di Gabriel Del Sarto
[È da poco in libreria, pubblicata da Aragno, la nuova raccolta poetica di Gabriel Del Sarto. Si intitola Il grande innocente. Pubblichiamo una breve scelta di liriche. Ringraziamo l’autore e la casa editrice].
Il tempo e la vita
Quando di nuovo abbiamo parlato di quel giorno
l’acqua mista al sangue – ti ascoltavo
e immaginavo il ferro e l’ossigeno
nelle emoglobine, il destino cambiare – e il dolore
che niente ha cancellato, ho saputo
come la natura si concentri nel tempo
di ciascuno: un’assoluta
ed armonica compossibilità di volti
e sofferenza.
………………….(Esiste quasi
da sempre anche l’Anticlinale,
………………………………………….è una piega
delle rocce, una struttura
dove gli strati sono convessi
verso l’alto e puoi trovare, dicono,
dal basso a salire, l’acqua
che satura tutti i pori, gli idrocarburi liquidi, il gas
che si accumula all’apice della piega. Ancora
azioni e parole. La contraddizione
che governa ogni cosa.)
Ogni tanto ancora un cenno. Fa parte
di noi, di questa storia ricordata.
Può bastare un articolo o un post
in rete letto a voce alta dentro
le stanze che abitiamo, il silenzio
dopo, uno sguardo al posto di ogni cosa,
leggere contrazioni, siamo noi,
è la vita, quando la prima morte
è quella della parola che manca.
*
Gli algoritmi complessi del gioco,
modelli di abili matematiche
e avidità, sono per pochi. Un vuoto
finto a mascherare la partita
vera: la gestione del rischio
contro lo spingere oltre, togliere il freno
massimizzare. «Lo fanno tutti.
…………………………………………..Noi chi siamo?
A segnare il tempo,
le storie, sono uomini senza nome
e senza nostalgie, simili a noi
che ci crediamo migliori. Abbiamo tutti
vicino cose fredde, le amiamo».
Come tutti ci facciamo lontani.
*
Ma questa è la vita, per molti contenuta nell’ora
in cui è possibile, dopo l’ansia
condivisa sul lavoro o nelle cose da fare,
contemplare gli oggetti che abbiamo nel soggiorno di casa,
quell’ora dopo il tramonto in cui potrebbe esserci,
una veranda sul fiume, un frutteto rigonfio
e benedetto da Dio, un silenzio eterno.
La vita è questo, alla fine. Quello che puoi conoscere,
quell’istante convocato dalla sua stessa voce, che riempie e fa suo il silenzio,
che raduna il mondo prima di dissolverlo,
questo e i titoli di coda alla fine del tuo film. Come
una domenica sera, ancora estiva, di questo secolo, infuocata e con un vento
che pulisce la calotta di umidità, la memoria,
vista da un qualsiasi terrazzo di questa collina, proprio sopra la città.
*
Lo vedo. Uno di quei ricordi che possono essere
tutto o niente: la sedia di legno sul prato dell’infanzia
nel punto dove l’albero dava ombra, un uomo vecchio
minuto e in disparte, sotto un cappello.
Un ricordo che è una foto di compleanno.
Soprattutto: il suo odore acre, mai più sentito
e la barba bianca, corta e dura. Un uomo buono,
da cui non potrà arrivare mai il male.
Ho dentro di me una violenza grande, che muore se lo penso quando vive la fine dei due figli maschi nell’estate del 1944 o quando sale e trova il tuo corpo e lo veglia da lontano, nel caldo fra luglio e agosto, ogni giorno.
Un tedesco qualche volta gli ha offerto da mangiare, mi raccontano, fino al giorno del recupero.
Ecco il mio pane è questo: tu in questi versi,
tuo padre sul monte che ti tiene e dal fango
un odore vegetale, grasso e umido,
…………………………………………………di fondazione e crescita.
*
La neve svedese
La neve svedese, gialla di piscio verso sera
sotto l’albero, non è solo una descrizione. I tempi
diversi, le notti che arrivano dal mare,
i colori delle case, hanno un suono
che ricorre, sono un catalogo laico
comprensibile solo negli anni. Il giorno
qui è andare fra le erbe secche, scendere
fino a quella roccia grande sull’acqua
che anima il gioco di un bambino, sentire
la scuola nella ricreazione come un quadro
del nord, come la pagina delle rincorse
nel vento. L’importanza del respiro
e la sua disponibilità alla vita. Questa
è la luce: le cose che ora posso
vedere. Quella neve, quella roccia, un mare buio
come il mio terrore quando la fine
può arrivare, e vuole essere con te, estesa e adesso.
[Immagine: Axel Hütte, Nebel 1].