di Simone Burratti

[Esce in questi giorni per Nuova Editrice Magenta il primo libro di Simone Burratti, intitolato Progetto per S., con prefazione di Stefano Dal Bianco. I primi testi di Burratti sono usciti su Le parole e le cose qui].

AVATAR

Non c’è cosa più vicina alla superbia dell’eccesso di umiltà.
P. ALMODÓVAR

S. è una persona bassa e insignificante, il classico personaggio in cui non puoi immedesimarti. Crede fermamente nell’individualismo e sopravvive grazie a una forma di socialità parassitaria.

S. ti spia di sbieco dalla fessura della porta, dall’angolo cieco dello specchio, dalle proiezioni più sincere della tua autocoscienza; sta lì, dove l’hai dimenticato.

S. conosce tutte le debolezze una per una e le ha assegnate alle ombre che lo seguono, di sera, lungo le strade alberate. Le ombre si allungano a nord, se ne vanno e poi ritornano. Tutte le ombre sembrano perfettamente sovrapponibili.

Sui mezzi pubblici, S. sfiora le donne con il dorso della mano.

S. è un uomo che soffre di meteorismo. La parola meteorismo gli piace, e sente che lo rappresenta appieno. Sul balcone, immagina di gonfiarsi così tanto da diventare più leggero. La pancia è dura e ovale. Il vuoto è la sua forza. Spinto da un movimento interno si solleva fino all’altezza a cui pensa. Poi sparisce nel buio.

S. appare e scompare con lo sforzo addominale di una lucciola.

Quando S. scrive a mano, l’asse y del polso funziona meglio del suo asse x.

S. ha tracciato il perimetro di un quadrato intorno a sé. Mura invisibili che si alzano virtualmente all’infinito, abbozzi di reclusione accennati appena da un gesto con la mano, dall’eclissi di uno sguardo, definiscono lo spazio mentale entro cui S. si muove: anche se volesse, non potrebbe più uscirne.

S. mente a se stesso dal giorno in cui ha imparato ad accettarsi.

Nonostante i segnali evidenti di un peggioramento – l’incurvatura della schiena, la graduale perdita di profondità degli occhi, l’odore animalesco liberato col sudore e con le feci – S. non vuole essere curato.

S. si guarda intorno nello scompartimento. Si alza, va verso il bagno, tiene la porta chiusa con la mano. In questo momento la masturbazione può sembrare tanto un’evasione quanto una battaglia per il controllo sul mondo. Il treno corre nella galleria. La realtà ritorna lentamente in bianco e nero. Qualcuno bussa.

S. è l’aiutante, il gandharva, la kitsune, il jinn, il trickster.

S. è l’unica persona che potrebbe capirmi.

S. è la luna di Majora’s Mask, il suo faccione terrorizzato, la gravità degli eventi che incombe ineluttabile sul mondo.

S. prova a toccare l’ombra affusolata che dai piedi risale lungo il muro. Un frammento dell’intonaco si stacca e lascia il dito di S. sporco di polvere rosa. Abbassa lo sguardo, concentra la percezione sulle spalle e sulla nuca. Sente il cielo sopra di sé come una mano inerte e gigantesca.

Persa ogni disinvoltura al sole, S. si chiude in camera sua.

 

 

 

IN A LANDSCAPE

Il cielo si trasforma sotto gli occhi di chi guarda,
è più veloce degli alberi che crescono,
più lento dello sguardo che lo passa in rassegna
cercando qualcos’altro, ma che sia sempre al di qua,
da questa parte concava del cielo,
e quindi facce, progetti, ombre, ricordi
di appuntamenti persi con il tempo, e ancora sagome,
aerei, dita puntate, sogni, proiezioni – nuvole:
la più insulsa forma d’intrattenimento,
perché il cielo si trasforma continuamente,
e si spegne, di regola, e delude
come sempre le cose che si amano.

 

 

 

TRUE ENDING

È una mattina dopo un temporale senza tracce – un balcone troppo in basso, un’incapacità di intenti, una catastrofe avvertita e mai avvenuta. O forse qualcosa è avvenuto ma solo una mattina dopo l’altra, dietro le tapparelle degli occhi, lo stesso di quando i piedi hanno sentito il materasso troppo corto, e poi troppo usurato, e poi nessuna mamma o donna è più comparsa sulla soglia della stanza, come un presentimento che si avvera. Comunque c’è il sole. Fili invisibili si tracciano e riflettono nella luce entro il paesaggio di una casa, un cortile, un appartamento residenziale collocato al limite con la campagna. L’uomo sorride con disinvoltura. In certi momenti la sua vita è stata come una cascata, adesso i lineamenti sono rilassati e netti, espressioni trattenute sul viso molto a lungo. Nessuna sensazione, nessuna paura umana, soltanto una presenza fuoricampo. Fuoco: una di quelle cose di cui non sente la mancanza. L’azione perduta di chi non rientra nell’inquadratura, di chi è già andato altrove, eclissando la memoria, senza lasciare altro che un’espressione di rimando, una storia o un’immagine. Nessuna sensazione, nessuna paura umana, soltanto una mancanza fuoricampo. C’è il sole, come se niente fosse. S. lo nasconde con l’icona del Cestino.

 

 

 

SCEGLIERE

Il pesce che smuove la superficie dell’acqua.
BERSERK

1.

Una presa di coscienza, un proposito, un tentativo di responsabilità. La responsabilità stessa, uno scrollarsi di dosso se stessi, un orientamento diverso delle cose. Un passo fatto con decisione e coraggio, dentro una stanza vuota. Un contro-passo, una rinuncia o un atto, una volontà

Un solo giorno in cui si ha la forza di un’avventatezza

Smettere di bere, svegliarsi a un’ora decente, avere rispetto per la sofferenza degli altri, per l’amore degli altri. Dormire con attenzione, portare ogni decisione stampata in fronte, severamente e serenamente. Inspirare fino alla pelle d’oca

Scegliere di rompere amicizie durate secoli, buttare via selezioni di fiducia. Dimenticarsi abitudini e persone, perdere dedizioni, assumere quell’aria distratta tipica delle persone superficiali. Presentarsi annoiati, disgustati, inspiegabili: totalmente esposti alle conseguenze delle proprie scelte

Smetterla di secolarizzare l’amore, o di creare figure leggendarie. Ricordarsi tutte le cose belle che contavano, dire: “mi dispiace”, pensare: “voglio cambiare tutto”. Liberarsi da qualsiasi costruzione

Dire semplicemente, a una cosa imprecisata: “sì.

2.

Una notte di sesso meno che occasionale. L’impressione di aver fatto qualcosa e/o di aver fatto niente. Un episodio lontano, ubicato in un posto lontano e lasciato lì, come un tappo sotto il cuscino o un mostro sotto il letto. Il sesso e l’amore come cose che finiscono, che vogliono finire

Uno schifo di prima mattina, un fastidio composito. Portarsi dietro la nausea del pullman tutto il giorno. Guardare le ore. Andare avanti storditi, illudersi o fare finta che, dirsi di puntare a. Usare (ripetersi) giustificazioni inutili, intelligenti

Il vago ricordo di una previsione automatica, dopo tanto allenamento all’esperienza. Il riconoscimento di un’ingenuità, di un dire-e-poi-no, la facile accettazione di un’inadeguatezza. Deludere tutti, ricominciare peggio. Cambiare la risata in ghigno, aderire a un’estetica immorale. Ripetere: “nichilismo”, ripetere: “fatalismo”

Il momento preciso e offuscato della mistificazione. Trasformare il basso in profondo, fare il male con precisione e distacco. Credere di giocare al diluvio universale, dal palazzo più alto della città. Piagnucolare un po’. Pregare. Costruirsi un sentimento del tragico, tra la vertigine e il sentito dire –

“Amai la mia rovina, amai la mia caduta: non ciò per cui cadevo, ma la caduta stessa.”

[Immagine: Foto di Francesco Nazardo]

 

5 thoughts on “Progetto per S.

  1. Sono davvero molto colpito da questi pochi brani che ho appena letto. Mi piace la scrittura di Simo-ne Burratti, questo suo strano modo di far giungere il lettore anche di fronte al baratro (come in A-vatar o in True Ending) o di fronte a decisioni perentorie (come in Scegliere) senza nessuna enfasi, con una scrittura estremamente controllata e precisa.
    In particolare ho molto apprezzato Avatar e True Ending.
    Al contrario di quanto l’autore afferma proprio nell’apertura di Avatar, è difficile non immedesi-marsi in S., o meglio è davvero difficile non vedere quanto l’uomo contemporaneo, o il “progetto” in parte realizzato dell’uomo contemporaneo non sia già, per alcuni versi, tanto vicino ad assomi-gliare a S.
    La straordinaria quadratura del cerchio della società contemporanea è proprio questa: individuali-smo sfrenato e omologazione (che se ci pensiamo bene è anche uno straordinario ossimoro). E tutto ciò avviene proprio attraverso quella “forma di socialità parassitaria” grazie alla quale S. sembra riesca a sopravvivere – i nuovi social media non sono forse gli strumenti più congeniali per un faci-le accesso ad una forma di socialità parassitaria?
    S. forse non vuole essere “curato” perché la sua “animalità” (l’odore animalesco liberato col sudore e con le feci), masturbarsi nel bagno di un treno in corsa mentre qualcuno bussa alla porta, così co-me il bisogno di sfiorare con il dorso di una mano le donne sui mezzi pubblici, per quanto infime o spregevoli le si possano pensare sono le poche cose “umane” a lui rimaste che arginano l’angoscia per “la gravità degli eventi che incombe ineluttabile sul mondo”, per il cielo percepito come una mano inerte e gigantesca che grava sulla sua testa, e non ultima forse per la solitudine.
    S. cerca di afferrare le prove della sua presenza, del suo esserci, ma lo fa cercando di afferrare la propria ombra sul muro e resta con un frammento d’intonaco che si stacca e diventa polvere.
    Dunque, certo, tornando alle prime righe di Avatar, chi veramente potrebbe riconoscersi in un indi-viduo cosi “disturbato”/ “alienato” come S.? Ma chi può davvero credere che non vi siano degli a-spetti di S. che non si celano anche dietro la propria ombra?
    Cosa c’è dietro la quotidiana resistenza che ognuno nel suo piccolo mette in atto in un mondo e in un tempo come quello che stiamo vivendo? Quale Avatar mettiamo in campo per salvare il salvabi-le del nostro mondo e della nostra umanità? Cosa rimane di veramente sacro oggi? Quale umanesi-mo dovremmo mettere in gioco contro il nichilismo imperante?
    La scrittura di Burratti lascia aperte queste e altre domande che alla fine salvano se stessa dalla de-solazione di certe sue stanze.

    In True Ending (non potrebbe esserci titolo migliore) s’immagina un uomo calato in una sorta di ac-cettazione neutra, senza enfasi, senza dolore, dell’assenza del proprio istinto vitale. Gli accade un giorno, forse in un preciso momento, di avere una chiara limpida consapevolezza di non essere più presente. Una consapevolezza “indolore”: “Nessuna sensazione, nessuna paura umana”. Come se sia ormai un dato di fatto la propria mancanza, l’impossibilità di una concreta partecipazione al mondo, al vivere civile.
    La propria figura è percepita “fuoricampo”, la propria azione è “l’azione perduta di chi non rientra nell’inquadratura”. Lui è “mancante”, ma il mondo va avanti, la vita degli altri continua, e “c’è il sole, come se niente fosse” – così, parafrasando Montale, se ne va zitto e procede tra gli uomini che non si voltano, col suo segreto.
    Una prosa lirica senza sbavature, che sapientemente trasforma, quasi senza che il lettore se ne ac-corga, quella fredda luce solare sotto cui tutto sembra accadere, nella rivelazione di un “Nulla” che, al contrario di quanto avviene nella coscienza di colui che “sorride con disinvoltura” senza “nessuna sensazione, nessuna paura umana”, porta il lettore di fronte all’Abisso – anche S. lo sa, e “lo na-sconde con l’icona del Cestino”.

    Non ho gli strumenti critici per poter giudicare, sono solo un appassionato lettore di poesia, ma cre-do che sentiremo ancora parlare, e bene, di questo poeta.
    Complimenti alla redazione di “Le parole le cose” e Complimenti Simone, cercherò di procurarmi al più presto il tuo libro.

  2. Mi scuso per tutti i trattini che si vedono nel mio precedente testo. Sono dovuti ad un errore di formattazione.

  3. @Andrea grazie, i tuoi strumenti critici mi sembrano tutto tranne che ingenui, noti proprio le cose che vorrei si notassero, specie in Avatar. “Nessuna sensazione, nessuna paura umana”, tra l’altro, è una mezza citazione da Wordsworth. Saluti

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