di Marco Giovenale
[Pubblichiamo alcuni testi di Strettoie (Arcipelago Itaca, 2017), il nuovo libro di Marco Giovenale].
Dopo un po’ di molto male
tutto manca –
meglio: tutto
è dato, di quello che doveva.
Le mosche fanno i globi
sul canale. Legano coi loro
gigli. Ai gradi dove forza
la corrente – fa cappio. «A tratti
il corpo che la viaggia beve».
A tratti no.
*
Ravviandosi e guardando in vetrina
il caschetto bianco dell’associazione
(mutus liber) degli artisti “del centro”
rincasa con le molle ai talloni, posato,
e non tira il serramento orizzontale.
È un blocco di burro, un rettangolo
– spera che lo notino, siano i draft
ventenni altotedeschi
in gita, o i camerieri sfusi raggricciati dalla pioggia
allo spigolo del vinaio Blister, highclass «aperto
anche a pranzo» (torto torvo, nel vero,
blastula, avida, e no, niente blandula, zero).
Ma povero nella canna proprio non lo guardano.
«Il paltò mi – scende male?» (muglia con qualche
pietà di sé, fra sé, fra poco con quel niente
che è – e non vede
l’alone bianco della testa, come nei romanzi
dicono, ridicono). Mettici una elle,
pèttinati meglio, cipria, un sottotacco, forse.
Sventurato, no e sì. «Ti è andata bene, ti è andata di lusso» –
strilla uno al suo telefono, passando lungo lì
verso il teatro
*
Ai rincassi del portale ne aggallano figure,
spaiate spogliate, di guerrieri, che si stupiscono di stare
in campo con le siringhe di carta labile, grammi.
Il tempo di aprire, i fedeli cantano, scivolano dentro
dai Settanta a qui, dal papa buono al papa cattivo
come fosse niente.
Niente non è, però. Ci sono
delle differenze, armi in meno, meno alfabeti.
In due-trecento nel buco a rincalzare i turni.
I lumi possono essere o no affogati dalla cera,
le lavoranti incoccano le crune pure al buio.
Sanno che mettono la firma. Sanno che guardano
le figure.
*
1.
entra nella casa (vuota) “la” / “una” lattescenza. è: impersonale. non dalle sole finestre. è però identica, una. non chiaramente. identica a cosa.
tra prima camera e seconda la piccola carcassa (un pesciolino d’argento).
non c’è ancora niente da mangiare qui.
2.
acqua. amido.
3.
dal reticolato di protezione. una coerenza o, di quella, appunto un somigliare – le aiuole del giardinetto corto. un giro corto se lo si volesse visitare. anche meno di dieci passi per lato.
*
Poi c’è molta cenere sul bordo. E logicamente la scritta affitto,
l’arancio. Una sognante che, mezza piegata a svegliarsi su dal letto, sta che piange.
C’è una protesi-contentezza per questo, c’è la freccia per arrivarci.
Alla reception chiedono la carta giusta per loro. (No se non funziona).
Non ci arriverò mai significa Nove miliardi di anni, il tempo di apprettare una camicia quanto impiega l’albero a camme per tirare il rigido rigido dalla chiesa al buco.
*
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siamo andati al Rotary
a rimare sui poveri
come qui ma le facce che anche in sogno muoiono
non ce la facevano a fare arrivare gli strilli
dentro la culla di diamante
il figlio unico ha o si dà
la sua proprietà
*
Che drénino, no?, che frénino
le dichiarazioni rese in atti,
il rumore delle chiavi in corridoio,
la magnificenza dell’albergo, suoi strombi,
il piccione Fàtic, e i tanti fiorini cacacéline,
fluorini fiorenti che vuoi che non lèggano
il carloemilio, vuoi?
Idem, in corridoio («io, io», senti dire).
«O voi,» – e «oblate, oblate», anche, senti.
Post menstruum sinus, semen,
birra nel parchetto, ore 6.
Iterate, iterate. Ite – ryzho – ite, figlie,
et sore, et frati
*
Assistito da oggetti
si isola.
Gravures. Mascella
per incidere crani.
Schermo, tossicità o meno
dell’ocra. Grata-
écran
[Immagine: Donald Judd, Prints]
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