di Vicente Luis Mora (traduzione di Federico Italiano)

[Insieme al poeta tedesco Jan Wagner, Federico Italiano sta curando un’antologia della giovane poesia europea. Il volume, che raccoglierà le voci più rappresentative del nostro continente (inteso, geograficamente, quale unità inclusiva, porosa e per quanto possibile antigerarchica), uscirà presso la casa editrice Hanser, col patrocinio della Deutsche Akademie für Sprache und Dichtung, entro la primavera del 2019. Sarà un’antologia multilingue e polialfabetica: ogni poesia antologizzata verrà infatti presentata nella sua versione originale e in traduzione tedesca. Il corpus dei testi si organizzerà intorno a un principio d’ordine più simile a un giornale di bordo che a un indice telefonico o a una lista di ‘giocatori titolari’: l’intento dei curatori è quello di proporre un’antologia non solo orientativa ma ‘percorribile’, una raccolta che documenti bellezze e asperità del viaggio di formazione e scoperta nell’Europa della poesia contemporanea. Da qui fino alla fine del 2018, LPLC presenterà in traduzione italiana alcuni dei poeti selezionati, puntando in particolare su autori poco o per nulla noti in Italia. Per evitare ripetizioni con l’antologia madre, Italiano cercherà di proporre in questa sede testi diversi da quelli prescelti per il volume Hanser].

***

Apro questa silloge a puntate con il poeta spagnolo Vicente Luis Mora, nato a Córdoba nel 1970. Autore prolifico, ricercatore e docente universitario, blogger letterario, già direttore dell’Istituto Cervantes di Albuquerque (USA) e di Marrakech (Marocco), Mora ha dato alle stampe sette raccolte di poesia, di cui ricordiamo le più recenti, Tiempo (Pre-Textos, 2009) e Serie (Pre-Textos, 2015), una raccolta di racconti, Subterráneos (DVD, 2006) e due romanzi, Circular 07. Las afueras (Berenice, 2007) e Alba Cromm (Seix Barral, 2010). Come saggista, ha scritto ampiamente sul rapporto tra letteratura, immagine e tecnologia; basti qui citare il suo ultimo saggio El lectoespectador (Seix Barral, 2012), una riflessione colta e dinamica sull’umanesimo televisivo-digitale e la letteratura al tempo dei social. Mora, infine, si è distinto anche come perspicace antologista, pubblicando un’ottima panoramica della poesia spagnola contemporanea, La cuarta persona del plural (Vaso roto, 2016).

I testi qui tradotti, tratti da Serie, il suo volume di poesie più recente, fanno parte di una sequenza in sei tempi, intitolata Visión del vaso – titolo che ho qui reso con Saggio sul bicchiere. Prima sezione delle sette che compongono la raccolta, questo ciclo ingrana lentamente, con procedere metodico e un tono descrittivo-naturalistico, ma rivela presto la sua profondità filosofica e la sua audacia compositiva: è il prodigioso risultato di una commistione occulta, quasi alchemica, tra Quevedo e Wallace Stevens, una negoziazione tra la “visione riflessa” (Lázaro Carreter) del conceptismo barocco e l’“idea d’ordine” del modernismo americano; una poesia, dunque, post-moderna più per necessità che per scelta. E se non è sempre facile seguire Mora nelle giravolte fisico-prosodiche della sua lingua, la lettura ci ricompensa abbondantemente con una meditazione intensa e originalissima sui miraggi del soggetto, sui paradossi della realtà e sulla gloriosa precarietà della condizione umana: “Basta un raggio di sole / per cambiarci”.

Federico Italiano

SAGGIO SUL BICCHIERE

I

Sul tavolo un bicchiere
di cristallo.
La fisica sostiene
che il suo ordine sia il più esatto.
Resiste all’aderire di materia,
cosa che non farebbe
venisse destinato
a specchio (è noto infatti che al mercurio
s’appiccichi ogni cosa,
eccetto un altro specchio).
E la sua costituzione interna
è la più omogenea
che esista.
In principio, non c’è
prodotto di natura
che mi sia più antitetico
di questo bicchiere
di vetro verticale
sul tavolo.

II

E tuttavia, bicchiere, ci sono
cose che ci accomunano:
i miei acidi nucleici
e le scarse proteine
che la scrittura risparmia
si formano in composti cristallini.
E il lontano silicio da cui vieni
è anisotropo,
di modo che le sue proprietà
fluttuano – come me –
a seconda del verso
dal quale le si osservino.
In un cristallo di quarzo la luce
non si può propagare
uniformemente. Questo è il mio caso:
l’ombra è molto più spessa
se percepita nella direzione
da dentro verso fuori.

A mille gradi entrambi
terminiamo d’essere ciò che siamo:
tu, che nascesti dal fuoco,
diventi liquido viscoso.
Io, che vengo da quel liquido,
vado in fiamme.
E, in cima a tutto,
la cosa più importante:
tu, senza contenuto,
e io privo di senso,
siamo identici:
due forme di vuoto
nello spazio.

Basta un raggio di sole
per cambiarci.

III

Ho una domanda:
se sei
l’immagine viva dell’ordine,
perché il mondo ci appare
curvato per tuo tramite?
Perché è ellittica la realtà, distorta
ai tuoi estremi, se l’altra
proprietà dei cristalli
risulta essere l’ordinata
simmetria dei suoi atomi?
So che puoi diffrangere i raggi x,
ma lo fanno anche i polimeri
cristallini, come la cellulosa
che regge questa carta.
Comincio a considerarti
della medesima natura
di una poesia: quel supposto
ordine
che tra il soggetto anisotropo
e il mondo costruito come caos
crea un’immagine
antinaturale.

Così la poesia
fa vedere tutto:
una parte la si intravede nel suo fuori convesso
un poco deformata verso il centro,
una parte ritorta sulla base
e una parte dal retro della sua esistenza,
mentre il resto è lei stessa:
coesione perfetta, mondo chiuso
nella sua trasparenza
superba e densa.

V

Se ti cambio di tavolo
e ti metto su un altro di cristallo,
possiedi un alto tenore di piombo
e il tavolo, di qualità minore,
sarà un composto: calce o forse soda;
ma in entrambi i casi
il vostro sessanta per cento di silicio
– pressappoco e non credo
sia una casualità –
è il medesimo sessanta per cento
che compone il pianeta.
Penso alle spiagge,
alle cave o arenarie
dalle quali venite,
e lungo gli interstizi trasparenti
provo a cercare
quelle impercettibili imperfezioni
in picogrammi o micron:
ciò che rimase delle acque e delle onde
i segni della felce immemorabile,
le uova delle larve,
il disegno leggibile
dei fossili.

*

VISIÓN DEL VASO

I

Sobre la mesa un vaso
de cristal.
Sostiene la física
que su orden es el más exacto.
Resiste a la adhesión de la materia,
lo que no haría
si hubiera sido destinado
a espejo (sabéis que a los azogues
se impregna cualquier cosa,
salvo otro espejo).
Y su constitución interna
es la más homogénea
que existe.
En principio, ese vaso
de vidrio vertical
sobre la mesa
es el producto de la naturaleza
más opuesto
a mí.

II

Y sin embargo, vaso,
hay cosas que nos unen:
mis ácidos nucleicos
y las escasas proteínas
que la escritura indulta
se forman en compuestos cristalinos.
Y el sílice lejano del que vienes
es anisotrópico,
de modo que sus propiedades
fluctúan –como yo–
según la dirección
en que se observen.
En un cristal de cuarzo la luz
no puede propagarse
por igual. Ése es mi caso:
la sombra es mucho más espesa
percibida en dirección
de dentro a fuera.

A los mil grados ambos
dejamos de ser lo que ahora somos:
tú que naciste del fuego
te vuelves líquido viscoso,
yo que vengo de ese líquido
me envuelvo en llamas.
Y, sobre todo,
lo más importante:
yo, sin sentido
y tú, sin relleno,
somos idénticos,
dos formas de vacío
en el espacio.

Basta un rayo de sol
para cambiarnos.

III

Tengo una pregunta:
si eres
la viva imagen del orden,
¿por qué aparece el mundo
curvado a tu través?
¿Por qué la realidad es elíptica,
distorsionada en tus extremos,
si la otra propiedad de los cristales
resulta ser la simetría
en orden de sus átomos?
Sé que puedes difractar los rayos x,
pero también lo hacen los polímeros
cristalinos, como la celulosa
que rige este papel.
Comienzo a verte
de la misma esencia
que el poema: ese supuesto
orden
que entre el sujeto anisotrópico
y el mundo construido como caos
crea una imagen
antinatural.

Así la poesía
deja ver todo:
parte entrevista en su convexo afuera,
distorsionada en parte por el centro,
y parte en retorsión sobre su base,
y parte por detrás de su existencia,
y el resto es ella misma,
perfecta cohesión, mundo cerrado
en su soberbia y densa
transparencia.

V

Si te cambio de mesa
y te coloco en otra de cristal,
posees alto contenido en plomo
y la mesa, de menos calidad,
será un compuesto: cal, o quizá soda;
pero en ambos casos
vuestro sesenta por ciento de sílice
–aproximadamente
y creo que no es casualidad–
es el mismo sesenta por ciento
que compone el planeta.
Pienso en las playas,
canteras o areniscas
de las que venís,
e intento buscar,
entre los intersticios transparentes,
esas imperfecciones diminutas
en micra o picogramo:
los restos de las aguas y las olas,
las marcas del helecho inmemorial,
los huevos de las larvas,
el dibujo legible
de los fósiles.

 

[Immagine: Steffen Dam, Marine Group, 2008. Copyright Steffen Dam].

3 thoughts on “Saggio sul bicchiere

  1. Il bicchiere (il vetro) = la poesia: trasparenza fossile, con le invisibili ai sensi comuni imperfezioni biologiche. Di questa poesia la bellezza raggelata e lineare, è la complessità distaccata delle osservazioni con le quali è prodotta.

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