di Adelelmo Ruggieri

Ci sono luoghi che hanno resistito
alla generale evanescenza, luoghi
dove si capisce che il romanzo
lo scrive la natura, noi mettiamo
solo qualche virgola.
Venite ad Aliano:
troverete un paese fragile
e un paesaggio solenne.
Troverete un cielo indiscreto,
una crepa dove fioriscono gli abbracci.
Franco Arminio

È la terza volta che vado ad Aliano per “La luna e i calanchi”, il Festival della Paesologia. Stavolta i giorni di festa erano tre e mezzo.

Tre anni fa ci misi un tempo interminabile ad arrivare dalle Marche. Dodici ore, anche più. Mi avevano detto che in sei ore sarei arrivato. Ma a un qualche bivio lucano presi una strada sbagliata e cominciai a girare a vuoto; allora mi fermai presso una fontana inattesa, faceva molto caldo, e me ne stetti a riposare riparato da un’ombra. La seconda volta ci volle meno. La terza ci è voluto il tempo suo. Ogni volta arrivo ad Aliano dalla Saurina a nord, e vado via dall’altra parte scendendo ad Alianello a prendere il Fondo Valle d’Agri. Ogni volta a tornare faccio rifornimento all’Area di Servizio appena dopo l’incrocio per Missanello. Sono gentili, quest’anno c’era anche un coltivatore che vendeva le sue pesche percoche, quelle con la polpa gialla e dalla forma tonda. Anno scorso il ritorno fu drammatico. La mattina del 24 agosto mi chiamarono per dirmi del terremoto atroce che c’era stato da noi, alle 3:36 di notte, con epicentro ad Accumoli, magnitudo 6,0. Chiamai a casa. Non rispondevano. Richiamai, idem. Presi la macchina e partii.

Ogni volta arrivare ad Aliano dalla Saurina è una grande emozione, ma più grande è l’emozione della partenza. Prende a farsi strada una specie di malinconia solida che pesa. Ad Aliano dalla Saurina si sale con la Provinciale Aliano-Alianello, la quale un poco prima del paese diviene Via Mercato fino a Piazza Roma. E le due strade, la Saurina e la Val d’Agri, cerchiano uno spazio molto ampio di colline i cui versanti scoscesi a meridione formano la scena dei calanchi, a solchi di pareti erose dalle acque, canali e creste frastagliate esili, meno esili, radiali, parallele, e dossi e coni sparsi o ravvicinati, cupole, e vallecole, e argilla arida e brullo, ma sul versante opposto è un succedersi d’ulivi e orti e pescheti e agrumeti, e questi li chiamano i Giardini di Aliano.

Anche dentro Aliano stanno i dirupi erosi e le fosse precipiti, e il paese per scavalcarle è fatto di più parti distinte, con la Provinciale in mezzo che l’attraversa e lo struttura. In alto c’è il paese nuovo, fino a Piazza Roma; poi viene il paese attorno al corso alberato; poi c’è la terza Aliano, tutta sotto Piazza Garibaldi; a scendere ancora c’è l’ultima in basso, con la casa dove venne confinato Carlo Levi. E la casa è come egli la lasciò nel 1936 – quando vanno a trovarlo e lo pregano di restare : Non partire. Resta con noi. Devi restar sempre con noi. Tornerò. Se parti non torni più –, ma dentro è tutto vuoto; le mura esterne sono imbiancate a calce; appena sotto comincia il burrone.

Gli alianesi sono poco più di mille. Nei giorni del festival prendono via via a raddoppiarsi, a triplicarsi, e invadono le vie e i vichi e tutti incontrano tutti. Per novanta ore si diventa tutti di Aliano. Ciao, a dopo. Ciao, a dopo. È un susseguirsi fitto di Ciao e A dopo. E infatti mezz’ora dopo o due ore dopo ci si rivede in piazza per i Paesaggi sonori di Antonio Infantino o per L’ora delle cose vere: per una federazione delle nostre ferite; o agli Esercizi di Ammirazione; oppure alla mensa comunitaria, e Anna Laura Petrucci, all’ingresso, presenta un multiplo del 1978 di Joseph Beuys sul cibo : Mach den Mund weit auf / Apri bene la bocca.

Con Angelo Ferracuti, che ai Parlamenti comunitari ci dirà dei paesi devastati dal terremoto di un anno fa, giovedì 24 abbiamo trovato un angolo in ombra per pranzare, al tendone giallo della Coldiretti, angolo Via Plebiscito – Piazza Giovanni XXIII. Panino caldo farcito e un bicchiere di vino rosso. Si stava bene. Era fresco e tutt’attorno c’era la luce del Meridione d’Italia che batteva sui prospetti.

Quest’anno di stanza stavo al paese nuovo in alto, e le non poche volte che risalivo la Provinciale, arrivato nei pressi della casa, mi appoggiavo alla balaustra a guardare il paesaggio. Una sera delle tre c’erano due anziani alianesi e ho chiesto loro i nomi dei paesi sulle creste, e quella strada lì davanti che sale dritta la montagna è per Stigliano, il paese sta tutto dietro, e l’altro, non distante e incassato fra i versanti, è Cirigliano, e laggiù è dove stanno Ferrandina e Pisticci, e quello è il Sauro, certo, e di notte, se sali in cima al monte vedrai le luci di Taranto. Taranto, da qui? Sì. La città degli ori antichi e delle emergenze ambientali, che chiamarle a questo modo le edulcora di molto, trattandosi di reati ambientali gravissimi.

Il cuore del Festival batte a Piazza Panevino, nella penultima a scendere delle quattro Aliano. Ci si arriva da Piazza Garibaldi per il suo Vico o Via Sole. È un grande slargo gradonato tra le case antiche, alcune con le finestre così piccole e poste a coppia in alto che paiono occhi e il prospetto un volto. Panevino ha la forma di un teatro che si è fatto da solo e se ne sta lì da sempre. La notte del ventiquattro sono arrivate sul palco le trascinanti “Assurd”, con i loro canti di protesta e le serenate maledette – Nun t’affaccià si sient’ a voce mia / nun t’affaccià si sient’ a serenata / io mò nun canto pe’ te, canto pè nato / ca nun s’affaccia si t’affacci tu –, e hanno infiammato tutti e la piazza si è alzata in piedi a cantare per se stessa, e anche i muri illuminati in trasparenza dai disegni di Andreas Zampella si sono messi a risuonare.

Franco Arminio, il direttore artistico del festival, lo incontri sempre. Tra un punto e l’altro di Aliano ad accogliere, tra un ospite e il successivo, alla Mensa, all’Auditorium, a Panevino, in Via Sole, per fare di Aliano, come scrive : “un simbolo di un sud che costruisce nuove storie legate a un nuovo rapporto coi paesi e il paesaggio; il tentativo di coniugare arte e ambiente in un connubio non asservito alle logiche del puro consumo culturale”, “un’azione politica e poetica allo stesso tempo, un cuneo, una prua nello stagno dell’indifferenza e della rassegnazione”. Con tutti che s’intrecciano e si abbracciano in una medesima vicenda collettiva che dura tre giorni e mezzo ma da moltiplicare per un fattore di intensità che prende a crescere di ora in ora, a dare un tempo pieno senza ore, in cui il solenne più cospicuo è forse la costruzione di un noi entro la frammentazione disincantata che il virtuale moltiplica : la passeggiata corale e commossa tra le argille erose dei calanchi lo ribadisce per intero.

E c’è questa emozione ad arrivare e questa mestizia che pesa della partenza, sin da subito, mentre chiudi la porta della stanza, per andare via e non vorresti partire.

Aliano (MT), agosto 2017 – La luna e i calanchi

http://www.lalunaeicalanchi.it/programma/

 

[Immagine: Aliano].

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