che in linea di massima ci fidiamo, più di chiunque altro, della buona volontà dei nostri lettori. Speriamo che questa fiducia venga ricompensata con una interlocuzione civile e costruttiva. D’altra parte è noto che la volontà non è sempre buona – quindi in caso di necessità verranno adoperati gli strumenti di cui parla lo stesso jumpinshark.

    Sappiamo che è impossibile fissare “per decreto” il confine tra volontà buona e cattiva, così come quello – per rispondere a @errebì – tra dissenso ragionevole e mero ostruzionismo, nelle polemiche sulla moderazione (ad essa ci riferivamo, non certo al dissenso tout court, che è benvenuto). Sappiamo che questo confine può essere labile, ma anche che è spesso, o quasi sempre, immediatamente riconoscibile da persone sensate ed educate. “La protesta sociale, quella fuori dalla rete”, deve confrontarsi faticosamente con il mondo reale, in cui vigono solidi principi di autorità e leggi ferree; nella rete, dove la sola vera legge è l’anarchia, la buona educazione è il gesto più anticonformista che si possa immaginare.

    (gs)

  22. cari amici di LPLC, non vi fate illusioni: “in pratica, se la classificazione di jumpinshark è valida, siamo il solo blog letterario ad offrire una tale disponibilità in entrata.”
    In tale temibile barca ce ne sono altri, quali i vostri amici di Nazioneindiana. Che quindi cassano, quando credono giusto, ma a posteriori. Comunque, come si sul dire, in bocca al troll e lunga vita alle vitali e buone iniziative.

  23. Simonetti, lei lo sa cosa penso della censura: non si deve censurare, perché chi scrive una sciocchezza, o peggio, chi diffama e calunnia, già sconta la pena rimanendo in vista.

    Quanto al non intento censorio delle nuove regole, capisco che l’intenzione è benevola, ma in esse è scritto chiaramente: ” Il responsabile della moderazione è colui che pubblica il post. Le sue decisioni sono insindacabili, come quelle di un arbitro ” . Quindi l’intenzione buona è suscettibile di trasformarsi in censura. Pazienza se l’arbitro sbaglierà, sembrate dire, fa parte del gioco, ci vuole più ORDINE.

    Su Carmelo Bene, che negli anni ’60 veniva spesso arrestato dopo gli spettacoli, agiva in un contesto culturale che riteneva l’ordine violabile. In quegli anni nemmeno lui sapeva di essere Carmelo Bene (io invece so già di avere la fortuna di non essere nemmeno me stesso, figuriamoci se non so di non essere Carmelo Bene)

  24. @Massino

    Riesce a immaginare una partita di calcio priva di arbitro? E un arbitro privo di cartellini? Solo la presenza dell’arbitro rende piacevole segnare con la mano. Proprio la storia del calcio – oltre a quella delle arti – dimostra che l’ordine si può e si deve violare, ma con creatività, tempismo e classe. D’altra parte se non ci fosse un ordine che gusto ci sarebbe a violarlo?

  25. Sono d’accordo con Simonetti: è la castrazione che istituisce il desiderio.

  26. Simonetti, guardi io ho più esperienza di erba (ehm), palloni di cuoio (credo e temo cuciti in Indonesia) e campi di gioco (anche spelacchiati o in terrabattura) che di costruzioni sintattiche o discussioni filosofiche, quindi mi permetto di dirle che lei è un tantino in fuorigioco se paragona le regole del calcio con quelle di un qualsivoglia tavolo dialettico. Le regole di uno sport, prendiamo il calcio, sono molto più chiare di quelle del buonsenso cui appoggiate le braccia voi per non cadere, giacché un arbitro può sbagliarsi, può vendersi anche, ma vigila che queste siano (una volta scritte e fissate in teoria) appliocate in pratica, il margine di interpretazione è meno labile, le regole rientrano nell’ordine costruttivo del gioco… in più l’arbitro non è anche l’allenatore di una delle due squadre, è un super-party… Esiste infatti l’allenatore-giocatore, non in Italia, ma non l’allenatore-arbitro, come, trasponendo, succederà in questo sito dove l’autore che scriverà il pezzo e può “insindacabilmente” (quindi a suo piacimento e discrezione, e con regole opinabili) annullare le azioni scritte degli altri.
    State praticamente dando licenza agli autori di espellere (se lo riterrà opportuno) il dissenso.

    Ora, per me, fate quello che vi pare, ma non credo che finora, prima di questo proclama (se seguiranno davvero i fatti), avevate fatto brutta figura a tenere spento il correzionale.

  27. Caro Dinamo,
    legga bene e vedrà che la metafora sportiva è di Massino, non mia: io per rispondergli l’ho solo prolungata – ma penso possa andar bene, cum grano salis.

    Tutti speriamo che non ci sia bisogno di nessun cartellino. Anche perché noi di LPLC siamo contrari alla rissa permanente, ma favorevoli all’infrazione creativa. Vede, uno sport in cui si segna sempre di mano esiste: è l’handball. L’esperienza ci insegna che è molto più noioso – da praticare e da guardare – del meraviglioso gioco del calcio.

  28. Larry Massino

    Lei scrive: ” Bertante invoca indirettamente azioni purgative e se necessario epurative. Siamo vicini al realsocialismo, se non all’arte degenerata, agli artisti controrivoluzionari, ai campi di rieducazione e alle fucilazioni.”

    Io non invoco un bel nulla.
    Si rilegga l’articolo.

    Buona serata

  29. Salve, rispondo alla vostra gentile discussione del mio post (perdonatemi se non sarò breve, nonostante abbia cercato di tagliare molto, in questo mio primo commento su LPLC).
    @gilda
    Cara Gilda, Lei mi devi scusare se ti do del tu. E’ un “tu di Internet” e non implica nessuna confidenza vera, è rigidamente codificato come il “Lei di cortesia letteraria” e il per me piuttosto incongruo “Voi tra amanti (e copulanti)” nei film di Rohmer. Su Internet si incontrano e scontrano codici, in quelli che io frequento il Lei è la peggiore offesa (come dice sempre Wu Ming 1) e personalmente l’ho adottato una sola volta, quando sono stato accusato, letteralmente, di ballare sulla bara degli operai morti sul lavoro, da una persona in buona fede ma troppo inesperta del codice letterario dell’amara ironia e dell’elenco paradossale (te lo linko così vedi come tutti abbiamo i nostri problemi coi commenti http://bit.ly/A2FjRy , e questo manco era un troll…).
    Riguardo alla citazione banalizzante e all’interpretazione semplificante forse anche mie sono contento della critica perché di solito mi si rimprovera sempre di ricostruire troppo largamente i contesti. Essendo tra persone abituate a maneggiare testi, non mi pare il caso di ricordarti che potrei dire lo stesso delle tue citazioni e interpretazioni. Ma appunto non andremmo da nessuna parte (o magari finiremmo da Derrida a discutere di come non si possa mai (ri)stabilire un contesto ecc.).
    Riguardo al narcisismo, come non darti ragione… Mi pare però importante il tuo discorso soprattutto quando sottolinea l’aspetto anticomunitario. (Deteorizzando molto direi che) una quota di narcisismo è ineliminabile in ogni atto di scrittura, ma quando questa si declina in Schadenfreude siamo alla frutta, marcia.
    Riguardo a “difficilmente chi collabora con un giornale o una rivista si può alzare una mattina e regolare i propri conti con il nemico di turno”. Purtroppo non condivido. Si veda ad es. sul FQ (giornale di cui apprezzo molti contenuti e molti collaboratori) la recente “commemorazione” di Giulio Einaudi preparata da Chiaberge http://bit.ly/vdlMPS. Parole non ci appulcro, perché se per voi non è regolamento di conti (nel senso prettamente malavitoso del termine e ridicolmente post mortem) siamo troppo distanti per discutere.
    Spero poi non ti offenderai se dico che in conversazione privata su GooglePlus un amico mi ha segnalato [perdona dettaglio autobiografico, credo opportuno: me lo ha segnalato perché professionalmente sono un informatico web, non per la “letteratura”] come appartenente alla categoria il tuo recente articolo su La Lettura del Corriere. L’esempio mi serve, diversamente dal caso chiarissimo di Chiaberge, per mostrare come siano possibili giudizi diversi su cosa è onesta dura critica e cosa è prevalentemente attacco personale. (Io non ho opinione in merito, perché semplicemente non ne so abbastanza, segnalo solo che Facebook come popolazione è virtualmente il terzo, non il quinto o sesto stato al mondo, ha più di quattro volte gli “abitanti” del Brasile, appunto il quinto stato http://bit.ly/wtPic3 ).
    E’ pur vero che esistono siti infami – ovviamente non li nonimo, se no ci ritroviamo tutti i troll qua- che di un libro dicono cose come: “la carta è parecchio dura seppur riciclata, se ne sconsiglia dunque l’uso per scrostarsi il culo o altre parti intime.” E dicono solo quelle. E come non darti allora ragione sul livore e la frustrazione. (Deteorizzando molto direi che) sono dei poveri sfigati a cui semplicemente non va data corda. E come ben sai nella profonda provincia italiana i geni incompresi che scrivono contro il mondo balordo e gli autori di immeritato successo son sempre esistiti e son sempre stati dimenticati.
    Io però accetto che vi siano siti come quello appena (non) citato se questo è il prezzo da pagare per “la disponibilità pressoché universale di una tastiera”. Perché quella disponibilità è anche un formidabile strumento di liberazione di intelligenze, strumento che ad es. mi consente di leggere il blog di Adrianaaaaa http://bit.ly/uHi499 , imho scritto benissimo, con un gioco raffinato (forse, passami l’ossimoro, istintivamente raffinato) sull’autobiografia e la “vita precaria”. Ed Adrianaaaaa è una giovane ragazza che, se non l’hanno ancora licenziata, lavora in pizzeria e non avrebbe avuto in passato alcun canale per diffondere le sue cose (scrive anche testi per SEO, le “marchette web” insomma, ma c’è crisi e trova poco; questo notizie le apprendo dal suo blog, non la conosco personalmente). E mi consente pure di leggere una giovane studiosa, Valentina Fulginiti, che è finita da qualche parte in Canada a insegnare italiano e a fare il dottorato, e mantiene un (purtroppo parco) blog http://bit.ly/vYTUP6 di impressionante acume critico (la Fulginiti è di nuovo per me conoscenza vagamente virtuale). E vedi infine come sul sito di social reading aNobii ci siano nei forum civili e animatissime discussioni tra “semplici lettori”, tra “dilettanti” (non per forza un’offesa…), che spesso trovo molto rinfrescanti. E su 40mila utenti i cafoni sono davvero pochi. In cambio di questa liberazione io mi tengo volentieri le mezze calzette che, da un veloce giro, vedo abbondare anche sul vostro blog e i casi teratologici, come quello delle “parti intime”, e i leggendari tre troll di Lipperatura e il maniaco che perseguita il mio coriaceo amico Mazzetta dai tempi di Indymedia, non perdendosi un suo post dal 2002. E mi tengo persino i fasci del fantasy, contro i quali ora è tragicamente chiaro che si deve combattere una battaglia culturale durissima, giorno per giorno.
    @LPLC
    Mi dispiace, avevo evidentemente male interpretato sulla “moderazione”. Ora ho aggiunto nota con link nel mio post alla tua precisazione.

  30. Alessandro Bertante

    lei ha scritto tante cose, io ne ho scritto tante altre, con l’intenzione di dimostrare che lei ha affermato almeno in parte il falso, mosso da non so quale intento. La cultura funziona così: uno dice una cosa, una ne dice un’altra… il tempo, piano piano… stabilisce chi ha ragione e chi torto.

    Per quanto riguarda il passo che lei estrae dai miei ragionamenti a lei avversi, l’espressione ” invoca indirettamente “, che ho usato, vuol’egli dire che Alessandro Bertante, nell’aver scritto un articolo assurdamente diffamatorio contro i commentatori critici dei blog letterari (io tra questi), potrebbe voler significare che essi meritano di essere ignorati, isolati, purgati, detenuti, esiliati ecc ecc, nella tradizione delle normali persecuzioni contro chi dissente nei sistemi totalitari.

    Buona serata anche a lei.

  31. Credo che l’accanimento contro le improbe intenzioni di “censura” di un appena nato blog letterario di un piccolo paese europeo ai tempi della crisi – dove l’istituzione della rete e l’istituzione letteraria giocano un ruolo tutt’al più marginale nella vita politica e sociale – sia tragicamente fuori misura rispetto all’oggetto obiettivo del contendere (la libertà di protesta nelle democrazie liberali?). Che qualcuno abbia tanta forza e tanto tempo da dedicare alla questione, al punto di ripetere con le stesse innumerevoli parole le proprie inossidabili obiezioni, desta in me una turbata ammirazione, ancorché un sentimento di immedicabile spreco e dissipazione.

  32. …e comunque anche nell’handball «l’ordine si può e si deve violare, ma con creatività, tempismo e classe»:

  33. Mi sono procurato l’articolo di Bertante e l’ho riletto seriamente. Lo riporto qui sotto (minuscolo) interrotto dai miei veloci commenti (maiuscolo) [E.A.]

    BERTANTE COMMENTATO DA UN COMMENTATORE NON CANNIBALE

    Sono cinquanta, si conoscono tra loro e si odiano.
    PROPRIO CINQUANTA?

    Imperversano a tutte le ore e sembra non abbiano altre cose da fare che scriverecommenti, anche fino a tarda notte. Si ricordano di tutto, di ogni puntata precedente, e non perdonano. Insultano, minacciano, s’azzannano e soprattutto sono convinti che dietro ogni scelta editoriale ci sia il fiato nero di una consorteria di potenti a loro ostile. Perché sono vittime. Sono i commentatori dei blog letterari e prima o poi se pubblichi un testo qualsiasi di narrativa, saggistica o poesia, devi averci a che fare.
    POTREBBE ESSERE UN NUOVO MESTIERE CHE SI VA FORMANDO. POTREBBERO ESSERE I SUPPLENTI DEI CRITICI VERI DI UNA VOLTA CHE SI SONO RAREFATTI O SONO SCOMPARSI. POTREBBERO ESSERE DEGLI APPRENDISTI. POTREBBERO ANCHE ESSERE UN ANTIDOTO AI TROPPI BUONISTI COATTI. PERCHE’ PRESENTARLI SOLO COME DEGLI ASSATANATI? E POI PERCHE’ NON DISTINGUERE? PERCHE’ AMMUCCHIARLI? PERCHE’ NON ESAMINARLI UNO PER UNO? E ANCORA: DIETRO OGNI SCELTA EDITORIALE NON C’E’ UNA CONSORTERIA DI POTENTI OSTILE SOLO AI COMMENTATORI ( O A UN SINGOLO COMMENTATORE), MA LE CONSORTERIE CI SONO E NON FANNO BENE. E NON FA BENE SORVOLARE SULLE CONSORTERIE PER SCAGLIARSI CONTRO CHI LE DENUNCIA. AL MASSIMO SI CHIEDA DI PRECISARE, DI PORTARE ESEMPI ( E FORSE QUALCUNO LO POTRA’ FARE BERTANTE STESSO)…

    Fino a qualche anno fa sarebbero stati naturalmente confinati a rimuginare nelle loro anguste camerette ma adesso grazie alla caotica sarabanda del web 2. 0 – nato con la speranza d’allargare ogni possibilità e diventato asfittico come uno sgabuzzino per le scope – sono liberi di spargere veleno senza pagare mai dazio. Da quasi un decennio questi cinquanta valorosi impediscono che nasca un serio dibattito letterario in rete, inquinando il lavoro di molte persone oneste e preparate (e penso a Nazione Indiana, Lipperatura, Vibrisse, Sul Romanzo, La parole e le cose, Satisfiction, Scrittori precari) che stanno faticosamente cercando di creare nuovi luoghi di autorevolezza critica.
    CINQUANTA COMMENTATORI PER QUANTO VALOROSI NON IMPEDISCONO CHE NASCA UN SERIO DIBATTITO LETTERARIO IN RETE.
    UN DIBATTITO LETTERARIO SERIO IN RETE NON PUO’ NASCERE SOLO IN RETE. UN DIBATTITO LETTERARIO SERIO IN RETE O FUORI DALLA RETE HA BISOGNO DI UN DIBATTITO POLITICO SERIO CHE E’ ASSENTE SIA IN RETE SIA FUORI DELLA RETE. E PERCIO’ (PERCHE’ MANCA UN DIBATTITO POLITICO SERIO IN QUESTO PAESE) CHE ABBIAMO AVUTO IL SIGNOR B. E ORA ABBIAMO IL PROF. MONTI. ANCHE SE NON CI FOSSERO I CINQUANTA MAUDIT, LE MOLTE PERSONE ONESTE E PREPARATE NON SAPREBBERO A CHI SANTO ( O CRITICO O POLITICO) RIVOLGERSI. IL TREMENDO E’ QUESTO. ACCAPIGLIARSI COME I POLLI DI RENZO FA MALE. NON SEMPRE TUTTI E CINQUANTA (?) I COMMENTATORI MAUDIT CERCANO SOLO LA RISSA, COME BERTANTE SOSTIENE.

    In nome di una bizzarra interpretazione del concetto di libertà d’espressione, i cinquanta valorosi si distinguono per l’astio e per la spontanea tendenza alla bassa insinuazione, sempre riferita a questioni private dell’autore preso di mira.
    Difficile che parlino del contenuto, spesso lo ignorano apertamente, rivendicando questa loro scelta in modo sdegnoso. Ma ciò nonostante s’esprimono con una violenza verbale sconcertante. I più cattivi e i più laidi sono anonimi, ovvero si nascondono sotto diverse e mutevoli identità, con le quali partecipano contemporaneamente al tafferuglio. Perché la rete è l’unico luogo del vivere civile dove l’insulto anonimo sia considerato sintomo – sgradevole ma certo dinamico – di democrazia e non un’infamia come da qualsiasi altra parte.
    RIPETO: PER FARE UN DISCORSO SERIO SUI COMMENTI NEI VARI BLOG, BISOGNEREBBE STUDIARE IL FENOMENO E VALUTARE I SINGOLI CASI. SE SONO CINQUANTA, NON DOVREBBE ESSERE POI TANTO DIFFICILE ESAMINARLI. ALTRIMENTI L’ACCUSA DI ASTIO ECC. POTREBBE ESSERE RIBALTATA. SONO PERSINO CONVINTO CHE NEPPURE GLI ANONIMI POSSANO ESSERE CLASSIFICATI (E LIQUIDATI9 TUTTI MORALISTICAMENTE COME “I PIU’ LAIDI’ O “I PIU’ CATTIVI”. IPOTIZZO CHE UNA DEMOCRAZIA VERA, APERTA, AMPIA ABBIA DA TROVARE UNO SPAZIO ANCHE PER LE ISTANZE COSTRETTE AD AFFIORARE IN FORMA ANONIMA. INSISTO A INVITARE ALMENO LE PERSONE SERIE ALLA LETTURA DELLO SCRITTO DI ELVIO FACHINELLI , “GRUPPO CHIUSO O GRUPPO APERTO?” [http://moltinpoesia.blogspot.com/2011/11/ennio-abate-riflessione-di-un.html]

    Per loro non esiste più nessun valore letterario condiviso ma solo mafie e raccomandazioni, favori e reciproci servilismi. Non esiste un canone estetico ma tutto è confuso in un calderone di provocazioni, ripicche e frustrazioni mai risolte. Si commuovono solo di fronte alla piattezza dell’orizzontalità, quella desolante mediocrità che ha concesso anche a loro di avere una voce. Ma sullo sfondo è facile riconoscere il ben noto linguaggio qualunquistico dell’Italia gretta e provinciale, quella deriva etica e civile che ci contraddistingue da anni e che è diventata oramai impossibile da sopportare.
    NON CI SARANNO SOLO MAFIE E RACCOMANDAZIONI, MA CHE NON ESISTA UN CANONE ESTETICO E’ VERO. SI VUOL DARE ANCHE LA COLPA DI QUESTA MANCANZA AI COMENTATORI? E POI SE DAVVERO SI VUOLE CONTRASTARE “IL BEN NOTO LINGUAGGIO QUALUNQUISTICO DELL’ITALIA GRETTA E PROVINCIALE” SAREBBE BENE CHE BERTANTE STESSO NON CI CASCASSE SPARANDO COMODAMENTE SOLO SU UN FANTASMA ASTRATTO DI COMMENTATORE.

  34. Dialoghetto anti-dialogo

    A – Amico, è tanto che non appari. E’ finita l’ossessione?
    B – Ho smesso di esperire la rete, ma non di esserci. Ho verificato, se posso dirla tutta, che la rete contrasta il dialogo.
    A – In che senso?
    B – Ora, ci può essere dialogo senza corpo? Il dialogo senza corpo – disincarnato – non conosce pluralità, non conosce differenze, è un dialogo *indifferente* all’altro: un non dialogo, per l’appunto.
    A – La fai troppo semplice. E poi stai usando la forma del dialogo …
    B – Ma è solo un’espediente retorico … Allora, mettiamola così: in rete, in particolare commentando un articolo, ognuno si rispecchia su se stesso, sulle proprie malattie o carenze, che sono sempre un mix di carenze culturali, storiche e psicologiche, e proprio per questo ci riguardano tutti. Lo sguardo parziale che si propone non è interessato realmente ad ampliare la propria prospettiva. Il dialogo senza corpo è, direi costitutivamente, monologico. Assenza di dialogo, ecco. Bada, questa non è un’idea solo mia; se proprio non vuoi approdare a Lévinas, ti basti l’esperienza …
    A – Mi stai dicendo, insomma, che solo la presenza dei corpi permette il dialogo e la discussione. Stai, di fatto, contestando l’assunto stesso che regge queste “nuove regole” proposte da LPLC …
    B – Esatto. Richiedere un “atteggiamento dialogico” senza corpo è come chiedere alla palla di andare da sola verso la rete. Ma la parola “dialogo”, in rete, e soprattutto nei lit-blog, riempie tantissimo i discorsi a tal punto che nessuno ricorda più il senso della parola stessa.
    A – Una parola svuotata.
    B – Da cui prendere le distanze … A meno che, certo, non ci si trovi di fronte, uno all’altro, nel corpo-a-corpo che solo può rendere vero un dialogo; per altro, la presenza rende il dire di ognuno meno ambiguo; non cancella – e come potrebbe? – l’ambiguità propria di ogni costruzione linguistica, però semplifica la comprensione reciproca. O no?
    A – Vero, vero … Il dialogo non agito, in fin dei conti, è un esercizio …
    B – … ma è proprio questo il punto …
    A – Cioè?
    B – Far diventare il “commento” un esercizio: un esercizio di scrittura *in relazione*, cosa ben diversa dalla scrittura di un articolo pubblicato sulla home del blog.
    A – Scrittura *in relazione*?
    B – Ciò che si scrive ha coscienza del contesto “blog” e della forma del “commento”, e con questo si relaziona proficuamente. Un blog non è un’aula universitaria, così come non è un bar o una casa privata, e non è neppure un’assemblea. Non insisto sulle definizioni; a me piace dire che il blog è una grande lavagna: chiunque può passare e tracciare un segno, uno qualsiasi, anche solo un semplice “Amo Mara” o l’idiotissimo “negri di merda!”. Installare una lavagna in una piazza e poi pretendere che i passanti si regolino è puerile; a meno che, certo, non si disponga di un adeguato numero di guardie. A quel punto, però, la lavagna perde la sua caratteristica “pubblica” e diviene “privata”.
    A – Ma così tolleri i troll!
    B – Anche il troll ha una sua funzione. In fondo, mostrandosi per quello che è ci mette di fronte alle deficienze umane, che non sono mai solo del troll medesimo, ma ci riguardano tutti. Il bidello che cancella la scritta volgare dalla lavagna non cancella ciò che l’ha prodotta. Bannare il troll è nascondere la volgarità. E poi, cos’è volgare? Che cos’è un insulto?
    A – O mio Dio, discorso pericoloso.
    B – Se mi chiamo Cassola e se odio le scritture à-là-Liala, quando vedo un Sanguineti qualsiasi scrivere sulla lavagna “Cassola=Liala”, come minimo m’incazzo. L’insulto è tale per chi lo riceve, non per chi lo fa o ne difende la legittimità. E poi chi insulta è un uomo balbuziente, che riesce a pronunciare solo poche sillabe. Impedirgli l’accesso alla lavagna, per quanto in nome della giusta espressione, è sempre operare una censura. Più proficuo lasciarlo sfogare ignorandolo. E’ sufficiente scrivere sulla sua scritta.
    A – Ma un po’ di ordine ci vuole.
    B – Ma un blog è un porto di mare, un po’ losco, se vuoi, ma eccitante; le tracce insignificanti del troll non tolgono il piacere del vicoletto, il sapore del pesce fritto o il gusto delle labbra d’una amante fugace. Si incontra di tutto, dal generale in pensione all’assassino, dal poeta incompreso al bancario, dalla professoressa precaria allo scaricatore. Pensa che triste un porto frequentato solo da brave persone.
    A – Disordine, nient’altro che disordine.
    B – Chissà. Preferisco pensare a un’ordine diverso, fatto di un’altra logica.
    A – Ma il disordine disorienta.
    B – Disorienta solo chi cerca la rigidità. Per gli altri, il disordine è gioia. E il troll soltanto la prova dell’incuria umana. In rete, le vecchie mappe non servono.
    A – E allora?
    B – Si tratta di fare incontrare parole differenti, ben sapendo che l’incontro non è il dialogo. Cosa mi può dire l’altro? Può solo dilatare la mia coscienza, immettendo dubbi. Ma può farlo solo a certe condizioni.
    A – Quali?
    B – Compromettendosi, ad esempio evitando di considerare l’interlocutore un essere inferiore. Ti faccio un esempio. A me infastidisce di più il tono saccente della Policastro che non quello insultante di un troll qualsiasi; mentre il secondo si delegittima da solo, e certo non mi impedisce alcunché (una scollata di mouse e passo oltre), il tono della prima mi innervosisce e non mi permette di fermarmi sui suoi stessi contenuti, che pure ci sono e sono interessanti. La relazione – ripeto: la relazione senza vero dialogo – è irreparabilmente basata sull’intonazione del discorso: è il tono il primo elemento con cui mi rapporto leggendo un commento; solo in seconda istanza entro nel contenuto.
    A – Ahi, ahi, mi aspetto reazioni …
    B – … e richieste di precisare i punti in cui la saccenza si è evidenziata e intimazioni a uscire dalla maschera del nick e inviti ad argomentare il giudizio …
    A – … e di uscire dal personale …
    B … ma il personale è politico … e poi rilevare il tono usato in un commento è esprimere il disagio dato dalla scrittura, da quella particolare: dalla scrittura, non dalla persona … Per me, nel web ogni nome è una maschera, e proprio perché dato in assenza di corpo …
    A – E siamo di nuovo al punto di partenza …
    B – … che è l’unico punto che meriti scrivere, quello della fine ….
    A – … nella fine è l’inizio …
    B … e non smettemo di commentare …
    A – … e la fine di tutto il nostro dire …
    B – … sarà giungere dove noi partimmo …
    A – … e conoscere la lavagna per la prima volta …
    B – … […] e tutto sarà …
    A – … e tutto sarà …
    B – … nient’altro che un commento …
    A – … e quando le lingue si avvolgeranno […]
    A+B – … il troll e la rosa una cosa saranno.

    Stan. L.

  35. @jumpinshark quali sarebbero i conti che avrei ”personalmente regolato” nel mio articolo sul Corriere? Me lo deve dire, perché qui non siamo più nel campo della chiacchiera, ma della vera e propria calunnia, a difesa della quale non c’è la sola netiquette, ma il codice civile. Ha completamente frainteso il senso delle mie parole e, mi creda, può farlo solo chi non conosce gli ambienti di cui parlo: provenire dalla vita di redazione di riviste e giornali vuol dire porsi e fare ad altri continuamente delle domande di natura culturale, volendo anche etica, rispetto alle quali le risposte sono piuttosto articolate e complesse e comunque da valutare caso per caso, e, se possibile, collettivamente. Per lei quando si legge un pezzo su una pagina culturale la domanda sensata da porsi è se Tizio stia regolando i conti con Caio o Sempronio? Ma non è più pertinente, sensato e meno dispendioso sul piano della ”dissipazione e dello spreco” stare, e lo dirò fino alla noia del nostro già annoiato amico di sopra, SUI CONTENUTI? Ho detto fandonie, nel pezzo sulle dinamiche di propaganda della rete cui lei si riferisce? Bene: mi si denunci o mi si correggano le inesattezze, nel caso: la popolazione di Fb, è ovvio, cresce esponenzialmente di ora in ora e dunque il dato che traevo da Aime- Cossetta 2010 è superato? Benissimo, ne prendo atto. Correggiamoci, controlliamoci. Ma sui dati. Opponiamoci, scanniamoci, pure. Ma sulle opinioni critiche. Il retropensiero, la maldicenza, la calunnia appartengono al mondo delle cucine, e a me, quando parlo di cultura, piace stare in salotto.

  36. A – … in salotto!? ho letto bene?
    B – … già, in salotto … che è quel posto dove si fanno discussioni salottiere … E dire che c’era un tempo in cui gli intellettuali irridevano tali discussioni .. E poi, diciamocelo: senza la cucina, che porti agli amici in salotto?
    A – Ma forse è una metafora …
    B – … o una passiflora; for’anche un leone con la pelliccia d’oro …
    A – … stai citando a caso … Sei annoiato.
    B – No; solo divertito. Anche se, a onor del vero, più che la cucina, al salotto continuo a preferire la camera da letto.
    A – Stiamo sui CONTENUTI.
    B – Perché gridi?
    A – Per s-fabbricare universi.
    B – Fare, fare, fare …
    A … preferisco il rumore del mare …
    B – E poi, diciamocela tutta: l’articolo di Bertante sui “seminatori di odio” …
    A – … Alt! Attento che c’è la fine del mondo! La Gehenna al contrattacco!
    B – Stai citando malamente. Manganelli scrive che si deve tenerli separati, gl’inferi e l’Ufficio dell’Etica.
    A – Stai solo facendo rumore.
    B – Sto solo provando a trollare. Come ha detto così bene la nostra buona Ofelia, una cerimonia senza catastrofe di stelle è un funerale; cosa si addice di più all’umano, l’orgia dei sensi, nel vigore pieno di sé del corpo, e – perché no? – nel trucco lessicale dell’insulto, o il pianto banale? Orsù, schiacchieriamoci!
    A – Torna in te, ti prego. E prova a stare sul pezzo.
    B – Mi piace Larry Massino. Se domani commentasse un articolo in home (poniamo della Policastro) con un lapidario: “Che schifo!”, ebbene, io credo che sarebbe legittimato a farlo, e proprio per la sua storia di commentatore assiduo. Dietro quel giudizio così netto c’è un discorso articolato. Certo, Larry non è Sanguineti; ma ciò va a suo vantaggio. E poi, la Policastro non è mica Cassola!
    A – Insomma, non tutti i commenti lapidari sono censurabili.
    B – Ribadisco l’idea della lavagna aperta. E poi, io scrivo molto meglio di un cavallo.
    A – E Abate?
    B – Tenace. E spesso condivisibile. Anche lui, però, dovrebbe meditare sul “tono” dei suoi interventi. Ha molto da insegnare; in ciò che scrive si sente l’esperienza. Solo che l’azione stimolante è inficiata in se stessa: se vuoi stimolare il dialogo, hai perso in partenza.
    A – Per la solita questione dell’assenza di corpo.
    B – Esatto. E qui mi ritiro nel mio loculo. Me ne prendo le colpe: sono io l’unico troll.
    A – Ma se fino a ieri dicevi che eri l’unico pippistrello!
    B – Lasciami al mio Carnevale!

    (lunga pausa per il caffè)

    B – Ah, dimenticavo: Sanguineti ravvisava la necessità di seminare odio …

  37. @Gilda
    In primo luogo e in generale, nel caso tu abbia necessità di riferimenti anagrafici per adire le vie legali nei miei confronti, scrivimi a jumpinsharkblog@gmail.com. Te li fornirò a stretto giro di mail.
    Data la tua “vita di redazione di riviste e giornali” e l’invito a entrare più profondamente nella discussione di un tuo scritto ti dico che sì vi sono “fandonie, nel pezzo sulle dinamiche di propaganda della rete” (disponibile qui http://bit.ly/xiZCrD ). Oggi scrivi “la popolazione di Fb, è ovvio, cresce esponenzialmente di ora in ora e dunque il dato che traevo da Aime- Cossetta 2010 è superato”, quando due mesi fa (o tre, quattro) scrivevi il pezzo per La Lettura questa ovvia crescita esponenziale ti era ovviamente meno ovvia, se no non avresti usato un dato del 2010… Data la tua “vita di redazione di riviste e giornali” ti chiedo se non ti capita mai di aprire il sito di Repubblica che ogni giorno, in pratica, riporta gli incrementi della popolazione di FB. Sei una delle pochissime persone alfabetizzate che non hanno saputo del superamento di quota mezzo miliardo? E proprio nel periodo precedente la pubblicazione del tuo articolo dappertutto si leggeva che FB aveva superato gli 800 milioni (ecco il riferimento, giusto a un clic di distanza, su Wikipedia http://bit.ly/AE9GK2 ).
    FB non ha quindi circa 200 milioni di iscritti, come nel tuo post sottintendevi, ma quattro volte tanti. Se non sai neppure questo (e ti ho spiegato sopra come fossero diffusi i dati) come puoi scriverne con senso? E questo livello di pressapochismo e mancato controllo, per la mia formazione (prima umanistica e poi scientifica), è violazione etica.
    Ma passiamo agli altri errori. Cito: “i cosiddetti «amici»), imparagonabili al numero di quelli reali, con evidenti conseguenze in termini di creazione del consenso (il «frictionless sharing» di cui ha parlato Evgeny Morozov, sempre sulla «Lettura»)”, ora lasciamo stare che la menzione del frictionless sharing è in questo contesto molto poco sensata, mi limito a ricordare che per il periodo discusso dal tuo pezzo, ovvero prima di Ottobre 2011, tale funzione non era ancora attivata (vd. http://bit.ly/yoXukK ).
    Inoltre vi è un notissimo studio che spiega come sia nelle comunità online che in quelle offline il numero di persone con cui si è stabilmente in contatto (“amici”) si aggira intorno a 150 (il “Numero di Dunbar”, questo è il paper di ricerca http://bit.ly/yHyt0G, ripeto che la notizia che è circolata ovunque, anch’io tra i tanti ne ho parlato http://bit.ly/jJhDzN ). Ciò significa concretamente che anche se hai 3500 amici su FB, sarai molto probabilmente in relazioni sociali stabili con non più di 150 soggetti. Come nella vita offline. Non vado poi a spiegarti come gli algoritmi di ranking per il social graph di FB non facciano comparire sulla bacheca di un utente gli annunci di amici\marchi con cui non si interagisce spesso, seppur sia importante per il discorso.
    Riguardo poi a come un gruppo FB di tua conoscenza abbia avuto iscritti “in modo coatto e talvolta inconsapevole” ti prego di spiegarmi, *con precisione e nei dettagli*, come ciò sia avvenuto. Se penso solo un secondo a come è follemente kamikaze per FB tale funzione (se mi iscrivono forzatamente a pagina neonazista, io denuncio FB e mi faccio pagare come un bancomat…), non riesco a credere che un sito da 800 milioni di utenti presenti una tale falla. Almeno nella forma che tu descrivi. Rimango quindi in attesa di una completa descrizione, non volendo negare in principio il tuo resoconto.
    Con i materiali che ho presentato ritengo di aver dimostrato, coi fatti testuali, come il tuo articolo sia frutto di informazioni mal orecchiate e dimostri anzi un assoluto sprezzo della materia trattata. E questo tuo scritto è stato pubblicato sul nostro più prestigioso quotidiano.
    Rimane solo il ruolo di Genna, che non mi interessa davvero discutere.
    Con scuse ti confesso ora che, andando contro la mia natura gentile, ho messo il brano “X sostiene che Policastro ha regolato conto. Con ciò dico solo che vi sono valutazioni diverse su cosa sia ‘conto da regolare’. Inoltre io non conosco bene i fatti e non so giudicare” non per provocarti ma per vedere se la tendenza da me notata di una tua insistenza esclusivamente programmatica sull’interpretazione dei testi, e contro il narcisismo e decisamente avversa all’eccessiva personalizzazione si sarebbe nuovamente avverata. Non dico che tu non abbia diritto a risentirti del brano e a scriverne nelle forme che hai ritenuto opportune, ma mi spiace che di tutto il mio articolato e complesso e non banalizzante (come diresti tu) commento tu abbia riconosciuto e trattato solo delle due righe che ti riguardano personalmente, e di sbieco. Su tutto il resto non una sillaba.
    Puoi quindi parlare quanto vuoi di “discussione sui contenuti”, circondandola di leggiadri vezzi da linguaggio critico, ma fino a quando non la pratichi, con me non hai corso. E sinceramente al “rant” vuoto e al predicozzo di come si fa mestiere intellettuale in principio preferisco persino la minaccia delle vie legali (se lo ritieni necessario, ti ripeto che rimango a disposizione). Credo sia inoltre doveroso chiarire come, al contrario di altri commentatori, che da voi e forse da te in particolare si aspettano attenzione e riconoscimento culturale, io sono qui solo per un gentile tuo invito. E sono qui ormai da troppe righe a spiegare, interpretare, linkare, a documentare invano (e sì in tre righe a mettere un filo alla prova il tuo ego, e di tale espediente mi scuso ancora). Sappi quindi che, pur rimanendo lettore di LPLC (sono iscritto al RSS e non di rado trovo post di valore), non cerco qui legittimazioni e tornei. E tanto meno passatempi a base di scazzi e strepiti. Svolgo la mia attività culturale, pubblicamente valutabile e personalmente onerosa, sul mio blog, a quella tengo e di quella rimango perfettamente contento.

  38. @jumpinshark Non ha spiegato in che senso avrei ”regolato i miei conti” in quel pezzo. Se insiste, non sarò io a scriverle, ma un legale. Non ho altro da aggiungere: il mio pezzo è a disposizione di chi sia interessato a discuterne.

  39. Ah, dimenticavo: il numero di Dunbar, come chiarito tra l’altro da Bauman, è, al contrario di quanto confusamente sostenuto nel commento che mi precede, esattamente la dimostrazione che l’idea di definire ”amici” i contatti di Fb rimane bislacca: nella vita, dice Bauman, secondo il numero di Dunbar non possiamo coltivare più di cento relazioni e dunque è assurdo definirsi ”amici” in un social network dove cento contatti li hanno i ”passivi” o gli ”sfigati” (così, testualmente, mi fu detto al mio ingresso su Fb dai veterani). Ciò non smentisce in nessun modo l’evidenza che il numero di amici si sia mediamente attestato sul migliaio, come scrivevo, tanto che sempre di più ci si vede costretti a raddoppiare il proprio profilo perché si superano addirittura i cinquemila, indicati dal sistema come limite massimo. E questo, con le conseguenze in termine di autopropaganda e di marketing denunciate nel mio pezzo attraverso un esempio eclatante. Ma, ripeto, la redazione ha il mio pezzo, per chi fosse realmente interessato.

  40. Giuseppe Genna è forse l’unico, certo uno dei primi, ad avere capito come funzionano i social net! Persona di raro acume.

  41. A – … Querela!?
    B – Che tristezza!
    A – Già. Piuttosto che replicare, si chiamano i birri.
    B – E la chiamano critica!
    A – Hai letto l’articolo su Il Corriere?
    B – Sì, grazie al link postato da Jumpinshark. Un articolo insignificante.
    A – Si potrà dire “insignificante”?
    B – Milioni di pagine sono state scritte in proposito. Ti consiglio “Logica del senso” di Deleuze. Il senso è sempre – almeno, se non di più – doppio. Può capitare, talvolta, di non rinvenirlo nella proposizione.
    A – Quindi la Policastro, come scrive Jumpinshark, “ha regolato dei conti”.
    B – Non lo so. Mi tengo lontano dai “giri” che contano. Nel suo articolo, la Policastro bacchetta Genna, di certo non riconosce ai Wu Ming il dovuto (sono quelli che più hanno contribuito al dibattito), non nomina quali sono gli scrittori che usano il web come “autopromozione” (come se fosse vietato e come se la stessa Policastro non ci proponesse, talvolta, il suo curriculum accademico-amicale!) …
    A – Attento. Il sorriso senza gatto rischia il paradosso della querela.
    B – Prova a immaginarti la scena. Un giudice legge questo carteggio e prova a dare un senso all’espresso delle proposizioni. Cosa potrebbe decidere? Policastro ha mai menzionato, in una discussione, un suo scritto? Se lo ha fatto – e lo ha fatto! – siamo nel campo dell’autopromozione, e quindi non ho detto nulla di tremendo.
    A – In effetti, anche mostrare le medagliette (“vita di redazione di riviste e giornali”) è autopromuoversi. Ma dov’è il problema?
    B – Non c’è nessun problema. Il web è anche autopromozione. Solo che nel suo articolo la Policastro – e non solo in quell’articolo – denigra questa prassi. Mi piace rilevare la *sua* contraddizione. Io preferisco bocciarmi; ma io sono io, e non ho fondamento.
    A – “Predicozzo”, però, è azzeccato.
    B – Predicozzo … La strana arte dell’anteporre l’etica alla compiutezza del discorso. Rimando, in questo caso, al solito Manganelli e alla sua splendida sterilità. Ad ogni modo, una cosa è certa: la Policastro, nel suo articolo, non dice quali siano i nomi del Lupo e dell’Elefante. Sembra che parli un codice di cui solo taluni conoscono la chiave.
    A – Allora sta regolando i conti con qualcuno …
    B – Lo ripeto: non sono così addentro al giro dei letterati per affermarlo. Mi limito a rilevare la stranezza di quell’intervento critico. Vedi, amico, un critico, se è veramente tale, non si nasconde: fa i nomi. Chi è il Lupo? E l’Elefante? Se lo facesse, tra l’altro, sarebbe molto più divertente. Finalmente Cappuccetto Rosso potrebbe avere giustizia.
    A – Scusa?
    B – Un poliziotto ha aggredito un ultras, che è finito in ospedale e rimasto paralizzato. Il giudice riconosce la violenza ma si dichiara incapace di riconoscere il nome del poliziotto, a causa del viso coperto e dell’omertà dei suoi colleghi. Il reato esiste, ma non il colpevole. Cappuccetto Rosso non avrà giustizia.
    A – Ah! Un fenomeno non nominato non esiste?
    B – Esiste, esiste! Suvvia, un po’ di materialismo! Esiste il Lupo, esiste l’Elefante, e persino Elisabetta d’Inghilterra esiste …
    A – Ma qui l’ironia latita.
    B – E non solo l’ironia. Che poi si consideri FB un luogo di dibattito, ebbene, questo è ridicolo. Ma rimando al Formenti di “Felici e sfruttati”.
    A – Torniamo al tema.
    B – Il tema?! Intendi alle “regole dei commenti”? Pensa che buffo: il troll, è stato scritto, “intende disturbare la discussione e innervosire l’interlocutore”. La Policastro è un troll? Jumpinshark appare con un suo commento e lei che fa? Letteralmente parla di: calunnia, codice civile, il legale, la querela … Mi piacerebbe che la redazione si esprimesse sulla legittimità – intellettuale e secondo le “nuove regole” dei commenti – dell’intervento di Jumpinshark …
    A – Ma anche la Policastro è nella redazione.
    B – Ah, già, dimenticavo. Mi piacerebbe lo stesso. La fantasia non è proibita, mi pare. Torno al mio unico lusso: il caffè.
    A – Ma perché stai qui?
    B – Per divertirmi del mio Nulla.

  42. Messaggio autopromozionale.

    Il nome Stan, fino a poco tempo fa, mi rimandava al volo a quattro riferimenti:

    1) Stan del compleanno di Pinter, spendidamente presentatomi da Carlo Cecchi in una sua bella messinscena di fine anni ’70, quando ancora ero ragazzino brufoloso, che ci capivo poco, anche meno di ora (ma me lo ricordo ancora, lo strascicante Cecchi-Stan);

    2) Stan Laurel, in particolare quello malinconico descritto da Osvaldo Soriano (uno fra i pochi scrittori suoi contemporanei non completamente disprezzato da Roberto Bolano). Stan Laurel è uno che oggi come oggi potrebbe rendere popolare il Bloom dell’Ulisse, magari recitandolo in forma di telenovela, semplicemente per guadagnar qualcosa da attore fuori corso, non sapendo nulla di alta letteratura né tanto meno di Joyce (come Buster Keaton non sapeva niente di Samuel Beckett quando accettò di fare lo strambo ” Film “, prestandosi professionalmente alle indicazioni del regista, ma, dicono, in modo assolutamente passivo);

    3) Stanislavskij, il maestro del teatro russo, che il suo sopravvalutato metodo lo scrisse, pare, per togliersi di torno gli attori poco capaci, mettendoli a fare esercizi tutto il giorno, seguiti da qualche assistente; perché quelli capaci, scrisse lui stesso, non hanno bisogno di nessun metodo;

    4) Stanislaw Lec, uno scrittore e umorista aristocratico, o antiolocratico, come va di moda dire ora, forse finanche monarchico… che però ci ha lasciato fulminanti sentenze sui regimi totalitari, come i seguenti: « I roghi non illuminano le tenebre » « Il boia sogna eternamente i complimenti del condannato per la qualità dell’esecuzione »

    Adesso devo aggiungere questo quinto Stan qui, tra i riferimenti, perché nei suoi pochi interventi – prima in Nazione Indiana, ora in questo importante blog, che nonostante tutto si fa carico di una discussione che viene continuamente sospesa -, con la sua calma e con la sua logica, ma pure con la sua straordinaria competenza, dimostra ulteriormente che la discussione in rete, circa le cose del letterativo, non è vana come vogliono far credere alcuni.

    Ps: naturalmente ho prodotto questo scombussalato panegirico per mettermi in mostra come complimentato dallo stimabilissimo commentatore Stan, che purtroppo non sono io, come molti mi dicono di sospettare: avrò tanti difetti, ma nel mondo litblog mi esprimo con un solo pseudonimo, che rimanda sempre a un non io, ma non al non io al quel pare rimandare il nickname Stan.

  43. Amo il mare, ma potrei, prima o poi, decidere di andare a vivere in campagna. Adoro i gatti, per quanto pure i pesci rossi, in effetti, siano di compagnia. Il tempo qui a Roma oggi è cupo: mi dicono lo stesso del nord. In un pomeriggio così, studiare, leggere, scrivere il prossimo pezzo, scegliere il nuovo post non costa particolare fatica. Quando fuori c’è il sole, di più. Vorrei salutare tutti quelli che hanno ascoltato la trasmissione, in particolare zia Giusy, che fa delle buonissime torte. Poi vorrei anche dire che nel mio prossimo libro non parlerò di extraterrestri perché ho scoperto che i lettori, alla lunga, preferiscono le storie vere. Ieri ho telefonato al nonno: nella casa di riposo, se la passa benone. Ciao a tutti, di nuovo, e alla prossima puntata di Come finisce in vacca (sottotitolo: ah, Basaglia).

  44. Quanta arte avariata, ingiustificabile. Quanto genio profuso, quanto umorismo… Che eco tetra, a straniarsi un attimo e a rendersi conto di quel che dice la gente.

  45. …vorrei aggiungere che apprezzo l’ultimo contributo di Gilda Policastro. Era ora che qualcuno trovasse le parole giuste per dirlo.
    @ Gerace: mi sembra un paragone un po’ maldestro, ma le assicuro che non ho niente contro di lei – non voglio scatenare ulteriori faide.

  46. A proposito di nuove regole, non so, mi trovo in uno dei tanti momenti di confusione: la bella battuta ” Ah, Basaglia “, con la quale la primattrice Policastro è uscita di scena tra gli applausi di Brrrr, è riferita ai testi o alle persone?

    Già che ci sono metto qui una c mancante al mio testo di sopra, non vorrei che qualcuno mi rimproverasse di tirchieria alfabetica.

  47. @brrrrr: si figuri, sono spunti di discussione. contesto a tutti i livelli l’idea che sia uno spreco parlare di cose marginali. proprio dai margini invece bisogna partire (è il metodo sperimentale), siano essi i bambini sfruttati o l’istituzione letteraria.

  48. Qui oggi non era cupo Gilda. Un poco freddo. Siamo già a metà gennaio, mi ha detto un anziano stamattina. Siamo all’inizio, gli ho detto. No, l’inizio è stato due settimane fa. Ho appena visto le ultime notizie ANSA. Ce ne sono di ogni tipo.
    A proposito di facebook: “L’anno dei Doors inizia ufficialmente oggi alle ore 18.00 quando la leggendaria rock band fara’ ascoltare She smells so nice, la prima canzone inedita degli ultimi 40 anni, sulla pagina facebook della band: http://www.facebook.com/thedoors.”
    Toccherà iscriversi anche a facebook, prima o poi. Ci si iscrive, in pratica? Ah, no, si apre un profilo.
    Hai fatto benissimo a sdrammatizzare poco fa. Buon lavoro. Buonissime cose, e un caro saluto. Adelelmo

  49. A – “Ah, Basaglia” … Che cosa voleva dire?
    B – E’ una citazione: “Ah, ah, Basaglia … se non chiudevi i manicomi certi matti non uscivano”.
    A – Fine. Di chi è?
    B – L’attribuzione è dubbia. Pare l’abbia detta l’ex ministra dell’Istruzione Moratti. Ma non è certo l’unica ad averla usata. Il senso, però, almeno in questo caso, è inequivocabile.
    A – Dunque la Policastro sta dando del matto a qualcuno.
    B – Non essere malevolo. Dopo tutto quello che ha scritto in merito, si sta riferendo al discorso di qualcuno, non al qualcuno in quanto matto, bensì ad un discorso matto fatto da qualcuno, che certo non è matto, anche se il discorso che fa lo è. Se così non fosse, la Policastro sta infrangendo il decoro da lei stessa invocato.
    A – Brrrrr … Il mastio tende a sublimar sé nella meglio forma …
    B – “Brrrr” nel senso di “brividi, oppure ti riferisci al nick “Brrrr”?
    A – Nel senso dei radiosi destini dell’intelletto che tenta di darla a bere.
    B – Prosit! Bevo, in barba a chi non ha nick!
    A – Senti, toglimi una curiosità … Ma tu sei Larry?
    B – Larry non è me, ma neppure io sono me. Ognuno di noi è un Io dilatato o, se preferisci, un travestimento rigorosamente monomaniacale; ma potrebbe anche andar bene ciò: ognuno è, insieme, l’altro e il proprio mausoleo, urlo di dolore del se stesso e la trascrizione fedele d’un lavoro d’équipe. Vedi, amico, quando approdai nell’impervio mondo dei commenti, lo feci sollecitato da un altro uomo mascherato, il quale mi disse (testuale): incontrerai pallidi e delicati nick e arroganti di Nome Proprio; dei secondi diffida, dei primi ammira la voglia di starci sparendo. Larry ama il teatro e quindi mi comprende: solo la maschera dice la verità.
    A – Ha nominato tanti Stan. Qual è quello vero?
    B – Tutti sono veri, nel senso clinico di sublimazione per enfasi da istrione. Di ognuno di essi sono l’apocrifo parallelo.
    A – Torniamo al tema.
    B – Quello delle “regole dei commenti”? Sono troppo occupato a guardare Kung Fu Panda 2: mitico! Scherzi di parte, voglio donare a Larry un quartetto di auto-citazioni, attinenti il tema del post di LPLC:

    STAN (LEY) – (Sul trollaggio) – Senti un po’, perché non dai una pulita come si deve a questa casa? Sembra un porcile!
    STAN (LAUREL) – (sulla provocazione) Se qualcuno se la prende per un mio commento, io insisto.
    STAN (ISLAVSKIJ) – (sul travestimento) Certo, questa lezione è stata una bella dimostrazione pratica di come le caratteristiche esteriori di una persona possano, con un facile trucco, trasformarsi e rendere la sua presenza più interessante. Da quel momento, le parole di Arcadio Nicolaevic non sono più le sue: assieme all’aspetto, cambia frasi, stile e persino concetti.
    STAN (ISLAW LEC) – Quando non si sa di che cosa discutere, ecco che compaiono i moderatori. [Variante: Gli studi di storia della lingua non dovrebbero trascurare i commenti dei troll: sono il linguaggio dell’epoca].

    A – Tremende! Fuggiamo, prima che arrivino i CC!
    B – Fuggiam gli ardori inospiti … Ah, dimenticavo: questa è la mia astenia etica, e la mia colpa prima …
    A – Ha ragione la Policastro: tu sei matto!

  50. ps: comunque non finirò mai di stupirmi; uno copia incolla una notizia, così, per sdrammattizzare pure lui, e non era facile trovarne una buona, e immediatamente si apre la pagina facebook relativa; c’è dietro una tecnica immane, almeno credo; fa quasi impressione, a pensarci sopra. adelelmo

  51. Visto che mio malgrado ero finito a fare il designatore degli arbitri in fatto di similitudini per le regole dei commenti (vedi sopra botte e risposta tra me e il simpatico -davvero- GS), sono ad un passo dal verdetto ovvero a deliberare sulla migliore similitudine da applicare al concetto di Commenti:nuove regole…

    il verdetto è che, testificati e comprovati la mia inscalfibile disonestà e il mio atavico dissenso civico, tra la similitudine offerta (nel post, vedi sopra, nun scherzamo) dalla redazione di LPLC che paragona il commentare sui blog alla logica regolamentare del soccer o dell’handball; e la similitudine offerta dalla maschera Stan che paragona invece un blog/commentario ad un losco porto di mare, aperto a tutto e tutti, al profumo di rose come al puzzo di pesce fritto…

    SIGNORIE MIE… VINCE, a furor di popolo e a stormir d’uccelli, la similitudine del porto di mare occorsa al signor Stan… vince (questa la motivazione del gran giurì) per bellezza e contenuti libertari. Tant’è.

    Il verdetto del designatore delle similitudini è insindacabile e coincide coll’autore del commento. Ehhh sono le regole… che ci posso fare io se mi designano così?

    A Stan (ed al suo amico ventriloquo dialogante senza cui Stan non potrebbe esprimersi) spetterà l’ambito montepremi del concorso involontario UNA SIMILITUDINE PER LA VITA, che corrisponde a due mensilità di commento libero su LPLC (anche trollando, soprattutto trollando) ed un soggiorno di tre giorni (due pernottamenti con altrettante colazioni continentali) su Nazione Indiana a spese di Gilda Policastro una volta incassati i quattrini del contenzioso con quello che difende Wu Ming che non mi sta simpatico per niente (manco la Policastro mi è troppo simpatica, però quello che difende Wu Ming per niente: censuratelo!)…

    A Larry Massino niente così impara a parlare di teatro in un blog di letteratura.

    Io, modestamente, da Byron (Moreno) quale sono, penso me ne vo al fresco per qualche tempo.

    Buonanotte a tutti

  52. Siete tutti fini, e sopraffini. Utra-ultraumoristici. Che bel teatro, Ci si diverte. Ma un sito serio, e che diventa serioso, e lascia spazio ad un altro sito molto divertente e cabarettistisco, diventa ulteriormente dal serioso divertente, la Secchia Rapita del Tassoni?…che so… che cosa staranno meditando gli LPLC per marginare l’immarginabile?

  53. quindi, dopo la lettura – a tratti spassosa e surreale – dei vari commenti, si può affermare che la @policastro è una troll che dà degli in-sani di mente ai dissenzienti?
    personalmente adoro i matti, in questo *commentario* quanto mai lucidi.

  54. “Rigore è “, diceva Vujadin Boskov, “quando arbitro fischia”. Per ora ci sembra di non dover fischiare, ma notiamo che la partita si sta incattivendo. Chiediamo a tutti di calmarsi e di sostenere il nostro arbitraggio all’inglese.

    In questo senso non ci sono piaciuti né i riferimenti a Basaglia, né l’ultima accusa di trollaggio rivolta a Gilda Policastro.

    (gs)

  55. volevo solo sottolineare che la linea di demarcazione tra sani e in-sani di mente, e troll e dissenzienti, è davvero labile, e i paletti possono essere spostati, all’interno di una discussione, da chi li ha posti: in questo caso la policastro, che da novella moderatrice è passata all’insulto.
    scarti laterali, nervi poco saldi, cose da esseri umani.

  56. Gentile GS (LeParoleLeCose),
    mi permetta: scrivere, come ho fatto anch’io, per quanto ironicamente, che la Policastro è una troll non è insultare, bensì è fare critica. Questo “giudizio” è la diretta conseguenza del discorso fatto sin qui. Chiunque dica che il troll è colui che aggredisce la persona e non i contenuti e poi, a sua volta, insulta gli interlocutori, si sta auto-definendo da solo troll. Chi lo rileva non sta insultando; facendo notare la contraddizione si fa azione critica. Vede, il linguaggio è una brutta bestia e svela di noi molto di più di quanto noi stessi vogliamo far trasparire. Avrei anche gradito una sua nota – di quelle con matita rossa – sul cattivo gusto, in una discussione, di minacciare querela nei confronti dell’interlocutore. Ma tutto considerato sono simpatico a me stesso, e ciò mi basta. Comunque, la tranquillizzo: la Policastro non è una troll; anche perché i troll non esistono.

    Suo Stan. L.

    @ Dinamo Seligneri
    ho delle difficoltà per l’abito da mettere durante la cerimonia di premiazione. E’ possibile rimandarla al prossimo miracolo?

  57. Gentile Stan,
    nessuno l’ha accusata di insultare nessuno; in realtà non parlavamo specificamente di lei. Del resto non abbiamo registrato, fin qui, veri e propri insulti diretti e inequivocabili, e speriamo di non registrarne in futuro. Le critiche invece vanno benissimo, come non ci stancheremo di ripetere. O forse sì, prima o poi ce ne stancheremo.

    Ovviamente neppure la minaccia di querela è un insulto (il che non vuol dire che l’abbiamo apprezzata); quindi non sta a noi censurarla. Preferiamo non intervenire in materia di buon gusto, anche perché – detto autocriticamente – non siamo sicuri di potercelo permettere.

    (gs)

  58. Ma la metafora che fa vincere stan non è il porto di mare: è la lavagna.
    un blog è una lavagna e noi scriviamo parole di gesso – che fanno tossire, che sono volatili.

    Ashes to ashes, funk to funky

  59. Torno un attimo per una piccola “predica “ in quattro punti ( ma cosa possono fare d’altro gli abati?).

    1. “Oggi, ben più che ai tempi di Liala, sembra si possa scrivere senza capire un’acca del mondo in cui si vive, solo per gioco o per cercare di far soldi con la cosiddetta letteratura.”
    L’ha scritto Rino Genovese nel post “Il destino dell’intellettuale /4. Il Sessantotto e la cultura di massa”.
    In modo lapidario trovo dette qui la ragione principale (per me, eh!) per cui un post come questo, che doveva affrontare una questione politica o almeno di micropolitica (quali rapporti tra autori e commentatori di LPLC? O sotto braccio al solito fantasma di Fachinelli da me ripetutamente e vanamente evocato: gruppo chiuso o gruppo aperto ?), si è avvitato in una discussione su trollaggio e troll (ma su LPLC in forma pura ci sono? non si finisce per inventarli col rischio di bloccare le critiche serie o ironiche di alcuni commentatori?) o in brillantissimi duelli, che eludono, però, il problema di cui soffre LPLC, che – sempre per me – , in parole poverissime, è uno scollegamento (se non una scissione) tra politica e letteratura o tra post “politici” e post di “poesia” o di “letteratura”.
    ( A meno – dico tra me e me – che tale scollegamento non sia la politica di LPLC…).

    2. D’altra parte, tanto di cappello a Stan e a Larry, che stanno valorizzando il genere commento e gettando le basi perché divenga un vero “mestiere” dignitoso quanto quello dell’autore di post, ma anch’essi mi pare che “stanno al gioco” o vi si fanno tirar troppo dentro. (Perché frequentano poco i post “politici”?)

    3. Di Rino Genovese, invece, non approvo il breve commento iniziale a sostegno di “una moderazione di tipo habermasiano”. Anche l’andamento di questo post dimostra che non impedisce affatto di “buttare qualsiasi discussione in vacca”.
    Non l’approvo per quel che scrivevo nel mio commento (anch’esso iniziale):
    “In certi casi LA CONDIVISIONE E’ IMPOSSIBILE. Ma non per colpa di Tizio o di Caio, che sono in disaccordo, e neppure di LPLC che non farebbe da arbitro imparziale. Semplicemente perché quelle PAROLE rimandano, alludono, riportano alla luce COSE INCONCILIABILI O CONCILIABILI SONO FINO AD UN CERTO PUNTO.”
    Ora mi chiedo e senza tentare risposta (per ora): che inconciliabilità è quella tra la Pontecorvo e (in successione) Gerace, Massino, LPLC (gs), jumpishark e infine stan?

    4. “Il dialogo senza corpo è, direi costitutivamente, monologico” (Stan B)? Solo il corpo-a-corpo “può rendere vero un dialogo”?
    Non credo. E allora tutti i carteggi dei nostri antenati? tutte schifezzuole? E’ se manca il “mondo” che ogni dialogo finisce in chiacchiera o in vacca. Perciò non basta avere “coscienza del contesto “blog” e della forma del “commento”. E non basta neppure pensarlo come “una grande lavagna [dove] chiunque può passare e tracciare un segno, uno qualsiasi, anche solo un semplice “Amo Mara” o l’idiotissimo “negri di merda!”” . Sarebbe solo uno sfogatoio. Certo “Anche il troll ha una sua funzione. In fondo, mostrandosi per quello che è ci mette di fronte alle deficienze umane, che non sono mai solo del troll medesimo, ma ci riguardano tutti”. Ma il problema (politico) è se queste “deficienze umane” le tolleriamo o ci limitiamo a valorizziamo magari perché “belle” o “provocanti”. Io pfreferirei che si fosse ( o si ritornasse ad essere) in grado di *fare polis*, di rimettere in confronto privato e pubblico, idioti e intelligenti e delineare e lottare per un qualcosa che… stia al mondo.
    ”Bannare il troll è nascondere la volgarità”. E non sta bene. Ma solo di volgarità non si vive e non si costruisce granché. O si rimane nell’eternità della ripetizione. Che ce ne facciamo in fin dei conti di un blog ridotto a “un porto di mare, un po’ losco, se vuoi, ma eccitante”? “Il piacere del vicoletto, il sapore del pesce fritto o il gusto delle labbra d’una amante fugace” valgono se non diventano ripetizione mortuaria, se non ti costringono o sei costretto solo a questi piaceri, sapori, gusti.
    Qual è allora “ordine diverso, fatto di un’altra logica”? Cosa su un blog eviterebbe di “considerare l’interlocutore un essere inferiore”? È questione solo dei toni di alcuni/e che innervosiscono e non permettono di fermarmi sui contenuti, che pure ci sono e sono interessanti?
    Ma come mai è così naturale oggi dire: “il tono il primo elemento con cui mi rapporto leggendo un commento; solo in seconda istanza entro nel contenuto”? Ohibò, io vado a cercare il contenuto anche dove la forma è poco attraente. Sono fesso?
    Cos’ è questo culto della forma (meglio: dell’apparenza) a scapito del contenuto ( della sostanza?)?
    E un certo contenuto “forte” non ha bisogno di una forma “forte” e non semplicemente brillante o divertente?
    Fine della predica. Torno nella mia cella.

  60. Vorrei cantar quel memorando sdegno

    ch’infiammò già ne’ fieri petti umani

    un’infelice e vil Secchia di legno

    che tolsero a i Petroni i Gemignani.

    Febo che mi raggiri entro lo ‘ngegno

    l’orribil guerra e gl’accidenti strani,

    tu che sai poetar servimi d’aio

    e tiemmi per le maniche del saio.

    Non vorrei che la Secchia fosse l’oggetto del contendere di LPLC, cioé le Regole dei comnenti.

  61. @Ennio Abate

    Ennio, a questo punto direi che il discrimine non è né la forma né il contenuto, ma l’intelligenza. Dobbiamo tutti fare in modo che cali al più presto lo spread di intelligenza che ci separa dai mondi migliori ai quali bene o male tutti noi miriamo.

    Comunque grazie per i complimenti. I post politici li frequento poco perché non vorrei risultare colpevole di danneggiare il mondo intero, ché già faccio danni copiosi nel letterativo…

  62. @Ennio Abate, sui contenuti/contenitori
    La benzina può entrare anche in una bottiglia di sciampagna e con qualche accorgimento diventa una bottiglia molotov esplosiva.
    Anche l’ordigno di un bombarolo entra nella pancia di un portagioie, e perfino Mike Tyson può fare l’amore con Orietta Berti…
    Lasciamo che siano i contenuti a scegliere le loro casette, come fanno le palline nella roulette.
    In simpatia (ma veramente)…

    @Stan
    Non si rimanda niente, la cerimonia è presto detta, però puoi fare come Landolfi (anche lui amante del genere dialogo) che mandava l’editore a ritirare i premi al posto suo: sono persuaso fece così anche per lo Strega.
    Oppure, vieni a ritirare il premio e poi fai come Bernhard che ci scrisse un libro sopra.
    Oppure, fai come ti pare, ma con noi del grangiurì (che siamo insindacabili- che vuol dire mi sembra che possiamo essere commentatori-arbitri, ma non possiamo candidarci a sindaco) hai chiuso.
    Vedi tu.

  63. A – Perché non frequenti i post politici?
    B – In realtà, io sono tutto politico. Anche i miei peti sono politici, giacché devo fare i conti col mio vicino di banco. Senza dimenticare che il sottoscritto, e proprio a firma Stan, ha partecipato a parecchie discussioni politiche – mai ecumenico, però; e addiritura in Nazione Indiana spalleggiò l’Abate Amico suggerendo la pubblicazione, in home, del famoso articolo sulla Libia. Ultimamente sono mancato; ma è la mia unica certezza: in assenza si vive meglio. La sparizione è la mia prova d’umiltà.
    A – L’ordine è ingiusto …
    B – … e razionalmente seviziante …
    A – … e sconquassato dal prodigio del capitale …
    B – … un’armonia straziante …
    A – Abate non approva il tuo discorso sull’assenza di corpo …
    B – Qui mi permetto il tono professorale. I “carteggi” sono, letteralmente, “scambi epistolari”. Il dialogo è, sempre letteralmente, una “comunicazione orale”. I primi fondano la propria materialità sulla lettera scritta; i secondi sulla voce, e dunque sul corpo. Bachtin stesso, che pure della “dialogicità” ha fatto la sua fortuna, lo usa in modo metaforico, intendendo la comunicazione letteraria come “polifonica” e sempre diretta “verso altri”. Fuori della metafora, senza corpo non c’è dialogo.
    A – E il mondo?
    B – Il mondo? Ma noi siamo mondo. Qualsiasi cosa io scriva o faccia è mondo. Te lo dico diversamente: ogni atto ha ricadute pratiche, e dunque significa in relazione al mondo. Sottolinearlo non giova, né al mondo né al discorso. Io, vedi, sono un’inguaribile materialista; nella lingua è già inscritto il mondo. Non serve ripeterlo.
    A -Cosa vuol dire?
    B – Ogni cosa che scrivo prende posizione rispetto al mondo.
    A – Abate contesta anche la primarietà dell’intonazione.
    B – Rimando al solito Bachtin. O a Larry, che essendo stato teatrante mi capisce. Un contenuto non esiste senza una forma. Se una forma è debole, il contenuto lo diventa (e viceversa, of course). Non è una questione di apparenza, bensì di dialogicità. Consiglio, in questo caso, la rilettura di Brecht. Chissà perché, i migliori artisti si sono sempre preoccupati prima della forma (straniamento, montaggio, etc.); i contenuti, per essi, erano un processo dialettico. Ma anche uno studio sulla percezione potrebbe andar bene. Quando uno parla, per prima cosa percepiamo il “tono” della sua voce (timbro+altezza+ritmo+intensità); solo dopo ci arriva il senso di quello che sta dicendo. Ma non ha senso insistere. Le botole della lingua sono tante. E non vale evitarle.
    A – Dinamo cita Bernhard …
    B – Ah! Fa di tutto per farmi partecipare alla cerimonia … Mi presenterò tenendo sottobraccio un polipo gigante con un pentolino legato a uno dei tentacoli. Meglio eccedere nella forma che prostrarsi davanti ai contenuti: non c’è nulla di più politico.
    A – Ti ha risposto LPLC …
    B – In modo evasivo. Ma abbiamo un’idea diversa di cosa sia insulto. In questo contesto, dare del “matto”, per quanto in laterale, è insultare. E poi la questione della “querela” non era attinente la pratica narcisistica dell’insulto. Ma va bene così; l’importante e che non ci si ammazzi. Io, francamente, se gestissi un blog chiuderei i commenti. Ma io sono io e sono troppo innamorato del mio Nulla.
    A – Vuoi del latte?
    B – Meglio del whisky.

  64. Però, nessuno ha risposto alla mia domanda più significativa: Pier Paolo Pasolini e Giorgio Manganelli, non solo quelli ferocemente e beceramente polemici tra loro, con queste nuove regole, potrebbero scrivere in questo blog?

  65. Da Calvino in poi nessuno scriverebbe su un blog semplicemente perché il blog non è contemporaneo a una letteratura di quegli anni, di quellla o quelle stagioni… (stagioni anche di denucia anticipata di ciò che avviene oggi)

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